Sin dai primi tempi dell’occupazione, all’interno della Regenbogen Fabrik di Berlino, sono iniziate due importanti esperienze in autogestione: la falegnameria e la scuola dell’infanzia.
Da Uta e Pàmela, rispettivamente falegnama e insegnante, ci siamo fatti raccontare le motivazioni che stavano e stanno alla base della loro scelta di lavorare alla Fabrik nonché le modalità attraverso le quali si svolge la loro attività e le problematiche che debbono affrontare in una dimensione lavorativa “autogestita”.
Uta – Lavoro dal 1998 nel collettivo delle falegname. Sono volontaria
perciò non sono pagata per quello che faccio, è un mio impegno personale: naturalmente, essendo io falegnama di professione, di tanto in tanto faccio lavori che mi permettano di guadagnare. Il tutto è iniziato quando una mia amica che era falegnama mi ha chiesto se avevo voglia di collaborare al collettivo. La cosa m’interessava anche perché ero gia inserita in un gruppo alternativo, lavoravo in un caffè libertario a Kreuzberg. Tutto, in ogni caso, è capitato al momento opportuno: il caffè libertario aveva appena chiuso, io cercavo lavoro e non sapevo esattamente come andare avanti, ero disoccupata. Così ho iniziato a lavorare nella falegnameria: ovviamente come apprendista in quanto non avevo una preparazione specifica.
Pàmela – Io lavoro nell’asilo da dieci anni. Avevo appena terminato la mia formazione professionale come insegnante di asilo nido, stavo cercando un posto dove fare tirocinio. Non avevo voglia di lavorare sotto padrone e nemmeno di avere come padroni i genitori dei bambini. Alla Regenbogen Fabrik c’era un piccolo gruppo che poteva determinare le proprie scelte liberamente e per questo ho deciso di lavorare qui.
Cos’è che determina la differenza di un asilo come questo della Regenbogen Fabrik dagli asili tradizionali?
Pàmela – In un asilo normale, privato o pubblico, bisogna sapere giorno per giorno quello che si fa, bisogna avere un programma ben preciso, qui invece nessuno ti dice cosa devi fare ma lo si decide giorno per giorno, si guardano i bisogni dei bambini e degli adulti, si ascoltano i desideri, è tutto molto più… libero! non trovo un’altra parola. Da noi i bambini possono muoversi su tutta l’area della Fabrik quindi ricevono molte impressioni, molte sollecitazioni anche dai diversi settori lavorativi che sono qua e quindi percepiscono un mondo reale, un mondo di vita vissuta. Gli altri asili spesso hanno semplicemente un giardino con un recinto e delle educatrici. Quello che noi facciamo è trasmettere delle competenze di tipo sociale ai bambini. Molto spesso si tratta spesso di bambini figli unici che non hanno compagni di gioco. Noi offriamo molto spazio al gioco, i bambini non devono per forza imparare una lingua all’asilo mentre oggi molti genitori pretenderebbero che all’asilo già s’insegnassero lingue straniere, mentre da noi i bambini apprendono molto attraverso il gioco. Secondo noi è poi anche molto importante che i bambini imparino a sopportare la loro noia e a far scaturire i loro interessi. Il principio con il quale si decide nella Regenbogen Fabrik, la democrazia di base, con i bambini ovviamente non può essere applicato per via dell’età, però i bimbi possono esprimere la loro opinione e avere in ogni caso la sicurezza di essere ascoltati e questo comunque crea un rapporto molto paritario
La falegnameria invece come è nata?
Uta – La falegnameria è stata realizzata all’inizio dell’occupazione tanti anni fa. Inizialmente cercavamo di avere degli incarichi di tipo commerciale, ossia di lavorare per committenti esterni. Era una situazione un po’ caotica, come tutte le situazioni allo stato nascente. Poi è entrata nel nostro gruppo Gabi, un’altra falegnama e con lei, mettendo insieme una serie di progetti, alcuni che potevano essere finanziati dallo stato o meglio dall’ufficio di collocamento che dà finanziamenti nel momento in cui offri lavoro a disoccupati, insieme con altri di lavori “a termine”, pian piano si è costituita una vera e propria falegnameria improntata all’autoaiuto ossia a disposizione di tutti, soprattutto del vicinato.
Come si svolge il lavoro della falegnameria?
