Saint-Imier
Un po' meno soli
di Giordano Cotichelli
foto di Roberto Gimmi
Un anarchico marchigiano aderente alla FAI racconta le sue
impressioni e a suo modo traccia un bilancio dell'Incontro
anarchico internazionale. Il principale risultato (positivo),
secondo lui, è il senso di appartenenza e lo slancio
dato alle utopie dei singoli. Se vi sembra poco...
Credo che le prime impressioni
dell'incontro di Saint-Imier che sono circolate vadano arricchite
ulteriormente dalle testimonianze di chi ha partecipato in un
modo o nell'altro. Per quello che mi riguarda posso valutare
alcuni elementi di fondo relativi a: tematiche, organizzazione,
partecipazione, luoghi e obiettivi.
Le tematiche
Queste abbracciavano una vasta gamma di argomenti: dall'attualità,
al pensiero, alla storia. Nelle intenzioni sia degli organizzatori,
sia dei conferenzieri in larga parte c'è stata la volontà
di fornire materiali utili al dibattito, alle lotte e alla costruzione
di una società libertaria. Al di là di questo
poi ci sono stati momenti meno partecipati, altri autoreferenziali,
ed altri ancora che sono riusciti a mostrare tutti i limiti
attuali dell'intervento anarchico, specie in campo sindacale.
Per quello che mi riguarda ho potuto partecipare alla conferenza
sull'anarcosindacalismo ove tutte le varie anime erano presenti.
Anche in questo caso, come già descritto da altri, c'è
stata una gestione del dibattito sbilanciata, ma quello che
più interessa è che, al di là delle varie
differenze, in generale venivano riportati da tutti, la testimonianza
di interventi minoritari, sofferenti di una collocazione marginale
nel panorama sindacale delle lotte, quando non residuale, assente
o peggio, discriminata e perseguitata. Non so come siano andate
le tavole rotonde sull'anarco-femminismo, che si svolgevano
quotidianamente e che non sempre erano aperte alla partecipazione
anche del genere maschile. Qualche compagna si è lamentata
in proposito.
Molto partecipata la conferenza su violenza e non-violenza,
con parecchie critiche al conferenziere che parlava di disobbedienza
civile, con un momento poi di autogestione del dibattito quando
i partecipanti, vista la dimensione limitata del luogo scelto,
hanno preferito andare all'aria aperta a discutere. Sala piena
anche per la presentazione del secondo volume delle opere di
Malatesta, con un lavoro di sintesi fatto dall'autore degno
di nota e che credo andrebbe recuperato, tanto rende chiaro
in breve il pensiero del nostro. Per il resto sono certo che
non mancheranno testimonianze integrative a quanto detto. Seguire
tutto era praticamente impossibile, e nella sostanza si sono
avuti due eventi in contemporanea: l'Incontro e il Congresso,
con non poche criticità emerse.
L'organizzazione
Un riconoscimento va alle/ai compagne/i che si sono spese/i
per l'organizzazione delle giornate. Diverse sono state le difficoltà,
ma tantissimi i problemi risolti e i servizi assicurati per
la tranquillità dei molti convenuti i quali magari non
si sono accorti che, fuori da occhi indiscreti, decine di volontari
garantivano i bisogni primari (dormire, mangiare, etc.). Non
è facile accontentare tutti. Non è facile garantire
prezzi accessibili e piatti sani e appetitosi, luoghi asciutti
e riparati per dormire. Personalmente mi sono ritrovato a chiedere
il materiale necessario (pc portatile e proiettore) per la conferenza
sulle disuguaglianze di salute che ho tenuto domenica 12. Era
una richiesta fatta da tempo e gli organizzatori conoscevano
tutto con largo anticipo. Come un po' temevo, qualche giorno
prima non sapevano cosa rispondermi in merito alla disponibilità
degli strumenti. Gli inconvenienti accadono, basta farne tesoro
per il momento, da parte di chi ne subisce le immediate conseguenze,
e per il futuro, da parte di chi voglia organizzare altri eventi.
