in direzione ostinata
e contraria
Si fa, ma non si dice
Intervista a Franco Grillini
di Renzo Sabatini
È questa la regola-base dell'ipocrisia italica, anche in tema di sessualità e omosessualità.
In quest'intervista del 2005 il presidente onorario dell'ARCI-Gay parla anche del ruolo possibile degli artisti.
A partire da Fabrizio De André e Francesco Guccini.
Lei è attivo da molti anni nel movimento per i diritti
civili degli omosessuali, è il presidente onorario di
ArciGay e nel 2001 è stato eletto parlamentare con i
Democratici della Sinistra. Quindi con lei si fondono impegno
politico e sociale. Potrebbe farci un autoritratto di Franco
Grillini?
Ho appena compiuto cinquant'anni, trentacinque dei quali dedicati
al'impegno politico, cominciato con le battaglie nel movimento
studentesco e proseguito con la militanza nel Partito di Unità
Proletaria, un piccolo partito della sinistra che si è
poi sciolto nel 1984. La militanza omosessuale è cominciata
nel 1982, l'anno del mio “coming out”. Dal 1982
in poi è stato un crescendo di iniziative, di lotte,
di battaglie, di presenze nella vita politica italiana: nel
1985, assieme ad altri, abbiamo fondato l'ArciGay nazionale;
nel 1987 abbiamo dato vita alla Lega Italiana per la Lotta Contro
l'AIDS; nel 1997 abbiamo fondato la Lega Italiana Famiglie di
Fatto, che è l'associazione delle famiglie omosessuali
ed eterosessuali, volta ad ottenere la legge che riconosca anche
in Italia i diritti delle coppie non sposate. Sono stato per
tre volte consigliere provinciale a Bologna. Come Deputato sono
membro della Commissione Giustizia, dentro cui mi sono occupato
di tante cose, per esempio la legge sulla prostituzione, un
provvedimento molto repressivo e restrittivo proposto dal Governo,
cui mi sono opposto fieramente, tanto che alla fine la legge
non è passata. Ovviamente anche come parlamentare mi
sto occupando della legge per il riconoscimento delle coppie
di fatto, che spero sia approvata entro la fine della legislatura.
Potrebbe presentare anche l'attività di ArciGay?
Che obiettivi si propone, che attività svolge, quanta
gente coinvolge?
ArciGay è l'organizzazione nazionale degli omosessuali
ed ha più di 200 circoli sparsi su tutto il territorio
nazionale, da Aosta fino a Palermo. Ha più di 100.000
iscritti quindi, forse, è la maggiore organizzazione
gay europea. Siamo anche l'unica organizzazione gay al mondo
che ha una tessera elettronica che i soci usano per entrare
nei circoli e nei locali gestiti da ArciGay. Sembra una frivolezza
ma in realtà è un modo per garantire la sicurezza
dei soci, garantire una certa privacy e fare in modo che nei
locali frequentati dai gay non entrino dei malintenzionati.
È un'associazione molto vivace che ha costruito una presenza
gay in tutte le città ed è stata protagonista
di tutti i “Gay Pride” dal 1994 ad oggi, alcuni
dei quali sono stati molto rilevanti, basti pensare al “World
Pride” di Roma fatto nel 2000, anno del giubileo, con
mezzo milione di persone; e poi i “Gay Pride” di
Padova e Bari che hanno inciso profondamente sulla realtà
locale.
Il “Gay Pride” di Bari, del 2003, è considerato
il momento di inizio della “primavera pugliese”
che ha portato Nichi Vendola a diventare Presidente della giunta
regionale. Quella è stata la prima volta in Italia in
cui un omosessuale dichiarato ha vinto un'elezione popolare,
per di più in una regione molto popolosa di quel sud
italiano considerato molto “machista” e molto maschilista.
Quindi una specie di rivoluzione culturale che qualcuno ha paragonato
alla vittoria che ci fu un tempo nel referendum sul divorzio.
Tra l'altro Vendola ha vinto a dispetto di una campagna che
tentava di screditarlo proprio per la sua dichiarata omosessualità.
