Botta...
/ Anarchismo, anarchici, antispecismo
Un caro ringraziamento ad Andrea Papi che, con la
sua lettera pubblicata sul penultimo numero di A rivista
(“A” 368, febbraio 2012), si trova in pieno accordo
con noi circa il fatto che l’anarchismo, per sue intrinseche
ragioni, sia da considerarsi inevitabilmente antispecista. Molto
interessante anche la sua precisazione sulla basilare differenza
tra l’anarchismo (in quanto idea) e il movimento anarchico
fatto di persone che si riconoscono nei presupposti e nei valori
di quell’idea.
Le persone non sono mai perfette e quindi ci vuole pazienza
e perseveranza e soprattutto tolleranza. Ma è proprio
su questo termine, tolleranza, che secondo noi si gioca gran
parte dello specismo fortemente radicato non solo nel movimento
anarchico vecchio stampo, ma anche in gran parte di quegli ambienti
che si considerano evoluti e impegnati nella costruzione di
una società libera.
La tolleranza, infatti, viene inquadrata, sempre e comunque,
come un valore positivo e irrinunciabile. Ma ovviamente non
è così. Tolleranza e intolleranza dovrebbero alternarsi
in relazione alle situazioni. Essere intolleranti non è
solo sinonimo di prepotenza o arroganza. L’intolleranza
nei confronti dell’ingiustizia è un atteggiamento
irrinunciabile per qualunque persona che scelga di non essere
complice delle prepotenze e delle violenze che ogni forma di
potere, puntualmente, applica. La tolleranza nei confronti dell’ingiustizia
è sempre complicità. Soprattutto quando ci sono
delle vittime. Vittime del razzismo, del sessismo, vittime delle
dittature, vittime senza voce che possono solo contare su chi
osa non tollerare le ingiustizie attraverso l’attivismo,
la sensibilizzazione, il boicottaggio, la denuncia e la chiara
affermazione della propria coscienza.
Questo, naturalmente, non significa rifiutare a priori opinioni
diverse dalle nostre. Ma ci sentiamo di sottolineare che quando
un comportamento o un’opinione politica o un atteggiamento
sono già dichiaratamente intolleranti, non possono invocare,
a loro volta, il diritto alla tolleranza. Sarebbe come dire
che un razzista chiede di poter continuare con le sue discriminazioni
e le sue violenze per una questione di tolleranza. O che un
uomo desideri veder tollerato il suo buon diritto a dominare,
picchiare, violentare sua moglie perché, secondo la sua
opinione, l’uomo è un essere superiore e può
fare della donna tutto ciò che vuole.
E per quanto riguarda lo specismo, che è il dominio su
tutti gli animali non umani, sta avvenendo esattamente questo.
Ci sono in ballo prigionie, mutilazioni, segregazioni al buio
per l’intera esistenza, alimentazioni forzate, deportazioni,
agonie. Nei casi migliori sfruttamento intensivo e uccisione
quando non servi più. È davvero accettabile che
una persona che si rispecchia in un’idea così alta
come l’anarchismo, possa, non solo chiedere tolleranza
di fronte a tali brutali e plateali ingiustizie, ma ne sia anche
il complice, il mandante?
Noi abbiamo sempre identificato nel movimento anarchico quell’insieme
di persone che non ci stanno, che non accettano di adattarsi
tanto facilmente alle plateali ingiustizie che governano questo
mondo. Da quando abbiamo iniziato a vivere cercando di seguire
questa non accettazione, che è anche una non rassegnazione,
la nostra vita, naturalmente, si è fatta anche un po’
più difficile, povera, complicata, ma gli orizzonti che
si sono aperti sono stati (e sono) anche un ossigeno di una
qualità sempre più alta a cui oggi difficilmente
riusciremmo a rinunciare.
Abbiamo quindi una grande opinione dell’idea anarchica
e del suo movimento a livello storico. Ma oggi non possiamo
non constatare l’assordante silenzio che sta operando
nei confronti dell’ideologia del dominino strettamente
connessa allo specismo.
E tutto questo, per noi, è assolutamente intollerabile.
Troglodita Tribe
(Serrapetrona - Mc)
...
e risposta / ma l’intolleranza è la base di ogni
guerra
Care/i compagne/i di Troglodita Tribe,
ricambio il ringraziamento per l’onesta e gradita polemica
con la mia Le
ragioni dell’antispecismo. Mi offrite l’occasione
per un ragionamento che ritengo importante.
