Il progetto Caffè Malatesta nasce a Lecco nel gennaio 2010 quando per un gruppo di giovani si apre la possibilità di utilizzare a titolo gratuito una macchina per la torrefazione in disuso da diversi anni, presso la sede del G.A.S. di Lecco (Associazione Comunità della Sporta). Da un’attività sperimentale nasce in breve tempo un collettivo con la volontà di creare una realtà lavorativa autogestita e basata su dinamiche decisionali antiautoritarie, nella convinzione che un diverso modo di vivere la produzione e il consumo possa essere perno di un cambiamento sociale in senso solidaristico, in alternativa ad un’economia capitalista predatrice di culture, territori, tempo e spazio delle nostre vite. In un anno e mezzo di lavoro crescente e di numerose nuove relazioni con gruppi d’acquisto, associazioni, compagni e amici, il collettivo ha affrontato importanti scelte sulla direzione e le pratiche del progetto, nonostante la natura ancora embrionale dell’attività e la mancanza assoluta di capitali iniziali abbia comportato e comporti tutt’ora una grossa difficoltà nel bilanciare la volontà di decisioni etiche radicali da un lato, con la pressante necessità di liquidità per raggiungere l’obiettivo minimo dell’autonomia (costituzione di un soggetto economico autonomo).
MG: In questi ultimi mesi di lavoro insieme per predisporre e dare forma al progetto Caffé Malatesta ho avuto modo di conoscervi a fondo e di apprezzare la vostra determinazione nel realizzare il progetto di torrefazione. Potete spiegare ai lettori cosa ha spinto un gruppo di studenti universitari e lavoratori poco più che ventenni a intraprendere questa attività?
[Cristiano] Sin dalle primissime fasi del progetto abbiamo creduto che la torrefazione potesse essere uno strumento di emancipazione dal lavoro precario e dall’isolamento: si è trattato di scommettere sulla solidarietà e sul mutuo appoggio, all’interno e all’esterno del collettivo, come alternative reali alla situazione economica e lavorativa attuale. Provenendo da esperienze di attivismo libertario a livello cittadino e territoriale, ci siamo convinti che l’unione degli sforzi e delle molteplici tensioni all’autogestione dovesse essere non più un’utopia vagheggiata, ma un progetto reale con una prospettiva concreta. In questo senso ci siamo trovati, e ci troviamo tutt’ora, a sperimentare sul campo una diversa gestione dei rapporti e dei conflitti, del lavoro e del capitale.
MG: Ci potete descrivere brevemente le fasi iniziali del progetto e come si sta evolvendo la situazione?
[Nicolò] Diciamo subito che il nostro progetto ha avuto inizio grazie alla convergenza di una serie di circostanze favorevoli, in primis la presenza di alcuni macchinari di tostatura e macinazione del caffè in disuso all’interno della sede del Gruppo di Acquisto Solidale (“GAS”) lecchese “La Comunità della Sporta”, di cui noi siamo soci. È chiaro che senza la disponibilità del proprietario delle macchine e il sostegno dei soci del GAS, la nostra esperienza non avrebbe potuto vedere la luce…
[Jacopo] Dopo un periodo di apprendistato e di sperimentazione durato diversi mesi, durante il quale abbiamo messo a punto la nostra miscela di caffè, abbiamo cominciato a presentare il nostro progetto a diversi GAS e realtà della zona, ricevendo apprezzamento e sostegno. Contemporaneamente, abbiamo preso contatti con diversi gruppi di compagni e amici libertari, e nel 2010 abbiamo incontrato la rete libertaria di sostegno al Chiapas “Coordinadora” (http://coordinadora.noblogs.org). Si può dire che l’accordo con la “Coordinadora”, nell’aprile 2011, abbia rappresentato un punto di svolta nello sviluppo del progetto, in quanto la fiducia che l’assemblea della rete ci ha dimostrato affidandoci la lavorazione completa del suo caffè (il “Durito”) ha permesso di dare un primo importante fondamento di stabilità e continuità alla nostra attività.
[Elisa] Ora ci troviamo in una fase decisiva. Abbiamo deciso infatti di costituirci in forma cooperativa entro l’autunno, e per fare ciò abbiamo indetto una campagna straordinaria di sottoscrizione.