Uta – Il nostro obiettivo principale è di essere un laboratorio aperto al vicinato. Il giovedì la falegnameria è a disposizione solo per donne: è una scelta che mira a far sì che anche le donne possano farsi esperienza in un lavoro come quello della falegnameria e ciò perché, in linea di massima, le donne sono veramente poco presenti nei lavori artigianali, soprattutto in quelli cosiddetti “più maschili”, come appunto in falegnameria. Devo però sottolineare che qui a Berlino in realtà non esattamente così: ci sono molte donne che sono falegname, il problema reale in città è che tante di loro sono disoccupate in quanto fanno fatica ad affermarsi in questo settore considerato appunto “per maschi”. Per questo motivo siamo contente di offrire a queste donne disoccupate la chance di restare in attività, di non dimenticare le loro conoscenze nell’utilizzare le macchine perché, se per molto tempo non le usi, pian piano puoi tornare ad averne paura. Nella falegnameria della Regenbogen Fabrik c’è un buon clima che dà tranquillità. Abbiamo orari di apertura specifici per il vicinato nel senso che chi ha bisogno di fare dei lavori o di riparare delle cose può venir qua e utilizzare le attrezzature o comunque avere aiuto da qualcuna di noi. In ogni modo, anche se lo spazio non è molto grande, contemporaneamente le altre falegname possono portare avanti i loro lavori per se stesse o per amici, per conoscenti o anche per clienti “tradizionali” e attraverso la vendita dei loro manufatti si può così finanziare l’intero progetto. Anche il vicinato che vuole utilizzare le nostre attrezzature paga una piccola quota di finanziamento della falegnameria sulla base di un prezzario. È chiaro che, oltre che per tutto ciò, naturalmente la nostra falegnameria lavora per ristrutturazioni o riparazioni che si rendano necessarie qui all’interno della Regenbogen Fabrik.
Anche l’asilo e la falegnameria, come tutte le realtà lavorative della Regenbogen Fabrik, sono organizzati in forma di collettivo: questo cosa comporta per le vostre attività?
Pàmela – Le decisioni sono prese collettivamente sia all’interno dei diversi gruppi che nel plenum della Regenbogen Fabrik. Le vie attraverso le quali si arriva alla decisione sono spesso molto lunghe perché lavoriamo secondo il principio della democrazia di base quindi è possibile per qualsiasi individuo porre un veto e fino che questo sussiste non si può prendere una decisione e bisogna cercare altre strade. Lo stesso avviene anche all’interno del gruppo dell’asilo dove però arrivare a una decisione è più semplice perché siamo solo in tre insegnanti e lavoriamo insieme da quasi dieci anni, quindi ci conosciamo molto bene e facilmente riusciamo ad arrivare a una decisione condivisa.
Uta – Anche nella falegnameria siamo organizzate come nell’asilo, con un’assemblea che si riunisce una volta al mese: ecco, a dir la verità, già trovare un giorno che vada bene a tutte e sette le persone sembra essere un’operazione molto complessa... Anche noi non abbiamo un “capo” e ci siamo organizzate sulla base del principio della democrazia di base, anche se devo dire che molto lavoro sociale e molte discussioni avvengono nel quotidiano, non necessariamente nell’assemblea, perché pure noi ci conosciamo bene e lavoriamo insieme da tanti anni. Io, come ho già detto, lavoro qui da tredici anni, Gabi da vent’anni, altre ci sono da quindici anni. Siamo amiche e c’è un clima molto buono tra di noi anche se, naturalmente, ogni tanto si presentano dei problemi. Ad esempio, abbiamo passato un anno piuttosto difficile con diversi motivi di disaccordo e quindi abbiamo speso molte energie nel lavoro di confronto per risolvere i problemi che si erano presentati. D’altra parte, abbiamo il desiderio di essere una falegnameria dove si lavora in modo amichevole, con un buon clima all’interno, dove tutti imparano da tutti, dove le conoscenze sono collettivizzate e dove vengono comunque rispettati i tempi e i modi di lavorare di ognuno, e per fare questo il confronto continuo è indispensabile. Siamo un gruppo stabile e contiamo di rimanerlo.
Quali sono le problematiche più importanti che vi trovate ad affrontare nell’assemblea del collettivo?
