«…una nuova anarchia è sbocciata al
fianco di un anarch-ismo ideologico...». È
il concetto portante di una delle frasi centrali del documento
del neonato “nucleo Olga” (aderente alla F.A.Informale/F.R.I.),
spedito via posta per rivendicare la gambizzazione (loro preferiscono
scrivere di aver “azzoppato”) di Roberto Adinolfi,
a.d. dell’Ansaldo Nucleare, avvenuta il 7 maggio scorso.
Una “rivendicazione” nella rivendicazione particolarmente
significativa e parecchio eloquente. Chiarisce infatti in
modo esplicito che l’azione di cui si dichiarano responsabili,
come quelle che faranno, per scelta consapevole (consapevolezza
reciproca come si chiarirà nel corso di quest’articolo)
non hanno nulla da spartire con l’anarchismo del dopoguerra,
che dopo la liberazione dal fascismo ha liberamente deciso
di agire alla luce del sole, seppure in opposizione al di
fuori delle istituzioni. In un certo senso li ringrazio, perché
così dicendo aiutano a sgombrare il campo da ambiguità
ed eliminano possibili fraintendimenti.
Nel concetto citato si nota subito un’incongruenza,
per me particolarmente evidente. Com’è possibile
che sia sorta una nuova anarchia? L’anarchia
è l’insieme del senso e dei valori, politici
etici ed esistenziali, che permettono di desiderare e di aspirare
ad una convivenza sociale alternativa all’esistente,
fondata sulla realizzazione delle libertà, sia individuali
che collettive. L’anarchia non esiste se non come aspirazione
e come ideale di riferimento per tutti quelli che ritengono
validi e irrinunciabili il suo senso, i suoi valori e i metodi
che propone. Se è vero che è nata una “nuova
anarchia”, com’essi scrivono, diversa da quella
che ha infiammato e infiamma i cuori e le menti di tantissimi/e
compagni e compagne, bisogna che facciano anche sapere di
che cosa si tratta. Ripudiano l’unica anarchia conosciuta,
trasmessa storicamente, e affermano che ne è nata una
nuova senza delinearne le caratteristiche.
Ma l’anarchia non è un fatto
Non può esser sufficiente la frase: “Il
nostro sogno è quello di un’umanità libera
da ogni forma di schiavitù, che cresca in armonia con
la natura.” Questo panorama utopico è già
perfettamente contenuto da sempre nell’insieme di senso
e di valori della, per loro, “vecchia anarchia”,
ripudiata con una buona dose di supponenza. Nulla di nuovo
dunque al di là delle dichiarazioni altisonanti scritte
con ostentato disprezzo.
Viene da chiedersi come mai se non si riconoscono più
nell’anarchia continuano ad usarne il nome? Chiamino
in altro modo le aspirazioni che ritengono nuove, così
riuscirebbero a distinguersi meglio e al contempo ci farebbero
il piacere di non offrire al potere un’altra occasione
per denigrare e colpire gli anarchici. Viene il sospetto che
in realtà non vogliano distinguersi, tanto è
vero che hanno scelto lo stesso acronimo della Federazione
Anarchica Italiana, che nulla ha a che fare con loro. Non
vedo altra spiegazione che quella di voler creare confusione.
Di differente dal “vecchio anarchismo” invece
c’è la rappresentazione e la narrazione di ciò
che hanno fatto ed hanno intenzione di fare. Almeno per quello
che si è visto fino ad ora, non può certamente
essere gabellata per “nuova” l’azione conclusa,
come pure quelle intenzionali che hanno dichiarato di voler
attuare. Come può essere “nuova” una classica
gambizzazione, copiata pari pari dal logoro lottarmatismo?
La rivendicazione del “nucleo Olga” è certamente
diversa da come si esprimevano Br, Nap, Prima Linea e quant’altri,
mentre il rituale è più o meno lo stesso ed
anche le motivazioni fattuali.
Anche il contorno teorico giustificativo dell’azione,
terreno di viaggio nell’ideologia, anche se ne vorrebbero
essere esenti avendo scritto che è ideologico solo
il vecchio anarchismo, è senz’altro differente
dal vecchio lottarmatismo marxista-leninista. Non è
invece differente il rituale pragmaticamente necessario, dai
presunti pedinamenti al momento in cui hanno premuto il grilletto,
come pure la scelta di esprimere un giudizio inappellabile
che decide unilateralmente, con conseguente condanna inappellabile,
colpevole e colpa. Tutto trito e ritrito. Ha tristemente il
sapore del tribunale del popolo, o roba simile. No, mi sbaglio!