È stata una campagna di fango e di insulti, addirittura
con volantinaggi nelle chiese. Una campagna molto sporca e molto
brutta che però gli elettori non hanno gradito, tanto
che molti elettori di centrodestra hanno scelto il voto disgiunto,
votando per il loro partito ma anche per Vendola, probabilmente
per protesta contro questo atteggiamento assurdo, di una destra
che non capisce che persino l'Italia è cambiata e si
pone ormai su standard di modernità, apertura e laicità
a livello degli altri Paesi europei.
|
Franco
Grillini. Esponente
“storico” delle lotte per i diritti civili
e in particolare degli omosessuali,
attualmente Grillini è nell'Italia
dei Valori, consigliere regionale in
Emilia-Romagna, presidente della
Commissione Politiche economiche
della regione, responsabile
nazionale diritti civili e
associazionismo Idv, presidente
di Gaynet (associazione di
giornalisti gay) e direttore
di Gaynews.it |
Andrea,
una canzone bellissima
Passando a Fabrizio De André, nell'album “Rimini”
del 1978, scritto con Massimo Bubola, è inserita la canzone
“Andrea”, il cui protagonista è un omosessuale.
De André disse poi che si trattava di una canzone scritta
proprio PER gli omosessuali. Lei come reagì quando uscì
questa canzone?
Fu una sorpresa molto forte. De André ha fatto parte
della colonna sonora della mia vita e quando uscì questa
canzone provai un grande sentimento di gratitudine, anche perché
quando un cantante così importante e stimato, uno che
ha una grossa influenza sulle giovani generazioni, fa una canzone
di questo tipo, da una grossa mano a chi, come noi, si batte
nella società per cambiare la cultura. Perché
il pregiudizio contro gli omosessuali vive soprattutto come
pregiudizio culturale. Anche se riusciamo a portare a casa quelle
leggi che ancora non abbiamo, contro le discriminazioni o per
il riconoscimento delle coppie di fatto, se però non
cambiamo anche la testa della gente, la cultura, evidentemente
le leggi non servono a un granché. Queste canzoni invece
incidono profondamente su un sentimento, richiamano al dovere
di solidarietà e di comprensione della diversità,
alla tolleranza e quindi hanno un ruolo molto grande. Per di
più Andrea è anche una canzone bellissima.
Nel 1991 De André presentava questa canzone in modo
molto esplicito, dedicandola ai “Figli della luna”,
come Platone chiamava gli omosessuali. La cantava a luci accese
per dire che ognuno doveva poter essere semplicemente se stesso,
senza doversene vergognare. C'è stata una reazione da
parte sua e della comunità omosessuale ad un atteggiamento
così esplicito da parte di un artista così famoso
e così amato?
Certo! Ricordo che facemmo un comunicato stampa e ci ripromettemmo
anche di incontrare De André per ringraziarlo, cosa che
purtroppo poi non è accaduta. Invitammo tutti ad andare
ai concerti e ad applaudire in modo particolare questo momento.
Tra l'altro proprio in quegli anni (e forse, chissà,
è proprio questa l'origine dell'iniziativa di De André)
noi abbiamo avuto in Italia un picco di violenze contro gli
omosessuali. C'era una violenza fortissima contro gli omosessuali
in quel periodo, con omicidi a Roma, Milano e in alcune città
italiane del sud. Era una violenza brutale, perché molti
omosessuali venivano trovati con la testa fracassata, uccisi
in modo barbaro. Violenza che si sommava alla violenza sommersa,
quella nei luoghi di lavoro, negli ambienti familiari, coi ragazzi
cacciati di casa.
Era un fenomeno così forte che molti artisti, tra cui
De André, decisero di dare un contributo alla campagna
contro la violenza sugli omosessuali, attraverso un impegno
artistico che è stato veramente molto importante, perché
dagli anni novanta ad oggi le cose sono radicalmente cambiate
in questo paese, tanto è vero che io sono stato eletto
in Parlamento, Nichi Vendola è diventato Presidente regionale,
molti nostri soci sono diventati consiglieri comunali e provinciali
e c'è un'attenzione verso la questione omosessuale, in
Italia, che mai c'era stata prima di allora.