Dalle vostre parole evinco che mentre rispetto al piano ideale
saremmo compagni di idee e di lotte, al contrario rispetto al
problema da voi sollevato della tolleranza ci troviamo su fronti
contrapposti, rischiando seriamente di essere nemici. Innanzitutto
una piccola sottigliezza che, senza incrinare il discorso, non
è affatto di poco conto. Nella mia lettera avevo indicato
pazienza e perseveranza come strumenti d’intervento, non
la tolleranza, come invece sottolineate voi. Avevo invece scritto
che non si dovrebbe essere intolleranti, perché per combattere
un “male” con efficacia bisogna capire le ragioni
di chi ha punti di vista diversi. E non è la stessa cosa.
La tolleranza come atteggiamento costante, come scelta di vita,
non a caso di origine clericale, è accettazione di ogni
cosa, facilmente intrisa di paternalismo che vuol irretire.
E su questo aspetto sono con voi. Indicare di non essere intolleranti
nei confronti di chi si comporta in modo diverso e non la pensa
come te invece ha un significato un po’ diverso, perché
implica che si agisce soprattutto per aiutare a cambiare la
visione del mondo e i comportamenti conseguenti. Invitare ad
essere tolleranti, con fare critico e pronto alla discussione,
come strumento d’intervento nei confronti di chi a modo
suo, diverso dal tuo, ha scelto anch’egli la strada dell’emancipazione,
vuol dire cercare il confronto per pervenire tutti ad una lotta
comune giusta e coerente.
La divisione che fate tra “anarchici di vecchio stampo”
e quelli come voi (presumo che la barra di divisione sia l’antispecismo)
mi giunge artificiosa, astratta e ideologica. Risente di un
manicheismo giudicante che dall’alto (di quale autorità?)
stabilisce chi sono i buoni e i cattivi. Non dimentichiamoci
che l’intolleranza è la base di ogni guerra, sia
metaforica sia concreta, perché si basa sulla condanna
totale e indiscriminata di chi è diverso da te, vissuto
come straniero. La guerra implica che il “male”
venga combattuto con le stesse armi che lo hanno generato, che
cioè risulterai vincitore se vincerai, sconfitto e sottomesso
se perderai. E i vincitori s’impongono sempre sui vinti.
Non è un caso infatti che l’anarchismo sia antibellicista
e che non proponga di risolvere le situazioni attraverso logiche
di guerra.
Per la mia sensibilità la logica conseguenza di tutto
il vostro discorso, al di là delle vostre intenzioni,
è che o si comincia a pensarla come voi oppure chi non
si adatta verrà trattato come un nemico non più
tollerato, quindi colpito, annientato, distrutto e, se va bene,
sottomesso. Conseguenze che con l’anarchismo, ma anche
qualsiasi altra cultura e pratica libertarie, hanno ben poco
da spartire. L’anarchismo nasce innanzitutto per liberare,
non per creare nuove imposizioni. E infatti si è sempre
scontrato con ogni impostazione autoritaria, comprese quelle
mascherate e quelle ingenuamente inconsapevoli, come di primo
acchito mi appare la vostra non tolleranza.
Il problema, come potete vedere, è vasto e complesso,
oltre ad essere dannatamente complicato e difficile. E, siccome
mi sembrate convinti al cento per cento di essere comunque e
sempre dalla parte della ragione, non potete però pensare
di risolvere la cosa con un trionfale incitamento ad essere
intolleranti. Per altri scopi, alcuni meno altri altrettanto
nobili, in passato si son già fatti disastri irreparabili.
Rompete “l’assordante silenzio”, che giustamente
denunciate, con le urla della vostra voglia di riscatto e con
la rivendicazione di una liberazione che vada oltre gli orpelli
insostenibili dell’antropocentrismo, ma nei confronti
dei dormienti lasciate stare l’intolleranza, che li vorrebbe
additare come nemici irrecuperabili. Quando le vostre urla saranno
insopportabili si sveglieranno.
Ben venga comunque il confronto. Vi risaluto sempre con grande
simpatia.
