Bolivia
La foresta piange
A Yucumo, il 25 settembre, la polizia boliviana ha attaccato una marcia di duemila indios del dipartimento amazzonico del Beni. Protestavano contro la costruzione di un'autostrada destinata a tagliare in due le loro terre nel parco nazionale Isiboro Sécure, riserva naturale di 1,2 milioni di ettari dove vivono 12500 Chiman, Moxeno e Yuracaré. Un bambino di tre mesi sarebbe morto soffocato dai gas. La marcia, diretta a La Paz, era organizzata dalla Confederazione dei popoli indigeni di Bolivia (Cidob) e dal Consiglio nazionale di Ayllus e Markas del Qullasuyu (Conamaq).
Profonda indignazione in tutto il paese e un appello alla huelga general da parte della Centrale operaia boliviana (COB).
Il ministro della difesa e cinque deputati del Movimento al socialismo (Mas, il partito al governo), hanno presentato le loro dimissioni dichiarando di essere contrari all'intervento repressivo e a favore “del dialogo, del rispetto dei diritti dell'uomo, la non-violenza e la difesa della Madre Terra”.
L'autostrada, un progetto sovranazionale per favorire l'integrazione economica tra Brasile e Bolivia, viene finanziata dalla Banca per lo sviluppo economico e sociale del Brasile. Gli indigeni non erano stati consultati come invece prevede la nuova costituzione adottata sotto la presidenza di Morales,. Nonostante abbia chiesto perdono, fermato i lavori della strada e licenziato il ministro dell'Interno, sull'operato del presidente, un indio aymara, sono piovute critiche durissime. A suscitare preoccupazione, l'afflusso di migliaia di cocaleros dal dipartimento di Cochabamba e la conseguente deforestazione.
Questi, in sintesi, i fatti. Di seguito qualche considerazione.
C'è qualcosa di tragico nella coazione a ripetere di una sinistra che, giunta al potere, reprime movimenti popolari e minoranze oppresse che dovrebbe invece difendere e sostenere. O con cui almeno confrontarsi fraternamente.
L'elenco di repressioni operate in nome di un qualche socialismo (talvolta contro chi, a naso, su quella strada era già molto più avanti) è fin troppo lungo.
Senza scomodare Kronstadt e l'Ucraina di Nestor Makno (1921), basti ricordare il maggio 1937 a Barcellona e il trattamento riservato dagli stalinisti alle collettività aragonesi nell'agosto dello stesso anno.
Oppure l'invio, da parte di un governo socialdemocratico, dei corpi franchi contro spartachisti e consiliari in Germania. E cos'altro dire che non sia già stato detto del “nazional-social-capitalismo” cinese? Negli anni ottanta anche i sandinisti, in Nicaragua, stavano per commettere lo stesso errore con i misquitos. Ma in quel caso seppero fermarsi, ragionare e risolvere.
|
Evo Morales, presidente della Bolivia |
Detto questo, c'è comunque qualcosa di osceno nell'atteggiamento di chi, fingendo di solidarizzare con gli indios boliviani, gongola per l'autogol del governo di Evo Morales, auspicandone la prematura caduta (qualche titolo: “Evo vacilla”, “Evo traditore”, “la fine dell'idillio”...). Delle centinaia di indios massacrati in paesi come la Colombia o il Brasile o delle decine di ecologisti assassinati in Amazzonia, in genere, non si parla. Così come dei mapuches della Patagonia. Invece i tragici fatti di Yucumo hanno avuto una risonanza internazionale sospetta.
Dopo il fallito tentativo di far cadere il governo del Mas (Movimento al socialismo) con i separatisti benestanti di Santa Cruz, si pensa ora di strumentalizzare la lotta degli indigeni in difesa delle foreste?
Insieme al comandante Marcos, Evo Morales, rimane una delle facce pulite della resistenza degli oppressi e sfruttati in America Latina. Un simbolo per i movimenti contro il neoliberismo e la globalizzazione. le risorse naturali della Bolivia fanno gola alle multinazionali. La doverosa solidarietà nei confronti degli indios Chiman, Moxeno Yuracaré, non deve far dimenticare che il neo-imperialismo resta in paziente attesa, se non proprio in agguato. Pronto a intervenire, magari in nome della democrazia.
