storia
Gli anarchici in età giolittiana
di Giampietro Nico Berti
Con questo titolo è uscito l'ultimo
volume di Fabrizio Giulietti (ed. Franco Angeli, Milano 2012,
pagg. 360, e 44,00). Ne pubblichiamo la prefazione di un nostro collaboratore.
Con questo lavoro di Fabrizio
Giulietti la storiografia sull'anarchismo italiano registra
un punto molto positivo e importante. Viene colmato un vuoto
rilevante relativo al primo quindicennio del Novecento perché
l'autore ci offre la prima monografia completa attinente al
movimento anarchico nell'età giolittiana. Non che mancassero,
ovviamente, specifiche incursioni sul tema, ma esse concernevano
singole e settoriali questioni quali il sindacalismo, l'educazionismo,
l'antimilitarismo, l'individualismo, la settimana rossa; difettava,
invece, una sintesi d'insieme capace di comprendere, con uno
sguardo generale, tutta la complessità storica emersa
dopo il regicidio da parte di Gaetano Bresci – Monza,
29 luglio 1900 – e il successivo indirizzo liberale impresso
alla politica italiana da Giolitti. Va precisato, tuttavia,
che questo lavoro di Giulietti è molto di più
di una sintesi. Siamo in presenza, infatti, di un notevole scavo
archivistico e bibliografico del tutto nuovo, che porta alla
luce pezzi importanti non solo del movimento anarchico ma anche
dei conflitti sociali e politici che hanno caratterizzato la
storia italiana dalla svolta di fine secolo alla Grande Guerra.
Nell'età giolittiana l'anarchismo italiano presenta un'accentuata
proliferazione di tendenze delineanti un vero e proprio arcipelago
politico-ideologico, identificabile persino nelle diverse aree
geografiche del Paese. Sono orientamenti eterogenei che richiedono
di essere analizzati volta per volta, se si vuole dar conto
della loro specificità e del loro rapporto con il tutto.
Possiamo delineare questo insieme richiamando qui, in modo molto
generale, i principali esponenti di questi vari indirizzi di
pensiero e di azione.
Comportamenti
militanti
Pietro Gori risente in modo determinante dell'influenza positivistica
perché egli assegna alla scienza il conseguimento della
verità, sia essa sociale, politica, economica o filosofica.
Luigi Fabbri rappresenta a pieno titolo l'apertura dell'ideologia
anarchica primo-novecentesca verso una sua traduzione libertaria,
manifestatasi soprattutto come tentativo di agganciare e valorizzare
tutte le possibili valenze ad essa simpatetiche, presenti nella
cultura contemporanea e in alcuni atteggiamenti pratici del
mondo progressista. Luigi Molinari, principale esponente dell'educazionismo
anarchico, raffigura il tentativo maggiore avviato dall'anarchismo
italiano di propagandare i propri ideali attraverso la diffusione
dell'istruzione popolare.
Una realtà anarchica schiettamente operaia e popolare
è invece rappresentata dall'attività propagandistica
e organizzativa di Pasquale Binazzi, Carlotta Zelmira Peroni
e del gruppo dei militanti raccolti attorno a “Il Libertario”.
Giovanni Gavilli esprime uno degli aspetti più caratteristici
dell'individualismo anarchico italiano, che scaturisce quale
reazione di rigetto alla possibile deriva “riformista”
e “legalitaria” della tendenza organizzatrice e
socialista. Un altro momento emblematico è costituito
da Ettore Molinari e Nella Giacomelli, i maggiori promotori
e sostenitori de “Il Grido della Folla” e de “La
Protesta Umana”, il cui carattere estremista e violento
si dimostra insofferente all'apriorismo dottrinale e perciò
sensibile al richiamo della lotta condotta in prima persona
contro le istituzioni vigenti. Infine vi è lo stirnerismo
dottrinario dei fratelli Ludovico e Attilio Corbella, Oberdan
Gigli e altri; il ribellismo estetizzante ed “esistenzialista”
di Leda Rafanelli e Giuseppe Monanni; il neopaganesimo di Libero
Tancredi, alias Massimo Rocca, e dei suoi seguaci. Complessivamente
questo stirnerismo-individualismo attinge a molteplici fonti
e soggiace a numerose suggestioni culturali, comuni anche ad
altre tendenze ideologiche coeve; una miscela di vitalismo,
irrazionalismo, nichilismo, futurismo, violentismo.