Uta – Il problema di cui stiamo discutendo spesso negli ultimi tempi è quello del denaro: le entrate sono poche, non sempre coprono i costi, a volte anche di ciò che la falegnameria dovrebbe dare alla Regenbogen Fabrik per la copertura delle spese correnti. Per cui ci s’interroga sempre su che cosa determini le poche entrate. È la nostra organizzazione del lavoro che è sbagliata? Prendiamo pochi soldi dai vicini che vogliono utilizzare la falegnameria? Come potremmo lavorare in maniera più efficiente dal punto di vista economico? Dobbiamo cercare degli sponsor? Si devono sempre comprare tutte le macchine o si potrebbe farcele sponsorizzare da qualcuno? Sono interrogativi reali che si pongono ma che, nello stesso tempo, devono fare i conti con il fatto che la falegnameria non è un’attività commerciale: innanzi tutto, se volesse esserlo avrebbe bisogno di altre strutture mala questione reale è che non vuole nemmeno esserlo e lavorare con i bambini, lavorare con i vicini, lavorare con gli anziani, secondo noi, non devono necessariamente essere attività redditizie. Altri temi su cui discutiamo sono i problemi che sorgono in un laboratorio dove tante persone diverse utilizzano le strutture e quindi, di volta in volta, si discute di come si consumano le macchine, degli strumenti che non sono affilati, del disordine che a volte regna. Cerchiamo di ragionare su come organizzarci al meglio e questi sono temi che, come è ovvio, creano sempre degli attriti.
Kreuzberg è un quartiere con una fortissima presenza di immigrati: quest’aspetto determina particolari problematiche che dovete affrontare nell’asilo con i bambini?
Pàmela – In realtà nell’asilo ci sono pochissimi bambini del quartiere, i bambini che vengono qua sono esclusivamente tedeschi, non sono turchi o di altre nazionalità anche se i turchi sono una comunità molto rappresentata a Kreuzberg. Abbiamo una “clientela” di genitori molto elitaria: per questo motivo c’interroghiamo spesso su come fare a contattare altri genitori. Noi non facciamo un vero e proprio lavoro di pubblicità per l’asilo, fin’ora i bambini sono arrivati qua attraverso un passaparola e quindi tutto ciò fa sì che le famiglie che usufruiscono del nostro servizio siano molto simili e costanti nel tempo.
Come mai i bambini del quartiere non frequentano l’asilo della Regenbogen Fabrik?
Pàmela – Una spiegazione potrebbe essere che il quartiere si è trasformato negli ultimi anni. A causa della gentrificazione (vedi Un passato di lotta pronto a trasformarsi in futuro – ndr) molti stranieri se ne stanno andando perché hanno sempre meno soldi e al loro posto vengono persone più abbienti. All’inizio da noi venivano anche bambini di origini arabe i cui genitori conoscevano la Regenbogen Fabrik ai tempi dell’occupazione ma poi appunto è cambiata la composizione sociale del quartiere.
La falegnameria, invece, come si rapporta con il quartiere?
Uta – Per quanto riguarda la falegnameria c’è invece un rapporto stretto con il vicinato. Noi non chiediamo alle persone che vengono qua da dove arrivino però vediamo che molte persone arrivano a piedi portandosi una sedia o qualcosa d’altro da riparare, oppure vengono con una bicicletta o con un carrello del supermercato con sopra un mobile da restaurare. Comunque è vero: negli anni il quartiere si è trasformato, ci sono molte persone giovani, spesso straniere, italiani, inglesi, migranti più per scelta che per necessità economiche, tanti studenti, persone che hanno anche buoni guadagni. La falegnameria gode anche del fatto di stare nella Regenbogen Fabrik: qui c’è sempre un bel giro di persone, quelle che portano i bambini all’asilo oppure che vanno alla mensa o al cinema per cui la falegnameria è conosciuta. Utilizziamo anche Internet: se si va a cercare le parole “officine di autoaiuto” o” falegnamerie di autoaiuto” molto presto si arriva alla falegnameria della Regenbogen Fabrik.
Come avete organizzato i rapporti con le famiglie dei bambini che vengono all’asilo?
Pàmela – Ci sono incontri e discussioni con i genitori anche se le decisioni su come si organizza il lavoro all’interno dell’asilo vengono fatte esclusivamente dalle persone che ci lavorano. Siamo disposte ad ascoltare e ad accettare critiche ma la linea guida di come ci si organizza all’interno dell’asilo spetta soltanto a noi. Questo perché spesso i genitori hanno le loro convinzioni su quali siano i modi migliori da usare per il “loro” bambino e non riescono a osservare le necessità dell’intero gruppo. Comunque organizziamo delle serate con i genitori ogni tre mesi per spiegare come va in generale il gruppo, mentre una volta all’anno si fanno incontri personalizzati con i genitori per parlare specificatamente del loro bambino.
Che peso hanno, secondo voi, le questioni di genere all’interno della Fabrik?
Pàmela – Secondo me le questioni di genere non hanno un’importanza particolare all’interno della Regenbogen perché si pone attenzione a qualsiasi individuo e si cerca di tener conto delle esigenze di chiunque, indipendentemente dal genere.