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I partecipanti al progetto del Caffè Malatesta:
(da sinistra) Nicolò, Elisa, Jacopo, Matteo, Cristiano, Edoardo |
Tensioni con il mercato capitalistico
MG: Parlateci un po’ della campagna di sottoscrizione. Qual è il fabbisogno finanziario da raccogliere, come verrà investito e quali sono i tempi previsti? Come vi state muovendo per ottenere i finanziamenti?
[Jacopo]: Sin dall’inizio abbiamo voluto un progetto il più partecipato e condiviso possibile da tutti coloro che, acquistando il caffè, contribuiscono alla crescita di un circuito economico-lavorativo alternativo, nella convinzione che ribaltare i rapporti di dominio attuali significa fare delle scelte di campo determinate, giorno per giorno. Per questo, preferiamo rivolgerci alla realtà composita del movimento libertario, alla solidarietà dei gruppi d’acquisto e dei singoli piuttosto che al sistema bancario e creditizio convenzionale per coprire il fabbisogno finanziario dell’iniziativa. Abbiamo stimato, con l’aiuto di tecnici del settore, che l’importo minimo necessario all’avviamento della iniziativa è di circa 15.000 €, necessari a coprire spese e investimenti necessari quali l’affitto di un laboratorio e la relativa messa a norma, costi notarili e fiscali, il trasferimento dei macchinari per la torrefazione, l’acquisto di una pesatrice manuale, il prefinanziamento del caffè verde del raccolto 2012 etc.
Chiediamo quindi di partecipare a questa Campagna Straordinaria di Sottoscrizione in forma individuale e/o collettiva, tramite diverse possibili modalità come sottoscrizioni, prestiti non onerosi, iniziative benefit, prefinanziamento e diffusione del caffè e promozione del progetto. Siamo ovviamente a completa disposizione per incontri di presentazione e promozione, degustazioni ed eventi (per contatti vedi Box).
[Elisa]: La prima realtà che ha deciso di sostenerci con un prestito già da fine luglio, dandoci una grossa boccata d’ossigeno, è stata l’associazione libertaria no profit “PaviainserieA”, aderente anche alla Coordinadora. Una delle tante iniziative benefit a cui abbiamo partecipato finora si è tenuta a Milano nella Cascina autogestita Torchiera a fine luglio, la quale ha anche deciso di distribuire e utilizzare il nostro caffè, oltre al Circolo dei Malfattori di Via Torricelli.
MG: Come riuscite a conciliare la vostra formazione libertaria con la costruzione di un’impresa che si troverà a svolgere la propria attività nel mercato capitalista? Ritenete che la forma cooperativa possa garantire una coerenza di fondo fra i fini e i mezzi oppure avete altre idee per incidere sulla realtà in senso libertario?
[Cristiano] Siamo convinti che nessuna formula legale possa a priori essere garanzia di rapporti interni orizzontali né tantomeno di una certa responsabilità nel rapporto con le comunità di coltivatori e con chi distribuisce e acquista il caffè (ne sono prova le molte “Cooperative” di stampo aziendalistico). Tutto dipende dalle scelte che si prendono collettivamente giorno per giorno.
Certo un’esperienza come la nostra si trova a convivere quotidianamente con forti tensioni nei confronti del mercato capitalistico, ma ci sono gli spazi per sviluppare delle esperienze di autogestione che modificano repentinamente lo scenario. Non possiamo certo pretendere che uno strumento come il Caffè Malatesta sia il prototipo della dimensione lavorativa libertaria, ma piuttosto un tassello nella ricostruzione di quel tessuto sociale autogestionario (Società di Mutuo Soccorso, Cooperative di Consumo, case collettive etc.) che è stato spazzato prima dal fascismo e poi dal boom economico-speculativo. Per questo non abbiamo il timore di interagire nella realtà economica attuale, perché è dall’interno di essa, come risposta popolare, che nascono le esperienze di cambiamento.
MG: La scommessa è di conciliare mercato e principi libertari al fine di sviluppare forme diverse di rapporto fra azienda e lavoratori e fra fornitori e clienti. Ci potreste dare qualche esempio di come in pratica state realizzando questa sintesi?
