alimentazione
Il militante nel piatto
di Andrea Perin
Mangiare e bere non è solo una necessità biologica.
Ripercorrere le abitudini a tavola ci aiuta a capire tante
cose, dell'organizzazione sociale, dei valori dominanti, dei
mille modi per costruire un mondo alternativo.
Ecco il resoconto di una nostra collaboratrice.
Affidare alle scelte del cibo
un valore etico, riconoscere nell'alimentazione la propria identità
ideologica: ormai entrati nel terzo millennio, quelli che si
potrebbero definire con una semplificazione uomini o donne di
sinistra hanno sviluppato un immaginario gastronomico che non
ha precedenti nella storia, strutturato sulla consapevolezza
che quanto finisce nel piatto è un atto politico nei
confronti della società e dell'economia. Il concetto
stesso di “bontà” a tavola spesso coincide
con quello di “giustizia”. Il militante, l'individuo
di sinistra, si può ormai riconoscere per la sua esibita
attenzione per ciò che mangia e per ciò che non
mangia.
“Parlo
alle classi agiate”
Anche in passato l'alimentazione aveva un valore etico, ad
esempio religioso, e un significato simbolico da rispettare:
soprattutto nel Medioevo e nel Rinascimento l'alimentazione
per i ricchi era differente da quella per i “rustici”,
i poveri, e non solo per la distanza tra fame e abbondanza.
La società e la scienza medica definivano con precisione
i cibi per le due classi, affermando che non era fisiologico
per gli uni cibarsi di quelli degli altri.
Ovviamente a stabilire queste distanze erano l'aristocrazia
prima e la borghesia dopo, che avevano la disponibilità
economica, il tempo e il gusto di operare scelte in cucina,
di elaborare una gastronomia, di affidare al cibo valori di
distinzione sociale. Scriveva Pellegrino Artusi a inizio Novecento
nel volume che contribuì a definire la cucina italiana:
“S'intende bene che io in questo scritto parlo alle classi
agiate, ché i diseredati dalla fortuna sono costretti,
loro malgrado, a fare di necessità virtù e consolarsi
riflettendo che la vita attiva e frugale contribuisce alla robustezza
del corpo e alla conservazione della salute”1.
È
difficile conoscere l'opinione dei “diseredati dalla fortuna”,
i contadini e gli operai, così come il loro immaginario
e le aspettative: sono praticamente assenti le fonti dirette,
essendo loro solitamente analfabeti e senza risorse, mentre
quelle indirette erano redatte a cura della classe dominante.
Probabilmente la cucina contadina era conservatrice, abituata
a trarre il meglio da quello che aveva, anche se spesso seppe
costruire un cultura gastronomica in grado di influenzare anche
i gusti della classe dominante. Gli operai, sradicati dalla
campagna, erano spesso in balia della disponibilità offerta
dalla città e dalle variazioni della sua economia. Sia
contadini che operai, costretti a un'indigenza che spesso viene
dimenticata dalla retorica dei “bei tempi andati”,
pur in possesso di proprie consuetudini gastronomiche, ambivano
verosimilmente ad accedere all'abbondanza e ai piatti delle
classi dominanti. Per secoli l'abbondanza fu un sogno, un mito
come quello del Paese della Cuccagna2,
luogo dell'immaginario dal medioevo fino a tutto il Settecento,
dove le vigne erano legate con le salsicce, piovevano fagiani
e i fiumi erano di vino bianco.
Con la rivoluzione industriale e la nascita delle ideologie,
i movimenti politici e rivoluzionari avevano il cibo come obiettivo:
si lottava per superare la fame o per garantire alla classi
subalterne un'alimentazione sufficiente, soprattutto nell'ottica
di una società nuova nata dalla rivoluzione, ma non esisteva
l'idea che la scelta di un regime alimentare potesse avere un
valore politico. Mancava un modello alimentare cui tendere.
Tra le poche eccezioni era la scelta vegetariana, soprattutto
da parte di militanti anarchici sensibili alle sofferenze commesse
su ogni essere vivente.
Vigeva in generale per gli attivisti una sorta di etica della
sobrietà, un francescanesimo laico, che escludeva l'indulgere
ai piaceri della tavola, sia perché peculiari della proterva
classe dominante sia perché avrebbero distolto i rivoluzionari
dal loro compito.
