Laila –
Tonton Georges. Uno zio dal volto bonario, una foto nell'album
di famiglia, una voce amichevole. Quando incontrai Brassens
per la prima volta avevo dieci anni. Mia madre aveva ricevuto
per il suo compleanno l'opera omnia, 15 cassette audio. capii
dal suo entusiasmo che non si trattava solo di musica. Il
pacchetto regalo conteneva qualcosa di molto più prezioso
ed esaltante e stuzzicò infinitamente la mia curiosità.
La prima canzone che imparai a memoria fu “Hécatombe”,
storia di massaie al mercato che litigano per questioni di
cipolle. L'arrivo dei gendarmi riconcilia immediatamente le
casalinghe e scatena una battaglia deliziosamente epica che
ridicolizza l'autorità a colpi di panni, tette e chiappe.
Le parole “mort aux vaches”, “morte agli
sbirri” entrarono così a far parte del mio lessico,
insieme ad altre cento espressioni, metafore, , locuzioni
gergali (verificato: argotismo in italiano non esiste!) riferimenti
mitologici, arcaismi.. Scoprii col tempo una visione che sentivo
mia senza saperla definire: un'orticaria verso ogni forma
di imposizione, un attaccamento alla libertà. Ebbi
a disposizione un'altra quindicina d'anni per approcciarmi
a una visione del mondo profonda e ironica, a una poesia insospettata...
e per imparare buona parte del contenuto delle cassette.
Un
compagno di vita
Qualche anno fa, ero arrivata
in Italia da pochi mesi, durante un'allegra serata di canti
e vino, chiesi timidamente se qualcuno conoscesse delle canzoni
francesi. Saltò fuori un intero faldone di canzoni
di Georges Brassens. Cantammo sino all'alba. Il chitarrista,
Lorenzo, cantava e conosceva Brassens non tanto perché
parlava la mia lingua. Aveva imparato il francese proprio
per poter capire e cantare i testi brassensiani.
Lorenzo –
anche nel mio caso è una storia di famiglia. Il francese
incontrato a scuola – facevo ragioneria – era
quello non proprio poetico delle lettere commerciali. Tutto
ciò che esulava dalla vuota formalità dei “Mr
le Président” mi era completamente ignoto. Ma
le canzoni di Brassens le avevo incontrate senza saperlo già
nei primi anni di vita: in casa, o nell'auto di famiglia,
c'era sempre qualche cassetta di Nanni Svampa. Il milanese
lo capivo benissimo perché mio nonno Eugenio parlava
in dialetto stretto e io restavo ore ad ascoltarlo, incantato
dalla sua musicalità. Per questo nel mio immaginario
alcune storie inventate da Brassens per me saranno sempre
ambientate all'Ortiga o a Lambrà. Poi, nell'adolescenza,
l'idolatria per Fabrizio de André (la fortuna di avere
genitori che ascoltano buona musica...), la scoperta di alcune
assonanze con i canti della mia infanzia, la curiosità
per quel personaggio misterioso che addirittura il mio idolo
considerava un maestro! Il cerchio si chiuse quando mio padre
Alberto, di ritorno da Parigi, portò tre cassette di
quella stessa raccolta della Philips. Fu una vera e propria
folgorazione: il francese, quel francese, era un distillato
di poesia, quelle parole erano musica. Imparare a cantarle,
per il puro piacere di farlo, fu un imperativo categorico.
Scoprii alcune meraviglie nascoste tra le pieghe di quei versi,
perle che potevano essere pienamente godute solo nella lingua
originale e mi diedi da fare per imparare il francese, quel
francese. Raccolsi tutti i testi che man mano imparavo in
un faldone, ma continuai a cantarmele per conto mio finché
Laila non mi diede l'occasione per condividerle.
Laila –
Non era solo il piacere di cantare e suonare Brassens insieme,
c'era qualcosa di più: la condivisione di un immaginario
profondamente libertario, privo di ideologia, il gusto per
la satira beffarda e per le storie truculente. Come non subire
il fascino di chi è in grado di parlare della tua vita
molto meglio di te?
Lorenzo –
e come non approfittare di versi così perfetti per
esprimere un desiderio che non può essere detto? Cantare
insieme “La non demande en mariage” (“La
non domanda di matrimonio”) ci aiutò a capire
noi stessi e a precisare un tipo di relazione che ci calzava
a pennello, senza bisogno di altro. Come avremmo potuto spiegarcelo
altrimenti?
