dossier Georges
Brassens
La scena musicale
francese
di Elisa Sciuto
Le radici
della musica e della cultura di Brassens e degli altri cantautori
della sua generazione sono grandi e solide e affondano in
un terreno ricco di storia e di stimoli culturali. A partire
già dall'Ottocento.
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Quando
parliamo di chansonniers francesi o di chanson
d’auteur, stiamo in realtà facendo riferimento
a una tradizione culturale che ha radici molto profonde, penetrate
nella storia della musica francese fin dall’800, se
non addirittura molto prima.
La chanson d’auteur nasce all’interno
dei cabaret parigini del primo novecento, in opposizione alla
recessione culturale del café-concert. L’origine
del termine cabaret risale circa alla seconda metà
del quattrocento, ai tempi dei poeti francesi Villon e Rabelais
e si consolida intorno a metà ottocento, per indicare
luoghi di ritrovo antiaccademici, frequentati da scrittori,
artisti e intellettuali. Il café-concert invece, è
sia il tipo di spettacolo, costituito da un repertorio canzonettistico
leggero e di puro intrattenimento, sia, per estensione, il
nome dei locali nei quali queste rappresentazioni hanno luogo.
All’epoca della sua nascita quest’ultimo costituiva
una grande novità nell’ambito della partecipazione
collettiva al mondo artistico dello spettacolo, in quanto
la gratuità degli intrattenimenti e la tipologia di
performance favorivano il coinvolgimento di un pubblico variegato
e numeroso.
Successivamente, con il consolidamento dell’editoria
musicale e la fondazione della SACEM (Société
des auteurs, compositeurs et éditeurs de musique) nel
1851, viene imposta agli autori la creazione di musiche originali,
mentre fino all’avvento del café-concert essi
componevano i testi sulla base di musiche tradizionali già
esistenti. Con l’obbligo quindi di dover inventare ex
novo le canzoni per gli spettacoli, le quali saranno poi destinate
a occasioni di puro svago, gli artisti si trovano presto a
confezionare dei prodotti assai poco impegnativi, che aggiungano
a testi semplici, funzionali e per lo più insignificanti,
una musica orecchiabile e facile da memorizzare. Col tempo
inoltre, viene sempre più accentuato l’aspetto
di contorno a queste canzonette, fatto di miti, personaggi
codificati, costumi di scena e applausi a comando. L’obiettivo
è quello di creare un inventario sufficientemente ampio
di stereotipi, adatto a commuovere gli spettatori in tutte
le possibili direzioni.
Evoluzione
e affermazione della chanson d’auteur
Il progressivo inserimento
del sistema capitalistico all’interno del mondo della
canzone determina l’avvio al processo di standardizzazione
e mercificazione della chanson, la quale in questo
modo diventa portavoce dell’ideologia dominante e veicolo
del conformismo. È importante ricordare che l’Europa
si trova nel momento storico di maggior sviluppo di questo
nuovo sistema economico e che quest’ultimo comincia
ad agire e ad influire anche sul piano politico, sociale e
culturale; nonostante questo, già dagli anni ’70
dell’ottocento, a tale diffusione si oppongono, contrastandola,
altre concezioni di sistema economico-sociale e diverse correnti
di pensiero. Da Proudhon in Francia, ma anche da Marx e Bakunin,
vengono infatti proposte e teorizzate forme alternative di
riformismo, talvolta anche di carattere rivoluzionario, che
hanno come protagoniste le classi popolari, subalterne, o
addirittura, come nel caso del pensiero di origine anarchica,
gli esclusi e gli sfruttati.
Tuttavia, in un quadro che va acquisendo toni di compiacimento,
agiatezza e imborghesimento, è facile intuire come
alla tradizionale canzone di strada resti un campo d’azione
piuttosto sacrificato. La canzone militante infatti, che ne
rappresenta l’evoluzione moderna, ha una matrice culturale
di stampo popolare e nasce come prodotto delle antiche sociétés
chantantes, le quali costituivano a fine ottocento, il centro
propulsore di cospirazione e propaganda rivoluzionaria. Nel
corso dei decenni invece essa permane più o meno clandestinamente,
sotto forma di canzone politica e/o di protesta. Durante i
primi anni del novecento perciò, questa riuscirà
a sopravvivere unicamente al di fuori dei circuiti ufficiali
e in particolare la canzone anarchica, nata attorno al movimento
anarco-sindacalista, viene veicolata clandestinamente attraverso
pubblicazioni anonime.