Andrea Papi
Aiutiamo
Emergency a non smettere
La crisi economica-finanziaria che sta travolgendo l’Europa
e il pianeta intero non poteva risparmiare certamente chi ostinatamente
lavora nel campo della solidarietà, provando a costruire
un mondo diverso, rispettoso dei diritti di tutti, rispondendo
a bisogni in campo sanitario dall’Africa all’Afganistan,
passando per l’Italia, perché anche in casa nostra
c’è chi vive in condizioni di miseria. Non solo
i migranti che inseguono le stagioni nei lavori agricoli o si
arrampicano nei ponteggi del nostro benessere, per poi rientrare
a casa senza potersi permettere nemmeno un mal di schiena per
il troppo sforzo giornaliero. Anche gli italiani, quelli che
hanno perso tutto a causa della crisi, quelli che non hanno
più un lavoro, quelli che non hanno mai avuto niente
e che ora non possono contare più sull’aiuto di
nessuno.
Emergency dal 1994 prova a rispondere agli immensi bisogni in
campo sanitario e lo fa indipendentemente, autofinanziandosi,
offrendo cure gratuite e di qualità, accessibili a tutti.
Il suo operato trasparente ed equo, può far pensare che
Emergency sia una delle rare realtà che fortunatamente
ci sarà sempre. Ma non è così, Emergency
si regge prevalentemente sulle donazioni di privati cittadini
e naturalmente sul lavoro di tanti volontari sparsi per il territorio.
Paradossalmente, con la crisi il numero delle donazioni è
aumentato, ma è diminuito notevolmente l’importo
delle stesse. Questo significherà lavorare con meno fondi
a disposizione, per quanto i bisogni siano sempre in crescita
e in crescita costante sono le vittime della guerra e della
povertà.
Le risorse economiche a disposizione sono necessarie per tenere
aperti gli ospedali, i centri chirurgici per le vittime di guerra,
i centri ostetrici, pediatrici, di primo soccorso, di riabilitazione.
E per mantenere in vita anche i poliambulatori specialistici
gratuiti che Emergency ha aperto in Italia negli ultimi anni.
A tutti coloro che apprezzano il lavoro e l’esistenza
di Emergency, a chi crede nell’eguaglianza in dignità
e diritti di tutti gli esseri umani (e i lettori di A credo
siano assolutamente dentro questa visione del mondo), Emergency
chiede aiuto per continuare a esistere, perché non venga
interrotto uno straordinario “esperimento umano”
di cura e di cultura.
Aiuta Emergency. Chiama il numero verde 800.394.394.
Oppure fai un versamento su conto corrente postale intestato
a Emergency Ong Onlus - c/c postale n. 2842 6203
IBAN IT 37 Z 07601 01600 000028426203
O ancora un versamento su conto corrente bancario intestato
a Emergency Ong Onlus - c/c bancario presso Banca Etica, Filiale
di Milano
IBAN IT 02 X 05018 01600 000000130130
Grazie.
Nicola Pisu
(Serrenti - VS)
anarchico e volontario di Emergency
Ancora
una volta addosso all’anarchico
Chi lotta per gli altri
lotta per se stesso
e chi lotta per se stesso
lotta per gli altri
(Fonte: “Undici ore d’amore di un uomo ombra”,
Gabrielli editori)
Lo Stato perde il pelo, ma non il vizio, quando ha dei problemi
se la prende sempre con gli anarchici, a mio parere la parte
più sana della società.
Sul manifesto di venerdì 27 gennaio leggo:
– Maxi-operazione di polizia contro il movimento No-Tav
all’alba. Nel mirino decine di attivisti. Ventisei arresti,
con denunce e perquisizioni in tutta Italia, per gli scontri
del 3 luglio intorno al cantiere di Chiomonte. Una svolta repressiva,
nell’aria da almeno un mese, per delegittimare la protesta
contro la linea Torino Lione. –
In questi giorni sto leggendo un bel libro dal titolo “Insuscettibile
di ravvedimento” a cura di Paolo Finzi.
Il libro racconta la storia di Alfonso Failla, una delle figure
più prestigiose del movimento anarchico del secolo scorso.
Alfonso, s’impegnò nella lotta contro il regime
fascista e fu più volte arrestato e sottoposto a provvedimenti
restrittivi.
Nel 1930 venne confinato ove rimase fino all’estate del
‘43 e dopo l’evasione, dal campo di Renicci d’Anghiari,
partecipò alla resistenza.
È innegabile il contributo che gli anarchici hanno dato
nel corso della storia alle rivoluzioni e conquiste sociali,
persino durante la lotta partigiana in Italia.
Eppure gli anarchici continuano ad essere insultati, malmenati
e arrestati; solo esclusivamente perché si ribellano
alle leggi ingiuste.