Uta – All’interno della falegnameria, invece, le questioni di genere hanno una certa importanza tanto che il nucleo operativo principale è formato da donne. Ritengo che le donne abbiano un modo di lavorare diverso dagli uomini e questo si percepisce anche dal clima diverso che si respira nei posti di lavoro. Le donne che lavorano nella falegnameria hanno bisogno di un giorno solo per loro dove non si possano immischiare uomini che pensano di sapere sempre meglio come vanno fatte le cose… Non sarà un caso che nel corso del tempo io abbia avuto problemi più con gli uomini che con le donne e non sarà un caso nemmeno che in certe situazioni abbiamo dovuto allontanare dei maschi con cui si creavano situazioni di disagio. In ogni caso, la questione di genere non è una “cappa” che sta sulla Regenbogen Fabrik. Affrontiamo i problemi volta per volta, noi prendiamo in considerazione le esigenze delle persone e anche il principio del “giorno solo per le donne” potrà un domani non essere più una necessità: sarà quello che vivremo a stabilirlo. Noi cerchiamo sempre di confrontarci con la quotidianità e soprattutto con la molteplicità delle esperienze che viviamo.
Trovate differenze tra i progetti della Regenbogen di trent’anni fa e la realtà presente?
Pàmela – Se si guarda alla Fabrik nel suo complesso si può dire che non si è distanziata dall’utopia che fu all’origine del progetto. Certo, se dovessimo lavorare con finalità economiche ossia rispondendo a parametri di efficienza, dovremmo cambiare molto ma in questo modo uccideremmo la nostra utopia e ovviamente non vogliamo farlo. Secondo me la Regenbogen Fabrik è l’ultimo progetto di Berlino dove si vivono ancora le idee che portarono all’occupazione trent’anni fa, molti altri progetti o non ci sono più o si sono trasformati in maniera capitalista. La vecchia idea che tuttora viene vissuta e praticata è che qualsiasi lavoro ha pari valore e per cui viene anche retribuito con lo stesso stipendio, che è legato al tempo che viene impiegato, nel senso che la paga oraria è identica per tutti sia che si lavori in cucina piuttosto che in falegnameria: la differenza è determinata solo dal tempo di lavoro impiegato. Questo è un principio indiscutibile che fino a quando la Regenbogen Fabrik esisterà verrà utilizzato.
Uta – Non dimentichiamo che una colonna portante della nostra esperienza è che molte persone lavorano qui in maniera sì volontaristica però assumendosi anche delle responsabilità, ossia non è che vengano a lavorare solo quando ne hanno voglia ma mettono a disposizione un certo quantitativo di ore e in quelle ore ci sono. Questo per dire anche che la Regenbogen Fabrik è un luogo che resiste ai concetti di efficienza economica e di profitto. Noi continuiamo a lavorare in maniera solidaristica e anche bene, secondo me. Chi lavora qui lo può fare secondo le sue capacità e secondo i suoi tempi senza sentirsi sotto pressione. Naturalmente ci sono sempre i soliti problemi con i soldi che portano a discussioni, a piccole liti tra i diversi settori all’interno della Fabrik, perennemente saltano fuori i soliti dubbi: rispetto al progetto, rispetto a se stessi anche perché le aspettative sul gruppo o su di noi sono molto alte e a volte si scontrano con la realtà. Il nostro è un processo, è un processo sempre in trasformazione però è vivo, e lo dimostra il fatto che ultimamente si sono avvicinate delle persone giovani anche alla falegnameria, non sono più soltanto i cinquantenni che continuano a tenere alta la bandiera ma pure i giovani si trovano bene in questo ambiente.
Tu Uta lavori qui da tredici anni e tu, Pàmela, da dieci: se doveste dire in una battuta cosa vi ha spinto a rimanere alla Fabrik tutto questo tempo, cosa rispondereste?
Pàmela – Sono rimasta per il modo con cui si rapportano le persone, per l’importanza che viene data alle relazioni personali, alle situazioni individuali, per la possibilità di porre il veto alle posizioni che non si condividono; per il valore che viene dato in maniera uguale a qualsiasi lavoro; per tutte queste idee che stanno alla base della Regenbogen Fabrik e, naturalmente, per le grosse differenze che ci sono tra l’asilo che c’è qui e gli asili comunali.
Uta – Mi unisco a quello che ha detto Pàmela e a ciò aggiungo che io non voglio lavorare in un’altra falegnameria: questa la sento mia e spero di riuscire a continuare questo progetto anche negli anni a venire.
R.G./G.P.
Le traduzioni delle interviste a Uta, Pamela e Andy, sono state curate da Giulio Bonini: a lui il nostro ringraziamento.