Lei è sociologa e attiva da anni per i diritti
civili dei transessuali, è il vice presidente del Movimento
Identità Transessuale. Come nasce questo impegno sociale
e politico?
Nasce fondamentalmente perché sono io, in prima persona,
che vivo l’esperienza, in quanto sono una persona transessuale.
Ho una laurea in sociologia, sono da tempo impegnata nella
battaglia per i diritti civili non solo dei transessuali ma
in generale, proprio per i diritti civili. Per cui mi sono
ritrovata a lavorare, a Bologna, in questa associazione che
ha messo su un servizio molto importante per le persone transessuali
offrendo tutta una serie di servizi che vanno dalla salute,
al lavoro, alla cultura. Noi ad esempio gestiamo un consultorio
per la salute delle persone transessuali, finanziato dalla
Regione Emilia Romagna, in collaborazione con la ASL e l’Università
di Bologna.
Diciamo che mi sono ritrovata in questo meccanismo e ne sono
stata letteralmente assorbita, c’ho messo la mia passione,
la mia vita.
Il vostro movimento (che prima si chiamava “Movimento
Italiano Transessuali” e poi è diventato “Movimento
Identità Transessuale”), è una realtà
solo bolognese o ha un respiro nazionale?
È una realtà nazionale che ha la sua sede e
il suo centro a Bologna. L’associazione esiste anche
nelle altre città ma non ha centri, sedi, quindi per
i servizi che offre tutti fanno riferimento a Bologna. Però
facciamo degli interventi anche altrove, cercando di appoggiarci
ad altre associazioni. Vorrei però dire qualcosa sul
cambio di nome: il MIT nasce nel 1979 come Movimento Italiano
Transessuali. Col passare del tempo, con una realtà
che nel frattempo è mutata, abbiamo ritenuto opportuno
cambiare quell’ “italiano”, che un po’
ci stava stretto, nel senso che le transessuali erano cominciate
ad arrivare un po’ da tutto il mondo qui da noi, allora
l’abbiamo trasformato in “identità”,
togliendo “italiano” ma senza cambiare l’acronimo.
Passando a Fabrizio De André, il suo ultimo
album, Anime Salve, inizia con “Princesa”,
il cui protagonista è un transessuale. Lei come reagì
quando uscì questa canzone?
Io conoscevo proprio Princesa, cioè Fernanda, la protagonista
della canzone. L’ho conosciuta a Roma, quando vivevo
ancora lì, nella pensione dove lei viveva e dove poi
successe il “fattaccio” (1),
l’aggressione alla proprietaria della pensione. Quando
è uscita la canzone ho reagito bene. Anzitutto perché
io ho sempre amato De André, mi ha accompagnato sempre,
è stata la colonna sonora della mia vita: ho quarantotto
anni e quindi appartengo proprio alla generazione che è
cresciuta con De André.
All’epoca avevo già letto il libro su Princesa
(2), quello della casa editrice “Sensibili
alle Foglie”. Il libro m’era piaciuto, era interessante,
però in realtà non aveva aggiunto niente di
nuovo a quello che già sapevo. Ci potevano essere dei
lavori anche più interessanti rispetto alla tematica
transessuale. La canzone di De André invece è
stata la classica ciliegina sulla torta, ha dato poesia ad
una realtà che molto spesso non è poetica, anzi
è una realtà problematica, fatta di disagi.
Quindi De André, con Princesa, ha dato proprio
il sale alla situazione.
A me l’uscita di un nuovo disco di De André ha
fatto sempre piacere, lo aspettavo. Quando ho trovato Princesa
in Anime Salve non mi ha stupito più di tanto,
conoscendo già la poetica di De André, gli argomenti
che lui trattava e che a lui piacevano, però me lo
sono sentito molto più vicino.
La canzone fu poi inserita nella scaletta della tournée
del 1998. In questi concerti De André presentava questa
canzone in modo pacato ma esplicito e parlava delle sofferenze,
dei dolori dovuti all’emarginazione che essere transessuali
comporta. Che reazione c’è stata da parte sua
e della comunità transessuale a questo atteggiamento
così esplicito da parte di un artista così famoso?