Tornando quindi agli chansonniers, alcuni di loro
piuttosto che ancorarsi a un’inutile purezza fuori dai
giochi, scelgono la via del compromesso, impegnandosi a proseguire
una tradizione di gusto formale e impegno contenutistico senza
rifiutare categoricamente la nuova struttura commerciale della
canzone.
Già dalla fine dell’ottocento e fino al primo
novecento, personaggi come Aristide Bruant e Yvette Guilbert
svolgono un ruolo fondamentale nel mantenere alto il livello
qualitativo degli spettacoli dei café-concert, cercando
di diffondere l’eredità culturale e intellettuale
ereditata dai cabaret di Montmartre. Questi locali infatti
(il più celebre è Le Chat Noir) sono frequentati
da poeti, artisti, musicisti e attori e costituiscono un centro
di ricerca artistica e musicale opposta alla leggerezza del
café-concert; nel frattempo diventano anche ambienti
nei quali poter animare una cultura d’opposizione al
sistema attiva e consapevole.
In generale il repertorio degli spettacoli qui rappresentati
è costituito da interpretazioni e recitazioni in cui
la satira è lo strumento di espressione principale
e il carattere delle esibizioni è volutamente trasgressivo
e anticonformista. I temi proposti rappresentano gli scandali,
le difficoltà, la povertà e tutte le tensioni
sociali diffuse a quell’epoca, senza che vengano trascurate
ovviamente le occasioni da dedicare al divertimento e alla
romanza sentimentale.
Disagio
politico e sociale
È fondamentale la figura
di Aristide Bruant perché fra gli artisti attivi a
Montmartre è quello che più di tutti arriva
a caratterizzare le sue performance con elementi di profonda
innovazione e arricchimento. Egli infatti, essendo un abilissimo
interprete, riesce nonostante la sua condizione di benestante,
a cantare e interpretare quelle che in seguito verranno soprannominate
e riconosciute come “guerre dei poveri”. Sarà
lui a lasciare quindi l’eredità più preziosa
al genere della chanson d’auteur e alla figura dello
chansonnier. Grazie a Bruant la canzone di strada conquista
il palcoscenico, il pubblico borghese è desideroso
di conoscere e di sperimentare la brutalità dei sobborghi
parigini, ma sempre a patto che lo scenario resti fittizio
e costruito per l’occasione. In fondo insomma, il popolo
evocato resta inoffensivo, ancora molto lontano, come fosse
un mondo chiuso in sé stesso, rassegnato ed esaltato
semplicemente come luogo del proibito e del romanzesco. Dietro
al personaggio di Bruant invece, è celato un disappunto
profondo, una critica aspra e amara, rivolta indirettamente
a quello stesso pubblico che lo applaude.
Siamo ormai negli anni a cavallo tra le due guerre mondiali:
il disagio politico e sociale è crescente e di fronte
all’incapacità e all’inadeguatezza del
sistema nel sostenere una società in crisi, avanza
incessantemente la logica evasiva dell’intrattenimento,
che rafforza il clima di stordimento e spensieratezza.
La vita sociale e culturale di molti paesi europei (compresa
quindi la Francia) è caratterizzata da un disorientamento
di fondo e da una conseguente predisposizione da parte del
popolo ad affidarsi a qualcosa di rassicurante e scarsamente
impegnativo. Con queste premesse, acquisiscono sempre più
facilmente consenso e potere i movimenti nazionalisti e conservatori,
guidati strategicamente da una borghesia controrivoluzionaria
e antisocialista.
Accade così che anche il cabaret finisce con lo snaturare
la sua capacità alternativa e le nuove forme di spettacolo
importate dall’America prendono definitivamente il posto
degli intrattenimenti europei, ormai artigianali e obsoleti.