Gianni Sartori
Voltairine de Cleyre
Libertaria, ribelle
e americana
La tradizione libertaria e anarchica americana affonda le sue radici in una serie di individui, uomini davvero liberi, la cui storia e idee risulta spesso sconosciuta, velata e lontana a chi vuole intraprendere uno studio approfondito del pensiero libertario. Tra i personaggi più affascinanti ricordiamo Voltairine de Cleyre, nata a Leslie il 17 Novembre del 1766, figlia di un francese emigrato negli Stati Uniti amante delle opere di Voltaire e di un’americana con rigide e solide tradizioni puritane. Voltairine de Cleyre acquisì una forte e solida istruzione umanistica e religiosa, dovuta anche alla sua permanenza ed esperienza in un convento di suore cattoliche.
Questa formazione fece della de Cleyre un anarchica autoctona, una figura del tutto particolare dell’anarchismo ottocentesco. Voltairine giudicava la sua società, la Gilded Age, ipocrita e rozzamente materialista, a cui si opponeva da convinta rivoluzionaria ma sicura dei valori e dell’ esperienza del liberalism americano puro, quello delle origini e dei padri fondatori, Voltairine è da inserire all’interno di quella schiera di americani legati alla tradizione radicale americana.
Guardava all’età dorata criticamente, caratterizzata da un’ idea dominante: il successo materiale, la cui diffusione, era colpa anche del socialismo dominante i movimenti di protesta, autoritario e gerarchico che aveva trascurato la sfera interiore dell’uomo, per la de Cleyre: “il socialismo invocato da Marx è reazionario perché impone un ordine che contrasta i fatti che contraddistinguono l’evoluzione sociale quali l’elasticità e la differenzazione continuamente crescente.” Affermava che l’anarchismo è sorta di protestantesimo che soppianta l’autorità e la gerarchia con l’autocontrollo ed assume le forme storiche che variano a seconda delle condizioni sociali e politiche in cui si sviluppava la società. Alla scienza dei socialisti la de Cleyre opponeva lo sperimentalismo: “La libertà e l’esperimento soltanto possono determinare le migliori forme di società”. La lotta di Voltairine e la sua metodologia affondava le radici in un sistema di valori rurali tipico della tradizione americana degli anni precedenti la guerra civile, la tradizione dell’autosufficienza e delle autonomie, del volontarismo federativo, del rifiuto della politica come strumento di cambiamento, della decentralizzazione e di un sano individualismo morale e filosofico.
L’individualismo libertario era proprio il punto di partenza della teoria politica di Voltairine, come essa stessa ricorda in un suo scritto: “Non accetto quel socialismo popolare che trasforma i peccatori in santi soltanto riempiendo i loro stomaci. Non sono un apologeta della mancanza di personalità. Io credo nell’individuo, credo che lo scopo della vita sia l’affermazione di una personalità forte ed autosufficiente.” In occasione dell’arresto dell’anarchica Emma Goldman la Voltairine prepara la sua difesa denunciando il tradimento dei valori di libertà contenuti nella Dichiarazione d’Indipendenza e nella stessa Costituzione Americana, ritenendo che l’anarchismo sia lo strumento più idoneo per attualizzare e diffondere proprio quei principi.
La de Cleyre si fa portavoce dei valori anarchici tipicamente americani basati sulla strenua difesa dell’individuo, dello sperimentalismo, dell’etica di questi valori, dell’azione diretta, della disobbedienza, della resistenza passiva tipica di tutta la storia moderna americana a partire dai quaccheri che si rifiutarono di pagare le tasse alla chiesa puritana e che finì col creare i moti rivoluzionari del Boston Tea Party.
Il sogno di Voltairine de Cleyre era quello di vedere un’ America, che ormai era entrata nell’era industriale abbandonando la società agricola che aveva caratterizzato l’epoca dei pionieri americani, composta da: “migliaia di piccole comunità sorgere lungo le linee di trasporto e provvedere da sé al proprio sostentamento, autonome ed indipendenti”, quella che era la tradizione liberale americana a cui il pensiero anarchico autoctono e tipicamente americano dava nuovo slancio e nuova impostazione.