Nel libro di Alfonso ho trovato un suo articolo dal titolo “Siamo
dei violenti”? (Umanità Nova,. aprile 1945) e mi
sono molto piaciute queste parole:
– Usiamo la violenza per difendere la libertà e
il diritto alla vita (..) il nostro comportamento è di
tolleranza e rispetto: la nostra arma preferita per accelerare
il progresso della società è la discussione cordiale
(...) l’anarchico si rivolge con bontà non s’impone.
Mi chiedo e domando, ma si può essere violenti se una
persona difende le montagne del suo paese? Non credo!
Per questo il mio cuore trasmette tutta la sua solidarietà
ai 26 compagni arrestati per avere difeso le loro montagne.
E ricordo che le montagne sono di tutti, anche dei prigionieri
che non le possono vedere, ma le sognano tutti i giorni e tutte
le notti dalle sbarre delle loro celle.
Io le sogno da ventidue anni dalle sbarre della mia finestra.
Solidarietà ai compagni che hanno arrestato e che lottano
anche per me.
Carmelo Musumeci
Uomo-ombra del carcere di Spoleto
www.carmelomusumecí.com
gennaio 2012
Malatesta
non aveva il wi-fi
La chat è stata una delle più grandi intuizioni
nella storia del web, riuscire a mettere in contatto due o più
persone senza vincoli geografici e permettere un dialogo in
tempo reale, seppure possa sembrare banale, personalmente mi
ha sempre affascinato. La componente geografica è sempre
stata un fattore determinante per la costruzione di società.
Le città sono connesse con il territorio e con i cittadini
prima di tutto tramite una connotazione geografica. I romani
sono tali in primis perché nati a Roma, o ci hanno risieduto
per così tanti anni da diventarlo. Questo semplice assioma
ha permesso a tutti i regimi e democrazie apparenti di proliferare
come funghi, inventando tutta una serie di leggi per dominare
il popolo e confinarlo in uno spazio ben preciso: i confini,
le dogane e via dicendo. Questa banalità con internet
viene capovolta, i confini nel web non hanno senso, come le
dogane e i limiti geografici e partendo da questo punto che
possiamo costruire nuove città, senza alcuna componente
territoriale, dove le persone decidono di aggregarsi virtualmente
con finalità pragmatiche e non, seguendo unicamente i
loro interessi e la loro libertà decisionale.
Tutti noi navighiamo su internet, ma sfruttiamo davvero poco
le sue potenzialità e nella maggior parte dei casi nel
modo in cui ci viene detto. Ci sono diversi modi di intendere
ed utilizzare la rete, il primo, quello largamente utilizzato
per via della sua semplicità ed efficacia, è affidarsi
a servizi di terze parti, giganti come facebook, google, yahoo,
che appoggiati da banche di tutto il mondo, ci garantiscono
l’accesso ai servizi in modo quasi sempre gratuito, ma
dove ogni nostra informazione/file risiede in un server gestito
dalla società stessa. Questo se da una parte ci consente
di avere sempre online e in un posto piuttosto sicuro i nostri
file, dall’altra lascia che le nostre informazioni (anche
le più personali, vedi mail private o messaggi privati
sui social network) si trasformino in dati immagazzinati dai
proprietari del servizio, che di certo non? cancellano le nostre
preziose informazioni personali, ma grazie a sempre più
precisi algoritmi, tracciano un profilo della persona in questione:
la sua età, le sue caratteristiche fisiche, dove risiede
e dove si sposta di frequente, dove ha compiuto i suoi studi
e dove lavora, quali sono i suoi gusti personali in fatto di:
cibo, macchine, sport, vestiti, tecnologia (a cosa serve altrimenti
il pericolosissimo pulsante “mi piace” di facebook?)
quali sono le sue ideologie politiche e religiose, e via dicendo.
La cosa più assurda è che il 90% di queste informazioni
siamo noi stessi a dargliele, in modo del tutto gratuito, semplicemente
parlando o facendo ricerche nel web. In questo modo queste grandi
multinazionali conoscono una persona in modo molto dettagliato
e intimo, potendosi regolare di conseguenza per i servizi da
dargli, per le inserzioni pubblicitarie da proporgli e costruirgli
una vera e propria bolla intorno alla sua esistenza virtuale
(n.d. interessantissimo a questo proposito il libro di Eli Pariser
“The filter bubble”, uno studio approfondito degli
algoritmi di ricerca dei principali servizi sul web, da Facebook
a Google, dove dimostra come i primi risultati di una ricerca,
siano influenzati dalle precedenti ricerche effettuate e dai
nostri interessi, in modo da dare risultati sempre più
su misura, rendendoci così prigionieri di queste “bolle
invisibili”). Questo senza contare il fatto che molti
di questi giganti hanno da anni stretto accordi con governi
ed eserciti garantendo loro “in caso di necessità”,
il libero accesso ad ogni tipo di informazione personale di
ogni utente.