Forse è il tribunale della “nuova anarchia”.
Su questo punto gli estensori non si sono espressi in modo
chiaro. Non si capisce a nome di chi o di che cosa hanno deciso
di condannare e punire i responsabili individuati. Tutto ciò
mi appare solo squallido.
Una spiegazione c’è. “Le idee nascono
dai fatti…” esordiscono nella loro rivendicazione.
Siccome non possono e non riescono ad avere idee oltre i fatti,
dal momento che l’anarchia non è un fatto di
conseguenza sembrano non averne idea. Anche l’idea della
gambizzazione, evidentemente, non poteva che nascere da fatti
precedenti. Così, forse, hanno evocato (con nostalgia?)
quelli che il potere definì “anni di piombo”,
orrendo neologismo inventato apposta per mistificare e nascondere
la vera ricchezza socio-culturale di quegli anni. Purtroppo
per riuscire a capire le diversità dei contesti temporali,
culturali e sociali, quindi per farsi un’idea che aiuti
a ipotizzare come agire, bisogna essere anche creativi, cioè
pensare prima e al di là dei fatti per cercare di determinarli
in modo adeguato e fecondo. Sono una mentalità e un
metodo che si conquistano accettando di non essere dogmatici
e di autocorregersi sperimentando.
Di diverso, più che di nuovo, c’è l’enfasi
spropositata del piacere dell’uso delle armi, riproposta
in più parti. Forse nelle intenzioni avrebbe voluto
essere un’esaltazione dei sentimenti, mentre è
risultata una comica ostentazione di una contraddizione palese.
“Pur non amando la retorica violentista con una
certa gradevolezza abbiamo armato le nostre mani, con piacere
abbiamo riempito il caricatore.” Se non è
retorica violentista questa? Dicono di non amarla, ma poi
si lasciano scivolare con grande leggerezza in un ampolloso
lirismo che esalta il piacere di predisporsi ad usare la violenza.
Benedetta Tobagi (la Repubblica, domenica 13 maggio
2012) vi ha visto il Toni Negri che esalta il piacere di calarsi
il passamontagna sul viso. Personalmente mi ha subito ricordato
alcuni opuscoli degli anni settanta, che fra le altre cose
esaltavano il piacere di colpire il nemico godendo dei danni
provocati dalla pallottola che penetra nelle carni.
È uno sfoggio di godimenti che rimanda ad esaltazioni
da estrema destra più che a sentimenti in qualche modo
riconducibili all’anarchismo. Per noi anarchici “vecchi”
e “superati”, che veniamo dalla scuola dei Malatesta,
dei Fabbri, dei Berneri, per citare gli anarchici italiani
più noti, l’insurrezione e l’uso della
violenza sono una triste necessità, mezzi e strumenti
che siam pronti ad usare all’occorrenza, ma che non
hanno mai e poi mai rappresentato il momento fondamentale
dell’approccio anarchico alla ribellione. Anzi! Per
l’anarchismo come per l’anarchia l’ideale
da raggiungere è l’armonia sociale, il rifiuto
più totale dell’uso della violenza come mezzo
di regolazione sociale, quindi delle armi e di corpi armati
militarizzati,. Una società più si avvicina
all’anarchia e meno è violenta. La violenza c’è
oggi, dove l’anarchia è assente e trionfano gli
stati, gli oligarchi e i militarismi, cioè il suo contrario.
Nella retorica violentista del “nucleo Olga” troviamo
invece quasi una mistica dell’uso delle armi, presentato
come elemento di discrimine per identificare chi ha scelto
di smettere di essere alienato. Si vantano di essere nichilisti,
«…nostra rivolta anarchica e nichilista…»
e inneggiano al superamento della paura come elemento che
qualifica il vero anarchico, accusando di cedere alla paura
gli anarchici che non sono come loro. «…sempre
pronti a trovare infinite giustificazioni ideologiche pur
di non ammettere le proprie paure.» Questa esaltazione
della violenza e del superamento della paura, proposti come
discriminanti per giudicare chi sono i compagni, è
solo ridicola e, insisto, è tipica di culture e comportamenti
che provengono dalla destra estrema. Le scelte di militanza
e l’adesione agli ideali sono al contrario dettate dal
modo di pensare e dall’identificazione del senso. All’occorrenza,
gli anarchici, tutti, hanno sempre saputo dare il loro contributo.
