Rivista Anarchica Online


biografie

Un operaio semplice
di Massimo Ortalli

La vita dell’operaio e sindacalista anarchico Gaetano Gervasio (1886 – 1964) in un libro curato dalla figlia Giovanna, edito da Zero in Condotta. Ne pubblichiamo l’introduzione del nostro collaboratore Massimo Ortalli.

Fra i tanti equivoci riguardanti il movimento anarchico, vi è quello, creato da più o meno interessati detrattori, che vuole la sua storia e le sue vicende sostanzialmente estranee al mondo del lavoro, alla classe operaia e più in generale al proletariato. Come se questo movimento, che vede la grande maggioranza dei suoi militanti, dai più conosciuti ai meno noti, provenire dalle fila del popolo e del lavoro salariato, fosse invece composto da piccolo borghesi spiantati e delusi o, ancora peggio, da intellettuali spinti all’azione solo per affermare la propria personalità. Logico corollario di tale equivoco, l’opinione diffusa, in ambienti politici e storici piuttosto disinformati, della quasi totale assenza degli anarchici dal sindacalismo organizzato, quasi che costoro, anche se di estrazione proletaria e formazione operaia, fossero affetti da un individualismo talmente inguaribile da estraniarsi spontaneamente da quelle stesse organizzazioni sindacali che avrebbero potuto tutelarne gli interessi e l’esigenza di emancipazione. Insomma, una situazione diffusa di automarginalizzazione decisamente poco convincente.
In questi ultimi anni, però, si sono potuti apprezzare nuovi studi particolarmente attenti alla presenza degli anarchici nelle organizzazioni sindacali e in particolare in quelle rivoluzionarie, e tra questi le biografie di alcuni dei loro esponenti più in vista, militanti assurti a livello nazionale e che hanno lasciato un segno nella storia del paese. Basterà qui ricordare, fra i tanti, i nomi di Alberto Meschi, Attilio Sassi, Armando Borghi, Umberto Marzocchi, figure emblematiche della profonda e organica relazione fra movimento anarchico e movimento operaio, il cui ruolo nella conduzione delle lotte e nella espressione delle rivendicazioni più radicali è stato alfine pienamente riconosciuto. Figure, soprattutto, che mostrano quanto fosse forte il rapporto fra la militanza anarchica e quella sindacale, fra l’organizzazione specifica e quella di massa.
Questa ricca produzione storiografica non solo viene a stabilire nuovi punti fermi, ma permette anche di avvicinare un mondo la cui dimensione esistenziale ha semplicemente dell’incredibile, portando alla luce vite così straordinarie da apparire oggi impensabili, per la ricchezza di avvenimenti e l’intensità di esperienze di cui furono protagonisti. Se da un lato, infatti, gli studi sulle organizzazioni sindacali animate dagli anarchici e dai libertari – pensiamo soprattutto all’Unione Sindacale Italiana che nel primo dopoguerra arrivò a contare più di trecentomila iscritti – hanno contribuito a riscrivere con più esattezza la ricca e ininterrotta storia del sindacalismo italiano, la ricostruzione di queste vite militanti e rivoluzionarie, dedite alla “causa” e alla affermazione della emancipazione della classe operaia, si sono dimostrate particolarmente istruttive nello spiegare come l’istanza organizzativa fosse talmente forte da segnare indelebilmente i tratti esistenziali dei protagonisti di quella stagione.

