Rivista Anarchica Online


alternative. 1

Quando sai che le chiavi di casa stanno sotto il vaso

di Valentina Volonté


Ovvero: esiti imprevisti del progetto «Il mio villaggio. Per una politica dei quartieri e del quotidiano», Cronaca di vita, teorie ed esperienze tra Milano, Lione...


Questo articolo è una visione parziale e personale di un'esperienza che vivo con compagne e compagni italiani, francesi, svizzeri... da ormai qualche anno. È una storia piccola che mi accompagna e che mi ha portato a focalizzare meglio alcuni nodi della mia azione politica nei territori. Le voci riportate in corsivo provengono da un questionario distribuito a chi è attivo nel progetto.

V.V.



Tutto nasce per me dalla necessità di essere mobile. Mobile fisicamente e mentalmente. Sempre più mi è necessario creare una rete di salvataggio autonoma che possa essere in grado di sostenerci, amplificare, moltiplicare i nostri percorsi di autogestione. Perché sempre più mi sento lontana dalle scelte imposte; sempre più, anche le millantate certezze ci si sgretolano davanti. Investire sulle persone è la strada che mi interessa.
Il mio villaggio è la metafora di una vita non parcellizzata, in uno spazio a misura delle nostre gambe, dove è possibile incidere direttamente sulle nostre vite. Per questo ci sta bene l'aggettivo possessivo davanti: quando ti senti di appartenere e riconosci in un luogo la tua storia c'è la spinta per organizzarti. «Si diventa cittadini del mondo a condizione di appartenere a un luogo» (1).

Milano 2011. Scambi di pratica e pensieri


Un po' di storia. Tentativo di dipanare la matassa

Maggio 2008. Un gruppo di milanesi si sposta a Lione per scoprire il quartiere della Croix Rousse e incontrare le realtà locali alternative. Quando proposi ad Alex, un caro amico croix-roussiano, di pensare a 4-5 giorni di visite e incontri nel quartiere Croix-Rousse, nessuno dei due sospettava il potere generativo di questa esperienza! In effetti quel gruppo di persone che si conoscevano poco o niente si è messo in gioco a 360°. Ci muovevamo inizialmente ispirandoci a un concetto poco elaborato di turismo alternativo. Da subito però ci è stato chiaro che stavamo facendo autoformazione. Viaggi di autoformazione: è così che abbiamo cominciato a chiamarli dall'anno seguente, dando il nome « il mio villaggio» al progetto e introducendo le nozioni di territorio e di quotidiano in questa storia.
La volontà forte veniva da un gruppo nato all'interno del collettivo dell'associazione Scighera (2) di Milano e dal desidero di spingere sull'acceleratore rispetto ai tanti discorsi emersi durante il congresso «Ri-volta la carta, pratiche di autogestione e di libera organizzazione» (3) svoltosi quell'anno in Torchiera (4).
L'idea del Mio villaggio – certo non nuova – era creare sapere condiviso sul nostro saper fare ma anche sul nostro saper essere in situazioni autorganizzate; per farlo volevamo spostarci, visitare, incontrare, prendere le distanze dal nostro quotidiano, tessere e trovare luoghi, collettivi, persone complici. Bisogno di ossigeno da una Milano sempre più soffocante dalla quale è difficile staccarsi... Ci inventammo quindi questo progetto per rispondere in primo luogo a una nostra esigenza vitale e avere un passe-partout per entrare a casa degli altri.
Maggio 2010: eccoci al secondo viaggio dei milanesi a Lione. Durante questi giorni incontrammo Lau et Toff dell'associazione di educazione popolare Crefad (5). Con loro si organizzarono due viaggi di lionesi a Milano e due di milanesi a Lione. Con altri gruppi andammo poi anche 2 volte alla Plaine di Marsiglia per il carnevale autogestito, contatto nato da un'altra storia fortemente intrecciata a questa: gli incontri internazionali di canto popolare e sociale che riuniscono vari cori italiani e stranieri (tra cui Le voci di mezzo di Milano).
Nello stesso mese la Croix-Rousse (dove io mi ero nel frattempo trasferita e dove Andrea, un altro milanese viveva da circa un anno) venne invitata come quartiere ospite alla festa del quartiere Grottes a Ginevra.
Settembre 2010. Grazie ai contatti presi a Ginevra, la Scighera, il ludobus della cooperativa Alekoslab e il coro delle Voci di mezzo vengono invitati al festival autogestito della Croix-Rousse-Vogue la Galére. (6)
A maggio 2012 sarà la Scighera a essere invitata alla festa del quartiere Grottes a Ginevra con la sua rete artistica dei pesci piccoli. Recentemente un'attivista di Lione originaria di Brema ha aperto una nuova via verso Brema. Così descrive la voglia che le rimane attaccata dopo il viaggio a Milano nel 2011: «a casa mia c'è una piccola meraviglia e voglio mostrartela, come in un incantesimo politico» (Ginevra-Grottes riunione della rete, ottobre 2011).

