colloqui
Psiche e rivoluzione
Intervista a Eduardo Colombo
di Claudio Albertani e Rafael Miranda
A colloquio con uno dei pensatori anarchici più stimolanti degli ultimi decenni, argentino residente da 40 anni a Parigi, psichiatra, militante anarchico.
Claudio Albertani – Già prima di lasciare
l'Argentina eri un militante libertario e, al tempo stesso,
psicoanalista. Potresti parlarci un po' del tuo percorso?
Eduardo Colombo – Il mio impegno politico iniziò
molto presto, già alla scuola secondaria. La passione
libertaria si acutizzò per le condizioni in cui vivevamo
allora sotto la dittatura. Aderire all'anarchismo fu quasi naturale,
perché era un'idea molto viva nella storia operaia dell'Argentina.
Quando entrai nella facoltà di Medicina, lo studio universitario
e la militanza non erano in contraddizione, fino a quando nel
corso di lunghi scioperi fui incarcerato. Uscito di prigione,
scoprii che mi avevano fatto scomparire come studente di medicina
– insieme a molti altri, mi avevano cancellato del tutto
illegalmente dai registri della facoltà – e dovetti
aspettare un po' di tempo, una tappa non esente dalle solite
persecuzioni poliziesche. Quando alla fine riuscii a laurearmi,
mi orientai verso la psichiatria, ma mi interessai anche di
sociologia e psicologia. Seguivo le lezioni di Enrique Butelman,
(1) lavoravo come libero professionista
e all'interno dell'ospedale pubblico.
Alcuni anni dopo fui nominato docente di Psicologia sociale
nella Università nazionale di La Plata e poco dopo nella
Università di Buenos Aires. Nel 1966, quando Juan Carlos
Onganía fece il golpe militare, la polizia entrò
in tutte le facoltà picchiando studenti e professori
e io abbandonai definitivamente l'università, saltando
da una finestra della facoltà di Filosofia. Poiché,
da molti anni, ero anche redattore di “La Protesta ”,
il periodico anarchico di Buenos Aires, la situazione divenne
difficile, perché non potevo lavorare né all'università
né all'ospedale. D'altro canto, avevo già cominciato
la mia formazione psicoanalitica, che terminai dopo essere giunto
in Francia. In Argentina, i parametri della pratica psicoanalitica
erano fissati dalla Asociación psicoanalítica
internacional, il che significava, quattro sedute di cinquanta
minuti alla settimana, e implicava la disponibilità di
molto tempo e di molte risorse economiche, perché, benché
fossi medico e psichiatra, disponevo di pochi mezzi per pagare
un'analisi: l'università non pagava regolarmente e il
lavoro quotidiano nell'ospedale, finché esistette, era
a titolo gratuito.
Alla fine, la situazione generale in cui ci trovavamo, unita
al panorama politico colmo di nubi tempestose, fecero sì
che la mia compagna Heloísa e io decidessimo di emigrare.
Arrivammo a Parigi nel 1970, con due figli di cinque e sei anni.
Claudio Albertani – Com'è stato il
cambiamento?
Eduardo Colombo – Per niente facile. Tutti gli
esuli sanno che per ottenere il permesso di soggiorno è
necessario dimostrare di avere un lavoro e per ottenere un lavoro
occorre avere il permesso di soggiorno... Tuttavia, a poco a
poco, la situazione si normalizzò e iniziammo a lavorare.
Heloísa ricominciò a studiare psicologia, ma i
miei studi di medicina non furono considerati validi. Come psicoanalista,
invece, non ebbi problemi e questo ci permise di stabilirci
qui a Parigi. Dal punto di vista teorico, è importante
sottolineare che i miei studi di psicologia sociale mi orientarono
agevolmente verso un tipo di pensiero che si articolava con
grande facilità con i lavori di Castoriadis in Francia.
