Francesco Arena è un artista trentenne pugliese che abita a Cassano delle Murge in provincia di Bari. Spesso in viaggio per seguire i suoi progetti torna appena può alla sua terra e alla famiglia, arricchitasi ultimamente dalla nascita di Anna. Porta una barba rosso fuoco che lo fa apparire come un barricadiero di più di un secolo fa, e nei suoi numerosi progetti tra gallerie private e spazi pubblici, in Italia e all’estero, sulle barricate dell’Arte ci sta con onore adottando temi politici e sociali per esprimere il suo fare artistico.
Nel 2009 ha dedicato una serie di lavori a Giuseppe Pinelli. Tramite la scultura mette a confronto il fruitore, mediante le proprie misure fisiche, con i luoghi che hanno ospitato un avvenimento storico che ha coinvolto drammaticamente un uomo, divenuto metafora suo malgrado di cosa sia la sopraffazione del potere.
Non riuscendo a incontrarci per impegni reciproci gli abbiamo scritto per chiedergli perché Giuseppe Pinelli diventa importante per un’opera d’arte.
Francesco Arena. Quando ero bambino la domenica si pranzava a casa dei miei nonni materni, c’erano i fratelli e sorelle di mia madre con i rispettivi fidanzati/e e spesso la conversazione verteva su cosa la DC stava facendo in quel dato momento, cosa diceva il PCI e di come sarebbe stato diverso se Moro fosse stato vivo.
Era una famiglia di democristiani, cattolici non praticanti, però era gradito che io e mio fratello di quattro anni più piccolo andassimo a messa la mattina alle 10, alla messa del fanciullo. Pensa che mio fratello ora è poliziotto e lavora a Milano alla Questura di via Fatebenefratelli.
Ma ti dicevo che in queste domeniche, bellissime perché erano le mie domeniche mattina da bambino senza scuola e con il Supertelegattone, te lo ricordi? Quello della Superclassificashow. A volte il sabato sera io e mio fratello restavamo a dormire a casa di questi nonni, mia nonna non c’era già più, ma c’erano le mie zie, sorelle più piccole di mia madre, che si occupavano di noi, dormivamo in quello che allora mi sembrava un grande divano letto e alla domenica mattina io e mio fratello giocavamo a costruire delle case con i cuscini rigidi delle sedute del divano e delle poltrone. Perciò la domenica c’erano queste cose, e poi c’erano i pranzi e le discussioni sulla politica e spesso liti che nascevano per fattori altri rispetto alla politica, più interni alla vita famigliare, ma io bambino non capivo certe cose, dopo le ho capite.
Spesso anche la sera con mia madre passavamo dalla casa paterna e alle otto mio nonno rientrava per il telegiornale, si sedeva su una sedia a dondolo, ma non era vecchio, ora ha 88 anni più o meno, e mi dava dei cioccolatini che portava dalla DC, perché giocava a carte con gli amici e la posta era in cioccolatini. Perciò dalla DC venivano anche i cioccolatini. Io non sapevo cos’era questa DC. Un entità. Però ci lavorava una persona che conoscevo, un signore simpatico, diceva sempre “mannaggia li piscietti”, lo incontravo alla macelleria da mio padre e mi sfotteva bonariamente, si chiamava Cappotto, credo fosse un soprannome.
E allora è così che è avvenuto il mio approccio vocale alla politica, cioccolatini, DC, Moro e Brigate Rosse. Un po’ senza differenziazione. Queste cose nonostante le avessi dimenticate mi hanno accompagnato collassando nella memoria.
Al liceo ho capito meglio certe cose, la DC, Moro, le BR e a questi nomi se ne sono affiancati altri, Pinelli, Piazza Fontana, la P2.
I nomi hanno smesso di avere solo un suono che mi ricordava le domeniche da bambino e sono diventate storie per niente chiare con dati precisi.
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63,81 piedi di metallo
sotto forma di scala
(la caduta di Pinelli), 2009
Metallo zincato; cm 130x46x287
19,45 metri di barre di metallo
zincato sono state utilizzate
per costruire una scala a pioli a forbice.