Neanche le Case del Popolo e le Cooperative di consumo svilupparono
mai un modello autonomo alimentare e le cucine collettive rappresentarono
sicuramente momenti comunitari e solidaristici ma non una scelta
gastronomica. In occasione dell'inaugurazione nel 1893 della
Casa del Popolo di Massenzatico (RE), il “banchetto economico
a lire una” venne descritto come “un pasto semplice
e frugale, affratellati dalla comunanza dei sentimenti”3.
Sia per mancanza di modelli sia per spirito irriverente, non
di rado si trasponevano le tradizioni legate alle feste religiose
alle nuove ricorrenze laiche come il “pranzo del primo
maggio”: in area emiliano-romagnola si consumavano i cappelletti
o i tortellini, tipiche pietanze natalizie, e il battesimo si
faceva con il lambrusco.
Alla
fine degli '80, la prima vera svolta
Le
osterie furono spesso luogo di azione politica perché
erano i ritrovi della classe lavoratrice4,
ma il consumo del vino e l'alcolismo furono messi sotto accusa
sia nel movimento socialista che in quello anarchico: “(...)
la lotta contro l'acoolismo è necessaria, per purgare
l'ambiente rivoluzionario di alcuni difetti ad esso inerenti
appunto a cagione dell'alcoolismo.”5.
Nondimeno il vino spesso fu un elemento economico significativo,
in grado ad esempio di finanziare le cooperative edilizie grazie
alla grande sete della classe operaia (soprattutto nel secondo
dopoguerra)6.
I regimi autoritari europei imposero un proprio sistema alimentare:
il Fascismo costruì un modello di autarchia e sobrietà,
anche in conseguenza delle sanzioni imposte dalla Società
delle Nazioni nel 1935; il Comunismo sovietico arrivò
a pubblicare un ricettario con la prefazione di Stalin, che
proponeva la cucina tradizionale in stretto collegamento con
l'industria alimentare nazionale7.
Il secondo dopoguerra e il seguente boom economico videro il
progressivo miglioramento delle condizioni economiche e alimentari
italiane, di pari passo con lo sviluppo dell'industria alimentare
e della grande distribuzione: la quota di spesa familiare destinata
all'alimentazione diminuì sensibilmente, dopo secoli
di privazione il benessere non era più un sogno8.
Negli stessi anni intellettuali come Mario Soldati e Luigi Veronelli
dedicarono grande attenzione al tema della cucina tradizionale,
valorizzando il patrimonio eno-gastronomico italiano.
Il '68 e il movimento del '77 influenzarono molti aspetti della
società italiana e aprirono molte nuove istanze legate
all'arte, alla musica e alla controcultura in generale, ma non
ebbero un'attenzione particolare verso il tema della cucina.
La prima vera svolta si ha alla fine degli anni Ottanta con
la nascita nel 1986 di Arcigola, diventata SlowFood pochi anni
dopo, e la conquista del piacere a tavola anche per la sinistra.
Scrive Carlo Petrini, il fondatore di SlowFood: “Quella
del piacere era – e rimane – una questione spinosa:
genera pruriti moralistici, rimproveri di 'compagni', moniti
salutistici e accuse di superficialità”9.
Non senza una buona dose di ironia, il godimento del cibo viene
sdoganato dai sensi di colpa e di inadeguatezza, si rivendica
la difesa della tradizione e di una gastronomia legata alla
campagna e alla tradizione, contrapponendola a quella aristocratica
e cittadina, alla industrializzazione della produzione del cibo
(fast-food) e alla sua globalizzazione. Se fino a prima il gusto
gastronomico è stato appannaggio delle elite,
ora viene rivendicato come un diritto comune e, non di rado,
ne viene affermata anche un'origine popolare.
Il
successo, progressivo e travolgente, si innesta sulle istanze
ambientali e terzomondiste che da anni agitano la sinistra,
strutturando un panorama di intervento vasto e articolato organizzato
attorno ad alcuni temi: il sostegno e l'attivazione delle pratiche
locali, la biodiversità, il diritto alla sovranità
alimentare per tutti i popoli, la lotta agli sprechi, difesa
del paesaggio, del suolo e del territorio, valorizzazione della
memoria locale, l'educazione al futuro.
Il Documento Congressuale 2010-2014 di Slow Food rivendica
“un forte impegno politico”: “I temi che trattiamo
sono sempre più di attualità, riguardano sempre
più da vicino la vita di tutti e la quotidianità,
incidono sull'economia, sulla cultura, sulla socialità,
sulla salute, oltre che naturalmente su ambiente, agricoltura
e alimentazione. Non dobbiamo diventare un partito politico,
tuttavia non possiamo sottrarci alla funzione politica che siamo
in grado di esercitare. In piena libertà e autonomia,
dobbiamo continuare a fare politica come è avvenuto in
questi anni: intervenendo laddove abbiamo cose da dire e facendo
valere il peso della nostra autorevolezza”10.