Quindi il fatto che a parlare di omosessualità fosse
in questo caso una persona non omosessuale non ha rappresentato
un problema. La comunità omosessuale non s'è sentita
“usata” per essere finita nell'album di un famoso
cantautore senza nemmeno essere stata consultata?
Assolutamente no. Noi valutiamo positivamente tutte quelle iniziative,
anche spontanee, che pongono il tema della lotta al pregiudizio.
Non ci interessa che a promuoverle siano omosessuali o meno.
In questo mondo gli omosessuali sono discriminati, purtroppo
ancora oggi in molti paesi è prevista addirittura la
condanna a morte per gli omosessuali.
Proprio in questi giorni stiamo raccogliendo firme di solidarietà
per trentacinque omosessuali sauditi che verranno sottoposti
al supplizio delle frustate per aver partecipato ad una festa
privata che aveva al centro i festeggiamenti per una coppia
di due omosessuali che stanno assieme da tanto tempo, in Arabia
Saudita. Insomma, nel mondo c'è ancora tanta violenza,
ce n'è anche in Italia, quindi ben vengano tutte quelle
iniziative anche spontanee, soprattutto quelle di artisti popolari
che decidono di inserire nella loro produzione artistica una
parte che riguarda anche la lotta a un pregiudizio che è
ancora molto forte e produce molti danni e molta sofferenza.
Andrea è un testo delicato, quasi una fiaba. Come
in tante altre occasioni De André racconta senza dare
giudizi. Sul protagonista si abbatte la tragedia della guerra,
che uccide il suo amore e lo spinge al suicidio. Quindi, in
fondo, è anche una canzone contro la guerra. Secondo
lei qui De André ha colto nel segno? È una canzone
nella quale si è ritrovato o avrebbe preferito un testo
più esplicitamente militante?
Personalmente sono sempre stato un nonviolento, ho sempre detestato
l'uso delle armi e le guerre di qualsiasi tipo. Mi viene in
mente un episodio della guerra in Iraq: un soldato americano
che ha sparato a un iracheno con cui aveva avuto un rapporto
sessuale, evidentemente assalito dal senso di colpa. Da un gesto
d'amore è nata una tragedia! La riflessione sulla guerra
ci porta a fare un ragionamento in fondo molto semplice: la
guerra uccide l'amore, uccide le relazioni fra le persone, uccide
i diritti, perché quando c'è la guerra non esiste
altro linguaggio che quello della violenza e delle armi. Allora
non c'è dubbio che un'idea di libertà e di società
aperta e tollerante prima di tutto esclude la guerra.
Un
fatto rilevante
Allargando il discorso alla comunità gay italiana,
questa canzone secondo lei ha lasciato un segno, è una
canzone nella quale la comunità si è sentita in
qualche modo rappresentata, rispettata, compresa? Ha retto nel
tempo? O magari non se n'è proprio parlato?
Non se n'è parlato molto. Tutte le volte che qualcuno
ha deciso di fare una “compilation” sul tema dell'omosessualità
ovviamente c'è un posto d'onore per Andrea. È
una canzone che ha lasciato un segno perché tutte le
volte che si è parlato di questi temi con altri artisti
noi abbiamo sempre citato ad esempio la canzone di De André.
Andrea ha lasciato un segno e soprattutto ha lasciato un esempio:
quando si parla di contenuti della produzione artistica, voi
sapete bene che ogni tanto c'è qualcuno che storce il
naso e dice che non è tanto importante se un pezzo d'arte
abbia un contenuto di un certo tipo, l'importante è che
la musica sia bella, che la poesia sia bella, che poi dica una
cosa o un'altra non ha importanza.