In certi ambienti, che definirei più intellettuali,
se n’è parlato molto. A livello di trans che
frequentano il nostro centro forse se n’è parlato
un po’ di meno. La cosa è stata presa con piacere
ma senza poi approfondire più di tanto, senza commentare
rispetto alla positività o meno della canzone. Io comunque
l’ho trovata una cosa molto bella, fatta da un cantautore
che era già molto popolare, anche se forse bisogna
dire che De André era apprezzato da un pubblico particolare,
cioè quel pubblico che già è preparato,
che già conosce i temi dell’emarginazione, sa
del conformismo, del moralismo, dell’ipocrisia che ci
sono in una certa società. Quindi forse la canzone,
da quel punto di vista, non ha neanche sorpreso più
di tanto il suo pubblico. Ha sorpreso invece noi, perché
ha messo l’accento sul transessualismo e l’ha
messo molto, molto bene, toccando dei punti che non è
da tutti affrontare con quella sensibilità. Qui riconosco
la grande capacità poetica di De André, perché
lui ha toccato dei punti che, per chi non è dentro
all’esperienza, era difficile che venissero fuori.
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Porpora
Marcasciano |
Anticonformismo genuino
Sempre presentando le canzoni di Anime Salve
De André diceva che quelli come Princesa, difendendo
il diritto di assomigliare a se stessi, in fondo senza far
del male a nessuno, difendono la libertà. Qui c’è
un bel ribaltamento di valori. Le cosiddette minoranze emarginate
diventano quelle che ci salvano dalle maggioranze omologate.
Lei che ne pensa?
Non posso che essere profondamente d’accordo. Io nella
vita mi occupo dei diritti civili di una minoranza emarginata,
una minoranza violentata, concedetemi il termine. E credo
che proprio la cultura, la voce, la parola delle minoranze,
quella parola che viene sempre negata, è proprio quella
che da ricchezza a una società. Credo che più
una società è aperta e pronta ad ascoltare tanto
più quella società è libera e grande.
Quando dico “grande” intendo una società
matura, democratica, pacifica.
Intendo quindi grande una società di quelle che piacciono
a noi, dove tutti hanno uno spazio per vivere, uno spazio
di agibilità. Cosa che in realtà non succede
o succede molto poco nel mondo. Basti pensare che ci sono
luoghi al mondo dove, ancora oggi, le persone transessuali
vengono ammazzate per il solo fatto di essere transessuali.
In tantissimi altri posto vengono arrestate, comprese anche
le avanzatissime democrazie occidentali.
Princesa, lo ha già
ricordato lei, è tratta dal libro omonimo di Fernanda
Faria e Maurizio Jannelli. È insomma una storia vera,
un racconto autobiografico. Anch’io, confrontando libro
e canzone, ho avuto la sensazione che la canzone riesca ad
esprimere molto di più, assumendo una valenza più
universale. Secondo lei si potrebbe affermare che la storia
di Princesa, così come l’ha cantata De André,
non è più solo la storia di una persona ma una
rappresentazione che ci avvicina a tutto il mondo transessuale,
nel suo complesso?
Senza dubbio. Per me questa canzone ha rappresentato un momento
culminante. Perché la poesia, la canzone, non ha confini,
viaggia da sola, viaggia nel tempo e va oltre i gruppi, le
categorie, le nicchie, per cui anche chi non è appassionato
di De André la canzone la può ascoltare, in
qualsiasi momento e in qualsiasi situazione. La poesia viaggia,
va anche oltre noi e questo penso che sia il merito forse
maggiore di De André e della canzone.
Il fatto che a parlare di un transessuale fosse in
questo caso una persona non trans potrebbe aver rappresentato
un problema? Non c’era il pericolo di sentirsi un po’
“usati” senza essere consultati?
In realtà Fabrizio De André ha raccontato la
storia di Princesa in maniera così squisita che in
certi momenti io ho avuto persino dei dubbi, mi sono chiesta
se per caso non fosse stato aiutato da una persona transessuale.
Perché l’uso delle parole, i concetti espressi
così chiaramente, facevano pensare che fossero stati
narrati da una persona che sta dentro l’esperienza del
transessualismo. Potrei ad esempio citare quel passo della
canzone che fa: “nella cucina della pensione mescolo
i sogni con gli ormoni / ad albeggiare sarà magia /
saranno seni miracolosi”. Beh è una battuta che
fra noi trans girava da parecchio, quella di mettere gli ormoni
in cucina e non usarli nel modo classico, quello che consigliano
i medici, ma diluirli proprio nel nostro cibo quotidiano.