In una concezione più vasta la natura viene vissuta come
realtà positiva, situazione incontaminata che contiene
virtù e spontaneità, da difendere rispetto all'intervento
umano visto come negativo e distruttore.
L'animalismo non è più una stravaganza per pochi
e l'alimentazione vegetariana e vegana smettono di essere una
scelta prevalentemente personale appannaggio di ristrette avanguardie,
per diventare un atto politico esplicito, soprattutto nelle
grandi aree metropolitane del nord, legato alla protezione delle
risorse della Terra e motivato da un'etica pacifista di rispetto
della vita. Il movimento antispecista rappresenta l'evoluzione
del pensiero animalista, che rifiuta la superiorità della
specie umana sulle altre: la liberazione da tutte le imposizioni
per cui nasce l'Anarchia è inconcepibile, per gli antispecisti,
se rivolta alla sola specie umana.
La coscienza dello sfruttamento del Terzo Mondo invece interviene
ancora nella difesa dell'ambiente minacciato ma anche nel rispetto
del diritto dei lavoratori, con la costruzione di rapporti diretti
con i produttori locali e l'immissione di prodotti sul mercato
garantiti (mercato equo e solidale), spesso estranei alle tradizioni
italiane.
Oltre al boicottaggio a singole aziende multinazionali dell'alimentazione,
si afferma il concetto di consumo critico, nel quale la spesa
non è più solo un atto individuale, ma deve considerare
anche il comportamento delle imprese stesse in merito (utilizzo
delle risorse, l'energia, i rifiuti, le condizioni di lavoro).
Nascono collettivi e manifestazioni che legano esplicitamente
l'alimentazione all'azione politica (ad es. Food not bombs),
cooperative e reti di consumo e di produzione (ad es. la rete
Campi Aperti), Gruppi di Acquisto Solidali, negozi ed esercizi
commerciali (ad es. le fiere “Fa la cosa giusta”)
che a vario titolo aderiscono a queste istanze; si moltiplicano
le pubblicazioni di cucina che si legano esplicitamente alle
tematiche alimentari di consumo critico, equo-solidale ed etico11.
Le feste politiche, dove fino a pochi anni fa l'orizzonte gastronomico
era mediamente costituito dal panino con la salamella, ora vedono
un'offerta articolata e spesso incentrata su una cucina politicamente
corretta: biologica, chilometro zero, tradizionale, vegetariana
o vegana.
Il fenomeno dell'immigrazione insieme ad altre tematiche porta
l'attenzione sui temi identitari a partire dalla cucina, suscitando
talvolta un'adesione entusiastica e non di rado aprioristica
delle nuove cucine, spesso come dichiarazione di accettazione
e di non rifiuto dei nuovi cittadini anche in aperta e strumentale
polemica con gli slogan e le semplificazioni delle posizioni
più esplicitamente razziste (“Cuscus no, polenta
sì”)12.
Manifestazione estrema dell'uso politico dell'alimentazione
è il suo rifiuto totale, il digiuno, come strumento di
lotta utilizzato spesso da soggetti o movimenti che non hanno
risorse o possibilità di agibilità politica, oppure
operano all'interno di istituzioni totali come il carcere. Al
di fuori di questi ambiti, dove spesso il digiuno è spinto
alle conseguenze estreme, appaiono risibili i vari digiuni di
tipo “leggero” o a “staffetta” utilizzati
da alcuni esponenti politici nel tentativo di attirare attenzione
e consenso.
|
“Genuino
Clandestino”, film di Nicola Angrisano, InsuTv |
Temi
identitari
Le dinamiche appena descritte costituiscono un insieme articolato,
a volte contraddittorio nelle sue componenti, che costituisce
un pensiero politico che ha nel cibo non solo un campo di azione
ma anche uno strumento per costruire una nuova identità
politica.