[Cristiano] Più che una “conciliazione” si tratta di modificare sostanzialmente le pratiche di predazione e competizione che regolano il mercato attuale. Rispetto alla ricerca e al reperimento del caffè verde siamo partiti con l’obiettivo di superare la mediazione degli importatori e stiamo già ottenendo importanti risultati attraverso la Rete Europea di Sostegno al Chiapas “RedProZapa”, alla cooperativa libertaria di Amburgo Cafè Libertad e ad altre piccole associazioni e cooperative italiane che operano su progetti di solidarietà con le popolazioni indigene che coltivano caffè. Grazie a questi rapporti tutt’altro che “commerciali” oggi siamo in grado di avere dei caffè provenienti da circuiti solidali, dove il lavoro dei contadini è riconosciuto e dove la coltivazione avviene secondo metodi naturali e tradizionali. Sul versante interno, nonostante sinora nessuno di noi sia ancora remunerato per il suo lavoro, cerchiamo di prendere le decisioni in modo il più possibile orizzontale e condiviso, bilanciando le mansioni e i tempi di lavoro secondo le possibilità e le situazioni specifiche di ciascuno.
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Il laboratorio per la tostatura del caffé |
Piccola torrefazione, tostatura tradizionale
MG: Quali sono le differenze fra i vostri caffè e quelli che si possono trovare sugli scaffali del supermercato? È una differenza che risale solo all’autogestione della produzione e della distribuzione da parte dei lavoratori o ci sono altre differenze? E i vostri attuali clienti riescono a percepire che non si tratta del solito caffè equo e solidale?
[Elisa]: Le differenze fra il nostro caffè e quelli che si trovano nei supermercato sono molte e sostanziali: innanzitutto la ricerca del contatto diretto con le cooperative di produttori, cosa tutt’altro che facile per chi si affaccia per la prima volta sul mondo del caffè. Attualmente, abbiamo ottenuto questo risultato grazie alla collaborazione con la Cooperativa Cafè Libertad di Amburgo per quanto riguarda l’importazione del caffè zapatista e di quello hondureño, e con l’associazione Mondo Solidale per la provenienza del Guatemala.
[Jacopo]: Inoltre la nostra è una piccola torrefazione artigianale, dove il caffè viene tostato a piccole quantità col metodo tradizionale, molto più lento rispetto alla tostatura industriale, ma che esalta l’aroma delle diverse tipologie di caffè: il risultato è una miglior qualità del prodotto e la possibilità di fare diverse miscele “su misura”, cioè adattarle alle esigenze e ai gusti di chi beve il nostro caffè. Ma il fatto più importante è che cerchiamo di recuperare un sapere artigiano che sta andando sempre più incontro all’estinzione, fagocitato dalle grandi torrefazioni industriali: coloro che fino adesso hanno apprezzato e sostenuto il nostro progetto si sono accorti che il nostro è un caffè che vuole estendere i principi di equità e solidarietà oltre le fasi iniziali di coltivazione e raccolta, per arrivare a gestire con gli stessi criteri di eticità anche gli stadi finali di tostatura e macinazione, che sono normalmente affidati, anche nel caso dei caffè equi e solidali, a realtà produttive industriali di grandi dimensioni al fine di ridurre i costi.
[Nicolò]: In prospettiva progettiamo di sviluppare, sempre in collaborazione con realtà affini alla nostra, una rete di autocertificazione del caffè, indipendente dai circuiti normalmente usati per garantire la sostenibilità etica ed ambientale del prodotto che ripropongono quei meccanismi di profitto e speculazione che noi ci sforziamo di combattere.
MG: Parliamo un po’ di prezzi: il prezzo di vendita del vostro caffè è in linea con altri prodotti biologici e del commercio equo e solidale e, conseguentemente, ha un prezzo maggiore rispetto ai caffè economici del supermercato. Come si può spiegare questa differenza?
[Jacopo]: Certamente un fattore importante è il metodo di coltivazione del caffè verde: vi è infatti un’enorme differenza tra il caffè coltivato in maniera naturale, non intensiva e in associazione con altre colture, e quello lavorato in gigantesche estensioni monoculturali (latifondo). Nel primo caso si avrà un raccolto meno abbondante ma di qualità maggiore e senza l’erosione e il sovrasfruttamento del territorio, nel secondo caso invece ci sarà un raccolto maggiore ma di qualità inferiore che sarà possibile ripetere negli anni seguenti solo ricorrendo all’utilizzo di pesticidi e concimi chimici.