Io credo invece che il contenuto di una qualsiasi opera d'arte,
canzone, poesia, quadro, scultura, romanzo, sia veramente importante,
perché nella dialettica tra forma e contenuto è
ovvio che quest'ultimo ha una parte rilevante perché
parla alla gente, parla alle intelligenze, parla ai cuori e
può lasciare un segno profondo. Proprio come ha lasciato
un segno profondo questa canzone, che è un esempio che
noi additiamo e diciamo: “se l'ha fatta De André
la possono fare anche altri”. De André è
stato capace di questo gesto straordinario, delicato, un gesto
d'amore in definitiva, magari per un amico che lui ha conosciuto,
un amico che ha avuto dei problemi. Non conosciamo i motivi
che hanno spinto De André a scrivere questa poesia ma
non c'è dubbio che è stato un fatto rilevante.
Poco fa ci ha raccontato che questo atteggiamento di De André
vi ha molto aiutato come movimento. In relazione al discorso
che lei ci ha appena fatto, sul rapporto fra forma e contenuto,
noi ci chiediamo a volte quanto davvero servano le canzoni a
far cambiare idea alla gente. Le è capitato, concretamente,
di conoscere qualcuno che ha modificato un atteggiamento di
pregiudizio perché proprio questa poesia, questa canzone,
l'aveva convinto?
Beh, certo! I concerti furono molto partecipati, c'erano decine
di migliaia di persone, i palasport erano pieni, le sale erano
piene e moltissimi ci telefonarono emozionati, perché
quando si accendevano le luci e la canzone veniva cantata con
la grande attenzione di tutti, beh, questo ha inciso profondamente
su molte persone che partecipavano a quei concerti, perché
non dimentichiamo che il pregiudizio non alberga solo nella
parte del paese ultraconservatrice o ultrareligiosa. Troviamo
il pregiudizio alle volte anche tra i giovani o in area progressista.
Ma anche per gli stessi omosessuali che parteciparono a quei
concerti, sentire parlare esplicitamente il cantante amato che
con coraggio faceva un discorso di apertura e di tolleranza,
ma anche un discorso di impegno perché fare quel gesto
significava chiamare gli ascoltatori ad un impegno concreto,
non semplicemente ad una testimonianza, ebbene questo ha cambiato
le vite di molte persone e ha consentito a molti di ragionare
su questo tema e a loro volta trasformarsi in persone che lottano
contro i pregiudizi. Diciamo che ha avuto un effetto positivo
a cascata, che ha lasciato un segno profondo in molte persone.
Recentemente ho incontrato un omosessuale che mi ha raccontato
che proprio da quel giorno, da quando ha sentito quella canzone,
da quando partecipò a quel concerto, decise di buttare
all'aria le sue paure e di vivere la sua vita alla luce del
sole.
È un'informazione che avrebbe fatto sicuramente piacere
a De André! La canzone di cui stiamo parlando è
ambientata ai tempi della guerra 15/18. Andrea è un “contadino
del regno” e il suo uomo muore in battaglia sui monti
di Trento. Secondo lei perché De André ha scelto
di ambientare questa storia un po' nel passato? Non avrebbe
potuto scegliere il suo tempo, come ha fatto con le prostitute
di Via del Campo, il transessuale Princesa o i Rom di Khorakhané?
Probabilmente la ragione sta nel fatto che la Prima Guerra Mondiale
fu una guerra brutale, come tutte le guerre, non è che
esista una guerra che non sia brutale, ma quella fu particolarmente
brutale, sconvolse il paese e lo trasformò profondamente.
Ci furono le decimazioni, morirono centinaia di migliaia di
persone. Quindi, forse, ambientarla lì voleva dire parlare
non solo di una guerra da molti dimenticata ma anche parlare
di un periodo storico del nostro paese nel quale esistevano
molte problematiche, molte pulsioni, tra cui anche quella omosessuale.
Oggi quando gli storici parlano di omosessualità si riferiscono
sempre agli ultimi trent'anni della storia di ogni paese. O
al massimo gli anni che vanno dalla rivolta di Stonewall, accaduta
il 28 giugno 1969, quando in un bar di New York ci fu la ribellione
contro i soprusi della polizia e da quella data parte l'idea
e la sostanza di un movimento omosessuale moderno ed è
una data che è diventata simbolo internazionale della
ribellione dei gay e delle lesbiche di tutto il mondo, quando
si celebra il Gay Pride. Però c'era una storia omosessuale
anche prima.