Il music hall, il dancing, la radio, il cinema e il teatro
di rivista infatti, più spaziosi, dotati di platea
numerata e a pagamento, sono decisamente più adeguati
ad accogliere le esigenze di massa e le nuove abitudini del
pubblico. Tra gli artisti, quello che incarna meglio il nuovo
clima è Maurice Chevalier, il quale, avendo debuttato
all’epoca dei primi café-concert, diviene in
seguito un celebre interprete di riviste, operette e soprattutto
di musical cinematografici.
Parallelamente, però, e sulla scia della svolta impressa
da Bruant, comincia a farsi strada un repertorio sociale concretizzatosi
in due correnti distinte: quella maggiormente significativa
della chanson réaliste e quella meno circoscritta,
caratterizzata da un contenuto più direttamente politico.
Il filone “politico”, sostanzialmente di scarso
rilievo, è costituito da profusioni liriche di propaganda
nazionalista e coloniale. La chanson réaliste invece,
vede nel mondo femminile le sue più grandi interpreti;
tra esse ricordiamo Fréhel e Damia quali prime e più
radicali esponenti, grazie alla loro vivida impronta attoriale,
mentre spiccherà in modo particolare e con maggior
successo Edith Piaf, la quale si colloca al culmine di questa
ricerca soprattutto in termini musicali, per quanto riguarda
invece il rapporto tra autore e testo ella raggiungerà
rispetto ai suoi contemporanei una maggiore personalizzazione
di quest’ultimo.
Nel frattempo, le iniziative assunte dalla destra francese
al governo del paese, acquisiscono una fisionomia sempre più
simpatizzante con i regimi fascista e nazista che nei primi
anni trenta conquistano il potere rispettivamente in Italia
e Germania. In particolare il tentato colpo di Stato da parte
dell’estrema destra francese, avvenuto nel febbraio
’34, serve da stimolo per un’alleanza tra le forze
di sinistra in seguito alla quale nasce la coalizione del
Front populaire. Quest’ultimo, presieduto da Léon
Blum, sale al governo nel maggio ’36 grazie a un ampio
consenso da parte del proletariato, il quale sarà protagonista
di una movimentata agitazione sociale (seppur intenzionalmente
pacifica).
La politica profondamente riformista del fronte infatti, contribuisce
a diffondere tra le masse popolari un clima di attese e di
speranze. Sul piano culturale però, mancano degli interpreti
in grado di incarnare adeguatamente questo clima di rinnovamento
e conseguentemente, anche un repertorio musicale di argomento
politico abbastanza significativo. Così, paradossalmente,
seppur lontanissima da preoccupazioni politiche, la musica
di Charles Trenet diventa l’espressione più vicina
al sentire della popolazione francese di questo periodo. Egli
infatti, discostandosi sensibilmente dall’artificiosa
joie de vivre delle riviste e di Chevalier, mette in musica
la vita reale e quotidiana, la concretezza delle questioni
sociali e riprende la cura del lessico e della struttura delle
composizioni. Riesce inoltre a liberare la musica dai sacrificati
confini entro i quali la semplicioneria di moda l’aveva
relegata, alternando e mescolando, al contrario, elementi
diversi (moduli jazz, valzer e tango); conferisce anche ai
testi una nuova personalità, arricchendoli di immagini
e giochi di parole, che contribuiscono a creare un effetto
surreale, nuovo e inconsueto per l’epoca.
Alcune delle canzoni più celebri di Trenet sono La
mer, Que reste-t-il de nos amours e l’Âme
des poètes, con le quali quindi, egli non punta
ad ottenere una pregnanza concettuale, ma che in compenso
gli permettono di inserirsi all’interno della storia
della canzone francese, con un ruolo significativo dal punto
di vista estetico; grazie a lui infatti, riacquista vigore
la figura dell’auteur-compositeur-interprète
che per qualche decennio era venuta meno e che ispirerà
in breve tempo la generazione del dopoguerra.
Gli anni a seguire sono purtroppo segnati dallo scoppio della
seconda guerra mondiale e in Francia nasce il governo collaborazionista
di Pétain. In un contesto simile, l’ondata di
ottimismo degli anni precedenti viene annientata nel giro
di poco tempo e con essa anche il profluvio di canzoni patriottiche.