Laila –
Da allora, non abbiamo mai smesso di cantare Brassens, in
francese, tradotto in italiano da De André, Amodei,
Patrucco, Lega e in milanese da Svampa... una presenza costante,
una complicità stretta, una strada da condividere,
una profonda goduria.
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Milano,
Circolo ARCI – Cantando Brassens |
Invitare
Brassens in Scighera
Laila –
Estate 2011. Si avvicinava un doppio anniversario: 22 e 29
ottobre, 30 anni dalla morte, 90 anni dalla nascita. In Francia
la ricorrenza veniva già celebrata in ogni modo e forma.
Alla Cité de la Musique, un'intera mostra era dedicata
al cantautore baffuto. Concerti, spettacoli, omaggi vari fiorivano
ovunque. L'Italia invece sembrava ignorare quello che De André
aveva chiamato maestro.
Come spesso accade, le buone idee nascono da un bisogno personale,
dalla volontà più o meno nascosta di soddisfare
i propri desideri. Cosi fu per la rassegna Ridendo sotto
i Baffi.
C'era un gran bel sole sul terrazzo di casa mia a Pellafol.
Lorenzo e io tornavamo dal Festival di Granara (villaggio
ecologico in provincia di Parma) dove avevamo passato intere
notti a ripassare il repertorio di Brassens intorno al fuoco
sotto gli alberi del bosco, sempre colpiti del suo anticonformismo
innato e potente proprio perché privo di moralismo.
Brassens continuava ad accompagnarci ben al di là delle
sue canzoni per il suo modo pragmatico di guardare la vita,
l'amore libero, la morte, la società.
Fu subito chiaro: Georges doveva essere l'ospite della Scighera,
per un'intera settimana. Volevamo un omaggio semplice all'altezza
del personaggio, di sicuro non una celebrazione pomposa e
retorica. Non puoi invitare a cena il più (schivo?)
dei tuoi parenti e accoglierlo con una fanfara e un discorso
ufficiale. Più che un messaggio sentivamo l'esigenza
di portare una modalità di pensiero. Insomma, possiamo
essere profondamente rivoluzionari parlando del quotidiano?
Come fare politica partendo dalle cose così piccole
da sembrare insignificanti, dalle azioni, prassi, emozioni
e sentimenti che compongono le nostre vite, i nostri progetti?
Brassens non smetteva di dimostrarci che è possibile...
L'idea fu quindi di portare le sue storie, la sua poetica
e sopratutto l'immaginario del maestro che odiava le cattedre,
dell'idealista che rifiutava le ideologie, dell'anarchico
schietto e viscerale che irrideva i dogmi. In una parola:
volevamo invitare Brassens, il libertario.
Appunto. Un curioso aneddoto ci tornò in mente. Francia,
2011: un uomo viene fermato dalla polizia per aver cantato
i versi di una vecchia canzone chiamata Hécatombe.
La notizia circola e nei mesi successivi in tutta la Francia
le forze dell'ordine si sentono apostrofare coi versi ferocemente
ironici di quella stessa canzone.
Come può una canzone scritta da Brassens 58 anni fa
infastidire a tal punto il potere e tenere sveglie le coscienze?
Come può un'opera prodotta a metà del 900' essere
cosi attuale? Gli eventi che avremmo proposto in Scighera,
i numerosissimi ospiti, il pubblico stesso ci avrebbero aiutati
a rispondere a quelle domande, e soprattutto... a riderci
sopra.
Lorenzo – Già prima dell'estate,
senza ancora un'idea precisa della rassegna, avevamo cominciato
a contattare alcuni artisti che via via confermarono la loro
presenza. Alessio Lega, l'artista che ha praticamente tenuto
a battesimo la Scighera; Nanni Svampa e Fausto Amodei in qualità
di interpreti e traduttori storici; Giangilberto Monti, che
oltre ad aver contribuito all'ideazione dell'intero percorso,
proponeva una storia della canzone d'autore francese con Alberto
Patrucco e Andrea Mirò. I grandi nomi c'erano. Cosa
mancava? Mancavano i momenti nostri, quelli più intimamente
“scigheriani”. Noi non siamo solo organizzatori
di eventi, questo progetto va ben oltre la gestione di uno
spazio. E poi un atto d'amore si fa in prima persona, non
può essere unicamente delegato a dei portavoce, per
quanto rappresentativi; le canzoni di Georges Brassens echeggiano
spesso nelle nostre sale, dalla sua stessa voce o dalle nostre,
perché ciò che ha cantato, e come ha vissuto,
rappresenta un modello per molti di noi. Così abbiamo
pensato di utilizzare due delle formule che i nostri soci
hanno ormai imparato a conoscere: il radio-spettacolo e la
cantata collettiva.
