piazza Fontana
Quella strage è diventata
un romanzo
di Luciano Lanza
e Ivan Guarnieri
È nelle sale l’ultimo
film di Marco Tullio Giordana sull’attentato alla Banca
nazionale dell’agricoltura del 12 dicembre 1969.
E la bomba? Diventano due. L’attentatore? Due. Pinelli
e Calabresi? Due amiconi.
L’opinione di due anarchici, compagni allora di Pinelli
nel Circolo anarchico “Ponte della Ghisolfa”.
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Luciano
Lanza
Nel film,
Calabresi viene presentato come...
Giuseppe Pinelli, ferroviere
anarchico, è entrato, con il suo motorino, nel tardo
pomeriggio del 12 dicembre 1969 nella Questura di Milano seguendo
la macchina del commissario Luigi Calabresi e ne è
uscito alla mezzanotte del 15 volando dalla finestra del quarto
piano. Dalla stanza di Calabresi.
Non sappiamo che cosa sia successo in quella stanza, ma sappiamo
che i poliziotti (Vito Panessa, Giuseppe Caracuta, Carlo Mainardi,
Pietro Mucilli e il capitano dei carabinieri Savino Lograno)
si sono più volte contraddetti. Tanto che si passa
dal gesto di Pinelli che si butta gridando «È
la fine dell’anarchia» fino al cosiddetto «malore
attivo» del magistrato Gerardo D’Ambrosio. Questo
magistrato sostiene che Calabresi non era nella stanza quando
Pinelli «vola» dalla finestra ma un altro fermato
Pasquale «Lello» Valitutti sostiene di non aver
visto uscire Calabresi e soprattutto che poco prima della
mezzanotte ha sentito dei rumori provenire da quella stanza
che «in altro luogo avrei definito rumori di una rissa».
Nel film di Marco Tullio Giordana Romanzo di una strage
(ma anche negli atti giudiziari) Calabresi non è nella
stanza e prima del «volo» di Pinelli si assiste
a una minirissa fra poliziotti e fermato. Poi la scena cambia
e si vede Pinelli disteso nel cortile della Questura. Nel
film Calabresi viene presentato come un poliziotto che cerca
di instaurare un rapporto di «simpatia» con Pinelli
tanto che incontrandosi in una libreria Pinelli gli regala
L’antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters
e Calabresi ricambia con Mille milioni di uomini
di Enrico Emanuelli, ma c’è un particolare che
può sembrare irrilevante, ma non lo è: Calabresi
manda il libro e Pinelli al circolo Ponte della Ghisolfa lo
mostra ai compagni dicendo che quel poliziotto continua a
«tampinarlo» e che l’unico modo per sdebitarsi
sarà regalargli un altro libro.
La questione è chiara: a Calabresi non bastano confidenti
«marginali» come Enrico Rovelli, anarchico «saltuario»
e che sa poco o nulla dell’attività di quelli
del Ponte, no vuole un uomo al centro dell’attività.
Ma la manovra non gli riesce e da quel momento comincia a
fargli pressioni sempre più pesanti.
Così dopo le bombe sui treni dell’8-9 agosto
cerca di incastrare Pinelli: chi meglio di un ferroviere conosce
dove mettere bombe sui treni? Bombe per cui molti anni dopo
verranno condannati Franco Freda e Giovanni Ventura.
E non è un caso che la sua «attenzione»
verso Pinelli diventi isterica, poco controllabile. Un esempio
a cui ho assistito di persona: durante un sit-in di anarchici
vicino al carcere di San Vittore per chiedere la liberazione
degli anarchici arrestati per le bombe del 25 aprile a Milano,
sento Calabresi gridare a Pinelli: «Te la faremo pagare».
Ma il punto saliente del film lo abbiamo quasi alla fine.
Un colloquio fra Calabresi e Federico Umberto D’Amato,
capo dell’Ufficio affari riservati del ministero dell’Interno.
La bomba diventano due, gli attentatori due e sempre due i
taxi che prendono per andare alla Banca nazionale dell’agricoltura.