Il genere di musica che riesce a circolare con maggiore facilità,
accanto alle consuete canzoni di regime, è ancora una
volta quello della canzone conformista (Maurice Chevalier
canta brani come Ça sent si bon la France
e La chanson du Maçon, se non a favore dell’ideologia
petainista, comunque di una certa ambiguità); altri
artisti invece, come Edith Piaf o Charles Trenet, continuano
la loro attività cercando di diffondere in qualche
modo un pensiero refrattario al regime.
A Londra intanto, nasce e trova sede la radio centrale dell’opposizione,
la quale vede come protagonisti attivi, alcuni esuli artisti
del periodo di regime di Vichy (dopo il crollo del quale torneranno
in Francia). Questi giovani, guidati in particolare da Pierre
Dac, il quale nel ’43 diventa animatore della trasmissione
francese su Radio Londres, divengono autori di feroci e surreali
parodie della propaganda tedesca e di altri brani o piccoli
componimenti satirici che in generale, svolgeranno un compito
molto importante. In questo momento infatti, i canti di protesta
erano sottoposti a una censura ferrea e repressiva da parte
del regime e potevano di conseguenza essere trasmessi e circolare
esclusivamente di bocca in bocca (uno di questi brani è
il celebre Le Chant des Partisans o Chanson de
Liberatión, diventato in seguito l’inno
ufficiale della resistenza).
La
figura dell’auteur-compositeur-interprète
nella sua chiave moderna
Quando nell’agosto del
1944 Parigi viene liberata, questa città apparirà
agli occhi del popolo francese come l’emblema dell’emancipazione,
il sogno di ricostruzione e di riscatto che finalmente prende
vita. Tra i giovani impera l’envie de vivre e gli artisti
della resistenza animano il clima di riconquista anche sul
piano culturale e intellettuale. Nel quartiere di Saint-Germain-des-Prés,
si riversa infatti il desiderio di ritrovare lo slancio perduto
e questo luogo diventa presto centro propulsore di nuove espressioni
artistiche.
Obliata precedentemente dal clamore delle canzonette, torna
con una nuova voce la canzone colta, quella che è frutto
della collaborazione tra musicisti e poeti, accomunati dalla
partecipazione al dissenso intellettuale. Nasce così
la chanson rive gauche, attraverso la quale grandi
artisti cominciano a cantare e interpretare brani di noti
letterati quali Sartre, Prévert, Cocteau e Aragon;
la musica acquisisce un’identità propria ed è
spesso costituita da un accompagnamento asciutto ma anche
valorizzato come sostegno al testo poetico. Viene abbandonata
la versatilità anonima dei generi e la strutturale,
sempre più fittizia antinomia tra varietà e
cabaret.
Gli artisti dovranno inoltre fare progressivamente i conti
con un ambiente e con un pubblico molto più esigenti
rispetto a quello totalmente accondiscendente del variété.
La scelta nell’elaborazione scenica degli spettacoli
costituisce un elemento indispensabile e determinante per
stabilire il successo e l’originalità del suo
interprete; e inevitabilmente, diventa imprescindibile, per
coerenza, dal genere di repertorio cantato. Saint-Germain
insomma, costituisce un luogo dedicato alla creatività
e alla sperimentazione, con un ruolo considerevole nella coltivazione
di personalità artistiche che lasceranno poi un’impronta
decisiva.
All’alba degli anni ’50 si colloca quindi l’esordio
di quegli auteurs-compositeurs-interprètes
che, dotati di coraggio e doti e abilità senza dubbio
eccezionali, rivestiranno un ruolo fondamentale per le complessive
influenze future.