Radio
Bandita presenta: Georges Brassens l'ecatombe del conformismo
Per una web radio fatta in
casa non è facile raggiungere molti ascoltatori: i
limiti di banda non consentono troppe connessioni simultanee.
E così qualche anno fa Radio Bandita, storica emittente
web milanese, iniziò a sperimentare la formula del
radio-spettacolo, un evento trasmesso unicamente per un pubblico
presente fisicamente nel luogo dell'emissione. Cosa resta
della radio vera e propria? Il ritmo, il linguaggio, la preminenza
del suono su tutto il resto, il formato. E naturalmente il
prodotto finale: un file audio che chiunque può scaricarsi
ed ascoltarsi in differita. Anche se la suggestione della
diretta è tutta un'altra cosa....
Così la conduzione impostata su un modello radiofonico
è diventata un po' la cifra stilistica di molti eventi
che si sono svolti in questi anni alla Scighera, progetto
in cui peraltro la redazione di Radio Bandita ha avuto un
ruolo determinante.
Il radio-spettacolo non è solo casalingo, ma è
anche rigorosamente auto-prodotto e a chilometro zero, nel
senso che tutti gli ingredienti provengono dall'ormai vasto
e ramificato mondo degli artisti che gravitano attorno alla
Scighera: membri del collettivo di gestione o di una delle
tante commissioni, professionisti dello spettacolo che hanno
instaurato un rapporto solidale con il progetto, oppure semplicemente
amici, assidui frequentatori, mosconi da bancone. Insomma
gente che condivide profondamente l'esigenza di liberare le
relazioni umane da imperativi di tipo economico-produttivo.
Dopo le note di Hécatombe, canzone-simbolo
di tutta la rassegna, parte la sigla di Radio Bandita. Manco
a dirlo, un motivo di Brassens in chiave jazz; a Giucas, Marcolfo
e Patchinko, rispettivamente il fondatore e due storici collaboratori
dell'emittente, il compito di presentare e miscelare gli ingredienti,
a cominciare dalle canzoni, che sono ovviamente il piatto
forte: Marta Marangoni e Fabio Wolf si occupano delle traduzioni
in milanese, il duo Tez (Laila Sage e Lorenzo Valera) delle
versioni originali in francese, Gianglberto Monti propone
una rivistazione de “Le gorille” (“Il gorilla”),
mentre al gruppo di canto popolare Voci di Mezzo sono affidate
le traduzioni in italiano di Fabrizio de André, i cui
testi vengono distribuiti all'ingresso in modo che tutti possano
cantare. E tra una canzone e l'altra spunta la voce di Tonton
Georges che racconta di sé, della sua vita da “monaco
licenzioso”, della sua timidezza e di come compone le
sue canzoni; su uno schermo montato dietro al palco scorrono
i sottotitoli in italiano delle interviste originali, tradotte
da Silvia Giacomini, e delle canzoni in francese; due attrici,
Giulia Viana e Chiara Zerlini, interpretano brani della famosa
intervista di André Sève a Georges Brassens
e alcune traduzioni letterarie di Svampa e Mascioli. Su una
di queste, “La complainte des filles de joie”
(“Il lamento delle ragazze di vita”) Elena Dragonetti
e Adriana dell'Arte (Minima Teathralia) improvvisano una performance
di danza contemporanea; Marcolfo (alias Oscar Agostoni) del
collettivo artistico Baravaj si stacca dal microfono per imbracciare
il pupazzo Mario e rivisitare “La mauvaise herbe”
(“L'erba cattiva”) con un monologo che ribalta
completamente la prospettiva della canzone originale, spostando
il punto di vista negli occhi della “gente per bene”
e lasciando tutti a bocca aperta. Anche la scenografia, che
ricorda l'ambiente povero ma dignitoso di un bistrot parigino
degli anni Cinquanta, è frutto di un lavoro collettivo:
a disseminare la scena di elementi cari all'immaginario brassensiano
(una pipa, un gatto che occhieggia da una finestra, una chitarra,
pile di libri) ci ha pensato l'autoproclamato Atelier Scighera,
gruppo di ex-allieve dei corsi di taglio e cucito creativo
tenuti da Nadia Gozzini.