Difficile
individuare le cause di questa svolta. Probabilmente, una volta
esaurite le istanze rivoluzionarie dei movimenti antagonisti
degli anni sessanta e settanta, cadute insieme al muro di Berlino,
è seguito un ripiego dell'impegno politico su obbiettivi
più riformisti e quotidiani: “in principio era
il militante di sinistra stanco e deluso”, scrive Petrini
sull'origine di SlowFood13. Ma
per le generazioni successive, cresciute senza l'esperienza
di quegli anni, la rivoluzione è una prospettiva inesistente,
mentre l'azione concreta e personale hanno un valore primario,
così come l'attività associativa come contesto
per modificare la società, spesso al di fuori delle ideologie.
L'alimentazione e la cucina non fanno più parte dell'ambito
strettamente individuale ma sono diventate un'azione etica e
condivisa: il cibo viene considerato una leva di riscatto sociale
e un paradigma economico della società, per cui ogni
scelta alimentare è un'adesione di campo.
Si è passati dal coinvolgimento dei singoli in un'azione
rivoluzionaria per cambiare la società che avrebbe aperto
a nuovi comportamenti sociali, all'azione per cambiare l'individuo
e le sue abitudini che, sommate, dovrebbero cambiare la società.
Queste istanze si legano strettamente anche al salutismo e alla
crescente diffidenza verso un'alimentazione prodotta con metodi
industriali, alimentata anche da recenti fatti di cronaca e
identificata con il sistema economico dominante: adulterazioni,
presenze di elementi chimici e pesticidi, “mucca pazza”,
etc.
Tutto questo si muove all'interno di una sorta di rivoluzione
culturale degli ultimi decenni, grazie alla quale la cucina
ha smesso di essere argomento marginale, considerato appannaggio
di casalinghe e ghiottoni, per diventare un tema diffuso di
riconosciuta dignità culturale, tanto pervasivo da essere
diventato un'ossessione. Nella società benestante attuale
sono ormai molte le malattie legate al disordine alimentare,
dall'anoressia e bulimia all'obesità per arrivare alla
creazione di nuovi disturbi come l'ortoressia, descritta
come un'attenzione abnorme alle regole alimentari.
Sacche di consumo etico
Quale ne sia la motivazione, il militante attuale, l'uomo
e la donna di sinistra, sono ormai definiti anche dal loro regime
alimentare. Non esiste uno modello specifico cui aderire e l'approccio
sembra più quello di una combinazione soggettiva di scelte
e risorse all'interno di una vasta area di riferimento, le cui
tematiche a volte appaiono anche in contraddizione tra loro
e non di rado hanno portato a contrasti e divisioni14.
Frequenti sono inoltre i rischi di scivolare nella semplificazione
e rigidità o nel consenso acritico e mitizzato, se non
addirittura nell'adesione di moda.
L'idealizzazione del passato e della tradizione come epoca felice
appare per esempio spesso ingenua e disinformata, non tiene
conto delle durissime condizioni di vita delle classi subalterne,
della loro fame e malnutrizione15.
La considerazione nostalgica e retorica verso la “natura”
è scollegata poi da una sua reale conoscenza ed è
frutto di mitizzazione, dimentica che essa non è né
vergine né intatta, ma profondamente e storicamente in
relazione con la cultura e l'azione antropica. Anzi la natura
stessa è strettamente connessa all'uomo stesso e non
la sua controparte migliore16.
Spesso sono assenti considerazioni critiche verso l'indotto
commerciale e industriale che ormai gravita intorno ai temi
dell'alimentazione biologica, naturale, equa e solidale, all'invenzione
di marchi e prodotti che sfruttano abilmente queste nuove tendenze
non di rado con truffe e frodi. Esiste un marketing del naturale
e del biologico, astuto e invasivo come quello di qualsiasi
altro brand industriale17.
Senza dimenticare che molto spesso questi prodotti hanno un
costo ancora elevato, nonostante l'impegno dei produttori, che
li rende difficilmente accessibili alle classi economicamente
più disagiate (almeno teoricamente ancora ambito di riferimento
della sinistra).
Rimane da chiarire se questa attenzione al tema del cibo, una
novità nel panorama dell'antagonismo politico, sia riuscita
realmente a incidere nella società italiana.
Una
prima considerazione porta a osservare che quasi in nessun caso
i temi affrontati sono peculiari ai movimenti storici di sinistra
(socialisti, marxisti, anarchici) ma appartengono anche a realtà
molto diverse da loro, di frequente al mondo cattolico, e che
in grande misura sono seguite da persone senza precise convinzioni
politiche; alcuni temi, come ad esempio l'animalismo, sono adottati
anche da movimenti di destra18.