Ciò nonostante, mentre ero già rassegnato a fare
la presentazione senza supporti tecnici, un compagno svizzero
del comitato organizzatore è riuscito a procurarmi il
necessario all'ultimo minuto. Credo che come lui, per tante
altre piccole cose, molti sono stati i compagni e le compagne
che si sono spesi per garantire la riuscita dell'iniziativa.
Magari i più non se ne sono direttamente resi conto,
troppo persi tra le righe di un documento o tra le parole di
una conferenza. Insomma il lavoro è stato immane, in
un'atmosfera autogestionaria reale di cui, ripeto, si dovrà
tenere conto, perché rappresenta quell'ambito della pratica
che poi serve alla teoria.
Ah! Non dimentichiamo il mercato. Alle cucine autogestite c'era
a far da concorrenza l'offerta della distribuzione capitalista
che, sia per il cibo sia per i beveraggi (in misura maggiore?)
rappresentava un problema notevole. Non credo che i supermarket
cittadini siano stati la prima causa dei mancati introiti degli
organizzatori, ma è un fatto che la domenica mattina
in alcuni punti di ristoro autogestiti, sono stati appesi cartelli
che ricordavano la necessità di fare uno sforzo finanziario
per sostenere con offerte maggiori, un deficit di bilancio che
si stava allargando, specie in relazione al cibo. E poi ci sono
stati gli affitti delle sale, l'attrezzatura, i camping, etc.
Ripeto, l'importante è fare tesoro delle criticità.
Applausi per gli organizzatori e anche per il comportamento
dei convenuti, non poteva essere altrimenti per degli anarchisti,
ma non era scontato che non lasciassero terremotata la piccola
Saint-Imier. In altri incontri qualche problema legato alla
presenza di torme di villeggianti è stato rilevato, ma
questa è storia italiana e passata. E, come si è
detto, l'importante è farne tesoro.
La
partecipazione
Non sono bravo con i numeri. Le considerazioni fatte sul numero
dei presenti oscillano fra i 3000 (un po' di più forse)
e i 5000 (mi sembra un po' troppo). Più che la quantità
qualcosa si può dire sulla composizione di chi si è
ritrovato a Saint-Imier. Indubbiamente preponderante la presenza
di area francofona, ma soprattutto di giovani, che hanno fatto
sentire il loro peso in ogni dove: ai dibattiti, ai concerti
(indubbiamente), lungo le strade, al Congresso IFA.
Viene quasi da chiedersi se non sia la testimonianza di un mutamento
dell'anarchismo così come lo abbiamo sempre conosciuto,
da dottrina sociale a espressione generazionale. Sembra quasi
di parafrasare le parole di George Bernard Shaw che ebbe a dire:
“Non essere anarchico a sedici anni è mancare di
sentimento. Continuare ad esserlo a quaranta vuol dire mancare
di giudizio”. Una notevole presenza giovanile che sembra
dare ragione alle tante spinte individualiste o spontaneiste
che ci sono in giro, frutto più di un ribellismo ormonale
che di una presa di coscienza sociale e politica? Generazionalmente
è più facile essere insu ed accettare meno
la staticità di congressi, relatori, conferenze?
Mah, le ipotesi che si possono fare sono varie, di certo la
differenza fra essere fenomeno musicale, corrente di pensiero
sociale o espressione generazionale fa pensare. Per quello che
mi riguarda, l'augurio è che le nuove generazioni sappiano
dare maggior vigore alle istanze anarchiche e di liberazione.
È un auspicio in quanto la partecipazione vedeva anche
un pubblico che “poteva” permettersi di essere a
Saint-Imier, in piena Svizzera ricca. Parlo dei compagni fermati
alla frontiera per mancanza di un visto. Parlo dei tanti compagni
e delle tante compagne, che non hanno nemmeno i soldi per arrivare
alla terza settimana, capirai per entrare nella terra delle
banche. Ma questa è facile retorica. Rimane su tutto
la partecipazione ad un evento che deve farsi testimonianza,
storia, narrazione per capire ambiti relazionali e analitici,
politici e culturali, di spinte antiautoritarie e di pulsioni
ribellistiche.