Con forte intensità

Con questa autobiografia Gaetano Gervasio, sempre attento alla causa degli sfruttati e alla testimonianza della solidarietà, ricostruisce la sua vita non come esperienza isolata ed eccezionale – anche se sono indubbiamente fuori del normale la tempra e la forza morale che ha mostrato – ma come parte integrante di un tessuto sociale e militante capace di trasformare l’oggettiva eccezionalità nella normalità delle reti di mutuo appoggio che si contribuì a creare. Il suo appare come uno straordinario esempio di attaccamento alle idee e agli ideali che lo muovevano, un attaccamento segnato da coerenza, umanità e rettitudine semplicemente esemplari. E pur tuttavia va ricordato che, nella sorprendente ricchezza di fatti, di episodi, di circostanze, la sua esperienza non è stata unica, non solo perché si intrecciava con quella di altri anarchici, socialisti e ribelli rivoluzionari come lui che vivevano le stesse situazioni drammatiche ed esaltanti, ma anche perché tutto il tessuto militante che lo circondava aveva come protagonisti operai e proletari altrettanto formati alla lotta e alla istruzione, ugualmente determinati nel condurre la loro esistenza secondo i propri principi, e sicuri nello stesso modo delle proprie idee e degli strumenti con cui portarle avanti.
Nato in uno sperduto paese dell’avellinese, alla estrema e più povera periferia del paese, interrotti gli studi dopo la terza elementare, fatalmente Gaetano Gervasio avrebbe dovuto condurre una vita ai margini della società con scarse possibilità di farsi protagonista del proprio destino. E invece le circostanze, la forza di volontà, la vivace intelligenza, fecero sì che la sua esistenza diventasse quell’equilibrato processo di formazione sociale, intellettuale e politica che queste pagine, in parte autobiografiche e in parte riviste e integrate dalla figlia Giovanna, ci mostrano con forte intensità.
Trascorsa la fanciullezza nel paese natale, dopo un primo peregrinare in varie località del dimenticato sud dove, appena undicenne, inizia con l’apprendistato la sua lunga vita di lavoratore, approda poi a Milano, facendo di questa città il luogo nel quale si svilupperanno maggiormente la sua esperienza politica e la sua rete di relazioni umane, sindacali e politiche. A Milano, ma non solo a Milano, perché, come tanti militanti operai della sua generazione, anche Gervasio deve spesso lasciare la propria residenza e sobbarcarsi continui trasferimenti in altre località, spinto dalla repressione o dalla necessità di lavoro. Lo troveremo, infatti, in Svizzera, poi negli Stati Uniti, in Francia, a Torino, e ancora Milano. Sempre e dovunque a fianco dei compagni, dei lavoratori e di quanti, come lui e per gli stessi motivi, sono costretti a portare le proprie braccia e le proprie capacità in giro per il mondo. Infine, nella tarda età, come scelta per il suo definitivo ritiro, lo troviamo a Napoli.
