La rapina finanziaria che stiamo subendo è un elemento strutturale del sistema di dominio in atto e diventa inderogabile ipotizzare tecniche di resistenza per difenderci da una simile sistematica aggressione. Vediamo perché.
Questa volta hanno messo in campo “er mejo”, un governo elitario, nel senso letterale del governo dei migliori. Hanno messo insieme una squadra di menti eccellenti, o reputate tali, il governo dei professori, com’è stato chiamato, o dei tecnici ad altissimo livello. Ma anche tutto questo po’ po’ d’eccellenza sembra abbia ben poche possibilità di tradurre le scelte di governo in situazioni eque diffuse all’insieme della società, come hanno promesso ed è stato loro richiesto. Così anche lo straordinario presunto salvifico rischia di annullarsi nell’ordinario del progressivo disfacimento. Il sistema, ormai in crisi come sostanza e come senso, non riesce ad andare oltre il paradosso del suo stesso esserci.
Forse il “belpaese” non crollerà nel “default”, spauracchio della bancarotta economica verso cui da tempo ci stanno conducendo i diversi governi italiani. In ogni caso la casta dei manovratori economico/finanziari riuscirà a non esser travolta e a riprendere il gioco della speculazione, non solo senza affondare, ma, quel che più conta, aumentando l’accumulo delle proprie ricchezze. Alla fin fine ci sembra che il compito primario affidato al governo dei professori sia proprio di garantire questa continuità. È difficile pensare che poi ci saranno l’intenzione e la capacità di rimarginare le ferite e le lacerazioni inflitte a coloro che non fan parte dell’“eletta schiera”. Tanto per dare un’idea di massima, con la manovra del governo Monti, secondo Adusbef e Federconsumatori, le ricadute al 2014 saranno pari a 1.129 euro l’anno a famiglia, che, sommando anche le misure 2011 del governo Berlusconi, saliranno a 3.160 euro. L’impatto sulla capacità di consumo è del 7,6% annuo. Inoltre, in un evolversi associabile a un’involuzione da grande fratello orwelliano, stanno aumentando in modo asfissiante le misure restrittive e i controlli sulla vita delle persone. Saremo sempre più sotto controllo perché in definitiva per lor signori l’importante è che l’oligarchia dominante possa continuare indisturbata a trastullarsi nel gioco che dà loro grande potere e cospicui guadagni.
Dispotica sopraffazione
Quello che sta succedendo è sempre più chiaro. C’è una trasformazione in atto del sistema di potere e dei vincoli sociali. Il luogo elitario dell’esercizio del dominio ha cambiato di segno. Si è progressivamente spostato dalle oligarchie del comando politico e del capitalismo proprietario ai processi di accumulazione finanziaria, determinando il formarsi di una nuova oligarchia capace di usufruire e gestire la fonte di questo nuovo potere d’imposizione. Un potere non più caratterizzato dal comando gerarchico bensì dalla enorme capacità d’influenzare, d’interdire e d’indurre le scelte della politica economica e produttiva. Nell’attuale situazione globalizzata i governi degli stati, praticamente impotenti, sono condizionati dalle induzioni dei poteri sopranazionali, dalle influenze obbliganti e dai vincoli della cappa finanziaria. Sono sempre meno autonomi nelle scelte e sempre più portati ad imporre ai popoli ciò che viene loro imposto. Gli stati nazionali non sono più il luogo del comando supremo, mentre esercitano un’imposizione politica sottoposta alle ingiunzioni e alle interdizioni delle oligarchie globali dominanti. Per questo i governi degli stati non possono rappresentare in alcun modo una soluzione, come continuano a illudersi i fiacchi romantici nostalgici di un welfare che non può più sussistere. Al contrario sono ampiamente parte del problema. La gestione statale è il luogo dove si annida e si coltiva il debito pubblico, che in Italia ha raggiunto livelli stratosferici, usato come alibi per imporre politiche di rapina alle fasce sociali più deboli ed esposte. II debito è cresciuto e lievita in continuazione non per finanziare spese sociali e pensioni, come vorrebbero farci credere, ma per garantire proventi alla corruzione dilagante e, in Italia in particolare, per mantenere satollo il sistema cosiddetto delle caste, indispensabile per le logiche clientelari della politica politicante.