Ricordo che a quell'epoca pubblicammo una rivista anarchica
chiamata “La Lanterne Noire ”. In uno dei primi
numeri – più o meno nel 1974 – scrissi un
articolo sull'integrazione immaginaria del proletariato, nel
quale cito varie volte Paul Cardan (uno degli pseudonimi usato
da Castoriadis in “Socialisme ou Barbarie ”), prima
che venisse pubblicato L'istituzione immaginaria della società.
Occorre precisare che Castoriadis aveva già trattato
gli elementi fondamentali dell'immaginario e del simbolico,
concetti che corrispondevano al mio modo di pensare.
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Eduardo
Colombo (Buenos Aires 1929) è una delle voci più
interessanti dell'anarchismo contemporaneo, particolarmente
in America Latina, benché egli risieda a Parigi
dal 1970. Ex docente di Psicologia sociale nelle Università
di La Plata e Buenos Aires (1961-1966), ex militante della
Federación Obrera Regional Argentina (FORA) e della
francese Confédération Nationale du Travail
(CNT-F), amico e interlocutore di Cornelius Castoriadis
e di figure storiche del movimento libertario, quali Luce
Fabbri e Rubén Prieto, ha fondato la casa editrice
Nordan/Comunidad.
Tra le sue ultime pubblicazioni
si segnalano La voluntad del pueblo (Tupac
Ediciones,Buenos Aires 2006) e
Lo spazio politico dell'anarchia (Elèuthera,
Milano 2009).
Ha collaborato con la rivista
italiana “Libertaria” e fa parte del comitato
di redazione della rivista
“Réfractions.
Recherche et expressions anarchistes” |
Forte
carica emotiva
Rafael Miranda – A questo proposito mi piacerebbe
che ci dicessi a quale scuola psicoanalitica appartieni.
Eduardo Colombo – Per me la pratica psicoanalitica
è legata alla problematica sociale. Quando iniziai, la
formazione psicoanalitica a Buenos Aires era fondamentalmente
limitata a Freud e a Melanie Klein. In Argentina, Lacan non
esisteva ancora. Ma, già da allora, mi orientai verso
la concezione di una psicoanalisi maggiormente integrata nella
teoria sociale, ipotesi su cui ho lavorato insieme a Enrique
Pichon-Rivière. (2) Basandoci sul
suo insegnamento, abbiamo cominciato a praticare la psicoterapia
familiare in un servizio di psichiatria di un ospedale pubblico.
A quel tempo, si stava sviluppando la scuola di Palo Alto. (3)
I nostri pazienti erano in cura presso il servizio di psichiatria
dell'ospedale; noi praticavamo la psicoterapia a orientamento
psicoanalitico direttamente nelle case dei malati, con tutta
la famiglia riunita, molte volte la settimane o, a seconda della
situazione, ogni quindici giorni. Le sedute duravano un paio
d'ore ed erano molto stimolanti dal punto di vista intellettuale,
ma difficili dal punto di vista emotivo. Come sosteneva Pichon,
è diverso andare a casa del paziente o restare sul proprio
terreno di gioco. Per esempio, ricordo una signora anziana
che controllava tutta la famiglia e non voleva partecipare.
Non la vedevamo, ma un giorno ci rendemmo conto che ascoltava
tutto da dietro la porta. A un certo punto, non le piacque quello
che stavamo dicendo e allora intervenne bruscamente per dire
la sua verità. La carica emotiva di queste sedute
era molto forte, ma tutta quell'esperienza faceva parte della
formazione.
Rafael Miranda – Oltre a Palo Alto, quali
erano i tuoi punti di riferimento teorici?
Eduardo Colombo – La nostra base era freudiana.
Non fui mai interessato alle posizioni junghiane, adleriane
o alla psicologia del Sé. Mi orientai verso una visione
della psicoanalisi basata sul rapporto di oggetto e non sul
livello energetico, libidinale o pulsionale. Sono molto critico
riguardo la teoria pulsionale freudiana, su cui ho scritto.