Sul marciapiede della Croix Rousse
foto tratta dal blog ma_croixrousse_alternative)


E se dalla nostra finestra vedessimo il mare?

Guardo dalla finestra di un palazzo di Piazza Schiavone, quartiere Bovisa, Milano, in un mattino di novembre: paesaggio desolante, piazza grigia, gasometro, parco giochi di plastica «oasi» per bambini. Dov'è la bellezza? Ci avevamo mai veramente pensato, che forse il luogo dove stiamo ci influenza molto di più di quanto la nostra volontà affermata e creatrice non faccia?
Intorno a questa semplice domanda, cominciammo noi di Scighera in particolare a farcene delle altre talmente a portata di mano da sembrare banali: che ne è della nostra quotidianità, dei gesti che automaticamente fanno parte della nostra vita, fare la spesa, bere un bicchiere, salutare il vicino? Che ruolo hanno nella nostra azione politica? Non ci sentiamo forse divisi, parcellizzati in tempi e luoghi? Abitare un luogo e agire politicamente in e per quel luogo che cosa aggiunge o toglie al nostro modo di autorganizzarci? Queste domande le chiudiamo in valigia e le rimettiamo sul tavolo, insieme al vino rosso buono che offriamo ai nostri ospiti. Si tratta di un lento percorso di autoconsapevolezza vissuto in collettivo, fatto di piccole scoperte e piccoli dettagli.
Nel Maggio 2010 intitolammo il viaggio alla Croix-Rousse Semi di alternativa. Percorsi individuali e crescita collettiva sul terreno fertile del quartiere. Quei giorni andammo ad ascoltare diverse testimonianze di persone che avevano scelto quel quartiere per vivere e creare la loro esperienza alternativa. E visitammo anche il quartiere della Guilliotère dove da diversi anni si istallano persone con progetti collettivi interessanti, per guardare la Croix-Rousse da un altro punto di vista cittadino. Da questi incontri trasparivano chiaramente alcuni elementi dell'azione nel territorio di questi individui e gruppi : spontaneità – che quasi sfiora l'inconsapevolezza – dell'essere in uno spazio geografico e comunitario; tradizione e stratificazione di alcuni modi di essere nel tempo; rivendicazione aperta dell'identità croix-roussiana; delusione, rigetto e quindi abbandono di questo luogo... Senza entrare nei dettagli, ciò che importa dire è che il tema del «qui» non poteva essere anodino ed era fondante sia nell'iscrizione temporale che nel presente, nel quotidiano, nell'ora. Se per la Scighera il quartiere era uno spazio (ancora una volta) da costruire con le nostre volontà e passione politica e ancora troppo poco di bisogno concreto, di necessità, lì era già il terreno di gioco del quotidiano, delle relazioni, dell'ordinario.
Il movimento squatter delle Grottes negli anni '70-'80, l'onda di giovani artisti e alternativi che nello stesso periodo occupava le case sulle Pentes della Croix-rousse, l'immaginario legato alle lotte degli operai della seta (i Canuts), il mare che mitiga il clima ma non la creatività alla Plaine, sono ingredienti – tanto per fare degli esempi – che un abitante di quei quartieri può utilizzare per creare e sperimentare modi di azione e trasformazione. Facendolo si inserisce in un continuum, un insieme di storie e di storia che troviamo nelle scritte sui muri, nel modo di camminare per strada, di utilizzare lo spazio pubblico. Cioè in pratiche di invenzione del quotidiano, con elementi ordinari, non eclatanti, quasi banali.
Questi elementi generano però ancora dei progetti interessanti e un modo di vivere il quartiere come uno spazio del collettivo. Non si tratta di una tradizione soffocante: questo passato lascia grandi spazi di creazione in un «qui» (il territorio) e nell' «ora» cioè nel quotidiano che si stratifica e si fa storia attraverso l'azione autorganizzata. E questo è attribuibile al fatto che queste storie creano un immaginario. Poco importa la veridicità degli avvenimenti, non ci interessa fare gli storici, ma osservare quanto questo passato smuove un immaginario rivoluzionario e la voglia di autorganizzarsi.
Un «qui» e un «ora» che chiamiamo «il mio villaggio» come metafora di un modo di appropriarsi di un territorio come spazio delimitato, di appartenenza, di negoziazioni, capace di strutturare le condizioni pratiche dell'esistenza di un individuo o di un collettivo sociale e di informare in cambio questo individuo o collettivo sulla(e) propria(e) identità. «Un quotidiano che si inventa attraverso mille modi di bracconaggio» (7).
Si torna a casa con la voglia di «fare quartiere» e con la voglia di guardare con occhi diversi il nostro luogo di vita e di azione. La Scighera non si trovava alla Bovisa per una storia con questo quartiere ma per una semplice opportunità avuta nel 2006 di uno spazio abbastanza grande per quello che si aveva in testa di fare. Fare della Bovisa «il mio villaggio» era una sfida da prendere con il giusto entusiasmo...