Sono scelte che rientrano nel variegato mondo che vede la possibilità
di creare un sistema sociale ed economico alternativo a quello
attuale, senza che questo sia accompagnato da cambiamenti dell'organizzazione
politica o statale.
In generale si sono moltiplicate le realtà di difesa
del territorio e sono state create delle sacche di consumo etico;
la produzione biologica e il commercio equo-solidale sono in
continua espansione e il boicottaggio delle multinazionali talvolta
riesce a condizionare le scelte delle industrie (che però
continuano a macinare utili): un sondaggio del 2008 riporta
che motivi etici o politici hanno guidato il 18,7% degli intervistati
nel boicottaggio di prodotti o marchi e il 30,1% nell'acquisto
di prodotti; il 47% ha comprato prodotti per finanziare una
“buona causa”19.
Dal rapporto Censis/Coldiretti sulle abitudini alimentari degli
italiani del 2010 emerge chiara “la percezione della responsabilità
sociale ed ambientale che ha ogni atto di acquisto e il rapporto
tra il cibo ed il territorio con il riconoscimento del valore
che ha l'identità territoriale delle produzioni”,
ma anche una grande disomogeneità nelle azioni: ad esempio
“tra gli acquirenti regolari di prodotti del commercio
equo e solidale una nettissima maggioranza acquista i prodotti
a marchio commerciale del distributore, espressione della nuova
forza della Gdo [Grande Distribuzione Organizzata ndr], oltre
tre quarti acquista prodotti surgelati ed oltre due terzi scatolame”20.
Nondimeno rimane la sensazione che si tratti comunque di scelte
alimentari che, sia per un costo tendenzialmente alto che per
la necessità di un'attenzione che richiede tempo e conoscenza,
sono il più delle volte appannaggio di una minoranza
informata ed economicamente benestante. Il proletariato, i migranti,
i precari, le persone che rincorrono una quotidianità
strizzata dalle difficoltà, rimangono spesso legate all'economicità
dei prodotti, perciò alla grande distribuzione e all'adesione
di fatto di un modello proposto dalla società dei consumi.
Andrea Perin
Note
- Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l'arte di mangiar
bene, Einaudi, Torino 1970, p. 15. Si basa sull'ultima
edizione curata dall'autore (1910, quattordicesima edizione)
- Massimo Montanari, La fame e l'abbondanza. Storia dell'alimentazione
in Europa, Laterza, Roma-Bari 1993, p. 118-121
- Federico Ferretti, Le cucine della via Emilia, in
AA.VV., Le cucine del Popolo, Zero in Condotta, Milano
2005, p. 17
- Pierpaolo Casarin (a cura di), L'osteria “luogo”
di libertà, in “Bollettino Archivio G. Pinelli”,
n. 20, p. 27-33
- Luigi Fabbri, Prefazione, in Tomaso Concordia, L'alcolismo,
Libreria Editrice Sociale, Milano 1910
- Andrea Perin e Viviana Perin (a cura di), 100 anni della
Cooperativa Case Popolari Vercellese. I soci raccontano,
CCPV, Milano 2011
- Sandro Bellei, Ricettario fascista. Chi mangia troppo
deruba la patria, CDL, Finale Emilia (FE) 2007; Ljiljana
Avirovi (a cura di), Rivoluzione in cucina. A tavola con
Stalin: il libro del cibo gustoso e salutare, excelsior
1881, Milano 2008
- Paolo Sorcinelli, Gli italiani e il cibo. Dalla polenta
ai cracker, Bruno Mondadori, Milano 1999
- Carlo Petrini, SlowFood. Le ragioni del gusto, Laterza,
Roma-Bari 2001, p. 22
- Slow Food Italia, Le conseguenze del piacere. Documento
Congressuale 2010-2014, p. 39
- Emanuela Barbero et al. (a cura di), La cucina etica,
Edizioni Sonda; Annalisa Ippolito e Carlo Gubitosa, Ricettario
della Pace. Consigli e ricette per mangiare bene senza
appesantire il mondo,Guide Meravigli, 2009; Marinella
Correggia, Il cuoco leggero, Altraeconomia edizioni,
Milano 2010; Marina Berati, Vegan si nasce o si diventa?
Vivere (e mangiare) come si deve: per gli animali, la natura
e la nostra salute, Edizioni Sonda, 2011
- Anche se sono numerosi i punti di contatto con la Lega sul
tema dell'alimentazione: dalla difesa di una supposta tradizione
al chilometro zero – inteso come difesa del prodotto
locale
- Petrini, op.cit., p. 16
- Ad esempio il dibattito su alimentazione vegetariana-vegano
sulle pagine de «il manifesto»/Cultura, 16 febbraio
2012 e 28 febbraio 2012. O ancora su “A”
(n. 368, febbraio 2012; n.