I
luoghi
Parlare di luoghi in un paese di poco meno di 5000 abitanti,
che si snoda per un paio di chilometri in quattro o cinque strade
parallele alle pendici della montagna, può sembrare strano,
ma è proprio quando riesci ad avere buona parte dello
spazio che ti circonda a portata di mano, che certe considerazioni
risultano più facili. Si può dire che i luoghi
da valutare sono sostanzialmente tre: anarchisti, urbani e naturali.
I primi riguardano quelli appositamente utilizzati per l'incontro
ed erano tutti pressoché vicini l'un l'altro. Nel giro
di un paio di giorni si era già in grado di muoversi
agilmente per poter passare da una conferenza all'altra, per
andare a mangiare vicino al fiume o bighellonare fra i libri
della Sala del pattinaggio (Patinoire).
Forse qui c'è stata la più grande rappresentazione/esposizione
delle diverse anime dell'anarchismo presente, in tutte le sue
versioni, che possiamo dividere in due: una maggioritaria ed
una minoritaria. La prima costituita dalle organizzazioni (non
importa di quale tendenza) di lingua francese, spagnola e italiana
che sostanzialmente occupavano 4/5 dei tavoli disponibili. La
parte minoritaria era quella di banchetti rappresentativi di
altre lingue o paesi: brasiliani, tedeschi, statunitensi, svizzeri,
inglesi, olandesi, sloveni, turchi e altri che probabilmente
non ricordo. Erano presenti pressoché tutte le tendenze
dell'anarco-sindacalismo (persino uno sparuto banchetto con
il materiale della SAC svedese), dell'anarchismo organizzato,
di vari centri studi. Ciò nonostante materiali, testi,
gadget e così via si somigliavano un po' tutti. Prevaleva
su tutto i colori (ovviamente) rosso-neri in salsa spagnola
(bandiera diagonale), con una presenza nostalgica di poster
della CNT del '36 e qualche piccola esagerazione, come è
il caso della riproduzione della bustina rosso-nera dei miliziani
faisti.
Ma quello che maggiormente dominava su tutto era lo stesso Salone
del libro in quanto tale, luogo irrinunciabile per qualsiasi
anarchico, piazza libertaria dove incontrare e ritrovare compagne
e compagni, testi di autori introvabili, stringere relazioni
e salutare qualcuno che da tempo non si vede. Simile al Patinoire
c'era il tanto decantato Espace noir, caffè libertario,
sede politica, centro sociale, ma soprattutto base operativa
della logistica del Comitato organizzatore. La sensazione di
trovarsi in un luogo anarchista che sta al centro di una cittadina,
costituito da un palazzo di tre piani è sicuramente forte:
smarrimento, invidia, soddisfazione, non te ne vorresti più
andare o vorresti perderti per sempre sui suoi tavoli con l'ultimo
bicchiere di birra in mano. Questi i due spazi anarchisti più
significativi, più dello stesso museo della CNT, almeno
a mio giudizio. La seconda categoria è quella dei luoghi
urbani. Qui vi rientrano i giardini della cittadina, dove praticamente
a tutte le ore gruppi di anarchisti si incontravano, chiacchieravano,
cantavano e mangiavano. Il posto più grande era quello
vicino al Patinoire dove si poteva mangiare e guardare
anche i film proiettati di continuo (libri, cibo, vino e film...
c'è quasi tutto il necessario per vivere bene. Quasi).
Poi c'era la teleferica che era il mezzo degli anarchisti pendolari
che ogni giorno salivano e scendevano dal campeggio di Mont
Soleil. Probabilmente storie, racconti, commenti e altro sono
stati scambiati durante i vari viaggi dal monte. Ed ancora,
altro luogo urbano da considerare sono indubbiamente i supermarket:
Migros e Coop in salsa francofona. Sono i luoghi della quotidianità,
dove potevi fare la spesa, e vedere gli abitanti fare la spesa.