La traduzione pratica di tutti questi orientamenti si può
schematizzare nei seguenti comportamenti militanti. Il primo
rinvia alla linea di Errico Malatesta, essendo ampiamente favorevole
all'unificazione organizzativa delle forze sulla base di un
programma comune. Il secondo è avverso al principio organizzativo
perché considerato un mezzo subdolo di corruzione della
spontaneità ribellistica delle masse e degli individui.
Il terzo è dato dal sorgere di un enfatico individualismo,
per molti versi del tutto inedito rispetto ai decenni precedenti.
In generale, la corrente organizzativa e quella anti-organizzativa
sono accomunate dalla medesima visione economica della società,
riassumibile nella concezione socialista o comunista. La corrente
individualista, al contrario, è molto meno propensa ad
accettare tale solidarismo e perciò mantiene un atteggiamento
più “duttile” e “laico”. Anzi,
essa finirà per esprimersi in un effettivo anti-socialismo,
che porterà alla fine molti suoi esponenti fuori dal
movimento.
Organizzazione
e sindacalismo
Giulietti ricostruisce queste divisioni ideologiche collocandole
lungo una linea temporale punteggiata da tre momenti fondamentali:
la ripresa dell'anarchismo dopo la “crisi di fine secolo”,
il suo consolidamento organizzativo, la radicalizzazione del
conflitto sociale. Egli prende in esame la tendenza favorevole
all'organizzazione e quella contraria, il congresso anarchico
italiano del 1907, l'ingarbugliato fenomeno individualista,
i rapporti tra movimento anarchico e movimento operaio, le conseguenti
teorie di un anarchismo “puro” e di un anarchismo
intrecciato al sindacalismo, la nascita dell'Unione Sindacale
Italiana, l'individualismo e le sue manifestazioni estetizzanti
ed esistenzialiste, l'educazionismo libertario, la simbiosi
culturale con il laicismo, il razionalismo e il positivismo
propugnatori del “libero pensiero”, l'anticlericalismo,
l'antimilitarismo, la campagna contro la guerra di Libia, la
settimana rossa. A questa complessa e articolata ricostruzione
l'autore aggiunge un'appendice di documenti archivistici inediti,
relativi a rapporti della polizia sul movimento anarchico e
su alcune sue singole manifestazioni dal 1904 al 1913.
La difficoltà di una ricostruzione storica dell'anarchismo
italiano nell'età giolittiana è dovuta, prima
di tutto, al fatto che l'indirizzo liberale impresso da Giolitti
all'azione governativa “spiazza”, in un certo senso,
la spinta rivoluzionaria che fino ad allora aveva caratterizzato
pressoché tutto il movimento. Gli anarchici, abituati
alla semi-clandestinità, possono ora agire alla luce
del sole; e questo, se da un lato li rende meno pericolosi,
dall'altro li snatura. Avanza, in generale, una concezione meno
insurrezionale dell'anarchismo perché fondata sull'importanza
del lavoro culturale, quale veicolo peculiare per la formazione
di una diffusa coscienza laica e razionalista; una concezione
che crede molto al valore della propaganda di segno educativo
e, ancor più, che pensa alla necessità di agire
in tutti i campi della società, corrodendo “ai
fianchi”, da più punti, il potere repressivo dello
Stato, della Chiesa, dell'apparato economico, amministrativo,
giudiziario, militare e politico del blocco dominante. Si tratta,
in conclusione, dell'affermarsi di una visione che in qualche
modo nega il precedente percorso storico fondato sulla preminenza
dello scontro economico-sociale fra il regime proprietario e
le classi nullatenenti di marca classicamente socialista e antiborghese.