Quando me la sono ritrovata nella canzone di De André,
la cosa non solo mi ha sorpreso ma mi ha fatto sorridere e
un po’ mi ha riempito, perché mi ci sono proprio
ritrovata. E credo che, come mi ci sono ritrovata io, ci si
siano ritrovate anche tantissime altre persone.
Mi pare che lei ci stia confermando quello che ci
hanno detto anche altri intervistati: sembra proprio che De
André non lasciasse nulla al caso e affrontasse le
tematiche che gli stavano a cuore non solo con grande sensibilità
ma anche a partire da una conoscenza molto approfondita.
Io credo che la bellezza di De André sia un suo anticonformismo
genuino che si percepisce, che non arriva solo alla testa
ma anche al cuore. In genere quando si parla di testi, i testi
poi vanno interpretati con la nostra mente, mentre magari
la musica arriva più direttamente al cuore. Invece
i suoi testi, la sua poetica, il modo in cui la porge, credo
che non arrivi solo alla testa, che non si fermi solo al significato
che ci appare. Credo che tocchi il cuore, le emozioni. Credo
che questo faccia grande De André e faccia sì
che vada oltre una realtà che purtroppo non è
sempre bella. De André prende al cuore perché
ha cuore.
Per ogni cosa c’è il suo tempo
Princesa si conclude con
un lungo elenco di parole che riassumono tutta la difficile
e contraddittoria esperienza della protagonista: le botte,
le carezze, il fallimento, lo schifo, la bellezza….
Alla fine un unico verbo: vivere. Questo elenco è in
fondo una poesia in sé, che può vivere anche
al di fuori del resto della canzone. Ce lo può commentare?
Questo è un po’ l’inizio e la fine del
discorso che noi tutti facciamo, l’inizio e la fine
delle nostre lotte, delle nostre battaglie. È in fondo
il desiderio, che è quello che fa muovere la vita.
Il desiderio di essere sé stessi, il desiderio di essere
felici, di realizzarsi. Molto spesso, anzi, sempre, l’ostacolo
a questo desiderio è quello che crea una vita brutta,
le storture, persino le guerre. La realizzazione dei desideri,
che è molto semplicemente la realizzazione di sé
stessi, il desiderio di vivere in pace con sé stessi,
penso che sia il punto di partenza e anche il punto di arrivo.
E questo è, secondo me, il punto di partenza della
canzone e anche il suo arrivo, la parte finale: vivere. Chiusura
migliore non ci poteva essere.
Pensa che una canzone come Princesa possa
essere servita a cambiare un po’ l’atteggiamento
della gente (almeno di chi ascoltava De André), nel
senso di far cadere un po’ di pregiudizi, di steccati,
nei confronti dei transessuali?
Il transessualismo è un argomento di cui si parla
poco e quando se ne parla se ne parla male. Quindi senz’altro
la poesia di De André è servita molto, molto
di più di tante trasmissioni televisive in cui si parlava,
si parlava e si diceva assai poco! Poi questa poesia viaggia
da sola e resta nel tempo. Non è come una trasmissione
televisiva, un articolo di giornale, che restano datati ad
un certo periodo e sono poi limitati e limitanti perché
si fermano alla superficie dell’esperienza. Questa canzone
invece tocca il cuore, tocca anche la mente perché
esprime concetti su cui poi sorge spontaneo di approfondire.
Per cui questa canzone ha dato un contributo. Non so dire
quanto grande, non so dare un voto alla grandezza. Però
senz’altro è stato un grosso contributo all’approfondimento,
alla conoscenza, alla riflessione (questo è forse il
termine più esatto) sull’esperienza transessuale.
Parlando di poesie che rimangono nel tempo: Nel libro
in cui si racconta a Cesare Romana, De André ha rivelato
che Via del Campo è stata ispirata dai suoi
incontri con un transessuale di nome Giuseppe, che lavorava
in quella strada. Quindi Via Del Campo, del 1966,
è indirettamente anche una canzone che parla di transessuali.
Però bisogna aspettare il 1996 per una canzone esplicitamente
dedicata a questo tema. Secondo lei perché? Era un
tema che negli anni sessanta non era molto sentito oppure,
semplicemente, De André aspettava l’ispirazione,
che poi gli è venuta dal libro?
Non credo che De André avesse bisogno di aspettare
il libro. Il libro forse gli ha solo offerto l’occasione.
Lui ha parlato di Giuseppe. In realtà quella transessuale
di Via del Campo, che io ho conosciuto, si chiamava
Morena. È morta qualche anno fa.
