Mario Monti
Venditore
di fumo
di Antonio Cardella
Dietro l'immagine
del rigore e della serietà il nostro beneamato
presidente del Consiglio e il suo governo portano avanti
una politica economica socialmente devastante.
Alla fine di settembre –
il sole a Roma era ancora alto all'orizzonte – in una
teleconferenza con gli studenti della Statale, il nostro presidente
del Consiglio, in palese contrasto con i funerei tratti del
suo volto, elargiva accenni di ottimismo, affermando che agli
italiani (ai soliti) sarebbero stati chiesti sacrifici ulteriori,
ma che, a partire dal 2013, le cose sarebbero cambiate e tutti
avremmo potuto vedere la luce alla fine del tunnel. La teleconferenza
è uno strumento assai congeniale a chi si dispone a spararle
grosse, perché impedisce all'uditorio di manifestare
in tempo reale tutta la gamma del disagio (dal mormorio all'invettiva)
che provoca un monologo imposto ex cathedra. In effetti, non
è sembrato che gli studenti dell'università romana
abbiano avuto il tempo per riprendersi e reagire agli spropositi
del conferenziere: a loro risultava che le cose erano messe
molto male e, per quel che li riguardava, non sembrava si intravedessero
prospettive di miglioramento della loro condizione di protagonisti
demotivati di un'istituzione – quella universitaria –
che faceva acqua da tutte le parti e che era stata pesantemente
penalizzata proprio dal governo guidato dal lugubre conferenziere.
Del resto, passato qualche giorno, lo stesso capo del governo,
nel corso di un Consiglio dei ministri, rinnovava il suo ottimismo
malgrado fosse costretto ad ammettere che – fonte Ministero
del Tesoro – il Pil si era ridotto del 2,4% e il trend
negativo si sarebbe protratto per tutto il 2013. Se a questo
dato, in controtendenza rispetto ai dati dei maggiori paesi
dell'eurozona, si aggiungono il crollo della produzione industriale
(-6% su base annua), la drammatica riduzione dei consumi, in
regime di prezzi crescenti, l'aumento della disoccupazione,
attestatasi ormai all'11,8% della forza lavoro, per ammissione
delle stesse fonti ministeriali (con la funesta piaga della
disoccupazione giovanile), se questi dati dell'economia reale
sono incontrovertibilmente veritieri, è difficile capire
come il responsabile di un governo in carica possa andare in
giro manifestando ottimismo per il prossimo futuro. A meno che,
irresponsabilmente, non metta in conto – da cattolico
fervente – la possibilità che si rinnovi il miracolo
evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Se Gesù di Nazareth si trovasse a passare oggi dalle
nostre parti, dubito che rischierebbe di compiere un miracolo
dall'esito tanto improbabile.
Il problema resta sempre quello – per un governo che davvero
volesse arginare la recessione (e noi sospettiamo che questo
governo non sia quello presieduto da Monti, spiegheremo più
avanti perché) – di reperire risorse, non solo
per ridurre l'impatto sulla nazione dell'enorme debito pubblico,
ma per riattivare un circuito produttivo che rilanci i consumi
interni. È del tutto intuitivo, infatti, che solo l'aumento
delle possibilità di acquistare beni e servizi può
rimettere in moto la produzione e incidere positivamente sul
Pil.
Credito
alla FIAT
Su questo versante il governo è inerte. L'incontro
che la ristretta compagine ministeriale ha avuto alla fine dello
scorso mese con la FIAT di Marchionne è paradigmatico
dell'indisponibilità di chi guida attualmente il nostro
paese ad applicarsi per attivare una politica industriale credibile.
Si è dato credito all'affermazione del consigliere delegato
dell'industria torinese che la Fiat non lascerà l'Italia,
ma questa è una assicurazione generica, priva di contenuti
concreti, il cui solo risultato sarà quello di scaricare
sulla comunità nazionale il peso della cassa integrazione
per decine di migliaia di lavoratori che, per mancanza di investimenti,
rimarranno fuori dalle fabbriche.
Con la disinvoltura tipica di un venditore di fumo, Monti ha
con enfasi dichiarato che alla Fiat non saranno erogati finanziamenti
pubblici, come se la cassa integrazione non fosse un costo vivo
per le finanze pubbliche. A fronte di queste chiacchiere, degli
investimenti previsti nel Piano Italia neppure l'ombra. Saranno
attivati – ha detto Marchionne – quando la congiuntura
sfavorevole del mercato dell'auto sarà superata: affermazione
questa che può soddisfare chi vuole eludere il problema
senza perdere la faccia, ammesso che le facce dei Passera, dei
Fornero e dello stesso Monti siano ancora presentabili. Anche
chi è digiuno di questi problemi capisce che, se si attiva
la produzione di un prodotto quando il mercato è in ripresa,
si rischia di arrivare tardi e a giochi fatti. In compenso,
si allestirà un tavolo congiunto in cui si discuterà
sulla produttività e sulle normative sul lavoro, come
a dire che a pagare saranno ancora i lavoratori.
È possibile, a questo punto, che i generosi lettori si
chiedano perché chi scrive è così ostile
a Monti e al montismo. Cercherò di chiarirlo nella sintesi
inevitabile di un semplice articolo. Si è fatto un gran
parlare, con soddisfazione, del coraggio con il quale Mario
Draghi, alla testa della Bce, ha superato le resistenze tedesche
e di alcuni paesi nordici per aiutare con sovvenzioni illimitate
paesi dell'eurozona in difficoltà. Si è stabilito,
infatti, che la Banca centrale europea potrà acquistare
titoli sovrani sul mercato secondario (quello in cui si contrattano
i titoli già in circolazione, dal quale, quindi, sono
escluse le nuove emissioni). Con questa operazione si raggiungerà
il virtuoso obiettivo di alleggerire il debito pubblico dello
Stato, sul quale si interviene sia in termini assoluti (il valore
del titolo) sia in termini di interessi passivi da pagare per
rifinanziarlo alla scadenza.