Naturalmente questa dicotomia non viene meno; ora, però,
è arricchita - e quindi per altri versi in parte anche
declassata - dalla presenza di altre contrapposizioni che tendono
ad articolarsi su settori specifici della “questione sociale”.
L'anarchismo trapassa quindi in una concezione più “generica”
riassumibile con il termine libertario.
Ciò spiega perché una parte dei militanti, avvertendo
il possibile pericolo di una perdita d'identità, finisca
per teorizzare una sorta di estremismo individualistico, del
tutto estraneo alla questione operaia. In tutti i casi la svolta
liberale che caratterizza l'età giolittiana, mentre favorisce
tali elementi di sviluppo e di mutamento, spinge involontariamente
l'insieme del movimento verso una netta predilezione per la
lotta politica, anche a causa dell'assenza obiettiva di uno
scontro sociale. Gli scioperi del 1904, del 1906 e del 1908
e altri simili momenti - eventi dove i libertari non ebbero
alcun ruolo rilevante - sono infatti brevi interruzioni di una
lunga e sostanziale pace sociale che si concluderà solo
nelle giornate di giugno del 1914. Il risultato definitivo di
questo processo è infatti rappresentato dalla settimana
rossa, fatto preminentemente politico che, non a caso, vedrà
gli anarchici tra i suoi protagonisti maggiori.
Giulietti dà conto di questo ampliamento generale dell'incidenza
anarchica nella società italiana, però la sua
attenzione maggiore la riserva a quei momenti del conflitto
sociale dove i libertari risultano in primo piano o che sono
comunque determinanti nello svolgimento delle lotte, siano esse
politiche o sindacali. In questo senso le sue ricerche gettano
nuova luce sulla storia complessiva dell'anarchismo, come è
confermato, ad esempio, dalla ricostruzione delle manifestazione
avvenute in varie parti d'Italia dopo la fucilazione dell'educatore
anarchico Francisco Ferrer avvenuta in terra iberica nel 1909
per volontà del governo spagnolo.
Non va dimenticato che nell'età giolittiana gli anarchici
italiani di orientamento “partitico” non costituivano
la parte maggioritaria del movimento. Per di più, come
abbiamo accennato, chi era favorevole alla prospettiva organizzativa
era anche quasi sempre attratto dall'ottica sindacalista, la
quale prospettava un inserimento organico nelle maglie del movimento
operaio. E ciò costituiva indubbiamente una tentazione
non indifferente, dal momento che veniva data la possibilità
di usufruire di una struttura già esistente costituita
dalla rete organizzativa delle Cdl e delle Leghe di resistenza,
in generale da tutte le strutture create autonomamente dal movimento
operaio. Una possibilità, ovviamente, che relegava in
secondo piano la necessità di formare un organismo anarchico
specifico. La ricerca travagliata di un'identità organizzativa
nasce dunque da queste condizioni che spiegano anche il continuo
intreccio operativo esistente fra anarchici organizzatori e
anarchici filosindacalisti. I poli di questo svolgimento, quello
politico e quello sindacale, vanno perciò considerati
dialetticamente.
Un altro momento importante della ricostruzione di Giulietti
è dato dal nodo centrale del congresso nazionale tenuto
a Roma nel 1907: qui, infatti, emergono temi, problemi e conflitti
che attraversano tutto il periodo considerato, in modo particolare
lo scontro fra diverse concezioni organizzative. La partecipazione
maggiore fu quella degli organizzatori, ma non mancarono anche
alcuni anti-organizzatori. La rappresentanza nazionale dei vari
delegati, confluiti nella capitale, non esprimeva la realtà
effettiva del movimento, che certo era più ricco e complesso.
Secondo una stima governativa ufficiale di qualche anno dopo
– fine 1913, inizio 1914 – gli anarchici italiani
militanti risultavano 4.968, mentre i “biografati”
raggiungevano il numero di 9.198. Si tratta di una forza non
secondaria, qualora si consideri che nello stesso arco di tempo
i socialisti erano valutati intorno alle cinquantamila unità
e i repubblicani intorno alle ventimila.
Giampietro Nico Berti |