Qui sì che li potevi vedere i cittadini di Saint-Imier!
Per il resto chissà molti se ne sono andati in vacanza
perché non avevano voglia di sopportare una invasione
libertaria, o perché al di là di ogni considerazione
comunque dovevano lavorare alla fabbrica della Longines, o alla
segheria vicino al Patinoire, o altro.
Alla COOP è capitato un paio di volte di incontrare vecchie
signore italiane ormai immigrate da tempo a Saint-Imier, felici
di sentire parlare la lingua di un tempo, ferme, come tutti
gli immigrati, in un limbo della memoria che deforma luoghi
e ricordi, ma non i sentimenti. Chi voleva vedere i cittadini
di Saint-Imier bastava che andasse a fare la spesa, come ogni
cittadino. Oppure chiedesse qualche indicazione il giorno prima
dell'inizio a qualche sparuto immigrato di nuova generazione
(di provenienza centro-africana) che però non era in
grado di dare indicazioni per un evento di cui magari non voleva
sapere niente, di cui magari non riusciva a capire niente. Oppure,
e questo è l'ultimo luogo urbano che prendo in considerazione,
bastava che andasse al cimitero, magari perché faceva
parte dello sparuto gruppo di campeggiatori che non avevano
trovato posto a Mont Soleil. Lapidi, fiori e tombe non sono
certo argomento di dibattito politico, ma se ti soffermi a guardare
i nomi, anzi i cognomi, scopri storie di immigrazione lontane
nel tempo, di cui la signora alla COOP non ti ha detto, ma che
riesci a leggere nelle date di morte, nella brevità delle
vite strappate, nella ricchezza o povertà delle tombe,
nella cura o meno delle lapidi. Storia di una terra e di una
città dove vivere non era certo facile, dove fra la durezza
della natura e quella del capitalismo non rimaneva altra alternativa
che organizzarsi in maniera più libera. E si arriva così
all'ultimo ordine di posti di Saint-Imier, quelli naturali.
Sul paese domina Mont Soleil dove c'era il camping e dove la
notte l'escursione termica faceva battere i denti dal freddo.
Gli spazi allestiti dagli organizzatori si sono riempiti nel
giro di pochi giorni e le strutture logistiche sono riuscite
a malapena a rispondere alle esigenze di tutti. Sull'altro versante,
dal lato del cimitero, la montagna era meno dura ed era attraversata
dalla strada che portava a Neuchâtel in poco più
di mezz'ora. Tra i suoi boschi, Forêt des Loumonts,
il vecchio sentiero denominato “Sentier de la Baillive”,
evoca storie di signoraggi feudali e corvèe contadine
dovute in segno di sottomissione.
Gli
obiettivi
Non so di preciso quali erano gli obiettivi degli organizzatori.
Molte le ipotesi fatte in proposito e gli amanti della dietrologia
si potranno sbizzarrire in merito. Personalmente non sono mai
stato in possesso di elementi per dare una valutazione reale
della situazione. Nonostante questo qualche considerazione si
può fare. Se lo scopo era quello di allargare il giro
dei piattaformisti, non so se sia stato raggiunto. Con le giornate
di Saint-Imier essi sono riusciti ad avere una platea molto
più ampia di tutte le loro varie iniziative organizzate
messe insieme. Ma non credo che ciò abbia loro permesso
di fare proseliti. Ai banchetti dell'area di Anarkismo, al Patinoire,
l'afflusso di visitatori è stato sempre alquanto misero,
anche per la limitatezza quantitativa e qualitativa del materiale
esposto. Se poi l'obiettivo di qualcuno era quello di saldare
assieme le forze riformiste e legalitarie di pseudo-anarchisti,
non credo che si avranno significative conseguenze, e personalmente
poco mi interessa in quanto considero altri i pericoli reali
per il movimento anarchico. Chi voglia oggi riproporsi come
nuovo modello di partito bolscevico o riformista socialista
o altro, ha gli esempi passati delle scelte istituzionali che
lo condannano al fallimento.