Certo, nel momento in cui partivamo da Buenos Aires –
verso il 1968 o 1969 – le idee di Lacan avevano cominciato
a diffondersi. Io mi trovavo in analisi didattica presso la
Associazione psicoanalitica argentina con Willy Baranger, (4)
il quale, in una certa misura, mi orientò verso Lacan,
pur non essendo lui stesso lacaniano. Ricordo che organizzammo
un seminario nel mio studio con Oscar Marotta per studiare Lacan.
Al principio mi entusiasmai, ma poi me ne allontanai, e oggi
ho una posizione molto critica nei confronti di Lacan e dei
lacaniani. In realtà, la mia percezione della psicoanalisi
è andata trasformandosi e non potrei dire di appartenere
a una scuola o a un'altra. Con il tempo, il mio orientamento
riguardo alle differenti scuole è andato incentrandosi
su quella che potrei definire la mia scuola. Mantengo certe
strutture teoriche della psicoanalisi che considero fondamentali
o centrali, ma ne tralascio altre, che mi sembrano errate.
Claudio Albertani – Che legami pensi vi siano
tra psicoanalisi e ideali libertari?
Eduardo Colombo – Bisogna prendere in considerazione
due elementi importanti. Uno è la cura psicoanalitica,
la psicoanalisi come terapia, l'analisi, i pazienti, la forma,
la disposizione dell'analisi, il divano, la sedia dietro al
paziente. Io mantengo queste strutture perché sono convinto
che siano utili dal punto di vista terapeutico, per ragioni
concettuali complicate da spiegare in un linguaggio profano.
L'altro è che certe teorizzazioni della psicoanalisi
suscitarono il mio interesse dal punto di vista della filosofia
politica. Nella psicoanalisi trovo un abbozzo della teoria del
potere che mi sembra importante e che Freud risolve introducendo
nel soggetto la totalità del conflitto. Dal mio punto
di vista, questo conflitto è fondamentalmente sociale.
Il modo in cui si costituisce e si costruisce la personalità
– il conflitto edipico, la famiglia nucleare, il padre,
la madre, il figlio, gli affetti che si sviluppano – non
è estraneo alla struttura globale storico-sociale nella
quale questa famiglia estesa o nucleare si sviluppa. Per Freud,
la struttura edipica è clanica e non familiare. Il divieto
dell'incesto, da un punto di vista teorico, è analogo
al patto sociale: la società si costruisce a partire
da questa proibizione passando dallo stato di natura allo stato
sociale.
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Il
primo libro curato da Colombo per Elèuthera, nel
1987. Pagine 192, euro
14,00 |
L'incontro
con Castoriadis
Claudio Albertani – Allora Edipo è
una struttura metastorica?
Eduardo Colombo – La teoria psicoanalitica postula
che la proibizione dell'incesto costruisca la relazione istituzionale
della società. Non dico che sia così nella realtà
storica. Però, chi istituisce la proibizione dell'incesto?
Abitualmente si sostiene che è il padre, nella teoria
freudiana i fratelli si accordano tra loro per uccidere il padre.
Dopo averlo ucciso, si trovano nella stessa situazione di prima:
i fratelli dispongono di tutte le donne, ma sono in guerra gli
uni contro gli altri per possedere quel bene; allora, per poter
strutturare la società, devono stabilire la legge che
vieta agli uomini del gruppo l'accesso a una categoria di donne.
La legge, con la proibizione, e sulla base della colpa retrospettiva
per l'omicidio commesso, fa sì che si torni al padre
spodestato affinché sia il garante simbolico della legge.
In questo modo la posizione freudiana è clanica e sociale,
non familiare.
Nella terapia compaiono le relazioni sociali di base, le relazioni
fondamentali, che costruirono il soggetto, e tuttavia il mondo
sociale resta fuori, separato dalla cura. Stando così
le cose – e questo è il mio punto di vista –
le condizioni sociali fanno sì che il trattamento abbia
limiti strutturali imposti da quelle stesse condizioni, il che,
naturalmente, riduce il grado di autonomia che il soggetto può
aspettarsi dalla cura psicoanalitica.