Bisogna dire che al tempo in cui è stata scritta Via
del Campo la nostra non era una realtà facile.
Non era come oggi: oggi, bene o male, almeno se ne parla.
Ma negli anni Sessanta, quando è uscita la canzone,
la parola: “transessuale” neanche esisteva! Tutt’al
più poteva esistere il termine: “travestito”.
Ma forse neanche quello: in quel periodo c’era la negazione
totale, noi non esistevamo. Quindi credo che fosse solo di
pochi la capacità e la possibilità di cogliere
delle sfumature della società, della sessualità,
dell’identità di genere. Fabrizio De André
aveva questa capacità, l’ha fatto. Magari però
ha ritenuto di esprimerla in un altro modo, all’epoca.
E secondo me va bene così perché in fondo è
vero che per ogni cosa c’è il suo tempo e anche
in questo, non è che io adesso voglia mettermi a fare
le lodi di De André, però direi che anche in
questo Fabrizio è stato bravissimo, nella capacità
di scegliere il tempo e di darci delle emozioni per ogni tempo.
Prostituzione e violenza
Come Via del Campo, anche Princesa
tratta anche il tema della prostituzione. È un aspetto
inestricabile dalla questione transessuale? Oppure si potrebbe
parlare di transessualismo anche senza parlare di prostituzione?
Senz’altro io parlerei di transessualismo senza parlare
di prostituzione. Però bisogna dire che nel periodo
in cui Fabrizio De André ha scritto Via del Campo
e anche quando è stato scritto il libro da cui poi
è stata tratta Princesa, parlare di transessualismo
era come parlare di prostituzione. Questo perché in
quegli anni non c’erano alternative, non c’erano
altre scelte possibili. L’inserimento sociale, l’inserimento
lavorativo per le persone transessuali era completamente sbarrato.
Quindi la prostituzione ha rappresentato un’ancora di
salvataggio, un salvagente per non annegare, per sopravvivere.
Per assurdo la prostituzione per le persone trans è
stata proprio la via per realizzarsi, perché ha dato
la possibilità a tante persone di manifestarsi e diventare
visibili. Oggi, per fortuna (e sottolineo “per fortuna”)
non è più così perché molte persone
transessuali, anche assistite e sostenute da associazioni
come la nostra, dai sindacati, da alcune correnti politiche,
hanno rotto questo muro che le isolava dalla società.
Molte persone quindi hanno recuperato l’autostima e
molta forza (perché c’è bisogno anche
di quello) e hanno portato avanti la loro battaglia nel mondo
del lavoro. Oggi quindi ci sono molte persone transessuali
che lavorano e sono inserite. Certo la realtà più
consistente è ancora quella della disoccupazione. Questa
ultimamente è già una realtà per molti
italiani, per le persone transessuali lo è ancora di
più perché è una categoria socialmente
debole. Quindi possiamo dire che la prostituzione è
stata l’unica realtà per molto tempo, per tutti
gli anni Sessanta e Settanta e fino a metà degli anni
Ottanta.
Alla fine è rimasto questo stigma cucito addosso, per
cui dire transessuale equivale a dire prostituzione. Però
transessualismo significa tutt’altro, non è solo
la prostituzione, come molto spesso si è fatto credere
attraverso un’informazione scorretta e sbagliata. Il
transessualismo è, molto semplicemente, l’esperienza
di tutte quelle persone che non si sentono in sintonia con
il sesso in cui sono nate, per cui mettono in moto un processo
di cambiamento, di trasformazione e di adattamento del proprio
fisico. La prostituzione è qualcosa che si aggiunge
a questo, ma è solo una parte, un pezzo.
Un tema legato alla prostituzione è quello
della violenza. In Princesa ci sono le botte, la
polizia. In altre canzoni si parla della violenza contro le
prostitute. Basti pensare a Marinella, canzone ispirata
dall’omicidio di una giovane prostituta; Suzanne,
costretta dalla vita a prostituirsi e alla fine suicida; Maggie,
“uccisa in un bordello dalle carezze di un animale”.
Quanta violenza c’è, ancora oggi, nei confronti
dei transessuali?
La violenza purtroppo è diffusa perché, secondo
un certo tipo di morale, un certo tipo di cultura, le persone
transessuali, come un po’ tutte le persone “diverse”,
vengono fatte passare per persone pericolose, per la moralità,
per la normalità, per la società nel suo complesso.