Fra tutti, le esperienze di Léo Ferré e Georges
Brassens sono caratterizzate da un inizio difficile ma fortunatamente
tenace. Entrambi infatti impiegheranno diversi anni a raggiungere
una posizione stabile e una notorietà commisurata al
loro impegno. Ferré in particolare, fin dai suoi primi
indiretti approcci con l’ambiente di Saint-Germain,
trova quasi impossibile adeguarsi allo stile rive gauche:
è ritroso di fronte al compromesso dello sfruttamento
da parte dei locali e in più, il rapporto con un pubblico
“difficile” al quale egli non riserva alcun tipo
di cerimonia, gli costerà un lungo periodo di quasi
anonimato, o il riconoscimento tutt’al più, attraverso
le interpretazioni di altri.
Inizialmente egli affida le sue canzoni all’esibizione
di artisti già affermati, quando invece si esibisce
personalmente, i suoi brani sono più profondi e curati
nel contenuto e nel testo ma totalmente privi di sostegno
e arricchimento “di contorno”. Il suo stile irriverente,
la noncuranza in fatto di presenza scenica, uniti alla dichiarata
simpatia per il movimento libertario, lo costringono entro
l’immagine di un eccentrico, anarchico e intrattabile,
in realtà probabilmente, ancora incompreso. Dopo la
metà degli anni ’50 invece, l’esercizio
di levigazione e il raggiungimento di una forma espressiva
autentica, spontanea, ma nel contempo di grande efficacia
comunicativa, consegnano a Ferré un maggiore consenso
e di conseguenza, una maggiore consapevolezza dei suoi obiettivi.
Questo gli permette di trovare un proprio personale linguaggio,
lontano, per convinzione profonda, dal compromesso e dalla
logica del successo ad ogni costo.
Diversa è invece l’esperienza di Georges Brassens,
caratterizzata da una maggiore e sostanziale bonomia e da
una disposizione di fondo molto meno trasgressiva. Le sue
canzoni sono proposte in forma di eleganti ballate e anche
l’espressione di maggior violenza concettuale è
sempre calata dentro a un’ambientazione esopica, distaccata
e priva di animosità o di eccessi. Ne è un esempio
emblematico il fatto che nei suoi brani, la soluzione farsesca
costituisce frequentemente l’unica vera e possibile
via d’uscita.
Teniamo presente che ormai siamo nel periodo di protagonismo
quasi assoluto della casa discografica, la quale, nonostante
le notevoli scottature, favoriva ampiamente la popolarità
dell’auteur-compositeur-interprète come figura
universalmente riconosciuta. I discografici investono infatti
su questa figura in quanto “prodotto” autenticamente
nazionale, contrapposto alla moda americana che ha come espressione
musicale il twist e il rock’n’roll e che dilaga
a metà degli anni ’60 anche in Europa.
Sulla scia di Brassens e Ferré quindi, altri chansonniers,
quali Jacques Brel e Charles Aznavour, si affacciano sulla
scena musicale francese, ciascuno con le sue personali caratteristiche,
ognuno con le proprie inclinazioni, ma sempre accomunati da
un intento di denuncia della meschinità e da un senso
di profonda solidarietà per i diversi e gli emarginati,
non senza dichiarazioni (a volte anche scomode o rischiose
proprio perché non stereotipate) di antimilitarismo
e anticlericalismo.
In generale dunque, questi chansonniers proseguono ideologicamente
la tradizione della vecchia canzone di strada, ma pragmaticamente
si trovano calati all’interno di un contesto completamente
nuovo, nella realtà moderna, commerciale e industrializzata.
Diventano insomma professionisti dello spettacolo, chiamati
a scontare in qualche modo la distanza dalle masse e la concorrenza
dei prodotti canzonettistici disimpegnati. Da questo derivano
alcune importanti caratteristiche comuni che traspaiono poi
anche nelle loro canzoni, quali la messa in discussione del
proprio ruolo di “idoli” e la tendenza a forme
di auto isolamento a volte elitario, o di anarchismo di stampo
individualista; sono inoltre accomunati nella maggior parte
dei casi, dall’uso di un modello critico privo di riferimenti
specifici, quindi talvolta atemporale, stilizzato o simbolico.
A questo proposito è utile porre l’accento, da
un lato sulla scelta provocatoria ma coerente di Jacques Brel,
che nel ’67 abbandona risolutivamente il mondo della
canzone per non restare ingabbiato in un arido cliché;
e dall’altro su Georges Brassens, il quale, svettando
fra tutti qualitativamente, offrirà un contributo molto
personale alla diffusione di una logica pacifista e anticonformista,
in nome di un individualismo profondo, radicato e integrale.