Domenico Letizia
|
Venezia-Marghera
L’ingresso dell’Ateneo degli Imperfetti |
Editoria autoprodotta
Fare liberi libri
Rassegna di autrici e autori autoprodotti, promossa dall’Ateneo degli Imperfetti/Laboratorio di cultura libertaria in collaborazione con Unica Edizioni.
Novembre 2011 – Aprile 2012
Nel settembre scorso a Milano Federico Zenoni e Paolo Cabrini hanno realizzato un piccolo miracolo radunando a “LIBER – I Libri Liberi” le molte voci dell’editoria autoprodotta, autori e autrici che di solito procedono in ordine sparso, spesso annegando in situazioni improprie, quelle dell’editoria commerciale intendo, che celebra se stessa nelle mostre infarcite di scrittori alla moda e copertine patinate.
Partecipare a LIBER ha significato una full-immersion nella forza creativa della parola e della materia, nelle forme reinventate dei libri di Zenoni con la Casa Editrice Libera e Senza Impegni, e di Cabrini con Edizioni Pratiche dello Yajé, per non parlare della irriverente e gagliarda editoria casalinga dei Troglodita Tribe.
Gli organizzatori non hanno fatto mancare nulla di ciò che si deve – dai tavoli alle vettovaglie, dai comunicati ai segnaposti e quant’altro – però hanno fatto piazza pulita delle stucchevoli convenzioni dei saloni dell’editoria, delle gerarchie e dei piedistalli. Sicché siamo stati benissimo nelle due giornate milanesi, la tentazione di prolungarne i benefici effetti è irresistibile.
Da qui l’idea di portare nella terraferma veneziana gli espositori di LIBER, che saranno invitati dall’Ateneo degli Imperfetti a Marghera in collaborazione con Unica Edizioni. L’Ateneo non è un luogo qualunque, è prima di tutto un gruppo di persone, militanti di antica data, affiatate da legami di amicizia e dalla vocazione libertaria. Il gruppo ha riattato una piccola casa collocata in posizione singolare, alle spalle della sterminata cittadella industriale di Porto Marghera, nel crocevia tra Marghera, Mestre e la Riviera del Brenta. Con cadenza settimanale, l’Ateneo ospita presentazioni di libri e conferenze, ma anche feste e convivialità, proponendo nel territorio un’esplorazione della contemporaneità in chiave antiautoritaria.
È il luogo giusto per dare un seguito a LIBER nel corso dell’anno. Un primo passo per realizzare quel circuito di editoria autoprodotta del quale spesso si è parlato, essendo necessario come l’aria, ma che non può realizzarsi in uno spazio qualsiasi e purchessia.
Autoeditare è un modo di essere, di stare al mondo. Negli appuntamenti con l’autoeditoria incontreremo storie eccentriche, biografie insolite. Si andrà a curiosare nella materia vivente dell’autoproduzione per esplorarne le difformità, perché l’autoproduzione risponde a bisogni esistenziali diversi da individuo a individuo.
Il primo appuntamento, in novembre, sarà con Paolo Cabrini e le edizioni Pratiche dello Yajé. La dimensione spirituale che ha spinto Cabrini a conoscere lo sciamanesimo degli Indios dell’Amazzonia attraverso il contatto diretto, è la stessa che ha originato l’associazione Yanantin a Lasnigo (Como), da lui creata con la moglie, e a dare vita a Pratiche dello Yajé, dove trova espressione la creatività condivisa con gli ospiti che fanno visita a casa Yanantin. La formazione artistica di Cabrini presso l’Accademia di Belle Arti ci consentirà di aggiungere, alla storia raccontata, la pratica del fare libri manuali. Avremo una tranche di “editoria casalinga”, utile a quanti hanno deciso di sbarazzarsi una volta per tutte degli standard della grande industria editoriale.