Ma i fattori principali che vanno ad incidere sui prezzi finali sono la proprietà dei terreni e la tipologia di acquisto del caffè verde, che sono poi strettamente connessi tra loro. Infatti, quando sono gli agricoltori indigeni a possedere i campi, spesso si confederano in piccole cooperative col supporto di associazioni solidali che poi acquistano da loro il caffè verde ad un prezzo che è sempre al di sopra del prezzo di mercato (che viene deciso alla borsa di Londra e New York), garantendo così la sopravvivenza dei coltivatori e delle loro comunità. Se invece i terreni appartengono a latifondisti, l’unico obiettivo diventa il profitto: il caffè viene commerciato da importatori che speculano sulla materia prima dettando poi i prezzi del caffè sul mercato internazionale, e ai lavoratori ovviamente vengono lasciate le briciole.
MG: Quindi la variabile del prezzo in questo caso è indicativa di un diverso rapporto fra i soggetti che compongono la filiera produttiva. In altre parole, il prezzo del Caffè Malatesta non può scendere sotto una certa soglia senza causare una “sofferenza” nei soggetti che contribuiscono al processo, compromettendone la capacità di sopravvivenza e favorendo, quindi, il dominio capitalista. Ci potete spiegare la vostra scelta di pubblicare ed aggiornare il prezzo trasparente (o prezzo sorgente) di tutti i vostri prodotti?
[Nicolò] Pensiamo che sia importante per chi beve il caffè conoscerne il percorso e il ruolo che i diversi soggetti hanno svolto nella lavorazione, evidenziando quanto ciascun passaggio incide sul prezzo finale. Bisogna tenere conto che attualmente più del 50% del prezzo del Caffè Malatesta è costituito dal costo della materia prima, che viene cioè corrisposto ai contadini che la producono. La nostra torrefazione è poi completamente diversa da quella dei grandi impianti industriali: questo fa sì che anche la nostra struttura economica sia atipica rispetto ad altri produttori di caffè (compresi quelli del Commercio Equo&Solidale). In particolare il margine riservato alla torrefazione riesce ad essere contenuto solo in quanto non creiamo nessun plusvalore, ma cerchiamo solo di remunerare il lavoro e sostenere il progetto.
Sappiamo bene che il prezzo è un aspetto delicato e non vogliamo che un caffè “etico” sia riservato a chi se lo può permettere: da parte nostra c’è uno sforzo a contenere il più possibile i costi, ma è evidente che non è possibile arrivare ai prezzi da discount quando l’intera filiera produttiva è basata sul rifiuto dello sfruttamento e della devastazione ambientale.
Perché ci richiamiamo a Malatesta
MG: Per chiudere questa intervista, una domanda che mi sorge spontanea relativamente al nome che avete scelto per il vostro caffè e la vostra iniziativa. Caffè Malatesta è un nome senz’altro molto impegnativo ed io, personalmente, l’ho amato dal primo istante. Rilevo però che chiamare il caffè con il nome di uno dei più temuti rivoluzionari italiani non è certo una mossa dettata da esigenze di marketing, in un contesto generale ove l’anarchismo viene demonizzato da tutti i mezzi d’informazione. Io l’ho trovato un gesto fiero e molto coraggioso e spero che vi porti ottimi auspici. Sono certo che Errico Malatesta, che pur non amava essere posto sul piedistallo, nelle circostanze attuali avrebbe sostenuto l’iniziativa…
[Cristiano] Molto spesso ci troviamo a dover spiegare la genesi e l’attitudine con cui è stato scelto questo nome: per noi è una sorta di riferimento costante alla volontà di emancipazione individuale e collettiva che anima il progetto. In un contesto come questo crediamo che sia cruciale avere sempre ben chiaro chi siamo e dove vogliamo andare, e in questo senso un’identità libertaria dichiarata a chiare lettere ci aiuta a mettere le mani avanti quando ci troviamo ad interagire con soggetti che libertari non sono. È chiaro che non c’è nessuna volontà di appropriazione o di utilizzo di una figura storica di enorme importanza come Malatesta, ma piuttosto una tensione reale al cambiamento della propria vita e delle circostanze sociali drammatiche in cui ci troviamo; due aspetti che, come Malatesta ha ben testimoniato con la sua intensa attività rivoluzionaria, possono e devono andare di pari passo.