Per esempio, nella società liberale una psicoanalisi
esige il pagamento delle sedute. Ma, che fare quando lo psicoanalista
ha una posizione critica di fronte alla struttura capitalista
in cui viviamo? Nella cura individuale è impossibile;
qualcuno deve pagare perché nella società attuale
bisogna vivere in qualche modo. Se uno non guadagna, il paziente
viene analizzato, per una semplice ragione: perché uno
gli fa il favore di curarlo? Si entra in un tipo di dipendenza
che fa sì che l'analisi non funzioni. D'altro canto,
se la psicoanalisi si svolge in una istituzione, si è
in presenza di una terza istanza che controlla la cura. Allora
la condizione di fondo dell'analisi, vale a dire quella relazione
a due nella quale il terzo appare come una struttura della relazione
stessa, va perduta.
Dal mio punto di vista, la relazione analitica non esiste nel
vuoto, ma è determinata dalle condizioni imposte da un
tipo di società. Restare al di fuori della vita attiva,
fuggire dalla società, non è una soluzione per
nessuno. I limiti della terapia sono dettati in grande misura
dalla società, e soltanto la teoria, che aiuta la comprensione,
consente una evoluzione più lunga e profonda dell'idea
e dell'azione, se riusciamo a integrarla con un altro tipo di
approccio della problematica sociale.
Rafael Miranda – Quali sono le ripercussioni
del tuo impegno politico sulla tua pratica di psicoanalista?
Eduardo Colombo – Penso che l'effetto più
importante si sia verificato a proposito del mio modo di pensare
e concettualizzare i problemi. D'altro canto, il paziente che
cerca di risolvere conflitti personali o problemi emotivi, non
sta lì per essere indottrinato. Nella cura psicoanalitica
si verificano effetti emotivi profondi. Esiste quella che si
chiama regressione, e il paziente non gestisce i suoi sentimenti
in modo totalmente libero. La regressione facilita l'attualizzazione
della nevrosi infantile, secondo la definizione degli analisti,
ed è in questo momento che la posizione dell'analista
si trasforma in una posizione di sciamano, in una figura dominante,
che, per così dire, può manipolare il paziente.
La neutralità dell'analista in questo tipo di situazioni
è necessaria e fondamentale. L'ho sempre pensato e con
i pazienti non ho mai messo sul tappeto le mie idee politiche.
Evidentemente, sono cose complesse, perché la neutralità
non è mai assoluta o totale; la gente capisce, o crede
di capire, spesso senza esserne consapevole, ciò che
uno non dice. Inoltre, Internet ha ampliato l'informazione in
modo tale che, nel mio caso, per esempio, la militanza politica
appare in primo piano. E oggi non c'è paziente che non
vada a consultare Google...
Rafael Miranda – Parliamo un po' di più
del tuo rapporto con Castoriadis. Entrambi provenite dalla critica
sociale e in qualche momento entrambi avete adottato una pratica
clinica.
Eduardo Colombo – Come vi dicevo, in Argentina
non conoscevo Castoriadis. Quando giunsi a Parigi, entrai a
far parte della Organizzazione psicoanalitica di lingua francese,
chiamata Quarto Gruppo, in cui, per ragioni differenti, era
presente anche Cornelius Castoriadis. (5)
Voglio precisare che, nonostante quello che molti pensano, Castoriadis
non fu né il fondatore né un membro del Quarto
Gruppo, però frequentava le riunioni ed essendo allora
sposato con Piera Aulagnier – lei sì, fondatrice
del gruppo –, il nostro rapporto si costruì così.
Conobbi Castoriadis tramite la psicoanalisi e Piera.