È per questo che bisogna trovare un modo diverso di interagire
con la rete, un modo dove ogni persona è autonoma? da
condizioni esterne, dove ogni persona deve diventare un server,
un punto di scambio, un punto di arrivo e di partenza, diventare
un insieme di hyperlink, un database ubiquo di informazioni
e contatti privati o condivisi.?
Una volta cambiata questo modo di vedere la realtà, le
nuove città si creerebbero in modo naturale, come un
unione spontanea e libera di persone/server, scelti in base
a caratteristiche, qualità, per creare nuovi modi di
lavorare insieme o quello che vi pare.
In parte questa filosofia è stata già sposata
dalle applicazioni p2p (peer to peer), dove ogni persona è
un nodo e si aggancia ad altri nodi per condividere ogni sorta
di file (il grande vantaggio delle applicazioni peer to peer
è quello di eliminare la dipendenza da un server madre,
dal momento che ogni nodo/utente è di per sé un
piccolo server autonomo che si collega unicamente ad altri nodi/utenti).
Limitarci allo scambio di file è inutile, il p2p che
sarà alla base della costruzione di queste nuove città
dovrebbe essere ampliato esponenzialmente, con una gestione
dell’utente e delle possibilità nettamente implementata
rispetto alle attuali potenzialità. Dare la possibilità
ad ogni singolo utente di aggregarsi in corporazioni, permettere
oltre la condivisione di file anche la vendita di prodotti e
servizi per esempio, il tutto ovviamente garantendo la più
totale libertà di gestione e di implementazione del servizio,
lasciando alla comunità di sviluppatori la possibilità
di intervenire sul codice e creare nuovi servizi utilizzabili
da tutti gli utenti (i cosiddetti plug-in).
Questa globalizzazione virtuale permetterebbe di creare corporazioni
e città senza vincoli geografici, dove dei produttori
di stoffe vietnamiti possono accorparsi liberamente con stilisti
algerini per produrre capi d’abbigliamento da vendere
in una via di Parigi da commercianti francesi e online nel mondo
intero.
Oggi grazie ad internet siamo capaci di costruire infinite città,
dove i cittadini possono risiedere nei luoghi più disparati
del mondo e al tempo stesso collaborare e costruire assieme.
Oggi la rivoluzione può essere fatta costruendo infiniti
mondi paralleli e abitarli secondo le nostre regole.
Ivan Minutillo
(Formia - LT)
Botta...
/ Un altro uso improprio del termine “anarchia”
Lettera aperta alla redazione di Repubblica, a Michele
Serra
Buongiorno,
di solito leggo con piacere L’amaca di Michele
Serra, ma sono rimasta piuttosto perplessa di quella pubblicata
su La Repubblica del 2 febbraio 2012.
In realtà sarei profondamente d’accordo con quanto
sostenuto a proposito dell’urgenza di porre al centro
della riflessione – e dell’agire, aggiungo io –
il discorso ambientale, ma perché usare l’aggettivo
“anarchico” per definire il nostro attuale sistema
produttivo?
Si tratta senz’altro di un uso improprio del termine “anarchia”
che implica un’adesione acritica a luoghi comuni, ambigui
e faziosi, che identificano l’anarchia con il caos e l’assenza
di regole. Significa cioè ignorare completamente una
concezione politica e una teoria sociale che ha già attraversato
tre secoli e che ha il suo perno nell’autogoverno e nella
distruzione dei rapporti autoritari gerarchici, auspicando la
formazione di una società basata sul libero accordo,
la libertà e la solidarietà. Niente di più
lontano del sistema economico e politico attuale!
Oltre a ignorare la storia del pensiero politico, affiancare
l’anarchismo alla distruzione dell’ambiente significa
dimenticare lo sforzo di tutti quegli anarchici e quelle anarchiche
impegnati quotidianamente in prima persona contro lo sfruttamento
del territorio. E significa infine fare un torto a uno dei pionieri
del movimento ecologista: Murray Bookchin (New York 1921-2006),
teorico dell’ecologia sociale e dell’ecologismo
anarchico, il quale già dagli anni cinquanta riteneva
l’attuale sistema produttivo incompatibile con una risoluzione
della crisi ecologica e individuava come unica soluzione possibile
della crescente crisi ecologica la trasformazione radicale della
società contemporanea.