In dicembre l’Ateneo incontrerà Collane di ruggine con la rivista di narrativa fantastica Ruggine, autoprodotta da reginazabo e pinche. I nickname indicano da soli un modus operandi nel quale convivono la comunicazione in web e il contatto personale dei reading. L’esperienza di Collane di ruggine è fondamentale come antidoto ai social network, sui quali l’editoria commerciale ha messo le mani da quando è travolta dalla crisi del cartaceo. Autogestire la rete, saldare il virtuale al reale, sono il motivo del forte interesse suscitato da Ruggine, ma suggestivi sono anche i contatti che Ruggine mantiene con lo SteamPunk, movimento letterario che rivisita il mondo dell’età vittoriana scardinandolo con gli elementi di una tecnologia visionaria ed eversiva. Reginazabo, autrice e traduttrice, ce ne parlerà.
In gennaio incontreremo Seautòs Produzioni di Alberto Rizzi. Architetto, trentino di nascita ma residente a Rovigo, Alberto Rizzi è l’emblema dell’autore votato alla sperimentazione, con un percorso underground che va dall’Arte Postale, una delle forme d’arte più seducenti dell’epoca contemporanea, alle collaborazioni con il gruppo di Teatro Sperimentale “Luther Blissett”, personaggio d’invenzione e pseudonimo collettivo con il quale svariati scrittori, artisti e riviste negli anni Ottanta e Novanta hanno ingaggiato una battaglia desacralizzante contro i mass-media. Dopo il 2000 Alberto Rizzi ha realizzato cortometraggi autoprodotti sotto la sigla Seautos Produzioni. Numerose le sue pubblicazioni che si affiancano alla scrittura autoprodotta; sarà interessante scoprire come dialogano tra loro l’editoria e le autoproduzioni. Dal suo volume autoprodotto “Moto in luogo” ci leggerà alcune composizioni. E non è un caso se la scelta è caduta su quest’opera, tutta dedicata alla casa e ai suoi oggetti. La casa infatti – o meglio, la casa aperta - sembra essere uno dei luoghi preferiti per la diffusione dell’autoeditoria, fronte di resistenza contro una dimensione pubblica diventata irrespirabile. Penso alla già citata editoria casalinga, o alle “presentazioni in casa” di Sinopia edizioni, o al circuito Home to Home di Unica Edizioni.
In febbraio Mauro Sandrini, ingegnere e sociologo, presenterà Elogio degli ebook, di cui è autore. È il singolare pamphlet di un cultore del libro, che entra in contatto con l’immaterialità dell’ebook. Il vissuto personale si intreccia con l’acuta osservazione delle trasformazioni sociali prodotte dall’editoria digitale. La convinzione dell’autore è che la tecnologia digitale consenta di rimodulare le relazioni sociali in modo migliore e più umano. Se questo sia vero e convincente sarà motivo di confronto.
Parteciperà all’incontro, per la lettura ad alta voce di alcune pagine, Gigi Pozza, autore a sua volta e cantautore del gruppo Elias Mengwee, che in passato ha realizzato spettacoli teatrali all’Ateneo. Un teatro minimalista, come si conviene al luogo, e di grande talento.
In marzo torneranno all’Ateneo libelli libroidi e segnalibri della Casa Editrice Libera e Senza Impegni, creata a Milano da Federico Zenoni "per l'autoproduzione di manufatti artistico-editoriali e sonori a tiratura limitatissima e saltuaria, realizzati artigianalmente con materiali riciclati e sopravviventi nel mondo extramercantile del baratto postale". È un ritorno di Zenoni all'Ateneo, appunto, dopo la festa d'artista a lui dedicata nel giugno scorso (2010). L'intenzione è di fare il bis e divertirci. Questa volta saremo concentrati sui libri, sacrificando le serigrafie. Ma ci darà di nuovo manforte Gigi Pozza per la lettura ad alta voce di qualche brano di "Rapina", racconto scritto da Zenoni, e "Sfratto! Manifesto per un'arte futura" di Francesco Porzio, materializzato in libroide cartaceo dalla Casa Editrice Libera e Senza Impegni. Quest'ultimo è una co-produzione fra autore e grafico, una pista interessante per gli scrittori che si trovano in difficoltà quando devono materialmente produrre il proprio libro.