Mi interessavano in particolare il suo approccio riguardo l'immaginario
e la struttura simbolica della società, concetti che
io stesso avevo utilizzato nell'articolo che vi ho citato. A
differenza di Lacan, Castoriadis non separa il simbolico dall'immaginario,
tema che considero centrale. Occorre anche tener conto della
mia formazione nel campo della psicologia sociale. In psicologia
sociale è impossibile trascurare il contributo di Herbert
Mead, che teorizza quello che in un certo periodo fu chiamato
il behaviorismo sociale, ma che non ha niente a che vedere con
il behaviorismo se non nel nome. (6) Mead
considera l'atto sociale il fondamento della relazione
simbolica, della relazione a tre termini, che è uno degli
aspetti fondamentali nella comprensione della problematica sociale.
E ritiene che l'immaginario non possa esistere senza il simbolico,
perché l'immaginario ha bisogno della forma del simbolico
che gli conferisce senso, che gli conferisce la significazione
e che permette l'introduzione del nomos, della convenzione
della regola, della norma. Il simbolico in sé non funzione
senza l'immaginario. La mia formazione mi orientava direttamente
verso questo modo di porre il problema. Quando conobbi Castoriadis
la questione politica ebbe evidentemente il suo peso. Su questo
piano, ed è uno degli elementi fondamentali, Castoriadis
difese sempre l'idea di rivoluzione. Sempre. Era una cosa importante,
benché egli avesse un'idea nefasta dell'anarchismo. Nefasta
in due sensi: pensava male dell'anarchismo e credo che non lo
conoscesse bene. In realtà, mi sembra, che non volesse
neppure conoscerlo, perché era troppo immerso nella sua
concezione.
Qualche volta ne abbiamo parlato, per esempio in occasione del
colloquio di Cerisy, (7) ma senza approfondire
il tema. Non so se tu, Rafael, eri presente. Ci si chiese, nei
corridoi: Che differenza c'è tra la “autonomia
” castoriadiana e l'anarchia? Castoriadis faceva una critica
più generale, dicendo: “Be', l'anarchismo critica
tutte le norme e senza norme non esiste società ”.
Sono assolutamente d'accordo: senza norme non esiste società.
Ma l'anarchismo non critica tutte le norme. Critica il
modo in cui la norma si radica nella società, non accetta
la posizione della élite che si autoattribuisce la capacità
di emanare la legge, e combatte l'universalità di una
legge di maggioranza. L'anarchismo non postula per niente una
non istituzionalizzazione della società, anzi, teorizza
una auto-istituzione cosciente e riflessiva del collettivo umano.
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Il
secondo libro di
Eduardo Colombo edito da Elèuthera,
2009.
Pagine 192, euro
16,00 |
Ma oggi
l'anarchismo non viene ascoltato
Claudio Albertani – Quali altri divergenze
ci furono?
Eduardo Colombo – Quando ci conoscemmo, Castoriadis
aveva già abbandonato la militanza politica, ma continuava
ad avere una posizione politica. Lo invitai parecchie
volte a Milano per una chiacchierata con i compagni anarchici
italiani e per un colloquio pubblico sull'immaginario sociale.
Gli anarchici giudicavano positivamente le basi della sua filosofia
politica: il progetto di autonomia, il cambiamento rivoluzionario
della società. Tuttavia, le discussioni si mantenevano
su un livello teorico socio-politico senza entrare ulteriormente
nella polemica sull'anarchismo, o sulle differenze che sorgerebbero
riguardo, per esempio, la legge di maggioranza nella democrazia
diretta. In questo modo erano maggiori i punti di convergenza
che di divergenza.
Ebbene, a partire da quanto ho indicato e dal punto di vista
del pensiero critico, non ci sono importanti differenze tra
me e Castoriadis. Le differenze maggiori sono piuttosto a livello
filosofico o metapsicologico. Per esempio, non condivisi mai
le sue teorie sul concetto di monade psichica, sulla sua eterogeneità
radicale, monade che deve subire la frattura o la rottura della
socializzazione. (8) Questo tipo di teorie
non mi convinse mai. È a partire dalla socializzazione
del soggetto nel quale credo che le convergenze sono maggiori.
