pedagogia libertaria
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Storia di Dymo (e di una cetonia)
di Giulio Spiazzi
Ancora un articolo sul Kiskanu, piccola scuola ad orientamento libertario di Verona. Ecco il resoconto di una nostra collaboratrice.
Dymo è un tipo “tosto”,
capelli a spazzola, occhi di ghiaccio, i suoi dodici anni portati
sulle punte dei piedi di un'adozione che ha lasciato i segni
nella carne e nella mente. Eppure Dymo, ragazzo di Kharkov-Ucraina,
le sue carte le sa giocare, i suoi sorrisi li sa spendere. A
una condizione però: quella di essere lasciato totalmente
libero. Dymo arriva al Kiskanu libertario con la nomea
di “picchiatore”. È entrato in rotta di collisione
con un maestro (guarda caso maschio) di scuola pubblica (pardon...
statale) che le mani, sembra, le sa ben far girare, per poi
nasconderle. Dymo, come molti “ragazzi dell'est”
che arrivano spaesati ed arrabbiati nelle compagini di studio
e di lavoro in comune della realtà libertaria veronese,
ha un “pedigree” di tutto rispetto. Educatori, psicologi,
esperti di ogni tipo e credo, addirittura (nel suo caso) chirurghi,
gli hanno appioppato nel corso degli anni tutti i “dis”
(dislessico, discalculico, in-dis-sciplinato, ecc.) e
tutti gli “iper” (ipercinetico, iper-dinamico, iperirascibile,
ecc.) che si potrebbero o meno dare a persone che, con il semplice
fatto di “esserci”, sfuggono ad ogni classificazione.
Dymo è un ragazzo coraggioso, si fa scivolare sulle spalle
tutte queste “stellette” ed affronta il suo percorso
di giovane e di studente delle medie inferiori con determinazione,
chiedendo, a chi la vuole intendere, solo semplice accoglienza.
Ed è soltanto ed esclusivamente su questo parametro e
sul fatto che essa, l'accoglienza appunto, debba essere
incondizionata e radicale che l'incontro avviene. Dymo, dopo
un paio di mesi trascorsi nella nuova dimensione libertaria,
di quei pugni da “picchiatore” non sa più
che farsene. Nell'ambiente “ritrovato”, dove liberamente
può circolare, ritrarsi, proporsi, decidere di soffermarsi
alle lezioni o di vagare dove i suoi umori giornalieri lo conducono,
allo scontro e al contenzioso di un tempo preferisce (non avendo
più antagonisti dottrinali a cui contrapporsi) seguire
la sua nascosta passione di “cercatore d'insetti”.
Nel grande prato accanto alla scuola scioglie, mese dopo mese,
tutte le tensioni difensive che aveva messo in opera in contesti-caserma
ove si cercava di “raddrizzarlo”.
E sì, perché per questi ragazzi della “adozione
permanente” funziona così: chi non li conosce o
non li vuol conoscere a fondo non sa che dalla loro è
visceralmente presente una forza di vita inespugnabile, ovvero
l'arte della sopravvivenza. E chi desidera, per varie “legittime”
ragioni, il “testa a testa” con loro, senza rendersi
conto della realtà intrinseca di risposta al mondo di
questo fenomenale fattore, è destinato inevitabilmente
a far fallire i propri scopi di “riconoscimento forzato”
e, a maggior ragione, qualsiasi tipo e specie di “educatore”.
Dalla
“clinica per insetti” all'esame di fine
anno
Dymo dunque finalmente riesce ad avvertire la scuola come
un “luogo dove si sta bene”, dove è bello
tornare ogni mattina, dove ci sono degli amici, dove si possono
anche prendere in giro gli accompagnatori, rimandare a loro
con acidità o ironia palle infuocate di adulto-centrismo,
senza venire schiacciati nuovamente dal dominio. E così
Dymo, tra mille giochi, esplorazioni, costruzioni momentanee
di ricoveri e “cliniche per insetti”, alla fine
decide anch'egli di prepararsi agli esami di fine anno, quelli
richiesti dallo “Stato certificatore”, per farsi
giudicare idoneo o meno al passaggio alla “classe seconda”.
E la preparazione tradizionale? E il piano di studi convenzionale?
Carlo Magno, il Medioevo, le regioni d'Italia, le caratteristiche
fisiche del Veneto, la Matematica? “A modo mio!”,
risponde l'uomo di Kharkov, “quando sarà il momento...”.
I giorni passano, le materie scolastiche scivolano via come
i lombrichi delle terre di Dymo, giugno avanza. Il giorno degli
esami, tutti in fila e in silenzio ad attendere le commissioni,
lo Stato pretende la sua forma. Dymo arriva con un sorriso enigmatico
e, come sempre, in punta di piedi. Già, non è
una metafora. L'abbandono nelle lande dell'Ucraina post-sovietica,
i mesi bui, le successive esperienze nell'orfanotrofio, gli
hanno probabilmente procurato una tensione ai tendini d'Achille
mai superata. Per anni Dymo ha camminato “sospeso nel
vuoto”, come dice lui, fino a quando la “scienza
chirurgica occidentale”, non gli ha fornito tendini della
lunghezza necessaria per “camminare sulla terra”.
Ma a lui, di questo aiuto non richiesto, non gli interessa granché
e, tolti i gessi post-operatori, dopo poco tempo trascorso “sul
suolo della concretezza”, eccolo riprendere il passo delle
sue amate cavallette, libere nel prato, senza volontà
altre alle calcagna, sospese nuovamente nel vuoto, prima di
saltare.
“Dymo, ma dov'è la tua ricerca? La commissione
la vuol vedere...” “Ce l'ho, ce l'ho...” “Ma
come, non hai neanche un quaderno in mano... come i tuoi amici,
dai che ti accompagno in aula...”. “No, stai qui,
entro da solo... vado io a parlare a quelli là!...”
Nel silenzio assoluto, tra punti interrogativi e alzate di spalle
degli accompagnatori, Dymo varca la porta ed affronta in solitaria
la commissione. Difficile capire cosa avvenne all'interno della
stanza degli esaminatori. Comunque, ad un certo punto, si udì
uno scoppio sordo di risate, un fiume in piena di parole che
sgorgava macinando ali, colori metallici, antenne, imperatori,
piramidi sociali, corsi d'acqua e località, numeri e
figure geometriche paragonate ad insetti. Poi Dymo uscì
con la sua abilitazione alla seconda media in mano. Chiusa nell'incavo
d'uno dei suoi famosi pugni, la sua ricerca d'esame: una cetonia
dorata raccolta incidentalmente tra gli oggetti della sua camera,
poche ora prima. L'insetto metallico delle rose, appostato tra
i petali profumati del fiore; una chiave ideale per raccontare
fin nei minimi dettagli scientifici una passione traboccante,
capace poi di inondare nell'esposizione e far riaffiorare alla
comprensione e al dialogo ogni materia nascosta tra le pieghe
della memoria.
Giulio Spiazzi
giuliospiazzi@gmail.com
www.liberautonomia.org
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Spaccato di un “ospedale per insetti” |
A proposito della scuola Kiskanu, si segnala l'articolo,
sempre firmato Giulio Spiazzi, apparso sul numero 373 di “A”
(estate 2012), dal titolo “Mensa
scolastica e autonomia”.
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