Concludono in aprile questa prima tranche di incontri le Edizioni Lieve Malore di Mestre con "Psicocarcere", presentato per la prima volta a LIBER 2011. Contiene la testimonianza di un ex-internato in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario. Scritto sotto lo pseudonimo di Principe di Micronesia, "Psicocarcere" racconta senza filtri “la discesa nel baratro della perdita dell'equilibrio e la reclusione tra i matti cattivi". Lieve Malore autoproduce anche la fanzine La Carta di salame, una tossic-zine, come la definiscono gli autori.
Il programma degli incontri arriva fino ad aprile. Una previsione di sei mesi è già una sfida alla prudenza; oltre per il momento non si può andare, considerando che l’iniziativa è autogestita. Un “lieve malore” vuoi degli organizzatori vuoi degli ospiti può mandare all’aria il calendario, che perciò va inteso come una traccia. Ma il calendario è aperto e potrà essere integrato strada facendo. L’ambizione è di creare un continuum, un appuntamento mensile fisso per quanti autoproducono e siano attratti, per “affinità elettiva”, dall’ispirazione libertaria che contraddistingue l’Ateneo.
Tuttavia, se l’iniziativa continuerà, molto dipende dall’interesse che saprà suscitare. Siamo tutti impegnati. Per il momento si dà un assaggio generale dell’autoeditoria, che a mio avviso non si identifica nel libro realizzato manualmente né in quello digitale o nell’oralità di un reading, ma comprende tutte queste forme di comunicazione, così come non ha limiti di genere né di linguaggi. Il minimo comune denominatore, essenziale per l’identità dell’autoeditoria, è invece il fatto che l’autore si assume la responsabilità di gestire in prima persona, senza delegare a un editore, tanto la produzione del libro quanto la sua circolazione. Il secondo aspetto è quello in genere sottovalutato dagli autori, ma è decisivo. Proprio nella circolazione del libro, intesa in senso lato, il libro comincia davvero a esistere, perché entra in gioco “il pubblico”. Pubblicare vuol dire, letteralmente, “rendere pubblico”. La circolazione dei contenuti culturali coinvolge una rete di relazioni sociali e di soggetti, dai canali della distribuzione ai mass-media che ne danno notizia, dalla pubblicità alle istituzioni culturali, i quali svolgono una funzione di intermediazione con il pubblico e ne orientano le scelte. L’autoeditoria deve reinventare da cima a fondo la rete sociale che si intreccia nel libro. LIBER è un passo importante in questa direzione, perché è stato un salone autogestito e autofinanziato, promosso da autoproduttori. Gli incontri all’Ateneo proseguono in questa direzione: qui soggetto attivo della circolazione è un gruppo - l’Ateneo, appunto - che a sua volta autoproduce cultura con modalità antiautoritarie.
La rassegna avrà il titolo “Fare Libri Liberi”, in continuità con “LIBER – I libri liberi”. Fare libri nel senso di produrli, ma anche di farli circolare in modo libertario. Il sottotitolo si collega idealmente ad “Aut-Aut – Rassegna di autori e autrici autoprodotti” realizzata a Venezia nel gennaio del 2007 da Unica Edizioni e Scoletta dei Misteri, primo tentativo di aggregare le esperienze locali di autoproduzione letteraria.
Si farà, poi, la seconda edizione di LIBER, nella versione itinerante prospettata a Milano? Vedremo. Intanto all’Ateneo allestiremo una piccola mostra permanente di autoproduzione editoriale. Si cercherà di raccogliere testimonianze del già fatto. Raccomandiamo intanto la lettura, e la messa in pratica, di “Fatti i libri tuoi”, manuale di editoria casalinga, edito da Troglodita Tribe, e la visione dei video realizzati da Nicholas Bawtree, caporedattore di Terra Nuova, mensile per l’ecologia della mente e della decrescita felice.
Arrivederci a tutti.