Vale a dire, nella parte socio-istituzionale.
Rafael Miranda – Possiamo parlare di una
clinica impegnata nel progetto sociale in Castoriadis? Egli
teorizza che scopo della psicoanalisi è l'autonomia del
soggetto. Condividi questa posizione, secondo la quale il fine
della psicoanalisi è l'autonomia del soggetto?
Eduardo Colombo – Non so fino a che punto lo stesso
Castoriadis sarebbe d'accordo con questa formulazione se non
la si completa. È chiaro che il fine della psicoanalisi
è l'autonomia del soggetto. Al tempo stesso, come abbiamo
detto all'inizio, sappiamo che il grado di autonomia cui può
aspirare un soggetto è limitato dalla struttura di una
società eteronoma. Vale a dire che l'autonomia del soggetto
è direttamente connessa all'autonomia della società.
Il rapporto è vicendevole. La società e il soggetto
si costruiscono vicendevolmente. Un soggetto umano non è
un elemento inerte; fin dalla nascita l'individuo si inserisce
in un sistema di relazioni interpersonali, ne fa parte, le modifica
e si costruisce come soggetto, tendendo sempre verso l'ampliamento
della propria autonomia.
Ma questa autonomia ha limiti esterni in una società,
come abbiamo visto riguardo alla cura. Tali limiti non sono
superabili individualmente. È, questa, una delle ragioni
per le quali difendo la posizione rivoluzionaria. Sono convinto
che la società non si cambia mediante modifiche parziali,
poiché essa funziona come una totalità, e quindi
sociologicamente dobbiamo disporre di un approccio olistico.
Castoriadis definisce questo aspetto attraverso le rappresentazioni
immaginarie centrali, che attraggono come in un campo di
forze altre significazioni. Questo campo di significazione è
opaco, occulto.
Ci sono altri elementi altrettanto importanti. Per esempio,
ciò che Foucault chiama l'episteme – la
struttura di base a partire dalla quale pensiamo – implica
una serie di elementi di significazione, di teorie, concetti
e pratiche, forme di pensare il mondo, che si fanno visibili
quando le cerchiamo, ma non sono evidenti di per sé.
Colui che pensa, pensa contro qualcosa. Se si pensa che sia
necessario modificare la realtà sociale, la negazione
logica di ciò che è permette l'insorgere di ciò
che non è ancora, di ciò che diviene. È
da qui che si sviluppa il pensiero. Nella struttura del soggetto,
l'identità che il soggetto va acquisendo nel corso della
vita, nel divenire della sua auto-costruzione costante, è
l'alter, l'altro, l'altro collettivo, l'istituzione sociale,
che apporta la materia di un simile processo.
Le rappresentazioni, le idee, non sono inerti, vivono delle
emozioni e delle passioni del soggetto, per questo il pensiero
critico deve attaccare l'episteme della sua epoca, che
funziona come una soglia di enunciazione, per così
dire, o meglio come supporto o base a partire dal quale un discorso
è udibile, comunicabile, capace di circolare collettivamente.
Claudio Albertani – In questo senso, come
articoli l'impostazione di Castoriadis con l'anarchismo?
Eduardo Colombo – L'anarchismo, nell'epoca in cui
viviamo, si trova sulla soglia della visibilità, lo si
vede, ma non raggiunge il livello basilare di enunciazione:
non viene ascoltato. Le sue idee centrali, antiautoritarie,
sono estranee alla società gerarchica e il discorso anarchico
non viene percepito correttamente perché, come accade
con il trattamento psicoanalitico, tale discorso si scontra
con i limiti strutturali del sistema, ma ora la lotta sociale
esige la distruzione di questi ostacoli. Attualmente se voglio
far passare le mie idee, devo ricorrere ai mezzi di comunicazione
di massa. Bisogna arrendersi alle esigenze del mercato. Occorre
essere in primo piano; bisogna farsi intervistare (come sto
facendo io adesso) per uscire dall'anonimato. Non è importante
l'anonimato delle persone, ma è importante quello delle
idee.