Il neoliberismo è talmente trionfante che il depauperarsi
progressivo della società, l'impoverimento del ceto medio
– in Occidente – e l'aumento di una mobilità
sociale passiva (verso il basso), crea con più facilità
masse di servi pronti a scannarsi fra loro piuttosto che rivoluzionari
barricadieri o piccolo borghesi legalitari. Al tempo stesso
credo che sia vero quello che qualcuno ha affermato, che il
Congresso ed anche altri momenti dell'Incontro sono stati registrati
come settari, chiusi, quasi gerarchici: il vecchio che spiega
al giovane cosa deve fare. La partecipazione ai vari dibattiti
è stata alta, ma quanto questo abbia creato momenti reali
di crescita e condivisione andrebbe verificato. Se sono giuste
queste osservazioni, e credo che lo siano, l'IFA doveva farsi
trovare più preparata verso le nuove generazioni. Ma
credo che non sia un problema dell'oggi, considerando le diatribe
passate sin dai tempi della visita di Daniel Cohn Bendit a Carrara
nel'68. Penso che comunque qualche risultato positivo ci sia
stato, legato allo sviluppo di reti, conoscenze, relazioni fra
i vari partecipanti e fra varie organizzazioni. Anche riguardo
all'IFA che comunque è riuscita a stabilire contatti
più saldi con tutta una serie di realtà anarchiche
emergenti (Africa del Nord, America Latina e Balcani), e a darsi
scadenze immediate per rinsaldare questi rapporti (es. il meeting
del Mediterraneo).
Un obiettivo parzialmente raggiunto è sicuramente quello
legato all'evento. Di certo è riuscito a far parlare
di sé, a far tornare d'attualità le tematiche
dell'anarchismo, ma questo è stato più che altro
nei media locali e svizzeri, con pochissimo spazio in altri
contesti mediatici. La rievocazione storica in quanto tale ha
avuto il pregio di far vedere che a distanza di 140 anni le
idee anarchiche ci sono ancora e si fanno spazio in un modo
o nell'altro fra la gente. Il pubblico giovanile presente, così
come è stato valutato nelle righe precedenti, rappresenta
comunque un dato positivo, sperando che però riesca a
diventare più elemento politico e di cambiamento che
di caratteristica generazionale. Se poi l'obiettivo più
importante era quello di avere una risoluzione finale delle
varie anime presenti, credo che nessuno abbia mai creduto fosse
possibile, ma soprattutto non so di quale utilità concreta
potesse caricarsi. Più di tanti bei proponimenti scritti,
che costano molto spesso ore e ore di arrabattamenti vari fra
avverbi e aggettivi, credo che per gli anarchisti e per una
società libertaria sono di maggiore utilità gli
esempi che si portano, le idee che si sviluppano, le relazioni
fra persone, l'organizzazione delle risorse, le cose che si
fanno.
Nonostante tutto, credo che il primo e più importante
obiettivo, purtroppo più di natura ideale e individuale
che altro, sia stato comunque ottenuto, quello di dare fiato,
speranza, forza alle utopie dei tanti. Chi è stato a
Saint-Imier si è sentito un po' meno solo. Ha visto come
l'anarchismo sa tingersi di colori, voci, sentori diversi e
lontani, nello spazio e nel tempo, ma forse molto più
prossimi fra loro nei cuori di quanto non si creda. Ed allora
riprende la voglia di continuare ad andare avanti anche quando
tutto sembra più difficile. Di mostrare quanto l'anarchismo
sia vivo e relazionale, sociale e generazionale a tutto tondo,
classista e sindacalista. E forse di tornare a casa con un po'
più di consapevolezza delle proprie forze, della necessità
di impiegare le risorse limitate in modo organizzato, né
spontaneo, né autoreferenziale, né men che meno
burocratico.
Giordano Cotichelli |