«L'entusiasmo per alcune esperienze incontrate nei viaggi genera una forte spinta a cambiare in meglio la Scighera, a rivederne meccanismi forse troppo consolidati. Si scopre che spesso le realtà incontrate hanno problemi analoghi, si imparano metodi diversi per affrontarli. Inoltre i contatti creati nel corso dei viaggi stanno creando una rete internazionale di artisti che potrebbe cominciare a produrre frutti molto interessanti per quanto riguarda la programmazione degli eventi. Il mio villaggio ha contribuito a far conoscere l'esperienza della Scighera ben oltre i confini nazionali.»

«Il mio villaggio credo ci costringa sempre di più a non essere autocentrati e autoreferenziali.»

«Ha portato una nuova forma di azione, arricchito le altre, ci ha fatto incontrare e lavorare con nuova persone e realtà, dare una migliore visibilità locale alla nostra associazione e rendere più grazioso il nostro quotidiano».

«Di sicuro, insieme al fatto che per la prima volta vivo in un vero «quartiere», ha contribuito a farmi apprezzare e promuovere il quartiere stesso come unità di vita e posto adatto a conoscersi e fare delle belle storie e vivere bene, mentre prima avevo sempre visto nella città il solo lato «anonimato e guerra per la sopravvivenza», che pure in realtà mi affascina ancora molto. In ogni caso, ha contribuito a insegnarmi a considerare il mio quartiere come casa mia, piuttosto che tutta la città una casa squattata di cui non ho le chiavi. Mi ha anche fatto riflettere e apprezzare meglio il modo di vivere «alternativo» conviviale e comunitario che ho in realtà sempre cercato di mettere in pratica senza farmi troppe domande.»