Le idee eterogenee rispetto al sistema gerarchico incontrano
grandi difficoltà nel farsi ascoltare, perché,
come dice il proverbio, non c'è peggior sordo di chi
non vuol sentire. Nuove invenzioni hanno invaso le tecniche
di comunicazione, in particolare Internet. In questo ambio la
diffusione dell'anarchismo è enorme. È incredibile
vedere la quantità di portali e pubblicazioni che popolano
la rete, se li si paragona con l'occultamento e la deformazione
patiti dal movimento anarchico nella seconda metà del
secolo scorso. Ma permangono limitati a chi va a cercarli; non
passano al livello pubblicitario. Se scrivo un libro, chi lo
leggerà? Quelli che sanno che questo libro esiste e quelli
che sanno che questo libro esiste sono quelli che per una ragione
o per l'altra sono legati al movimento anarchico. In caso contrario,
non ne conoscono l'esistenza, perché non essendo presente
sul piano pubblicitario commerciale, questo tipo di libri non
è visibile. Il tema centrale, ancora una volta, è
come il soggetto può accedere all'autonomia quando è
costretto a corrispondere a determinate condizioni che la società
gli impone. La possibilità di pensare l'autonomia, o
di essere autonomo, o anche di avere un progetto di autonomia,
dipende dalla elaborazione individuale e collettiva di idee
e pratiche che permettono di far proprio il nuovo, l'antigerarchico,
le relazioni non autoritarie. Tutto ciò porta in direzione
dell'autonomia. Nell'idea bakuniniana di libertà era
già presente tale problematica.
Nell'ultimo libro pubblicato qui a Parigi da Castoriadis su
Tucidide c'è una pagina in cui si definisce la libertà
in senso bakuniniano; benché il vincolo ideologico non
sia esplicitato, è la relazione tra gli esseri umani
ciò che fa emergere il valore di libertà. (9)
È assurdo considerare la libertà come fa il principio
liberale, che afferma che “la mia libertà finisce
dove comincia la libertà dell'altro ”. È
vero l'opposto: la libertà si dà nella relazione
tra i soggetti. È qui che si creano le possibilità
di essere liberi e di pensare liberamente. Bakunin lo dice con
grande chiarezza: ci sono tre momenti della libertà.
Il primo momento è puramente positivo: è la società
umana il luogo in cui appare l'idea, il valore della libertà.
Ma il secondo momento della libertà è la ribellione
contro ciò che opprime. È il momento negativo:
la ribellione contro lo Stato, contro il fantasma del divino
o contro gli elementi che direttamente ci opprimono in qualsiasi
situazione. Ma dietro a questo esiste un'altra ribellione, più
profonda, che è la necessità di ribellarsi contro
se stessi, vale a dire contro la società che si trova
interiorizzata in noi.
Un'idea
deve essere in movimento
Claudio Albertani – In Bakunin c'è
già questo tipo di analisi psicologica?
Eduardo Colombo – Bakunin dice: “Nell'angolo
più oscuro del cervello del più leale figlio del
popolo dorme un poliziotto ”. Perché? Non perché
la gente sia buona o cattiva. Tutti noi siamo socializzati in
un tipo di società autoritaria ed è impossibile
staccarsi totalmente da questa società quando ci si vive.
Il secondo momento della ribellione, vale a dire il terzo della
libertà, consiste nel ribellarsi contro se stessi, riuscire
a pensare indipendentemente dai limiti nei quali ci siamo formati.
Questo ha a che vedere con la critica della tradizione, la critica
del nomos, la critica della norma, della legge. Per un
anarchico, anche nella società più anarchica che
si possa immaginare, esisterà sempre l'idea che un'altra
società migliore sarà possibile. La società
ideale è un impossibile, è immaginare una
fine della storia, però l'ideale di un'altra società
è ciò per cui bisogna battersi. Ibsen diceva che,
nella lotta per la libertà, chi si ferma proclamando
che l'ha raggiunta, dimostrerà proprio che l'ha perduta.