370, aprile 2012, p. xxx)
- Andrea Perin, La fame aguzza l'ingegno. Cucina buona
in tempi difficili, Eléuthera, Milano 2005; Riccardo
Bertani, La magra cucina contadina di un tempo, in
AA.VV., Le cucine del Popolo, op. cit, p. 107-109
- Gianfranco Marrone, Addio alla natura, Einaudi, Torino
2011; Fernando Savater, Tauroetica, Editori Laterza,
Roma-Bari 2012
- Marrone, op. cit., pp. 71-88
- Ad es. il numero monografico di Charta minuta, bimestrale
della fondazione Fare Futuro, dal titolo Dalla parte degli
animali – n.4, luglio-agosto 2010
- Studio dell'Osservatorio Demos-Coop/La Polis riportato in
Miniguida al consumo critico e al boicottaggio, Editrice
Monti, Saronno (VA) 2010, p. 8
- http://www.coldiretti.it/docindex/cncd/informazioni/747_09.htm
Ognuno
guardando nel proprio piatto
Proviamo
a immaginare un pranzo impossibile, con alla stessa
tavola un militante di un secolo o anche solo cinquant'anni
fa, un socialista o un anarchico, magari un comunista
o un sindacalista; seduto di fronte a lui un attivista
contemporaneo, appartenente a una delle varie anime
del cosiddetto movimento.
Il vecchio militante mangia lo stesso pasto quotidiano
di un operaio, un piatto di pasta con un sugo al pomodoro
pieno di aglio, un'insalata condita con un olio pallido
o lardo fuso e una grande pagnotta, il tutto accompagnato
da un mezzo litro di un vinello leggero e un po' acido;
magari un pezzo di formaggio. Si fa un punto d'onore
di nutrirsi come un qualsiasi lavoratore, anzi, in quanto
militante trova giusto essere morigerati e non indulgere
in eccessive distrazioni. Guarda con stupore il piccolo
piatto di pasta integrale condita con piccoli pomodori
tondi, il piatto di verdura biologica (“ma cosa
sarà mai?”) condito con olio (extravergine
di oliva IGP), la bistecca ai ferri (da mucca “felice”
acquistata al GAS), la bottiglia di vino dall'etichetta
raffinata (“biologico?”); se il nuovo militante
è vegetariano o vegano rimarrà sorpreso
da quelle cose per lui strane che sono il seitan
o l'hamburger di soia (“pensavo fosse una svizzera”).
Al vecchio militante tutta questa attenzione al cibo
non convince mica tanto, non è neanche la festa
del Primo Maggio quando è giusto fare un pasto
ricco, magari con i piatti della Pasqua per far arrabbiare
il prete; gli sembra tanto una cosa un po' da forchettone,
da borghese panciuto. Lui la carne la mangia ogni tanto,
bianco costato o brodo con le ossa. Il suo commensale,
se vegano, lo guarda decisamente cattivo, ostentando
un irritazione appena contenuta di cui non capisce il
senso.
Il nuovo militante ha scelto con cura i suoi ingredienti
tra quelli che sono più rispettosi di ambiente
e lavoro, cercando di coniugare il buono con il giusto,
“La scelta del cibo è un atto politico”.
Considera con sostanziale delusione il magro e squallido
pasto del suo commensale: “Ma la tradizione popolare?
La buona cucina povera di una volta dov'è?”.
Quello vecchio osserva senza comprendere il compiacimento
del suo commensale per quello che sta mangiando. Trasecola
quando sente affermare che il consumo consapevole condiziona
l'economia, migliora il mondo e salva l'ambiente. “Ma
chissenfrega della natura e dell'ambiente!” dirà
il sindacalista o socialista o anarchico, è la
rivoluzione che conta, il rovesciamento del potere,
una nuova realtà sociale. Al popolo manca il
pane e voi vi trastullate al desco! Prima la lotta e
poi si penserà a mangiare!
“Ma che rivoluzione e rivoluzione - risponde l'altro
- è un'esperienza vecchia che ha fallito ovunque.
È partendo dal basso con i propri comportamenti
che possiamo cambiare il sistema”.
I due riprendono a mangiare in silenzio, ognuno guardando
nel proprio piatto.
A.P.
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