La metratura di metallo utilizzato
è la misura della caduta
dell’anarchico Pinelli
dalla finestra del quarto piano
della questura di via
Fatebenefratelli di Milano |
Il passaggio dall’umano all’icona
Un chiaro racconto biografico di un ragazzino cresciuto nella provincia italiana a metà degli anni ‘80 durante il disincanto del riflusso. Però nonostante il decennio acritico dei nomi e dei luoghi sono affiorati... ma il lavoro su Pinelli proviene dal fatto che tuo fratello sia andato a lavorare in via Fatebenefratelli…
Francesco Arena: No quella è una meravigliosa coincidenza, perché quando ho deciso di approfondire la storia di Pinelli mio fratello è stato destinato all’ospedale Fatebenefratelli. In realtà l’interesse per Pinelli nasce molto prima, fu quando in un libro vidi la foto dell’opera di Enrico Baj I funerali dell’anarchico Pinelli, non sapevo chi fosse Pinelli e allora cercai informazioni, internet ancora non era diffusa, un professore mi spiegò. Certo è strano che Baj abbia intitolato quell’opera I funerali dell’anarchico Pinelli mentre ciò che vediamo è il momento della caduta.
Ma forse perché in quel passaggio tra sopra e sotto, tra vivo e morto c’è il funerale appunto come momento di passaggio da una vita all’altra, in questo caso da una vita di privato cittadino a quella di nome di pubblico dominio, si passa dall’umano all’icona, dalla memoria personale a un evento destinato alla memoria collettiva alla sua condivisione o incondivisibilità.
È questo il momento che mi interessa, questa trasformazione, malgrado loro, che passa attraverso la morte, a questo momento mi approccio attraverso i dati.
I lavori su Pinelli, come altre mie opere, utilizzano dei dati numerici che emergono dalla ricostruzione dei fatti di quelle giornate milanesi, di quelle giornate questi numeri sono le poche cose certe. Perciò l’altezza della ringhiera da cui Pinelli precipitò diventa il limite per degli oggetti che avevo nel mio studio, una sedia, un armadio, una scopa, un paio di pantaloni e una porta vengono tagliati a 92 cm da terra come a disegnare un nuovo orizzonte.
L’altezza da cui Pinelli precipita, 19,45 metri, è il quantitativo di metallo che viene utilizzato per costruire una scala a forbice, l’andare verso il basso del corpo di Pinelli in questo caso è l’andare verso l’alto di un altro corpo oggi.
La distanza percorsa dentro Milano il 12 febbraio del ‘69, l’ultimo giorno da uomo libero del nostro diventa un segno da incidere su un pavimento di ardesia così che le distanze interne alla città vengono trasferite in una stanza.
Questi dati nel mio lavoro diventano oggetti, come l’aggrapparsi a cose certe in un marasma di interpretazioni e visioni discordanti.
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92 centimetri su oggetti (la ringhiera di Pinelli), 2009
Scopa, porta in legno, pantalone, sedia, armadio; dimensioni ambientali
Vari oggetti sono stati tagliati ad un altezza massima di 92 centimetri.
I 92 centimetri sono gli stessi dell’altezza della ringhiera
della finestra della questura di Milano da cui il 15 dicembre 1969
precipitò l’anarchico Giuseppe Pinelli |
E come si diceva prima metti a confronto l’osservatore della scultura con le misure fisiche del soggetto preso in esame... una sorta di identificazione. Può essere questo il ruolo della scultura?
Francesco Arena: Penso che inevitabilmente la scultura ha a che fare con un corpo, perché come un corpo occupa lo spazio nelle tre dimensioni. Un corpo ha un peso, un altezza, una stazza, così come una scultura, la scultura è un altro corpo, probabilmente un’altra persona o un gemello di cui ignoravamo l’esistenza e attraverso il quale percepiamo la nostra.
Un corpo oltre la forma e l’aspetto fisico detiene un pensiero, così pure la scultura. Quando ti riferisci a Pinelli, pensi all’uomo, all’anarchico o o alla sua forma? Voglio dire: Pinelli può essere un pretesto, ma non è un cognome qualunque. Il suo suono quando viene pronunciato rimanda inevitabilmente a un contesto. Enunciandolo, si coinvolge l’ambito che rappresenta? In quanto icona influisce la pratica del lavoro? E l’ideale che incarna può suggerire un’attitudine nel procedimento disciplinare artistico?
Francesco Arena: Parlare di Pinelli vuol dire raccontare un contesto, trasportarlo altrove utilizzarlo come materia che informa l’opera, le storie che indago sono come la creta, il legno, il marmo o il bronzo di cui l’opera è fatta. Certo queste storie così strettamente legate a un individuo in realtà sono filtri attraverso cui guardare il mondo e la ciclicità con cui gli eventi si ripetono, come cercare Pinelli in altre cento storie che di volta in volta hanno nomi diversi di persone, una volta Stefano Cucchi un’altra Aufi Farid e così via.