Claudia Vio – Unica Edizioni
Info: claudia.vio@alice.it; digasta@tin.it
Link dei video di Nicholas Bawtree:
http://www.youtube.com/watch?v=k1OkerRp2n4
http://www.youtube.com/watch?v=-8Ksgi5JsM
Il processo Mastrogiovanni
Cronaca di due udienze
tra realtà, verità
e comunicazione
Con l’udienza del 4 ottobre 2011 è ricominciato, presso il Tribunale di Vallo della Lucania, il processo per la morte dell’insegnante libertario Francesco Mastrogiovanni (deceduto il 4 agosto 2009 per edema polmonare a seguito di una contenzione disumana durata ben 82 ore) che vede alla sbarra 18 tra medici e infermieri del reparto lager di psichiatria dell’Ospedale cittadino “San Luca”. La pausa estiva ha riguardato solo i lavori processuali ma non l’attività del “Comitato verità e giustizia” che, per il secondo anniversario della morte di Franco (4 agosto 2011), ha organizzato, nella sala del Consiglio comunale della città di Vallo, una serata nel corso della quale Luigi Manconi e Valentina Calderone, alla presenza di circa 150 persone, hanno presentato il libro “Quando hanno aperto la cella” edito da “Il Saggiatore” nel quale i due autori hanno raccontato le storie di Cucchi, Aldrovandi, Uva e di altre morti di Stato. Se si confrontano i racconti analitici dei vari casi riassunti nel libro di Manconi e Calderone con i racconti televisivi ricamati intorno ai casi di Meredith Kercher, Sara Scazzi, Yara Gambirasio, Melania Rea, Matthias Schepp ecc. e le conseguenti reazioni popolari ci si rende conto che ancora in molti, nel nostro Paese, pensano che la comunicazione non sia altro che un modo di esprimere e spiegare la realtà. Niente affatto! e i lavori del processo per la morte di Francesco Mastrogiovanni sono lì a dimostrarlo. La battaglia per la verità passa anche (soprattutto) attraverso la messa a fuoco dei significati delle parole che si pronunciano nel corso degli interrogatori e nelle deposizioni perché, la storia processuale insegna, sono in molti a tentare di costringere i fatti ad adattarsi alla loro definizione della realtà e non viceversa.
Idratare non vuol dire nutrire
Affermare, ad esempio, che l’insegnante libertario sia stato idratato correttamente non vuol dire che sia stato nutrito. Per un uomo alto quasi due metri che pesava 85 chili non può definirsi nutrizione la somministrazione di pochi c.c. di soluzione glucosata. Come più volte ricordato dalla Dott.ssa Agnesina Pozzi, il paziente ricoverato ha diritto a consumare colazione e due pasti completi oltre a potersi permettere di bere a sufficienza soprattutto durante l’assunzione di farmaci, in presenza di febbre e in periodi dell’anno particolarmente caldi.
TSO non vuol dire contenzione
Nell’udienza del 4 ottobre 2011 abbiamo ascoltato la deposizione scioccante dell’avvocato Loreto D’Aiuto, parente acquisito di Mastrogiovanni, che per primo ha potuto vedere il cadavere martorizzato dell’insegnate cilentano. Alla sua deposizione è seguita quella del direttore sanitario dell'ospedale “S. Luca” di Vallo della Lucania, Dr. Pantaleo Palladino il quale, rispondendo alle domande rivoltegli dal legale della famiglia Mastrogiovanni, ha affermato che "il TSO è contenzione" e ha aggiunto ancora che "la contenzione è un sistema di terapia". A queste gravissime dichiarazioni che, Giuseppe Galzerano non ha esitato a definire “aberrazioni culturali, mediche, scientifiche ed umane”, ha risposto il presidente del “Comitato verità e giustizia” Giuseppe Tarallo che ha dichiarato: "Ascoltando l'assurda e tranquilla affermazione del direttore sanitario dr Palladino secondo cui TSO=contenzione e contenzione=terapia rimane confermato quello che prima il tribunale del Riesame di Salerno e poi la Cassazione hanno affermato,cioè che la contenzione e il trattamento riservati a Mastrogiovanni nell'ospedale di Vallo della Lucania era un sistema e ora