Lione 2009. Canzoni il primo maggio


Per una trasformazione collettiva del nostro quotidiano

Di esiti ce ne sono stati, contraddittori, belli visibili, altri stanno nella prospettiva di ognuna e ognuno, ancora come sogni... Le Taz (8) in Piazza Schiavone, le parate in quartiere, il corso di teatro popolare «Ascolto il tuo cuore città» per citarne alcuni. Più di tutto importa sentirsi in cammino, avere aperto una finestra su di un mare che non c'è e che per arrivare dovranno passare delle ere geologiche.
Certamente la Bovisa non raggiunge gli standard di vivibilità, convivialità, spontaneità che abbiamo visto alla Plaine di Marsiglia, alla Croix-Rousse di Lione o alle Grottes di Ginevra e non c'è (a differenza dei quartieri citati) un'alta concentrazione di realtà autorganizzate e alternative che aumenta quindi la possibilità di legami affinitari. Quindi che facciamo vedere ai nostri ospiti?
La vicina Torchiera è fuori dal quartiere, alcuni dei soggetti con i quali Scighera collabora da anni, non stanno in quartiere... Certo c'è la cooperativa edilizia, esempio di libera organizzazione, la sede dell'Anpi, il circolo, il Rino e la Franca, memoria storica della Bovisa operaia... ma manca un legame affinitario profondo... come lo facciamo l'incantesimo politico??
Dietro la nebbia il retro di Milano. Alla ricerca del villaggio che non c'è. Il titolo del viaggio, nel febbraio 2010, dei lionesi a Milano. Il fatto di ricercare cosa mostrare, mi ha permesso personalmente per la prima volta di vedere io stessa delle cose. Però l'anno successivo con il viaggio “La testa nella luna e i piedi per terra: piccole utopie di territorio”, dopo discussioni e rinunce, la scelta di Scighera fu quella di andare a cercare altrove, privilegiando la rete cittadina al territorio, facendo della rete basata sull'affinità e allargata alla città, il suo territorio.
È chiaro che se la ipotesi di fondo è che il territorio, il quartiere, il mio villaggio sono un'unità interessante per permettere una trasformazione collettiva del nostro quotidiano, stavamo facendo una deviazione su una strada secondaria. Forse non siamo a caccia di risposte, ma di domande... «Il quartiere: una buona scala per trasformare, creare, inventare i nostri quotidiani?» Una risposta a mio avviso interessante sta nelle replica di un'attivista del progetto: «Non è una cattiva domanda, ma contiene un po' troppo la risposta. Sarebbe più interessante cercare altre domande che domandano di più, più stimolanti. La nozione di villaggio non è tanto per me un'unità territoriale ma un modo di abbracciare l'altro con le sue differenze e somiglianze, una specie di avvicinamento per incontrarsi.»

Il mio villaggio, unità spaziale, comincia ad andare stretto al alcuni...
È indicativo che l'idea di locale che il mio villaggio porta con sé, anche se un locale internazionale, accompagnandosi alla necessità dell'affinità, ci porti a spostare lo sguardo sempre più in là rispetto al luogo dove siamo ora. Il mio villaggio diventa così in parte un pretesto per l'incontro perdendo un po' dell'idea iniziale del territorio come laboratorio di sperimentazione alla nostra portata (cioè non essere possibili prede di un potere centrale mortifero, agire nel piccolo, creare nicchie creatrici e contaminanti...) e di collaborazione con gli abitanti, interpellati in quanto abitanti, prima che di ogni altra identificazione, su dei bisogni comuni. Un'idea insomma di forme di cooperazione in un'ottica di trasformazione sociale tra chi abita un luogo come prima fonte di appartenenza. Questo allontanamento da questa idea, sebbene ricchissimo di spunti e riflessioni, può essere un po' rischioso a mio avviso, perché ci porta in maniera un po' esclusiva nel terreno della relazione interpersonale e interculturale e meno su quello della politica del quotidiano. Il mio villaggio rischia di perdere di potenza rispetto al cambiamento concreto del nostro luogo di vita. Questa «deriva» può essere forse un passaggio obbligato per ritornare al quartiere e ai suoi abitanti, cioé all'idea di comunità basata sul luogo e in un secondo tempo sull'affinità? Ce lo chiediamo.
È importante dire che Il mio villaggio non è una rete di realtà e soggetti libertari. Ognuno porta la sua storia. Però dal mio punto di vista, il carattere politico del Mio villaggio sta proprio nel fatto di non voler ricercare a tutti i costi un'appartenenza apertamente libertaria, ma di scovarne i tratti un po' ovunque, nelle forme di resistenza al dominio e nelle forme di creazione di alternative sociali. Oggi ancora di più rigettiamo l'idea di intervenire a un livello macro della società, per alimentare invece una rete sempre più forte di connessioni tra «pesci piccoli»su scala internazionale. Crediamo nella rete di mutuo-aiuto che può nascere dalle persone e dai loro progetti, senza l'illusione di garanzie istituzionali. In questi anni le collaborazioni sono nate da incontri casuali, altre volte da volontà specifiche, tutte legate dalla stessa necessità di cambiamento e trasformazione del mio villaggio, qualcosa che è alla nostra portata.
Non solo una rete di persone e progetti, ma anche di case, divani, colazioni al bar, aperitivi in terrazza, canzoni e libri... come in ogni scambio umano, ma che acquista un «meta»senso: sai che lo fai dentro a un sistema che porta dei valori e non è il couch surfing, non dormo e basta sul tuo divano, partecipo a un'idea diversa dei rapporti umani e del loro farsi società.