Per Calabresi il primo attentatore può essere Valpreda
(«come hanno detto tutti», dice nel film: strano
modo di trasformare una sua fissazione personale in una diceria
collettiva) porta nella banca la borsa nera con la gelignite
azionata da un timer e la lascia sotto un tavolone nell’atrio,
la seconda bomba è di tritolo con una miccia che farà
esplodere anche l’altra prima del tempo e a metterla
è un fascista che assomiglia a Valpreda. D’Amato
allora ironizzando «visto che siamo in tema di fantasie»,
propone un altro schema: «la prima bomba la mettono
i fascisti, la seconda la parte più oltranzista della
Nato, alcuni settori delle nostre forze armate, alcuni ordinovisti
veneti a libro paga dei servizi militari americani, qualche
funzionario dell’ambasciata Usa».
Insomma, due bombe. Qui entra in ballo il «fantasioso»
libro di Paolo Cucchiarelli, Il segreto di piazza Fontana,
che Enrico Maltini ha recensito sul n. 3/2009 di Libertaria,
mettendone in evidenza illazioni, incongruenze, errori. Perché
compare, come tesi, nel finale del film di Giordana. E poi
se la seconda bomba viene attivata da una miccia e se non
brucia tutta come può far scoppiare il tritolo? E ancora:
era una miccia o un pezzo di corda? Se ne possono dire tante…
Non basta rilevare che su qualche giornale del 13 dicembre
si scriva di una miccia e di un timer. Ma qualcuno ha presente
il caos, la frenesia che c’era nelle redazioni dopo
un fatto così sconvolgente? Dover scrivere di un avvenimento
così impressionante nel giro di poco tempo? Con notizie
che si accavallavano senza avere la possibilità di
selezionarle con la necessaria calma e lucidità?
Lascio la parola a Corrado Stajano (Corriere della Sera
del 28 marzo): «La verità storica e politica,
a ogni modo, è chiara. Sono ben documentati, con le
responsabilità della destra neofascista veneta, le
complicità e i depistaggi dei servizi di sicurezza
e soprattutto dell’Ufficio affari riservati».
Luciano Lanza
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Pierfrancesco
Favino (Pinelli) e Valerio Mastrandrea (Calabresi) validi
protagonisti del film
“Romanzo di una strage” |
Ivan Guarnieri
Quando si sono abbassate
le luci
C’era una gran folla in
attesa d’entrare in questo storico cinema milanese,
certo adatto all’evento, una scheggia dolorosa nella
storia di Milano, città Medaglia d’Oro della
Resistenza.
Tra le molte facce conosciute, del vecchio “Ponte della
Ghisolfa” di Piazzale Lugano 31 eravamo solo in due,
io e Luciano Lanza, perlomeno altri non ne ho incontrati.
Era comunque importante esserci, comunque fosse andata la
serata; sì, perchè noi eravamo presenti non
tanto per i contenuti storici, ormai ben conosciuti, ma in
quanto anarchici in obbligo di memoria particolare per il
nostro compagno Pino Pinelli, augurandoci che la pellicola
ci fosse di conforto nella ricostruzione della sua figura.
Certamente la grande tragedia della strage Piazza Fontana,
con le sue vittime ed il dolore che ha segnato profondamente
la memoria e le coscienze di parenti e cittadini responsabili
era ed è sempre presente come un tarlo, vista l’impossibilità
di una reale condanna di esecutori e mandanti, con la magra
consolazione di una verità storica accerata ma blindata.
Quando si sono abbassate le luci ed è iniziata la proiezione
del film non posso negare che in me le emozioni erano molto
forti ma non tali da compromettere una lettura interessata
e critica di quanto vedevo e sentivo. Direi che la storia
si snoda bene sugli eventi, forse con i tempi troppo stretti
per ogni singolo evento che riguardava gli anarchici, impedendone,
a mio avviso, una corretta comprensione, in particolare da
coloro che i fatti non li avevano conosciuti o vissuti (Pino
che caccia Valpreda dal Circolo Ponte della Ghisolfa, la surreale
riunione del gruppo 22 Marzo a Roma, con Valpreda, Merlino,
ecc..). Maggior spazio è stato dedicato alle trame
fasciste (diversi episodi con Giovanni Ventura, Giannettini,
Freda, ecc..), abbastanza comprensibili.