L'omosessualità esiste da quando esiste l'umanità
ed ha prodotto straordinari esempi di amori che si sono poi
riflettuti nell'arte. Pensiamo per esempio al “Simposio”
di Platone, dove si dice quella frase straordinariamente bella:
“il potere ha sempre paura dell'amicizia fra le persone”,
perché gli amori, le amicizie, i sentimenti forti sono
profondamente conflittuali con il potere. Quindi ambientare
una canzone come questa all'epoca della Prima Guerra Mondiale
a mio parere ha voluto ricordare che la questione omosessuale
esiste da sempre nella memoria collettiva e nella storia dell'umanità
e, per quanto riguarda la guerra, è profondamente connaturata
con il sentimento pacifista, perché non c'è un
amore che possa esistere dentro una guerra, infatti poi il compagno
di Andrea muore, a dimostrazione che le guerre sono profondamente
in contraddizione con ogni sentimento umano.
Pasolini,
una morte emblematica
Nel caso di Khorakhané, la canzone dedicata ai Rom,
ci è stato raccontato da amici di De André che
lui prima di scrivere questo testo ha lungamente e puntigliosamente
studiato la storia dei Rom e li ha anche frequentati per capire
a fondo la loro cultura. In genere è noto che De André
parlava di emarginazione a partire da una conoscenza profonda
e diretta. Ascoltando Andrea lei ha la stessa sensazione anche
per quanto riguarda le persone omosessuali?
Per quanto riguarda gli zingari va ricordato che furono tra
coloro che vennero sterminati nei campi di concentramento nazisti.
Tra l'altro si tratta di un sterminio poco ricordato nelle celebrazioni
ufficiali, ma furono diverse decine di migliaia i Rom rastrellati
in tutta Europa, trascinati nei campi di sterminio e ammazzati
semplicemente perché erano Rom. Spesso la storia ritorna
nell'immaginario collettivo e si trasforma in produzione artistica,
in canzoni, che nel caso di De André sono anche straordinariamente
belle.
Per quanto riguarda Andrea, secondo me De André ha scritto
questa canzone perché l'ha voluta dedicare a qualcuno,
probabilmente un caro amico, che magari in quel momento non
c'era più, del quale ne conosceva profondamente la sofferenza
e le vicissitudini. Generalmente un artista, quando scrive una
canzone come questa, lo fa perché è profondamente
coinvolto anche sul piano personale.
Nel 1980 Fabrizio De André e Massimo Bubola hanno
scritto “Una storia sbagliata”, dedicata ad un omosessuale
per così dire eccellente, Pier Paolo Pasolini. Dice De
André di questa canzone: “La morte di Pasolini
fu un grave lutto per noi, come se ci fosse mancato un parente
stretto. Un aspetto tragico che abbiamo voluto sottolineare
è quello legato a una moda, purtroppo ancora corrente,
che si ricollega al clima di ignoranza e di caccia al diverso.
E cioè il fatto che della morte di un grande uomo di
pensiero si sia fatta praticamente carne di porco da sbattere
sul banco di macelleria dei settimanali spazzatura e non solo
di quelli”. Una presa di posizione molto netta. È
cambiato qualcosa rispetto al clima descritto dall'artista genovese?
Pasolini fu ucciso nella notte fra il primo e il due novembre
1975 e con Pasolini l'Italia ha perso forse il più autorevole
degli intellettuali e scrittori del Novecento. Quella morte
fu scioccante anche per come avvenne, perché Pasolini
fu letteralmente massacrato e fu una morte emblematica di tutte
le violenze che gli omosessuali subiscono nella nostra società.
Quella morte rappresenta anche uno dei fatti oscuri della vita
italiana degli anni Settanta.
Gli anni Settanta sono un buco nero nella storia di questo paese;
sembra che non si riesca mai ad avere la verità definitiva
su quello che successe in Italia in quegli anni: sul terrorismo,
la violenza, le stragi. Anche l'omicidio Pasolini è rimasto
inspiegato, una vicenda infinita. L'autore presunto adesso nega,
affermando di essere stato vittima di un complotto. Ma non c'è
dubbio che anche Pasolini a suo tempo fu vittima del pregiudizio.