Di fronte a questo processo, resosi evidente in tutta la sua dispotica sopraffazione soltanto negli ultimi due decenni, la sinistra autoritaria, culturalmente egemone nella dimensione politica della sinistra, è entrata in crisi perché non è stata capace di emanciparsi da un’interpretazione ideologica e aprioristica della realtà. Le sue tantissime parrocchie e differenziazioni non han potuto che rimanere tutte abbarbicate all’idea autoritaria che bisogna in qualche modo impossessarsi del potere statale per imporre una politica socialista, in grado di definire come va condotto uno stato proletario dall’alto della sua autorità, all’interno di un’idea di giustizia sostanzialmente di classe. Tutto ciò è fallito dove si è tentato di applicarlo ed è ormai improponibile come senso di un percorso di vera emancipazione.
Così si è appannata di molto l’illusione della possibilità e dell’appetibilità di cambiamenti riformisti di sinistra e si è di fatto aperto un vuoto, mentre si è rafforzato e diventa sempre più indispensabile il bisogno di emancipazione. Gli attuali sistemi di potere sono diventati talmente pervasivi da rendere insopportabile la stessa conduzione dell’esistenza per un numero sempre maggiore di esseri umani, sempre più tartassati, emarginati, super sfruttati e oppressi. I sistemi attuali funzionano sempre meno dal punto di vista della coesistenza sociale e sono sempre meno in grado di riparare ai danni che loro stessi determinano, che scaricano sistematicamente sulle fasce più deboli delle popolazioni. Al contempo sono oltremodo funzionali all’accumulo di ricchezze e di potere delle oligarchie dirigenziali e finanziarie, che organicamente sempre di più hanno in mano le sorti del mondo e i destini degli individui di questo pianeta.
Quel bisogno di emancipazione
Se si persegue, si desidera e si aspira a una diffusa condizione di vita giusta, equa e solidale, soprattutto rispettosa delle libertà umane e sociali, sta diventando sempre più necessaria la sovversione, nel senso letterale di mettere sotto sopra. Pur consapevole che se succedesse il presente stato di cose se lo meriterebbe ampiamente, per sovversione non intendo tanto una fisicità violenta di massa che vuole buttare tutto all’aria. Penso invero più che altro a un reale sconvolgimento dell’ordinamento vigente, per dare avvio a nuove prospettive di cambiamento all’insegna di una effettiva uguaglianza sociale e di una concreta liberazione dagl’impedimenti, dagl’obblighi e dai controlli statali. Si può benissimo, volendo, sovvertire in modo radicale il mondo esistente senza il buio interiore della rabbia che s’impadronisce delle nostre scelte, o, a meno che non si sia costretti, senza misurarsi solo e soltanto attraverso logiche di guerra. Si può benissimo farlo attraverso una condivisa immaginazione creativa capace di mettere in campo e di realizzare, con l’apporto di tutti, pratiche e soluzioni innovative sovvertitrici dell’ordine esistente.
Non dico affatto cosa nuova né scandalosa se affermo che sono sempre più convinto che le vecchie forme di lotta, cui da almeno due secoli siamo abituati, servono sempre meno per un concreto percorso di emancipazione. Tutti gli strumenti del vecchio bagaglio di lotta, che voleva abbattere padroni e stato ed espropriare i luoghi di produzione, in moltissimi casi sono ormai divenuti obsoleti e, soprattutto, inadatti e inefficaci. Oggi il problema si è dilatato ed ha assunto ben altre sembianze.
Gli stati sono sempre più luoghi di amministrazione territoriale di un potere globale che impone scelte e li sovrasta, mentre i proprietari del capitale, cioè i padroni rimasti, sono ormai troppo lontani dai luoghi del potere dominante. Inoltre, la grandissima parte della produzione, oggi sottoposta totalmente alla dittatura dei mercati finanziari, è altamente nociva o superflua, per cui perde di senso spendersi per appropriarsene e gestirla direttamente.