Rafael Miranda – È possibile una clinica
impegnata in un progetto sociale?
Eduardo Colombo – Poco fa, ho tentato di evidenziare
le contraddizioni della cura. La psicoanalisi può aiutare
a svelare la realtà, mostrare molti aspetti che stanno
a indicare l'autonomia, la liberazione sociale, ma con i limiti
di cui abbiamo parlato. Forse Castoriadis non lo direbbe così.
Il concetto castoriadiano di autonomia è che non esiste
autonomia del soggetto se non esiste autonomia della società,
per questo torniamo all'aspetto rivoluzionario. Perché
il peggio che possa capitare con un'idea è che si ponga
come una verità. Un'idea deve essere in movimento: senza
passioni, la società non cambia.
Claudio Albertani e Rafael Miranda
Questa intervista è stata registrata a Parigi
nell'aprile del 2011, nell'ambito delle attività
preparatorie dell'Incontro internazionale annuale della
Cátedra Interinsitucional Cornelius Castoriadis
(http://vimeo.com/channels/formacionenalteridad#25056626)
che si è svolto nella Casa de la Primera Imprenta
de Américe, Città del Messico, il 5, 6 e
7 ottobre 2011.
Il testo è stato rivisto e migliorato dallo
stesso Colombo nel febbraio 2012.
Traduzione dal castigliano di Luisa Cortese.
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Note
- Enrique Butelman (1917-1990), è stato docente di
Storia della Psicologia, Psicologia sociale e Psicologia contemporanea
nella Università di Buenos Aires. È stato cofondatore
e direttore della casa editrice Paidos.
- Enrique Pichon-Rivière (1907-1977). Medico psichiatra
svizzero naturalizzato argentino, fu tra coloro che introdussero
la psicoanalisi in Argentina.
- La scuola di Palo Alto è basata sul lavoro di Gregory
Bateson, sistematizzato e ampliato da Paul Watzlawick, a partire
dai paradigmi imperniati sulla nozione di informazione e sui
concetti derivanti dalla cibernetica.
- Willy Baranger (1922-1994). Psicoanalista di origine francese,
emigrò in Argentina dopo aver effettuato studi filosofici.
Pubblicò varie opere di ispirazione kleiniana e si
interessò in particolare all'opera di Jacques Lacan.
- Si tratta del Quatrième Groupe, organisation psychanalytique
de langue française.
- George H. Mead (1863-1931). Psicologo sociale statunitense,
teorico del primo behaviorismo, chiamato anche interazionismo
simbolico, nell'ambito della scienza della comunicazione.
- Si tratta del Colloquio di Cerisy sulla vita e l'opera di
Castoriadis (1990). Cfr. http://vimeo.com/27681198.
- Secondo Castoriadis, la monade è lo stato originario
della psiche, anteriore all'introduzione della separazione
che precede il processo di socializzazione. Lo schema che
prevale nella monade è l'onnipotenza; rappresentare
è realizzare immediatamente, e non ci sono distinzioni
tra il sé e il tutto. Quando tale stato viene spezzato
violentemente, la psiche trasferisce questo schema nell'altro
che tutto può e che si trasforma nella fonte esclusiva
del senso. In primo luogo la madre, il partito, la chiesa,
la tecnica, la ragione, il mercato ecc. Il modo in cui lo
stato monadico della psiche perdura nel corso della vita del
soggetto si manifesta mediante la tendenza perenne alla negazione
della alterità e il ricorso alla ripetizione contenuta
in ogni identità rivendicata.
- Cornelius Castoriadis, Ce qui fait la Grèce,
t. 3: Thucydide, la force et le droit, “La couleur
des idées ”, Seuil, Paris 2011.
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