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La Federazione Anarchica Italiana è stata fondata a
Carrara appena finita la seconda guerra mondiale. Centinaia
di militanti anarchici, rispuntati dall’esilio, dalla
clandestinità, dal partigianato, alcuni dalle carceri,
ecc. si incontrarono nella città-simbolo dell’anarchismo
di lingua italiana per dar vita a quella che fu per un ventennio
la “casa” della quasi totalità degli anarchici
di lingua italiana. Alcuni gruppi, alcune individualità
preferirono restarne fuori e questo non ha mai costituito un
problema, proprio per lo spirito libero e libertario che da
sempre caratterizza l’associazionismo degli anarchici.
Poi dissensi proprio sulle modalità organizzative, nuove
sensibilità nate soprattutto a partire dal ‘68
e altri fenomeni hanno progressivamente portato la FAI ad essere
una delle componenti del movimento anarchico, seppure di sicuro
la più longeva e la più “grande”.
Tra l’altro la FAI gestisce il settimanale Umanità
Nova che esce regolarmente dal 1945, ricollegandosi non
solo in via ideale al quotidiano fondato da Errico Malatesta
nel febbraio 1920 a Milano e durato per quasi tre anni, fino
all’epoca della marcia su Roma (ottobre 1922). E ci piace
ricordare che anche durante il fascismo, clandestinamente o
all’estero, qualche numero di Umanità Nova
non mancò di squarciare il totalitarismo.
La FAI per noi è questa: la Federazione Anarchica Italiana,
con la quale da sempre abbiamo ottimi rapporti, evidenziati
anche dal fatto che tra i nostri collaboratori più costanti
e significativi alcuni siano militanti di quell’organizzazione:
innanzitutto Massimo Ortalli, che per noi di fatto
è un redattore di questa rivista. E poi Maria Matteo,
Antonio Cardella e altri ancora.
Noi di “A” non siamo militanti della FAI. Quando
“A” nacque oltre 40 anni fa, la redazione era composta
quasi esclusivamente da militanti dei Gruppi Anarchici Federati,
un’organizzazione prevalentemente giovanile che poi si
esaurì nella seconda metà degli anni ’70.
In quanto tale, però, la rivista non ha mai fatto riferimento
esclusivo a una “componente” dell’anarchismo
organizzato, in una tradizione di apertura che in Italia è
caratteristica prevalente delle varie testate, a partire proprio
da Umanità Nova che pur essendo “della
FAI” è sempre stata aperta.
Che se ne faccia parte o no, questa è la FAI, la nostra
FAI.
Da qualche tempo ce n’è un’altra in giro,
che vigliaccamente utilizza lo stesso acronimo, ma la cui ultima
lettera sta per “informale” invece che “italiana”.
Si tratta di un’operazione sporca, che sia opera di “compagni”
o dei servizi segreti o di chi altro. Sporca, comunque. È
grazie a questa scelta (provocatoria, si sarebbe detto
in altri tempi) che in queste settimane i mass-media si permettono
di ripetere che la FAI gambizza, la FAI ha imboccato la strada
della lotta armata, la FAI... Senza nemmeno più il pudore
o l’attenzione di dire la FAI informale.
Abbiamo seguito su “A” fin dall’inizio le
gesta di questi informali, il loro uso della violenza, fisica
e verbale. Li abbiamo seguiti e li seguiamo con l’attenzione
e la preoccupazione che meritano, come ogniqualvolta si vuole
confondere l’anarchismo con la violenza, il terrorismo,
la vendetta, ecc. Abbiamo attraversato gli anni ’70 e
’80, stimolando dibattiti, approfondendo, discutendo,
ma soprattutto marcando per quanto possibile il baratro che
ci divide da chi – in qualsiasi luogo, dal Potere ai movimenti
– ritiene che violenza e anarchia facciano rima. Non fanno
rima. A meno di stravolgerne il senso.
Come fanno gli informali con sigla FAI.
la Redazione di “A”
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