Le frasi che abbiamo sentito riportate dal presunto omicida,
che racconta che quelli che lo massacravano gli gridavano: “sporco
frocio” e cose simili, sono frasi molto significative
del clima di quel tempo. Perché bisogna tener presente
che il pregiudizio, gli stereotipi che lo alimentano, il rifiuto
e l'odio della diversità, sono tutte cose che producono
violenza, sofferenza, morte.
Questi pregiudizi, purtroppo, sono ancora molto diffusi. Meno
diffusi del 1975, quando fu ucciso Pasolini, perché all'epoca
il pregiudizio era quasi istituzionalizzato, ma ancora sono
molto forti e producono ancora molta sofferenza.
L'ipocrisia
italica del “si fa ma non si dice”
Su questo tema abbiamo intervistato lo scrittore Stefano
Benni. Lui ci ha detto che le canzoni di De André, proprio
perché raccontano senza giudicare, sono “un antidoto
contro tutti i razzismi”. Lei come la pensa, concorda
con Benni?
Assolutamente sì! Anche perché la musica, che
entra profondamente nella mente e parla all'anima di ciascuno
di noi, quando veicola messaggi, nel caso di De André
in modo poeticamente così elevato, tocca nel profondo
le corde più nascoste di ciascuno di noi e incide profondamente.
In questo periodo in Italia non accadono, sul piano musicale,
fatti così rilevanti come quelli degli anni Settanta,
cioè una presenza così massiccia e così
forte di cantautori nella cultura del Paese. Allora i ragazzi
di adesso stanno riscoprendo la musica di quegli anni, i cantautori
italiani degli anni Settanta, tra cui lo stesso De André.
Questa riscoperta della cultura degli anni Settanta è
molto positiva perché il valore di quello che fu fatto
allora non si esaurisce con il passare degli anni.
Su questo punto mi viene da farle una domanda direi sul costume,
sul sentire comune. Spesso oggi si sentono artisti, critici
e giornalisti che, commentando De André, dicono: “ha
restituito dignità alle prostitute, ai drogati”.
Però non mi è mai capitato di sentir dire: “De
André ha restituito dignità agli omosessuali”.
Secondo lei perché? È un aspetto sottovalutato,
poco conosciuto della produzione dell'artista, oppure l'omosessualità
è ancora un tema di cui è più difficile
parlare rispetto, per esempio, alla prostituzione?
Direi decisamente quest'ultima. È più facile parlare
degli altri temi, è meno inquietante. Quando si parla
di omosessualità si tocca una corda delicata, spesso
si parla di se stessi e quindi molti preferiscono sorvolare
su questo tema. Riguardo alla sessualità, l'Italia è
un paese di grandi sfaccettature contradditorie, perché
nella vita privata ci sono comportamenti molto liberi, molto
liberali, però nella vita pubblica non bisogna dirlo,
non bisogna farlo vedere, non bisogna che si sappia.
C'è un'ipocrisia italica del “si fa ma non si dice”,
probabilmente legata alla cultura del senso di colpa e del peccato
che dovrebbe poi essere confessato. Una cultura che incide profondamente
e allora, da questo punto di vista, c'è una certa ritrosia.
Il coraggio di De André è rimasto un fatto isolato
per molto tempo, anche nella produzione artistica. In quel momento
era un fatto quasi unico e questo ne definisce anche la grandezza,
l'intelligenza. E il fatto che altri, quando citano De André,
però non citino questo aspetto, è significativo
del forte prevalere del pregiudizio, che incide ancora in modo
molto serio nella nostra società.
Ci sono altri artisti italiani che hanno preso posizioni
altrettanto cristalline, che hanno realizzato opere su questo
tema?
Per molti aspetti De André è un po' un caso unico.