Il mondo attuale ha ben poco da offrire a una nuova società emancipata dallo stato di cose vigente, sostanzialmente tutta da costruire. Dobbiamo ripensare cosa possiamo e vogliamo produrre, liberandoci dal bisogno di produrre per ricavar profitti, mentre il luogo privilegiato della lotta si dovrebbe spostare dal momento dello scontro diretto militare a quello della costruzione di spazi sociali non conformi alla cultura dominante, che si ribellano per sperimentare l’autogestione e per ridefinire la qualità delle relazioni sociali, di quelle economiche, delle metodologie di gestione. C’è insomma da ridefinire e sperimentare una cultura politica libertaria, in tendenza anarchica, che nasca e sia pensata per sovvertire l’esistente.
Sottrarsi alle banche
La lotta dovrebbe spostarsi in tendenza dallo “scontro di piazza”, com’è in uso dire, alla costruzione delle alternative radicali, cominciando a cambiare qui ed ora nei limiti del possibile, tendendo a dilatarsi all’insieme della società e a sovvertire l’esistente attraverso la sperimentazione, la difesa delle pratiche in atto, l’attacco di una cultura innovatrice.
La condizione di dominio imperante ha però reso prioritaria anche la messa in opera di situazioni di difesa dalle sistematiche aggressioni finanziarie che subiamo. Tutta la circolazione del denaro, cui per ora facciamo fatica a rinunciare, è filtrata dal sistema bancario, che decide i tassi (sempre più da strozzinaggio), le regole e le modalità di gestione delle varie operazioni bancarie. Il sistema delle banche non deve rendere conto che a se stesso, mentre tutti ne usufruiamo e sottostiamo alle sue continue imposizioni e alle sue scelte, spesso oscure e oculate. La gestione finanziaria in atto ci sta sistematicamente maltrattando individualmente e collettivamente, oltre a renderci suoi schiavi, anche se lo fa in modo indiretto senza apparire schiavista, perché condiziona le esistenze di tutti in modo sempre più insopportabile. In questa fase il potere finanziario è il nemico peggiore, il più terribile e il più difficile da colpire, perché è un insieme di forze che si muovono in sinergia, il cui metodo d’azione ha una capacità di appropriazione e d’induzione molto efficace e insinuante.
Dal momento che rappresentano la causa principale del progressivo impoverimento e della progressiva schiavizzazione sociale, un sano impulso vorrebbe che le banche fossero messe a ferro e fuoco a furor di popolo. Se portasse a qualche risultato e risultasse efficace varrebbe effettivamente la pena provarci. Purtroppo i muri e le stanze dei palazzi in cui hanno sede le banche non sono il luogo reale del loro dominio, esercitato invece attraverso server ad altissimo potenziale, in un gioco di transazioni computerizzate che si consumano fulmineamente in nanosecondi, seguendo complessi algoritmi elaborati dai computer. Distruggere le loro sedi non servirebbe perciò a bloccarle, che anzi sicuramente riscuoterebbero fior di quattrini dalle assicurazioni, potendo così rinnovare gli impianti.
Bisognerebbe invece decidere di sottrarsi collettivamente alle banche per sganciarsi dal gioco finanziario, cui contribuiscono anche i nostri conti correnti al di là della nostra volontà. Se si riuscisse ad espandere a livello sociale sicuramente risulterebbe di notevole efficacia.
Credo che avrebbe senso, per esempio, rispolverare la vecchia idea proudhoniana delle banche di mutuo soccorso, ovviamente aggiornandola perché da allora è passato circa un secolo e mezzo. Invece di depositare nelle banche capitaliste, che stanno facendo il bello e il brutto tempo, i soldi guadagnati con tanta fatica col nostro lavoro, si potrebbero organizzare tante casse comuni di solidarietà, gestite direttamente da coloro che vi contribuiscono, senza alcun fine speculativo, ma con lo scopo dichiarato e trasparente di creare una rete finanziaria di solidarietà e di difesa, di mutuo soccorso appunto. Se fatto con lo spirito giusto, sarebbe un eccezionale strumento di autodifesa dal basso e di autonomia dalla cappa finanziaria globale. Lo spirito giusto ovviamente si realizzerebbe accordandosi tutti insieme e contribuendo libertariamente all’autogestione della cosa.