Selva Varengo
(Milano)
...
e risposta/Cercherò di non farlo più
Gentile Selva Varengo,
la sua lettera aperta mi è giunta attraverso amici.
La mia risposta è facile: lei ha ragione. Ho usato (e
non è la prima volta, credo) il termine “anarchico”
in maniera impolitica, come sinonimo di caotico, sgovernato,
arbitrario. So che è l’uso comunemente più
accetto, ma da ex (giovanissimo) frequentatore del circolo anarchico
di via Scaldasole avrei dovuto avere qualche esitazione in più...
Cercherò di non farlo più. È che usare
le parole non è mai facile. A volte sono ambigue (“anarchico”,
nell’uso corrente, lo è), a volte non si ha il
tempo di riflettere quanto si vorrebbe e si dovrebbe.
Grazie della sua lettera, buon lavoro e buona vita.
Michele Serra
(Milano)
Nel
Monferrato la Resistenza continua...
Anche quest’anno a Casale Monferrato è andata
in scena, in occasione del giorno del ricordo (8 febbraio),
la farsa della commemorazione dei “martiri delle foibe”.
Farsa che, da alcuni anni, viene riproposta in chiave revisionista
ed apologetica di un vile passato che credevamo appunto... passato!
Riteniamo infatti che nessuno avrebbe nulla da eccepire se si
trattasse di una normale commemorazione delle vittime della
follia della guerra, comprese le migliaia di Slavi trucidati
dal regime mussoliniano perché “razza inferiore”
e per “riportare l’italianità nelle terre
irredente”.
Ma a Casale no. Qui si assiste ad un subdolo e becero tentativo
di far passare i carnefici come vittime e di riabilitare un
ventennio che significò tirannia, lutti e guerra. Perché
questo è il messaggio che si vuol far passare, imponendo
alle scolaresche discutibili rappresentazioni teatrali in cui
i militi della Repubblica Sociale Italiana paiono come vittime
dell’”odio comunista”. Perché null’altro
significano le parole dell’assessore Riboldi quando parla
di “riconciliazione nazionale” mettendo sullo stesso
piano fascisti e Partigiani, stravolgendo la storia e cercando
di minimizzare i crimini dei primi.
Del resto cosa pensare di una giunta di centro-destra che dedica
un giardino pubblico al generale fascista Ugo Cavallero, distintosi
per l’ordine di usare i gas nervini che uccisero migliaia
di Etiopi? Per non parlare della vicenda Eternit in cui la suddetta
giunta avrebbe accettato l’offerta di Schmidheiny se non
ci fosse stata la giusta reazione popolare. Esiste una sola
parola per definire tutto ciò: fascismo!
Perché il fascismo non è solo quello dei militanti
di CasaPound che ammazzano due ragazzi Senegalesi perchè
hanno un diverso colore della pelle o il rogo di un campo Rom
alla periferia di Torino. Il fascismo ha anche il volto di chi,
presentandosi in una veste più “istituzionale”,
persegue i medesimi fini su un piano commemorativo e pseudo-culturale.
Fascismo quale volto oscuro della democrazia, in fondo entrambi
regimi borghesi intercambiabili l’un l’altro a seconda
del momento storico e della possibilità delle classi
subalterne di liberarsi dalle catene dello sfruttamento imposte
dalla società capitalista.
E contro questo fascismo, noi come Anarchici ed Antifascisti,
non possiamo esimerci di lottare perché oggi come ieri
abbiamo scelto di stare dalla parte degli sfruttati, dei migranti
e delle fasce più deboli e meno protette. Perché
crediamo che sia possibile un altro tipo di società in
cui libertà, uguaglianza e rispetto delle/gli altre/i
e dell’ambiente in cui viviamo siano valori fondanti.
Quindi oggi come ieri attraverso la lotta e l’azione diretta
dobbiamo contrastare qualsiasi rigurgito neofascista. Perché
oggi i fascisti stanno cercando di rialzare la testa e noi non
glielo permetteremo: a Casale ed in tutto il Monferrato i nostri
nonni hanno combattuto e sono morti affinché le generazioni
dopo di loro non dovessero più conoscere un simile abominio.