si capisce perché, se a fare queste affermazioni è il direttore sanitario che, tenuto alla vigilanza, afferma che la contenzione è terapia. Ma se questa è la posizione del direttore sanitario ,ci rimane difficile capire allora perchè l'ASL si è costituita parte civile! Senza contare che il direttore sanitario non solo ignora che nessuna legge prevede la contenzione come terapia - era prevista in una legge degli inizi del secolo scorso come strumento eccezionale e temporaneo! - ma ignora o fa finta di non sapere che, stando al video, Mastrogiovanni era tranquillo quando è stato contenuto farmacologicamente e che la contenzione fisica è stata operata approfittando della contenzione farmacologica e in questa condizione è stato anche cateterizzato. E in questo stato di bestiale contenzione fisica è stato mantenuto fino alla morte avvenuta appunto dopo 82 ore di ininterrotta contenzione fisica senza che gli fossero somministrati nè acqua nè cibo. TERAPIA?! io penso personalmente che se in questo ospedale la contenzione era considerata terapia e ci troviamo quindi di fronte ad un sistema. Nel caso Mastrogiovanni si è andato oltre: si è voluto punire e annientare una persona che non per niente aveva previsto che se fosse stato portato a Vallo sarebbe stato ammazzato. Purtroppo così è stato e andrebbe capito perché..."
Diritti negati
La prima considerazione che ci viene da fare, a due anni e mezzo dal barbaro omicidio, è che, persino davanti al giudice, si continua a far finta di non conoscere la differenza che intercorre tra TSO e contenzione fisica e si continua a negare che il Trattamento sanitario obbligatorio, a cui è stato sottoposto Franco, ha pregiudicato, sin dal primo momento, con l’immediata contenzione fisica e la cateterizzazione, l'esercizio dei diritti civili e politici del paziente garantiti dalla Costituzione (per affermare i quali Basaglia si era battuto fino allo stremo delle sue forze) non riconoscendogli, tra gli altri, il sacrosanto diritto di comunicare con la nipote Grazia Serra che, insieme al fidanzato, si era recata in ospedale per fargli visita, mentendole col dirle che lo zio si sarebbe agitato e che stava bene.
“Non mi portate a Vallo perché là mi ammazzano!”.
Nell’udienza del 18 ottobre, è stato chiamato a deporre, per primo, un paziente ricoverato innumerevoli volte nel reparto di psichiatria del “San Luca” che ha confermato di essere stato sempre legato alla branda, mani e piedi, e contenuto anche per tre giorni consecutivi ed erano i medici a farlo, precisa il paziente, “quando lo ritenevano necessario ed opportuno”. Anche durante la somministrazione dei pasti veniva tenuto legato: “Sono stato imboccato. Nessuno è rimasto mai soddisfatto dall’alimentazione” ha dichiarato al giudice. Giuseppe Galzerano commenta ironico: “Siamo confusi perché davvero non sappiamo se apprezzare più la tortura dell’imboccatura forzata o l’umanità evangelica contenuta nel comandamento cristiano che prescrive di dar da mangiare agli affamati di questi medici…” e aggiunge: “Questo paziente è stato nutrito, ma è stato imboccato, perché era legato e non è stato sciolto neanche per soddisfare a un bisogno naturale, che è quello di alimentarsi. Ha subito una violenza nella violenza. Invece Franco Mastrogiovanni in quattro giorni non è stato nutrito con la violenza dell’imboccatura! Non vorremo che qualcuno – dimenticando di vivere in Italia - avesse deciso di farlo morire di fame, come avviene in alcuni paesi dell’Africa”. Quando i difensori dei medici e degli infermieri hanno insistito per sapere la durata precisa delle varie contenzioni, il testimone ha risposto alla domanda con un’altra domanda: “Ma se ero legato mani e piedi come potevo guardare l’orologio?”