Giunto alla militanza politica in giovanissima età, quando ancora frequenta la scuola di vita dei “mastri”, fra i braccianti e i lavoratori di Melfi e Cerignola, Gervasio intraprende un percorso che, nonostante le innumerevoli traversie, non conoscerà mai alcuno sbandamento. Nonostante la mancanza di studi approfonditi, il suo ingegno avrà sempre modo di esprimersi, accompagnandosi a una sorprendente abilità nel lavoro in una felice sintesi di braccio e di mente. Uomo dai tanti mestieri, dotato di grande ed eclettica abilità manuale, riuscirà, infatti, a vivere e a mantenere sempre la famiglia e i tanti che si rivolgevano a lui. Se dovessimo ancora credere alle “doti innate” del proletariato, quali le vorrebbe una certa mitologia marxista, potremmo vederne in lui la più chiara espressione. Persona dal carattere affabile, di sincera bonomia, il suo ascendente fra i compagni di lotta e di lavoro nasce anche dalle particolari capacità politiche ed organizzative. Pronto nel decifrare la situazione sociale e il suo continuo evolversi, non farà mai mancare la sua presenza nelle file sindacali: dapprima nell’Unione Sindacale Italiana, l’organizzazione anarcosindacalista che, soprattutto nel primo dopoguerra, forte di centinaia di migliaia di iscritti e diretta da alcune fra le più importanti figure del sindacalismo rivoluzionario, sarà alla guida delle lotte rivendicative di un proletariato stremato dalla guerra, poi, nel secondo dopoguerra, assieme ad altri anarchici, nella Cgil, trovando in essa e nella sua organizzazione di massa il migliore strumento di emancipazione, indipendentemente dalla sua connotazione politica vicina al Partito Comunista.
Sarà proprio nel primo decennio del secondo dopoguerra che si svilupperà maggiormente la sua presenza nel mondo sindacale, sia con i continui interventi sulle colonne del settimanale anarchico «Il Libertario» sia con la partecipazione al Comitato Direttivo della Cgil e al direttivo provinciale della Fiom. Anarchico senza esitazioni, sarà anche sostenitore dell’unità sindacale, interpretando nel senso più compiuto il concetto di appartenenza generale alla classe operaia e portando la propria esperienza e capacità organizzativa nel sindacato confederale come esponente della corrente di Difesa Sindacale di ispirazione libertaria. Aderente alla Fai fin dalla sua nascita sarà uno degli animatori, all’interno del gruppo Milano 1, di quella riflessione teorica tesa a restituire la necessaria attualità al pensiero anarchico. Pur rimanendo nel solco del pensiero malatestiano e attento al pensiero innovatore ed “eterodosso” di Berneri, quel gruppo di giovani intellettuali milanesi, infatti, trovava nella presenza e nella autorevolezza di Gervasio il filo della continuità con l’anarchismo classico.
Resta comunque che, al di là delle differenze di impostazione e di valutazione sul da farsi, il suo innato senso solidale non verrà mai meno. Prima ancora della collocazione politica e delle differenze ideologiche, il senso della solidarietà sociale, di quella forma di comunanza tanto umana quanto ideologica, segneranno costantemente tutta la sua esistenza. Anche nei momenti più duri, quelli della fame, della repressione, del fascismo trionfante, Gaetano Gervasio avrà ben chiari i suoi compiti e i suoi doveri. L’esperienza della creazione e della conduzione della Officina rossa, quel “covo” di sovversivi da lui inventato, che permetteva ai compagni di guadagnarsi il pane durante il fascismo senza dover abbassare la testa, è forse l’esempio più significativo ed eloquente della sua umanità e del suo senso pratico. Non a caso le pagine in cui ricorda quella breve ma intensa esperienza lasciano trasparire tracce di commozione.