Loro hanno scelto da che parte stare. Noi anche!
Oggi come ieri, la resistenza continua...
Antifascisti Anarchici
lab.perlanera@libero.it
Repressione.
Appello alla solidarietà
Cari compagni e compagne,
come saprete dalle nostre cronache negli ultimi anni abbiamo
dovuto affrontare numerose disavventure giudiziarie ed altre,
ben più serie, ci attendono nei prossimi mesi.
Il nostro avvocato, che è bravo e paziente, ha atteso
a lungo e ancora attende che gli diamo qualcosa per i processi
che ha vinto (pummarola all’Unione Industriali in occasione
del G8, scritte “Calabresi assassino” alla sede
della Stampa, scritte alla Croce Rossa “CRI complice dei
pestaggi nei CIE”, occupazione dell’ex cinema Zeta).
In tutto sono 5.000 euro.
La prossima settimana si concluderà il processo “Borghezio”:
il PM ha chiesto per due di noi un anno e sei mesi per diffamazione
a mezzo stampa.
Il 13 aprile comincerà il processo all’assemblea
antirazzista. Sebbene l’associazione a delinquere sia
caduta, il pacchetto di accuse messo insieme dalla procura di
Torino è imponente: si va dall’occupazione del
consolato greco dopo l’uccisione del compagno Alexis Grigoropoulos
a numerosi presidi davanti al CIE, dalla protesta al museo egizio
dopo l’assassinio di un lavoratore egiziano alla protesta
in circoscrizione per la militarizzazione del quartiere.
Rischiamo diversi anni di reclusione.
In questi giorni ci è stata comunicata la conclusione
indagini per le giornate di resistenza No Tav del 2010, che
vedono tra gli indagati tre di noi. Presto comincerà
il processo.
In questi anni i movimenti di opposizione sociale hanno subito
un crescente attacco da parte degli apparati di polizia e giudiziari.
La crisi che incalza, la scomparsa di forme di ammortizzazione
del conflitto sociale, la maggiore pervasività delle
idee e delle proposte degli anarchici hanno messo in moto un’infinità
di azioni repressive, nonostante le quali non ci siamo mai tirati
indietro. Anzi! Sono state di sprone per andare avanti, moltiplicando
le iniziative e l’impegno.
La nostra cassa è in deficit pesantissimo oltre 7000
euro: oggi non riusciamo più a coprire né ad anticipare
altro.
Abbiamo urgente bisogno della vostra solidarietà.
Una solidarietà concreta.
Potete usare il conto corrente postale numero 33280108 intestato
ad “Associazione l’Antistato”, Torino.
I compagni e le compagne della Federazione
Anarchica Torinese
fai_to@inrete.it
Dal
carcere di Cuneo / Tobia Imperato: “Io ho già vinto”
Arrestato il 26 gennaio
scorso nell’ambito della retata contro i NoTav, detenuto
prima alle Molinette di Torino poi trasferito nel carcere di
Cuneo, quindi messo agli arresti domiciliari “duri”
(nessun contatto con l’esterno, nemmeno con la nipotina
di 5 anni da poco operata: si sospetta che sia una No-Tav anche
lei?), l’anarchico Tobia Imperato ci ha fatto avere dal
carcere di Cuneo questa lettera, che pubblichiamo più
che volentieri, come in passato abbiamo ospitato altri scritti
di Tobia.
Tobia – lo si evince anche da questo suo scritto –
non è tipo da farsi impressionare più di tanto.
E quando sarà fuori del tutto (intendiamo: non più
ai domiciliari) lo rivedremo di sicuro, prima o poi, fare un
salto nella redazione di “A” per una di quelle discussioni,
fraterne ma accese, che da qualche decennio caratterizzano la
nostra intensa amicizia, intensa quasi come le divergenti sensibilità
e opinioni che spesso ci contrappongono, pur nel solco comune
dell’anarchismo.
Roberto Ambrosoli, padre di Anarchik (e, a dire il vero, anche
di un paio di figli), milanese trasferitosi a Torino da giovane
(cioè molto molto tempo fa, vero Roberto?), ha dedicato
a Tobia la sua pagina di Anarchik.
Anche da noi di “A” un abbraccio, caro Tobia!
p.f.
Chi vince contro lo stato?
Chi vince contro lo Stato? Questo mi ha chiesto un secondino,
saputo che ero un detenuto No-Tav, mentre impudicamente frugava
tra i miei effetti personali, cercando nella pasta portatami
da casa un’improbabile lima.