. Subito dopo è stata chiamata a deporre la signora Licia Musto, proprietaria del campeggio Costa del Cilento di Marina Piccola di Mezzatorre (SA), situato nel comune di San Mauro Cilento, dove Francesco Mastrogiovanni ha trascorso le sue vacanze nel mese di luglio. La sig.ra Licia ha dichiarato che Mastrogiovanni: “Tutto il mese di luglio ha frequentato il villaggio. Veniva di mattina, tutte le mattine, qualche volta anche di sera, a cena. Faceva colazione, parlava, giocava con i bambini, anche con la bambina di mia nipote. Leggeva il giornale e libri ed è stato sempre calmo. Faceva amicizia con tutti. Era tranquillo, una persona squisita”. Durante l’audizione il viso della sig.ra Musto ha cambiato più volte espressione e, verso la fine, ha dovuto farsi forza e raccontare le fasi del drammatico ricovero dell’insegnante: “La mattina del 31 luglio 2009 sono arrivata sulla spiaggia verso le 9,00 e ho trovato carabinieri e vigili e ho pensato che qualcuno fosse annegato, invece ho visto che stava succedendo qualcosa di strano: il sig. Mastrogiovanni si spostava nel mare e diceva: “Non mi prenderete, non mi prenderete!”. Poi è intervenuta anche la guardia costiera. Il villaggio era sotto assedio. Intorno alle 12 Mastrogiovanni è uscito spontaneamente dall’acqua ed è stato sedato. È stato sedato relativamente perché ha fatto la doccia e ha bevuto un caffè”. A domanda del legale la sig. Musto ha risposto precisando che, sulla spiaggia, c’era una dottoressa e che il sig. Mastrogiovanni non è stato assolutamente visitato e che non ha proferito minacce né volgarità e lei ha assistito a tutta l’operazione. Dopo la doccia è salito spontaneamente sull’ambulanza, ma prima ha proferito quella frase terribilmente profetica: “Non mi portate a Vallo perché là mi ammazzano!” che è rimasta inascoltata, che è stata udita certamente anche dai carabinieri, i quali però non l’hanno verbalizzata nel loro rapporto.
|
Francesco Mastrogiovanni |
Deposizione ininfluente?
Per il P.M., dr. Renato Martuscelli, la deposizione di Licia Musto è ininfluente, perché il processo in corso riguarda i medici e gli infermieri e non l’esecuzione del TSO, annunciando che ha già chiesto l’archiviazione della denunzia del Comitato Verità e Giustizia per Mastrogiovanni sull’illegittima esecuzione del TSO. A questo punto si è avuto un acceso botta e risposta tra il pubblico ministero e l’avvocatessa Caterina Mastrogiovanni. Il legale della famiglia Mastrogiovanni ha immediatamente replicato al pubblico ministero affermando: “La rilevanza della deposizione della sig.ra Musto sarà valutata dal Presidente. E contro la richiesta di archiviazione è stato presentato atto di opposizione”.
C’è nesso causale tra contenzione ed edema polmonare
L’udienza si è conclusa con la lunga e attenta deposizione del medico legale dott. Ludovico Di Stasio, già docente di anatomia all’Università della Basilicata, esperto di edema polmonare. A domanda dell’avvocatessa Mastrogiovanni se la contenzione fosse una terapia ha risposto: “Quanto mai! Quanto mai! La contenzione non è mai una terapia. Con i farmaci che ci sono oggi si possono ottenere risultati che rendono inutile la contenzione!”. Un’altra domanda ha riguardato l’affermazione del direttore sanitario dell’ospedale di Vallo della Lucania che aveva affermato che il TSO è contenzione. Il consulente ha risposto in modo lapidario: “Non credo che un direttore sanitario possa dire questa cosa” e ha sottolineato che: “Il paziente è morto per edema polmonare acuto”. Il dr. Di Stasio, nel prosieguo della deposizione ha inoltre affermato : “Non è stato fatto nulla per evitare la morte per edema polmonare e c’è nesso causale tra contenzione ed edema polmonare” .
La prossima udienza è fissata per le ore 14 del 15 novembre 2011 nel corso della quale, saranno sentiti il consulente dell’ASL, costituitasi parte civile, dr. Palmieri e due testi designati dai legali degli imputati.
Angelo Pagliaro
|