C'è un altro artista che ci è vicino, che è
anche un amico che conosco personalmente e che amo moltissimo,
ed è Francesco Guccini. Lui per esempio, parlando di
omosessualità, ha fatto una cosa molto simpatica, com'è
nel suo custome, visto che a lui piace molto scherzare. Guccini,
quando l'onorevole Mirko Tremaglia, Ministro per gli italiani
all'estero, ha fatto quell'orrendo comunicato dicendo che la
maggioranza degli italiani e degli europei, ormai, erano tutti
“culattoni” (una cosa che ha sollevato molte proteste
e condanne per questo modo di esprimersi così dispregiativo,
che alimenta la cultura del pregiudizio e del razzismo che ha
creato tanti lutti), bene, Guccini da allora ha cominciato i
suoi concerti dicendo: “sia ben chiaro che siamo tutti
culattoni e io vi annuncio che anche io sono culattone”!
Quindi è stato molto simpatico e ricordava quello che
si faceva negli anni settanta quando, contro il riemergere dell'antisemitismo,
si diceva: “siamo tutti ebrei tedeschi”.
Devo aggiungere che ci sono stati anche altri cantanti che hanno
parlato della questione omosessuale. Qualcuno lo ha fatto anche
in occasione del festival di Sanremo. Un altro cantante che
io amo molto, Lucio Dalla, ha scritto una bellissima canzona
sul rapporto fra un tramviere e suo figlio omosessuale. Quindi
direi che c'è un certo risveglio da questo punto di vista.
Ma sicuramente De André è stato un precursore.
Prima ci ha detto con un certo rammarico che aveva progettato
di incontrare De André ma di non essere riuscito a farlo.
Se avesse avuto questa possibilità cosa le sarebbe piaciuto
dirgli?
Intanto l'avrei ringraziato per l'insieme della sua produzione
artistica. De André ha scritto canzoni importanti che
fanno parte della colonna sonora della mia vita ma che sono
diventate anche importanti metafore della vita culturale del
Paese. È un'eredità che non è morta con
lui perché la sua produzione artistica ha l'afflato dell'eternità.
È una produzione artistica che ci aiuta a combattere
le cose negative della nostra società, perché
questo è un aspetto molto importante e positivo della
modernità: che ci consente di combattere e di superare
gli aspetti negativi della nostra società. Non a caso
i fondamentalisti si oppongono ai cambiamenti e alla modernità.
Ma la modernità ci consente di capire e di comprendere
realtà che prima non venivano comprese e intrepretate,
attraverso strumenti culturali nuovi, tra cui la produzione
artistica. Perciò se avessi incontrato De André
in primo luogo l'avrei ringraziato per questo. Poi l'avrei ringraziato
in particolare per quello che ha fatto nei suoi concerti per
gli omosessuali, proprio per tutte le cose che dicevo prima.
Quella
contestazione a Sanremo 1972
Le prostitute di “Via del Campo” sono del 1966
e “Tutti Morimmo a Stento”, l'album che apre una
breccia sul tema dell'emarginazione, è del 1968. Bisognerà
però attendere altri 10 anni per una canzone sugli omosessuali.
Secondo lei perché questo ritardo?
Forse i tempi non erano maturi. In Italia il movimento è
iniziato con la contestazione del congresso internazionale di
sessuologia di Sanremo, nel 1972. In quel congresso gli omosessuali
venivano tratteggiati in maniera molto negativa, trattati come
malati da sottoporre a cure psichiatriche, in alcuni casi da
sottoporre ad elettroshock (ma sono atteggiamenti e concezioni
che permangono anora oggi in certi gruppi integralisti). Il
movimento gay italiano nasce dalla contestazione di quel congresso.
È quindi un movimento che ha ormai oltre trent'anni,
però bisognerà attendere molto tempo prima che
l'opinione pubblica si accorga di questo movimento, prima che
se ne accorgano i media e la politica. In questo momento la
questione omosessuale è una delle questioni più
rilevanti nel dibattito politico del mondo occidentale. Ha inciso
profondamente nelle elezioni americane e in quelle spagnole.