Chi vince contro lo stato? Non gli ho risposto. Non spreco il
mio tempo a convertire gli sbirri. Eppure dentro di me avevo
non una, ma decine di risposte. Sapevo di aver già vinto
io. Io che completamente nudo ero obbligato a fare piegamenti
davanti a lui per dimostrare che non mi ero infilato niente
nel culo.
Io, che non avevo paura di lui o di quelli come lui, né
dentro né fuori.
Io, che non ero sottomesso e non mi sottraevo alla lotta.
Io, che ero disposto a mettermi in gioco, sempre e comunque,
per difendere la mia libertà e quella di tutti.
Io, che non ero e non sarò mai solo.
Io, che ricevevo in continuazione telegrammi, lettere, giornali,
anche da compagni che non conoscevo.
Come me, stretta al mio fianco, c’era una valle intera,
violata da un’opprimente occupazione militare, per imporre
un’orribile devastazione in nome di un falso progresso.
Una valle che resiste nonostante i pestaggi, e l’uso sconsiderato
di gas CS. Non solo, caso forse unico nella storia dei movimenti
popolari, resta unita in tutte le sue anime che vanno dai cattolici
sino agli anarchici, respingendo al mittente l’accusa
di essere noi dei violenti infiltrati nel movimento. Una valle
che sostiene attivamente tutti gli arrestati. Anzi, ci considerano
a pieno diritto Valsusini e ci ringraziano per aver condiviso
assemblee, momenti conviviali e situazioni di lotta.
E insieme alla valle, in tutta Italia si moltiplicano le iniziative
in nostro sostegno. E anche all’estero si propaga la solidarietà,
come quando il procuratore Giancarlo Caselli – deus ex-machina
dell’inchiesta che ci ha condotto in carcere – è
stato duramente contestato in Svizzera.
Queste erano le cose che mi passavano per la testa mentre mi
rivestivo dopo l’umiliazione subita. E dentro di me ridevo.
Sapevo di essere io il più forte.
Lo Stato, per mezzo di giudici e poliziotti, avrebbe anche potuto
distruggere la mia vita. Io ho già vinto.
Tobia Imperato
(carcere di Cuneo)
Caro Paolo,
ho ricevuto la rivista e ti ringrazio. Ho scritto una “lettera
dal carcere” che ti accludo. Mi farebbe piacere se fosse
pubblicata su “A”, anche se – probabilmente
– io sarò fuori quando uscirà il prossimo
numero.
P.S. Salutami tutti i compagni della redazione e del Centro
Studi Pinelli.
I
nostri fondi neri
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Sottoscrizioni.
Federico Battistutta (Gropparello – Pc) 30,00;
Giovanna Valtorta (Castelnuovo Magra – Sp) 10,00;
Aurora e Paolo (Milano) ricordando Pio Turroni a 30
anni dalla morte (7.4.1982), 500,00; Alessandro Pigazzini
(Lugagnano Val d’Arda – Pc) 3,00; Giorgio
Sacchetti (Arezzo) 40,00; a/m Umanità Nova,
Francesco D’Alessandro (Walla Walla –
USA) 73,00; Pasquale Palazzo (Cava de’ Tirreni
– Sa) ricordando Faber, 10,00; Marino Frau (Serrenti
– Vs) 20,00; Fabrizio Giulietti (Napoli) 20,00;
Antonello Cossi (Sondalo – So); Gianni Ricchini
(Verbania) 20,00.; Rino Quartieri (Zorlesco –
Lo) 20,00: Paolo Soldati (Clermond Ferrand –
Francia) 200,00; Daniela Belloni (Caprie – To)
5,00: Silvio Gori (Bergamo) ricordando Marina Egisto
e Minos, 50,00; Simone De Maria (Carugate –
Mi) 20,00; Attilio Destri (Tresana – Ms) 20,00;
a/m Massimo Varengo, Mirco Tres (Canegrate –
Mi) 10,00. Totale euro 1.091,00.
Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti
specificato, trattasi di euro 100,00). Franco
Bertolucci (Vecchiano – Pi); Roberto Panzeri
(Valgreghentino – Lc); Massimo Ortalli (Imola
– Bo); Tomaso Panattoni (Milano); Ettore Valmassoi
(Quero – Bl); Luigi Pogni (Segrate – Mi);
Gianni Alioti (Genova). Totale euro 700,00.
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