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Le tute blu che escono da una fabbrica e la scritta “Rompete le file!”. La copertina del n. 32 di “A”, datata ottobre 1974, riprende il tema di un editoriale di Amedeo Bertolo (“Sindacati. L’autunno del recupero”): A giudicare dalle ultime cronache sindacali e dal “pacchetto” di richieste, le confederazioni – si legge – hanno intenzione di svolgere con una certa decisione e durezza la loro funzione istituzionale di tutela dei lavoratori dipendenti. Per non rischiare di perdere il controllo delle lotte, cioè l’altra loro funzione istituzionale (…) Tutto questo perché la partita (dura ma “leale”) d’autunno deve essere giocata da sindacalisti e padroni (e governo-arbitro-venduto) e gli sfruttati devono limitarsi ad assistere, tifando per i sindacati ma senza pretendere di giocare in prima persona, senza scavalcare la rete delle istituzioni e invadere il campo...
Anche questo numero di “A” segnala un distacco abissale con la rivista attuale. Non solo per le “dimensioni” (28 pagine contro le 180 di questo numero: come dire più di sei volte tanto), ma soprattutto perché quel numero è interamente scritto dalla redazione e da tre collaboratori fissi (Roberto Ambrosoli, Giampietro “Nico” Berti e Luis Mercier Vega, quest’ultimo sotto uno dei suoi pseudonimi: Santiago Parane), mentre oggi la rivista è scritta per meno del 5% da membri della redazione. Il che segnala che, mentre allora “A” era una rivista redatta da un ristretto gruppo di anarchici, oggi è un vero e proprio “spazio aperto” alla collaborazione non solo di anarchici di diverse tendenze, ma anche di molte persone esterne all’anarchismo e al movimento anarchico.
Interessante l’analisi dei “decreti delegati”, quell’insieme di disposizioni legislative e normative che introdussero allora, nella scuola pubblica italiana, una serie di pratiche “democratiche” (perlopiù degenerate in pratiche “burocratiche”). A pochi anni di distanza dall’ondata contestatrice del ‘68 (e anni successivi), questi decreti furono di fatto il modo in cui “il sistema” cercò di recepire in parte e di incanalare il vento del cambiamento che aveva investito la società e la scuola in particolare.
Si trattava di una nuova impostazione dell’organizzazione scolastica, con nuovi poteri attribuiti a organismi scolastici in cui le rappresentanze di studenti, insegnanti e personale ATA (I bidelli, per capirci) avrebbero dovuto giocare un ruolo innovatore e decisionale.
“Decreti delegati e scolarizzazione di massa” è il titolo dello scritto di Roberto Ambrosoli (per curiosità, il padre di Anarchik). In questa sede ci limitiamo a riportarne la parte finale, indicativa dell’approccio critico che caratterizza questo piccolo saggio tuttora valido: Quel che è certo è che il monopolio del sapere tecnico-scientifico-organizzativo, la sua trasmissione a un numero ristretto di privilegiati è fondamentale per la sopravvivenza dei moderni stati industriali, altrettanto quanto la manipolazione del consenso delle masse. Il che significa che assisteremo, quanto prima, al sorgere di nuove scuole, i cui studenti non avranno nulla in comune coi loro simili attuali: non proverranno dalle classi inferiori, non faticheranno a trovare lavoro all’uscita, non giocheranno con lezioni buro-democatiche. In barba alla demagogia delle circolari ministeriali, le nuove scuole saranno selettive e nozionistiche. E insegneranno a comandare.
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