Sin qui tutto bene, anche se arriva in ritardo rispetto alla
situazione greca che si è nel frattempo aggravata. Ma,
per esprimere un giudizio sull'operazione, occorrerà
attendere che si chiariscano le condizioni da richiedere ai
paesi sui quali si interverrà; se, cioè, tali
condizioni saranno compatibili con la sostenibilità dei
rispettivi stati sociali o se, viceversa, incentiveranno processi
recessivi, come quelli che sono già in atto oltre che
in Grecia, in Spagna e Italia. E se, soprattutto, tali interventi
amplieranno il deficit di democrazia, già compromesso
dalla capacità imperativa degli organismi centrali europei,
che, ricordiamocelo sempre, ad eccezione dell'Assemblea e del
Consiglio, mancano di legittimità elettiva.
Il fatto è che siamo assai diffidenti sulla gratuità
dell'erogazione di denaro da parte di istituzioni internazionali,
non immemori dei disastri provocati dal Fmi, nel sud est asiatico
e in America Latina, dove, alla concessione di prestiti, è
seguito l'esproprio delle risorse produttive e finanziarie dei
singoli paesi, a vantaggio dei grandi gruppi monopolistici,
soprattutto statunitensi (un esempio per tutti: la drammatica
vicenda argentina, risoltasi solo con il rifiuto popolare di
ubbidire agli imperativi del Fondo stesso).
E qui siamo arrivati al punto.
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Il
Presidente del Consiglio, Mario Monti |
Ma
la bestia non molla la presa
Penso che – a diverso livello di consapevolezza –
tutte queste grandi istituzioni internazionali (nelle quali
i paesi a capitalismo più avanzato determinano le politiche
d'intervento), Fmi, Wto, Bce, ecc., finalizzino la loro attività
a raggiungere l'obiettivo del capitalismo maturo di concentrare
nelle mani di pochi i poteri economici e politici che contano,
riducendo progressivamente i cittadini del mondo al ruolo subalterno
di consumatori acritici, privi di diritti e di ogni capacità
di programmare il proprio futuro.
Per tornare in Europa, l'ossessiva rincorsa al pareggio di bilancio
ha già provocato processi recessivi in paesi come la
Grecia e l'Italia, senza che le misure fin qui prese abbiano
raggiunto i risultati sperati. Anzi, se si vanno a guardare
i conti, i disavanzi aumentano e non solo perché aumenta
il debito pubblico, ma perché diminuisce il Pil.
E allora? Allora – dicono i liberisti della prima ora
– occorre dismettere i gioielli di famiglia, immettere
sul mercato il patrimonio industriale, paesaggistico e culturale
più appetibile, consentendone l'esproprio a prezzi di
realizzo da parte delle mani più rapaci del capitalismo
internazionale.
Queste opportunità vengono colte senza alcun clamore,
quasi inosservatamente. Marchionne, a parole, promette di rimanere
in Italia: intanto trasferisce alla Crysler le tecnologie più
avanzate realizzate – spesso con interventi pubblici,
cioè con i soldi dei contribuenti italiani – negli
stabilimenti di casa nostra che, prevedibilmente, chiuderanno
i battenti. La corsa alle privatizzazioni, che in Italia data
dagli anni sessanta del Novecento, ha consentito all'ILVA dei
Riva di sfruttare e devastare il territorio del tarantino, senza
che alcuna voce si levasse a denunciare decenni di disastri
umani e ambientali.
Analogo discorso si può fare per l'Alcoa in Sardegna,
Termini Imerese in Sicilia e potremmo continuare a lungo. Temo
che, a breve termine, dovremo lamentare anche la perdita del
golden share dell'industria italiana più avanzata:
sembra, infatti, che l'Unione europea ci obbligherà a
dismettere le partecipazioni che lo Stato ha in Finmeccanica,
Eni, Enel e Telecom, offrendole a prezzo di realizzo agli investitori
internazionali. Se a tutto questo si aggiunge la corsa alla
privatizzazione dell'istruzione, della sanità e dei beni
culturali e ambientali, si avrà un quadro preciso di
come, a breve termine, saremo spogliati di ogni nostra risorsa
e ridotti a frequentatori drogati dei non luoghi nei
quali si esercita la suggestione della distribuzione capitalistica.
Bene, adesso mi sembra di avere chiarito i motivi della mia
aperta ostilità nei riguardi dell'attuale compagine di
governo: i Monti, i Passera, le Fornero sono, a mio giudizio,
gli strumenti operativi consapevoli, in Italia e in Europa,
per la realizzazione di un mondo cinico e annichilente nel quale
prevarranno sempre di più i peggiori integralismi.
A dimostrazione che, elezioni o meno, la bestia non intende
mollare la presa, dalla lontana America giunge improvviso il
fatidico annuncio montiano, che cercherò di rendere parafrasando
in tono evangelico: se la moltitudine della gente invocherà
il mio intervento, schioderò le mani e i piedi dal legno
della croce e scenderò a portar loro la buona novella.
Un altro Uomo della Provvidenza che emerge dal buio minaccioso
dei confessionali d'Italia.
Antonio Cardella |