Insomma, un delirio, con una scaletta che avrebbe potuto durare
una nottata intera ma che siamo stati costretti a sforbiciare
pesantemente prima di incorrere nello sfinimento, nostro e
del pubblico. Però che bel delirio...
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Lorenzo
Valera e Laila Sage |
Brass-Brunch:
cantata libera brassensiana
Niente palchi o microfoni,
fotocopie con i testi per tutti: la “cantata collettiva”,
o “cantata libera”, è l'altra formula che
caratterizza molti degli eventi della Scighera. La prima volta
fu il 10 agosto del 2006, in occasione dell'anniversario dell'eccidio
di piazzale Loreto. Il comunicato era piuttosto laconico:
“Il coro Voci di mezzo propone canti della Resistenza
allargando l'invito ad altri cori e musicisti, e a chiunque
abbia voglia di esserci per cantare assieme o ascoltare”.
D'altra parte, essendo pieno agosto, pensavamo di cantarcela
tra di noi. Invece il circolo, che aveva aperto solo tre mesi
prima, fu letteralmente preso d'assalto da gente di tutte
le età che aveva voglia di cantare. Da lì in
poi la cantata partigiana divenne un appuntamento fisso il
10 agosto e il 25 aprile, con laboratori di canto nei giorni
precedenti per allargare il repertorio a canti meno noti dei
soliti “Bella Ciao” e “Fischia il vento”;
nei primi giorni di gennaio a volte c'è quella dedicata
a de André, più alcuni appuntamenti spot dedicati
ai canti anarchici e anticlericali.
La formula è semplice ma la riuscita non è per
nulla scontata; far cantare una sala gremita da oltre duecento
persone, pochissime delle quali abituate a cantare in coro,
con un risultato minimamente soddisfacente anche dal punto
di vista dell'ascolto non è facile. Per questo c'è
un gruppo, le Voci di Mezzo, che nel corso degli anni ha affinato
la capacità di trainare le cantate collettive.
Tornando alla rassegna su Brassens, una parte di cantata collettiva,
le traduzioni in italiano di Fabrizio de André, era
presente nel radio-spettacolo, ma era decisamente troppo poco
per soddisfare le aspettative di un pubblico ormai abituato
a far sentire la propria voce. Così abbiamo deciso
di aggiungere un ulteriore appuntamento alla rassegna: un
“Brunch con cantata libera. Le canzoni di Brassens
ai tavoli dell'osteria, nella lingua o dialetto che preferite,
accompagnate dall'appetitoso brunch domenicale della Scighera.
Chi ha uno strumento musicale e dei testi li porti!”.
Seguivano i link per scaricare testi e spartiti delle canzoni
di Brassens in francese e tradotte.
Il risultato è stato un pomeriggio
estremamente piacevole, un'isola di puro godimento, rilassato
e conviviale, nel bel mezzo di una tre giorni che per molti
di noi è stata molto impegnativa dal punto di vista
organizzativo. Intanto il fatto che Fausto Amodei e Antonio
Mastino (l'ottimo chitarrista di Nanni Svampa), reduci dal
concerto della serata precedente, abbiano partecipato a questo
momento è stata una bella sorpresa per tutti noi. Ci
siamo cantati Brassens in lungo e in largo per diverse ore,
quando un chitarrista si stancava ne saltava fuori un altro
o si aggiungeva una fisarmonica, spaziando dal francese, all'italiano,
allo spagnolo, al milanese e al piemontese. Ma quello che
si è veramente suonato tutto dalla prima all'ultima
nota è stato proprio Mastino, che di lì a poche
ore sarebbe tornato sul palco con Nanni Svampa. D'altra parte,
per usare le parole di Amodei: “quando si tratta di
Brassens, non ci sono limiti all'impegno...”.