L’originalità vera di questo documento è
che per una buona metà della sua stesura serve per
attaccare il movimento anarchico, presentato come «…quell’anarch-ismo
infuocato solo a chiacchiere e intriso di gregarismo.»
col quale «...vogliono segnare definitivamente un
solco…» E di questo li ringrazio di nuovo.
Strana come rivendicazione! Non hanno neppure fatto come facevano
quei “burocrati” delle br, che nelle loro rivendicazioni
indicavano sempre alcuni momenti specifici dell’azione
che potevano sapere solo quelli che l’avevano compiuta,
dimostrando così di essere stati veramente loro ad
eseguirla. Senz’altro sarà autentica, però
sta di fatto che avrebbe potuto scriverla chiunque, sia effettivo
partecipe oppure no.
Uno scontro armato?
Da un punto di vista politico, oltre ad attaccare durissimamente
l’anarchismo, in nome di una “nuova anarchia”
che non si sa bene che cosa effettivamente sia, (il potere
statuale non sarebbe stato altrettanto efficace), questo documento
di rivendicazione ha tutta l’aria di volersi presentare
come un’autentica dichiarazione di guerra. Non a caso
chiama alle armi e dice di agire per «…l’idea
di sociale in lotta… è quella di un popolo in
armi contro ogni forma di oppressione statale, politica, economica.».
Come mai proponete questa idea che non è legata a nessun
fatto? Dov’è il popolo in armi tanto chiamato
e conclamato?
In realtà, non solo il popolo non è in armi,
bensì per ora sta rifiutando ciò che proponete.
Appena vi siete mostrati sono già cominciate le manifestazioni
contro la logica armata che tentate di proporre. E ci potete
giurare che ci sarà più d’una manifestazione.
Ciò che in realtà si percepisce è che
siete voi ad aver dichiarato guerra allo stato e che siete
voi che state tentando di condurla. Ma rassegnatevi. È
una guerra di elite, anche perché la proponete esclusivamente
sul piano militare. Ciò che a voi interessa non è
la rivoluzione sociale, cioè la radicale trasformazione
rivoluzionaria dal basso della società, con i sottomessi
che, non solo si ribellano, ma che finalmente cominciano a
costruire l’alternativa direttamente e autonomamente,
in modo autogestito. Ciò che a voi interessa è
scatenare uno scontro armato contro lo stato. Agli anarchici
invece interessa il contrario: la rivoluzione sociale che
si organizza attraverso democrazia diretta e forme di autogestione
a tutti i livelli della società. Se per realizzare
e difendere questa conquista vissuta da tutti in prima persona
ci costringeranno a uno scontro armato, lo affronteremo con
tutta l’energia e la solidarietà necessarie.
Ma pensare e riproporre a priori la logica militare della
rivoluzione armata come unico necessario e necessitante sbocco
rivoluzionario è assurdo, oltre che stupido perché
controproducente. La vostra scelta, che ne siate consapevoli
o no, che lo vogliate o no, non potrà che avere un
unico sbocco. Di trascinare le forze disponibili (non è
difficile prevedere che non si tratta affatto del popolo in
armi, ma di una piccolissima minoranza), potenzialmente sovversive,
in uno scontro militare devastante, in cui l’unico vincente
sarà lo stato.
In questo modo il potere dominante sarà riuscito a
castrare le possibilità di azioni politiche libertarie
di costruzione dal basso dell’alternativa, che è
sempre più viva e si manifesta ogni giorno di più.
Il conflitto militare è ormai rimasto l’unica
possibilità che ha il potere di fermare l’ondata
di rivolta che sta avanzando in tutto il mondo. Mi sembra
ben poco anarchico aiutare lo stato, consapevolmente o no
ha poca importanza, a realizzare questa guerra civile per
annientare e rendere inoperanti i sovversivi e le potenzialità
sovversive della società.