Questo in menti cattive, in menti malate, in menti particolarmente
propense alla violenza fa scattare meccanismi pericolosi e
incontrollabili. È chiaro che una persona transessuale,
come anche una prostituta, come anche tutte le persone che,
in un modo o nell’altro possono essere considerate non
conformi alla norma, tutte queste persone sono obiettivo di
violenze e di aggressività.
Quando si parla di violenza si pensa magari solo agli omicidi,
alle aggressioni brutali. Ma posso garantire che di aggressività,
intesa proprio come atteggiamento ostile ce n’è
ancora tanta e in certe zone del Paese ce n’è
tantissima. Quindi per una persona transessuale, che è
una persona estremamente visibile e non può passare
inosservata, l’aggressività della gente, l’arroganza
della gente che si sente in diritto di dire la propria, di
aggredire, di dare fastidio, c’è, è diffusa
ed è una realtà con la quale ancora dobbiamo
fare i conti, nonostante molte cose siano cambiate. Purtroppo
c’è ancora questa tendenza che affonda le sue
radici nel pregiudizio, che è la cosa più difficile
da scardinare. Pensiamo ai luoghi comuni, che poi sono quelli
che denunciava De André con le sue canzoni.
L’inclusione e i mille colori
Da quando è morto De André si sentono
spesso artisti, critici, giornalisti dire cose tipo: “De
André ha restituito dignità alle prostitute,
ai drogati”. Non ho mai sentito dire: “De André
ha restituito dignità ai transessuali”. Perché?
È un aspetto sottovalutato della produzione dell’artista
oppure si tratta di un tema di cui è più difficile
parlare rispetto, per esempio, alla prostituzione?
Devo dire che è un tema di cui si parla poco e forse
è più difficile da affrontare. La prostituzione
per esempio è un tema che riguarda tutti e nessuno,
rispetto al quale si può parlare in maniera più
distaccata. Perché la prostituzione può riguardare
tutti: maschi, femmine, giovani e meno giovani, ricchi e poveri.
Il transessualismo invece è, un’esperienza che
va a toccare dei nervi scoperti della nostra cultura, che
sono la sessualità e l’identità di genere.
La nostra cultura è costruita su dei valori: l’eterosessualità,
l’essere maschio, l’essere donna. Quando si va
a parlare di questi argomenti l’imbarazzo, molto spesso,
la fa da padrone. Molti, e fra questi molti ci metto dentro
anche le persone più tranquille e più aperte,
preferiscono lasciar perdere l’argomento, proprio per
non entrare in un terreno scivoloso, in cui potrebbero entrare
in crisi, non solo con gli altri ma anche con se stessi. Sicuramente
De André questi problemi non li aveva, non se li è
mai creati. E mi piacerebbe tanto (e questo è un augurio
che mi faccio e che faccio a tutti), mi piacerebbe che quel
messaggio di De André non arrivasse solo alla testa
ma che arrivasse anche al cuore, che secondo me era il suo
vero obiettivo.
Nei messaggi che ci siamo scambiati in questi giorni
lei diceva con rammarico di non aver avuto la possibilità
di conoscere personalmente De André. Se avesse avuto
questa possibilità cosa le sarebbe piaciuto dirgli?
Grazie!
Solo questo?
Beh, è la prima cosa che mi viene. È chiaro
che, a pensarci, sarebbero tante le cose. Ma più che
dirle, quando io penso a De André, abituata forse ad
ascoltarlo, se l’avessi conosciuto, se l’avessi
incontrato, magari forse sarei rimasta in silenzio ad ascoltarlo.
Penso che ci sarebbe stato questo tipo di rapporto, più
basato sull’ascolto da parte mia.
Tutta la mia riconoscenza l’avrei condensata in un “grazie”
molto profondo, che credo lui avrebbe capito, perché
comunque sarebbe venuto dal cuore, come al cuore sono rivolti
i suoi testi, le sue poesie, così dal cuore mio e dalle
persone che rappresento sarebbe venuto un grazie rivolto a
lui.
Lei mi ha scritto e anche ripetuto oggi di aver molto
amato De André. A parte Princesa, cos’è
che ha più amato della produzione di De André
e cos’è che lascerebbe indietro?