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Un
altro fotogramma del film di Giordana: l’interrogatorio
di Pinelli nell’ufficio del commissario Calabresi |
A proiezione finita, nel complesso si riesce sì a
capire che la strage era di di stato e che, ovviamente gli
anarchici erano innocenti ma… l’aver scelto di
seguire abbastanza scrupolosamente il contenuto del libro
di Cucchiarelli porta a degli errori propositivi tanto madornali
quanto, a volte, addirittura ridicoli per i troppi “fuori
luogo”. Stendendo un pietoso velo sulle “doppie”
borse-bomba, vera fantasia “deviata” ci sono delle
considerazioni (mie) da fare sugli attori/personaggi:
- ottima la figura di Pino, interpretata magistralmente ed
intensamente e valida quella di Licia Pinelli pessima quella
di Pietro Valpreda: ne risulta una figura di anarchico sempre
incazzato, con le bombe in testa e privo di idee veramente
anarchiche. Non è assolutamente vero perchè
il Pietro era molto preparato sui testi “sacri”
dell’anarchismo, ricordo, per esempio, che aveva fatto
interessanti ricerche sui contenuti libertari di vita sociale
in certe tribù ed era quindi a suo agio in qualsiasi
tipo di discussione, certamente con il suo punto di vista
sempre particolare e, questo sì, eccessivamente critico.
Tutt’al più poteva essere definito, alla milanese,
un “ganassa”.
- Molto buone le interpretazioni di tutte le figure dei fascisti
e di Aldo Moro ma assolutamente insufficienti i chiarimenti
sulle effettive responsabilità, trascurando completamente
quanto risultato dalle ultime indagini condotte da Guido Salvini.
- Calabresi: qui il discorso si fa complicato perchè
il “fil rouge” del film regge la sua figura quasi
fosse un poliziotto/santone imparziale e moschettiere del
bene contro il male, giungendo alla fine del film come in
una specie di beatificazione prima della sua uccisione. Assolutamente
non vero storicamente e scorretto nei riguardi di tutte le
vittime di Piazza Fontana ed in particolare per la memoria
del nostro compagno Pino Pinelli, morto ammazzato nel suo
ufficio della Questura di Milano. Non è vero che Pino
e Calabresi avevano un rapporto di quasi-amicizia! Quando
Pino parlava del Calabresi lo descriveva molto chiaramente
come un poliziotto pericoloso ed infido che le studiava tutte
per incastrare noi anarchici.
- Un’ultima annotazione riguarda la penosa interpretazione
di Enrico Rovelli (attore inadatto in tutti i sensi), la spia
al soldo dell’Ufficio Affari Riservati (nome in codice
Anna Bolena) che frequentava il Ponte della Ghisolfa. Questi
era l’unico vero “amico” di Calabresi, per
quanto possa esserlo una persona pagata come una prostituta
per fare il delatore. Frequentava non vuol assolutamente dire
che fosse militante al Ponte, infatti era presente per lo
più in occasione dei dibattiti che organizzavamo spesso
e non da militante del gruppo “Bandiera Nera”
attivo al Ponte. Non è vero che Calabresi gli chiese
di “collaborare” riportando notizie dall’ambiente
anarchico in cambio di favori per la licenza relativa all’avvio
della discoteca “Carta Vetrata” di Bollate, per
la quale Rovelli era a corto di soldi. È invece vero
che era a libro paga dell’Ufficio Affari Riservati già
da parecchio tempo, quando ancora non esisteva il Ponte e
lui comunque frequentava il precedente Circolo “Sacco
e Vanzetti”di viale Murillo 2, come attivista dell’allora
in voga movimento “provo”.
Ivan Guarnieri
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