Elisa Sciuto
1
Le sillabe giuste sulle note giuste
Per mettere delle parole
su una musica, e per trovare una musica, serve una specie
di dono. Anche se si scrivono delle stupidate, anche in
quel caso serve il dono di mettere le tre sillabe che
servono sulle tre note giuste. Non riesco a spiegarlo
meglio di così. Si può essere incapaci,
essere quasi analfabeti ma avere il dono di mettere le
sillabe giuste sulle note giuste. Ed è questa l'arte:
un'arte molto particolare. Si può essere dei geni
e non esserne capaci. O essere senza talento, ma invece
avere quel talento, quello di dire "ti amo"
al momento giusto. |
2
Questo è il criterio
Scrivo con la chitarra
in mano o al pianoforte, quando metto giù le parole.
E cerco... fino a che...
E scrive tutte
le note?
Non scrivo proprio niente. Registro su una cassetta. Registro
così. E faccio sette o otto musiche per ogni canzone.
Non ne faccio una sola. E quella che regge più
a lungo è quella che conservo. Quella che dopo
essere stata ripetuta cento volte mi piace ancora. O non
mi dispiace troppo. Questo è il criterio.
|
I
testi di qualche canzone |
Le
pornographe
........
Autrefois, quand j'étais marmot,
J'avais la phobi’ des gros mots,
Et si j' pensais «merde» tout bas,
Je ne le disais pas...
Mais
Aujourd'hui que mon gagne-pain
C'est d' parler comme un turlupin
Je n' pense plus «merde», pardi!
Mais je le dis.
J' suis l'
pornographe,
Du phonographe,
Le polisson
De la chanson. |
Il
pornografo
........
Una volta, quando ero marmocchio,
avevo la fobia delle parolacce,
e se pensavo «merda» fra me e me,
non lo dicevo...
ma
oggi che, per portare a casa la pagnotta,
parlo come un buffone,
non penso più «merda», perdinci!,
ma lo dico
Sono il pornògrafo
del fonògrafo
il monellaccio
della canzone. |
Les
trompettes de la renommée
.........
Je vivais à l'écart de la place publique,
Serein, contemplatif, ténébreux, bucolique...
Refusant d'acquitter la rançon de la gloir',
Sur mon brin de laurier je dormais comme un loir.
Les gens de bon conseil ont su me fair' comprendre
Qu'à l'homme de la ru' j'avais des compt's à
rendre
Et que, sous peine de choir dans un
(oubli complet,
J' devais mettre au grand jour tous mes petits secrets.
Trompettes
De la Renommée,
Vous êtes
Bien mal embouchées! |
Le
trombe della notorietá
........
Vivevo lontano dalla pubblica piazza
sereno, contemplativo, tenebroso, bucolico...
Rifiutando di pagare il prezzo della gloria:
sul mio ramoscello di allora dormivo come un ghiro
I dispensatori di buoni consigli hanno saputo farmi intendere
che all’uomo della strada dovevo rendere conto
e che, per non correre il rischio di essere
[completamente dimenticato,
dovevo mettere alla luce del sole tutti i miei piccoli
segreti.
Trombe
della notorietà
siete
proprio male imboccate! |
Supplique
pour etre enterré à la plage de Sète
........
Et quand, prenant ma butte en guise d'oreiller,
Une ondine viendra gentiment sommeiller,
Avec rien que moins de costume,
J'en demande pardon par avance à Jésus,
Si l'ombre de sa croix s'y couche un peu dessus
Pour un petit bonheur posthume. |
Supplica
per essere sepolto alla spiagga di Sète
........
E quando, usando la mia collinetta a mo’ di cuscino,
un’ondina verrà a sonnecchiare tranquillamente
con meno di niente per costume,
chiedo perdono in anticipo a Gesù
se l’ombra della mia croce vi si coricherà
un po’ sopra
per un piccolo piacere postumo. |
|
|