Io sono molto legata al primo De André, al “Bombarolo”
a “Marinella”, alla prima produzione, che è
poi anche la prima che ho ascoltato. Del resto comunque io
non butterei via niente. A me piace tutto il lavoro di De
André e non saprei neanche esattamente come definirlo.
Stavo per dire “produzione”, ma non la trovo giusta.
Forse potrei dire la sua poetica, ecco direi che la poetica
di De André mi piace tutta, anche perché la
trovo in sintonia con lui, con il suo personaggio. Perché
noi viviamo in un mondo molto spesso schizofrenico, in cui
quello che si dice non corrisponde a quello che si è,
in cui il personaggio non corrisponde a chi si è veramente.
Quindi trovare una persona vera, genuina, autentica sotto
tutti i punti di vista, credo che sia un grandissimo pregio
che è molto difficile da ritrovare e questo è
forse quello che più mi ha dato Fabrizio de André.
Recentemente lei ha partecipato a un dibattito che,
prendendo spunto da De André, si domandava: “a
che punto è la liberazione sessuale in Italia?”.
In coda di intervista, le rivolgo anch’io questa domanda.
A che punto è la liberazione sessuale in Italia, e
a che punto siamo con i diritti dei transessuali?
La libertà sessuale e la liberazione sessuale in Italia
è un po’… come i canguri in Australia!
Mi viene benissimo proprio questo paragone. Purtroppo l’Italia
è un paese che risente di una certa morale, di una
certa cultura. E io credo che un paese democratico, un paese
maturo, dovrebbe essere laico quando decide e fa le cose.
La spiritualità è molto, molto importante, ne
abbiamo bisogno, fa parte di noi. Però credo che il
problema più grosso dell’Italia sia proprio la
laicità dello Stato. Rispetto alla sessualità,
quindi ai diritti ed alla libertà riferita alla sessualità,
l’Italia ha dei grossi problemi, perché, appunto,
è un po’ come i canguri: salta.
Ci sono periodi in cui dà e periodi in cui toglie.
Questo è un periodo che toglie. Faccio un esempio,
perché dagli esempi si capiscono meglio tante cose:
fra qualche giorno, a Verona, si inaugura la mostra di un
artista cattolico, promossa dal Comune di Verona e dalla Curia.
Il titolo della mostra è: “Miserere” e
vuole rappresentare le dieci disgrazie, le dieci malattie
del mondo. Una di queste dieci disgrazie è proprio
la transessualità e l’artista ha tenuto a precisare
che lui non ha niente contro i transessuali, però voleva
consegnare la sofferenza di certa umanità alla misericordia
di Dio. E questo è un po’ emblematico di come
è vista la sessualità, la libertà sessuale,
in Italia, in questo periodo.
Ancora partiamo dalla morale. E non dimentichiamo che nei
secoli passati le persone transessuali sono state mandate
al rogo, poi sono state chiuse nei manicomi, poi nelle prigioni,
nei campi di sterminio. Ora consegnare tutto questo alla misericordia
di Dio mi sembra un po’ una beffa. Preferirei non essere
consegnata. Ecco, mi piacerebbe essere rappresentata in un’opera
d’arte ma in un modo più felice e gioioso. Di
quella rappresentazione ne faccio volentieri a meno.
Per fortuna non tutto il mondo cattolico la pensa
a questo modo. Per esempio abbiamo ascoltato Don Gallo da
questi microfoni e lui, mi pare, ha tutta un’altra impostazione.
Certo. Io con Don Gallo ho lavorato molto, su tante cose,
e confermo che si tratta di una persona deliziosa. Così
anche Don Ciotti. Ce ne sono tantissime di persone cattoliche
che sono bellissime e che sono veramente molto vicine alla
parola di Gesù, di San Francesco. Tante altre no! Però
riconosco che c’è un pezzo di mondo cattolico
molto aperto e a me molto vicino.
Siamo in chiusura, cosa le piacerebbe aggiungere?
Io sogno e mi auguro un mondo che ci appartenga di più,
un mondo che sia basato sull’inclusione e non sull’esclusione.
Non un mondo in bianco e nero, ma un mondo fatto di mille
sfumature, di mille colori, perché i colori rendono
bella la vita.
(Intervista realizzata via telefono il 18/05/2005. Registrata
presso gli studi di Rete Italia – Melbourne. Andata in
onda nell’ambito della trasmissione radiofonica settimanale:
“In Direzione Ostinata e contraria”, dedicata ai
personaggi delle canzoni di Fabrizio De André).