Gaetano e Giovanna Gervasio
con Antonio Carbonaro, Torino 1962

L’eredità del magistero paterno

Giovanna Gervasio, riprendendo in mano le pagine dimenticate del padre e aggiungendovi le integrazioni contenute nella parte finale, ha voluto onorare un debito. Un debito non solo di riconoscenza per la ricchezza di valori e per l’umanità che ha condiviso con il padre, ma anche nei confronti delle nuove generazioni, alle quali soprattutto sono dedicate queste pagine. Sia chiaro, non c’è alcuna volontà didattica in questo libro, non c’è quel senso di superiorità o di distanza che a volte affiora nelle autobiografie, sempre a rischio di autocelebrazione. Non c’è né potrebbe esserci perché Giovanna ha dedicato tutta la sua vita ai giovani e sa come entrare felicemente in relazione con loro.
Il suo obiettivo, che certamente raccoglie l’eredità del magistero paterno, è piuttosto mostrare come la forza interiore che muove la volontà di un individuo, possa e debba trasformarsi in esperienza. E come il sistema di valori di un individuo, oltre ad esprimersi attraverso esperienze irripetibili, possa diventare lo strumento migliore per prendere in mano il proprio destino e per affermare, anche a dispetto del potere, la propria dignità, tanto quella individuale quanto quella del mondo del lavoro. Una testimonianza, dunque, quanto mai attuale e necessaria, oggi che troviamo un proletariato sulla difensiva, un ceto sindacale impreparato alle sfide che lo attendono, se non addirittura connivente con quella controparte che dovrebbe contrastare, una mancanza di idee forti sulle quali rifondare progetti di vita e di liberazione. E sono proprio queste idee forti, questi valori vissuti individualmente ma anche universali, che si devono trasmettere alle nuove generazioni.
Anche la vita di Giovanna Gervasio è stata una vita intensa, ricca di incontri, di esperienze formative di grande spessore, di progetti e realizzazioni particolarmente importanti. In tutta evidenza la continuazione e il completamento della vita del padre. Ancora giovanissima e già attiva nella neonata Federazione Anarchica nella seconda metà degli anni Quaranta, manifesta il proprio impegno non solo collaborando alla stampa libertaria, ma anche portando le proprie idee nei numerosi comizi che tiene nella penisola. Abituata, fin da giovanissima, ad affrontare le durezze della vita e ad essere responsabile delle proprie azioni, Giovanna avrà modo di partecipare, in prima persona e in posizioni di responsabilità, ad alcuni dei momenti più significativi e originali della sperimentazione sociale e civile del secondo dopoguerra. Appare evidente come la sete di conoscenza e la disponibilità al nuovo non abbiano mancato di trasmettersi dal padre alla figlia. Oltre all’esperienza nella Colonia Berneri, dove presta la propria opera educativa a favore dei figli degli anarchici ospitati nella struttura estiva creata da Giovanna Berneri e Cesare Zaccaria, la troviamo a Rimini collaboratrice e maestra al Ceis, il Centro Educativo Italo-Svizzero creato dalla socialista Margherita Zoebeli, finanziato dalle Casse di Mutuo Soccorso elvetiche e destinato alla formazione laica e razionale dei giovani, che rappresenta uno degli esperimenti più felici nel campo delle libertà civili del nostro tempo. Non a caso, al suo fianco, presterà la sua preziosa opera manuale e intellettuale il padre Gaetano.
L’incontro con il futuro marito Antonio Carbonaro, uno delle figure più interessanti e originali di quell’ambiente culturale di formazione libertaria che vede raccolti, fra gli altri, anche attorno alle pagine di Volontà, intellettuali del valore di Carlo Doglio, Delfino Insolera, Virgilio Galassi, Giancarlo De Carlo, la porterà ad incrociare nuovi ambienti per nuove esperienze. La breve ma intensa attività nella Comunità olivettiana di Ivrea, esempio fra i più innovativi della capacità sperimentale della cultura laica dell’Italia, sarà il suggello di quella urgenza riformatrice che coinvolge molte delle intelligenze più libere e vive del paese. È qui che incontra, fra gli altri, Lamberto Borghi, il grande pedagogo di formazione libertaria, costantemente presente alle iniziative promosse da Adriano Olivetti. É di quegli anni la costante ricerca intellettuale, sua e dell’ambiente che la circonda, come affermazione di una “terza via” affrancata dal pesante dogmatismo imperante nei primi decenni del secondo dopoguerra. Così come la parte migliore del paese si rifiutava di far propria la logica dei blocchi, consapevole che una vera liberazione si poteva trovare solo nel rifiuto dell’equilibrio della paura, altrettanto nel campo intellettuale donne e uomini liberi cercavano, nell’affrancamento dal dogmatismo, nuove strade da percorrere. La formazione libertaria del padre, fortemente anarchica e fortemente ragionante, aiuta la figlia a percorrere, in piena autonomia e in totale libertà, la propria strada. Ne è ulteriore esempio l’intensa attività di educatrice nell’Associazione Italiana Educazione Demografica, svolta successivamente a Napoli assieme a Fabrizia Remondino, collaboratrice e carissima amica per tutta la vita.
Leggendo queste pagine, scritte da un modesto operaio, autodidatta e “fermo” alla terza elementare, e completate dalla figlia, fine intellettuale di profonda cultura e animata dalla stessa passione civile, non possiamo sottrarci ad alcune considerazioni. È grazie ad esperienze come queste che il paese è migliorato e che la classe operaia e i lavoratori hanno consolidato i loro diritti fondamentali, non come concessioni benevolmente elargite ma come conquiste durature. Le stesse che oggi, in assenza della consapevolezza di sé e della propria forza, sono rimesse in discussione. È anche per questo che è apprezzabile la pubblicazione di questo libro: non tanto e non solo per mostrare come possa formarsi e compiersi una esperienza di vita esemplare, ma anche e soprattutto per dare l’esempio di quanto sia necessario lottare e impegnarsi in prima persona, senza deleghe e scappatoie. Questo si vorrebbe, indicare la strada alle nuove generazioni soffocate da un massiccio bombardamento ideologico, la strada per garantire alla propria vita, come a quella della collettività, maggiore rispetto, più prospettive e più garanzie.

Massimo Ortalli

Per ordinarlo:

Il libro ha 384 pagine e un CD allegato.

Prezzo: €20,00

Richieste a: Zero in Condotta
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