Però c'è stato bisogno di un paziente e certosino
lavoro, durato diverse decine di anni, prima che la questione
divenisse rilevante e influenzasse anche la produzione artistica.
Pensiamo per esempio alla produzione cinematografica: prima
della metà degli anni settanta gli omosessuali nel cinema
erano tratteggiati come macchiette oppure gli ambienti omosessuali
erano descritti come sordidi, ambienti dove si finiva ammazzati
o suicidi. Persino in alcune canzoni, in Italia, si tratteggiava
l'idea dell'omosessualità come macchietta.
La canzone di De André, che è invece una canzone
fortemente emotiva, rispettosa, positiva, è del 1978,
quando il movimento gay italiano aveva pochi anni, quindi non
direi che fosse in ritardo.
Allora chiudiamo con un suo pensiero su questa canzone.
La canzone di De André, parla di un amore, parla di due
persone che si vogliono bene. Questo amore nella nostra società
non è ancora riconosciuto come dovrebbe. Quando due persone
stanno assieme, si amano, vuol dire che stanno costruendo una
piccola società o un piccolo pezzo di società
che si esprime solidarietà, affetto, reciproca attenzione,
reciproco impegno. Ci sono diritti e doveri di queste coppie
che vanno riconosciuti.
Già nel 1991 noi facevamo una battaglia per il riconoscimento
delle coppie di fatto, per i diritti delle coppie omosessuali.
In questo momento questa battaglia è arrivata a un punto
cruciale: la maggioranza dei paesi europei ha riconosciuto questi
diritti. La questione delle coppie di fatto è al centro
della discussione in tutto il mondo di cultura occidentale.
Questa è una nostra battaglia in Italia e Andrea fa parte
della colonna sonora di questa battaglia. Io vorrei dire agli
ascoltatori che la violenza c'è ancora, il pregiudizio
c'è ancora e c'è chi lo alimenta. C'è chi
ancora ritiene di trovarsi nel giusto malmenando qualcuno che
esprime la propria affettività omosessuale pubblicamente.
De André ha messo questa cosa al centro di una delle
sue canzoni più belle, noi siamo grati a De André
e diciamo che la sua canzone accompagna la battaglia politica
ed umana che stiamo conducendo.
Renzo Sabatini
(intervista realizzata via telefono il 09.05.2005. Registrata
presso gli studi di Rete Italia – Melbourne. Andata in
onda nell'ambito della trasmissione radiofonica settimanale:
“In Direzione Ostinata e contraria”, dedicata ai
personaggi delle canzoni di Fabrizio De André)
In
direzione ostinata e contraria
Con
questa intervista a Franco Grillini, prosegue la pubblicazione
su “A” di una parte significativa delle 27
interviste radiofoniche realizzate da Renzo Sabatini
e andate in onda in Australia nel programma “In
direzione ostinata e contraria” sulle frequenze
di Rete Italia fra il maggio 2007 e l’agosto 2008.
In tutto si è trattato di sessanta puntate (ciascuna
della durata di circa quaranta minuti, per un totale di
quasi 40 ore di trasmissioni), nel corso delle quali sono
state trasmesse le 27 interviste e messe in onda tutte
le canzoni di Fabrizio De André. Si tratta dunque
della più lunga e dettagliata serie radiofonica
mai dedicata al cantautore genovese.
Se proponiamo questi testi,
è innanzitutto per dare ancora una vlta spazio
e voce a quelle tematiche e a quelle persone che di spazio
e voce ne hanno poco o niente nella “cultura”
ufficiale. E che invece anche grazie all’opera del
cantautore genovese sono state sottratte dal dimenticatoio
e poste alla base di una riflessione critica sul mondo
e sulla società, con quello sguardo profondo e
illuminante che Fabrizio ha voluto e saputo avere. Con
una profonda sensibilità libertaria e – scusate
la rima – sempre in direzione ostinata e contraria.
Precedenti interviste
pubblicate: a Piero
Milesi (“A” 370, aprile 2012), a Carla
Corso (“A” 371, maggio 2012), Porpora
Marcasciano (“A” 372, maggio 2012).
la redazione di “A” |
|