«Mentre scrivo sto a Berlino; vivo a Lione e lavoro al Kotopo un bar associativo dove per la prima volta sono entrato durante un viaggio di scigherini in primavera. Il mio villaggio è per me una rete in continuo cambiamento di persone e cose che mi interessano, a livello personale (per la mia vita) e generale (per l'idea di evoluzione politica e sociale che sogno per il mondo intero); e poi, e questo mi riguarda più direttamente, è il sogno di poter creare un luogo di vita come ho sempre sognato, non in un posto ma in tanti posti (tutti i posti del mondo), di poter essere tra amici (coi quali conoscere, pensare e creare un mondo che mi/ci piaccia) in ogni posto, come ad esempio ora che scrivo di questo e intanto, allo stesso tavolo, in una casa collettiva alla periferia di Berlino, giovani tedeschi discutono delle emozioni che hanno provato nelle attività della loro associazione nell'ultimo anno. Il fatto di sentirmi parte di una rete multiforme, internazionalista e multi-linguista, senza una localizzazione statica (anche in senso politico) è per me «il mio villaggio», il villaggio nel quale voglio vivere!»

La testa nella luna e piedi per terra. Viaggio milano
2011 manifesto su di un muro della Bovisa


Nel segno dell'educazione popolare

Non è un caso che molte persone che ruotano attorno al mio villaggio provengano dal mondo dell'educazione e della formazione. Abbiamo incontrato e apprezzato l'universo contraddittorio e variegato dell'educazione popolare francese, che i compagni e compagne del Crefad ci hanno fatto conoscere. La denominazione stessa pone parecchi interrogativi sulla sua origine e la sua posizione in una prospettiva libertaria.
È proprio dall'incontro/scontro tra questa storia profondamente radicata nella società francese e lo sguardo portato dal nostro gruppo riguardo agli stessi temi, che c' è stato e continua a esserci un bel rimescolamento di carte. I temi in questione: l'approccio al socio-culturale, una generica formazione nell'ambito dell'educazione all'autonomia in prospettiva libertaria, un percorso nei centri sociali autogestiti, un rapporto distante con lo Stato e le sue articolazioni (si veda l'articolo «fare opera di emancipazione» in questo numero di A). «L'educazione popolare, più che un movimento o la designazione di spazi dove dovrebbe essere all'opera, è un modo di essere: apprendimento, sviluppo dello spirito critico, responsabilizzazione, riflessione etica, per tutti e da tutti, per tutta la vita, ovunque. Siamo convinti che sia più interessante il percorso, il camminare che cercarsi un posto nella società, che sia vitale creare le nostre condizioni di emancipazione di fronte alle costrizioni sociali, culturali, politiche e morali che ci vengono imposte e che ci imponiamo. Siamo coscienti dei meccanismi che frenano o complicano questo modo di fare, ed è per questo che abbiamo bisogno di metodi e d'immaginare dei mezzi per agire.» (9)
Scoprire progetti collettivi, incontrare altre persone con percorsi e origini diverse: in che modo gli altri, altrove, in contesti politici e sociali diversi, associano i loro obiettivi ai loro mezzi?
Capire meglio le interazioni tra le azioni, il luogo di vita, le condizioni di vita là dove ci spostiamo e qui dove viviamo. Quali pensieri accompagnano l'azione? Stiamo andando nella direzione di uno scambio di pensiero e di metodi piuttosto che di pratiche. Non si può trattare solo di cercare modelli da riprodurre, ma di sviluppare la propria capacità di pensare l'azione. La dimensione autoformativa sta qui: nel sapere che ci si sta formando, nel mettersi in una postura riflessiva rispetto alla propria capacità di pensare e di apprendere. Nel costruire un discorso e una narrazione sulla propria azione. Il mio villaggio cerca di creare questo contesto spazio-temporale della riflessione/riflessività che pero é azione perché allo stesso tempo tesse una rete.

È inverno, fa un freddo cane, sono le 11 di sera. Scendo dal treno alla Stazione di Genève Cornavin. Ho il tempo di bere una birra alla Buvette de Cropettes. Non ho avvertito Sam che arrivavo stasera, ma so che le chiavi di casa stanno lì sotto il vaso di fiori. Quanto c'è di rivoluzionario in questo?

Lione 2011. Mani che cucinano.
Momenti di convivialità


Voci del villaggio

Il mio villaggio mi ha lasciato l'incontro con esperienze associative simili alla mia, ma anche di azioni dirette e rivendicazioni senza mediazioni (soprattutto il carnevale della Plaine a Marsiglia, ma anche la parata con il Crieur Public alla Croix Rousse), da una parte mi hanno confermato la situazione di estrema difficoltà che viviamo in Italia, a Milano, rispetto a queste cose, soprattutto a causa della burocrazia cieca e repressiva che da noi strangola ogni barlume creativo. Dall'altra mi hanno convinto che gran parte del nostro immobilismo è dovuto a mancanza di coraggio e creatività, ad un'accettazione eccessivamente supina della situazione. Per questo mi sono dedicato molto alla creazione di un gruppo informale di azione diretta, lo sciame, e di eventi come gli aperitivi autogestiti e le TAZ, che spero possano evolvere in qualcosa di più visibile e determinante. Anche se rimango dell'idea che la dimensione territoriale debba essere circoscritta al quartiere.

Percepisco il «Mio Villaggio» come un ponte fra varie oasi. Ponte che permette l'incontro, la contaminazione, lo scambio e quindi la crescita delle oasi che vengono messe in contatto, collegate.
Il «mio villaggio» offre la possibilità alle persone che vi partecipano di auto-formarsi, di costruire su misura delle proposte culturali, umane e politiche. Il mio villaggio porta un'attenzione particolare al territorio inteso come spazio dove si svolge l'azione quotidiana delle persone, i loro rapporti sociali, il loro agire politico: rimette in discussione il tema del «Vivere un luogo».

Grazie al «Mio Villaggio», lo spazio dove attuare la progettazione si espande e apre nuovi orizzonti di senso: l'incontro fra realtà e persone di territori diversi avviene tramite affinità elettive e reciproca curiosità, aspirazione ad accogliere contaminazioni, in un modo non forzato bensì spontaneo e entusiasta e quindi estremamente efficace.

Un senso di possibilità e vicinanza con realtà e contesti 'formalmente' diversi;la sensazione che, pur agendo e partendo da contesti politici e culturali diversi, si possono mischiare le carte e gli sguardi. mi ha aiutato a dare contorni più netti alle specificità italiane e alle nostre reazioni. Un bisogno sempre maggiore, impellente, di vivere lo spazio pubblico come mio, di agire gesti che me lo fanno appartenere (dagli aperitivi informali di sciame, alle mazurke clandestine..) una prova tangibile di ampliamento dell'orizzonte.

Un sogno. L'idea che attraverso pratiche di azioni quotidiane radicate in un territorio all'interno di macrosistemi cittadini, si possano diffondere conoscenze, strumenti politici diretti, modalità espressive culturali e artistiche, al fine di creare un'importante rete internazionale di scambi. Il mio villaggio dunque è sì un luogo fisico circoscritto in un macrosistema, ma è anche un villaggio.

Valentina Volontè
info ilmiovillaggio@gmail.com
www.ilmiovillaggio.org

Note

  1. Francoise Choay, L'utopie aujourd'hui c'est retrouver le sens du local, revue Urbanisme, p.2
  2. Associazione culturale, progetto collettivo intorno a uno spazio osteria/sala culturale a Milano www.scighera.org
  3. http://ri-voltalacarta.noblogs.org/
  4. Cascina occupata autogestita a Milano dal 1992
  5. Centro di ricerca, studio e formazione all'animazione e allo sviluppo, associazione di educazione popolare in rete con 9 associazioni e cooperative in Francia http://www.reseaucrefad.org/
  6. http://voguelagalere2011.blogspot.it/
  7. Certeau, M. de, 1980, L'invention du quotidien 1. Arts de faire, Paris, Union générale d'éditions; trad. it. 2001, L'invenzione del quotidiano, Roma, Edizioni Lavoro. p.6
  8. Zone temporaneamente armoniche, momenti di riappropriazione di Piazza Schiavone con musica, canti, ciclofficina, baratto...
  9. Tratto da un testo interno al Crefad.