alternative
Utopia di oggi e topia dei primordi
di Andrea Papi
Sfuggire all'asfissiante clima elettorale immergendosi in un'organizzazione sociale risalente addirittura al Neolitico: un'esperienza agricola, comunitaria e pacifica che mette in crisi l'assioma secondo cui l'uomo è violento “per natura”.
Sta di nuovo impazzando il “totoelezioni”,
innescato anticipatamente dal tardo tentativo di scesa in campo
del “berlusca”, questa volta col codazzo di ruffiani
e cicisbei e la grancassa mediatica insolitamente deboli. Si
ripete la saga: i politicanti di mestiere, da quello più
fanfarone a quello più serioso, hanno di nuovo bisogno
del consenso per essere addetti al governo del paese. Si stanno
preparando per l'ennesima volta per tentare d'imbonirci con
tutti i mezzi di persuasione a disposizione del potere. Distaccato
e incurante, volgo sguardo e attenzione verso qualcos'altro,
autenticamente attraente. Mi sto dissetando di nuovi apprendimenti,
meravigliosi per la bellezza di cui sono portatori, che ho voglia
di condividere con chiunque abbia sete di conoscenza e libertà.
Ora so che una parte di me è profondamente legata e collegata
a Gilania, ancestrale esperienza di vita collettiva che si perde
nella notte dei tempi. Finora non ne avevo saputo niente e pochissimi
ne avevano sentito parlare perché, nonostante sia effettivamente
avvenuta, nei millenni trascorsi di civiltà patriarcale
il potere ha tentato di cancellarla e rimuoverla dalla memoria.
Ora so che anche tutti quelli che desiderano una società
libera e liberata alternativa all'esistente, pur non essendone
consapevoli, vivono questo collegamento interiore e profondo.
Gilania è il nome attribuito al tipo di società
che nel neolitico (circa tra l'8000 e il 2500 a.c., in rapporto
soltanto al neolitico) caratterizzò l'Europa antica prima
dell'invasione indoeuropea. Identifica il modo di essere società
di popolazioni stanziali agricole che furono in grado di dar
vita a un tipo di civiltà splendida e altamente evoluta.
Gilania è un neologismo coniato dall'antropologa Riane
Eisler per denotare la qualità di civilizzazione raggiunta,
caratterizzata dall'eguaglianza sociale e da una sostanziale
assenza di gerarchie e di autorità. Il nome Gilania è
composto dalle parole greche gynè, donna e andros,
uomo, unite dalla lettera “l” posta tra le due perché
ha un duplice significato: di unione, dal verbo inglese to
link, “unire” e, dal verbo greco lyein
o lyo, “sciogliere” o “liberare”).
Neologismo che vuole soprattutto sottolineare che non esisteva
prevalenza e imposizione di un genere sull'altro, ma cooperazione
e mutualità, cioè partnership.
La Eisler ha potuto sviluppare il suo percorso di ricerca antropologico
avendo come base gli approfondimenti e le riflessioni scientifiche
dell'archeologa Marija Gimbutas, che ha sviscerato gli studi
e le ricerche archeologiche di tutta la fascia territoriale
indoeuropea, partecipando fra l'altro direttamente agli scavi
e al rinvenimento di reperti per più di un quindicennio.
Il merito della Gimbutas è soprattutto quello di aver
reinterpretato con acuto rigore scientifico tutta la simbologia
dei segni e delle forme dei reperti, identificando, definendo
e sperimentando una nuova impostazione multidisciplinare, l'archeomitologia,
«un campo che include archeologia, mitologia comparata
e folclore» come scrive lei stessa in Il linguaggio
della dea.
Questa ermeneutica comparata le ha permesso di comprendere che
l'impostazione di civiltà di questi nostri antenati era
completamente differente dalla supposizione ufficiale in voga.
Secondo il paradigma tuttora accreditato l'elemento fondante
che da sempre determinerebbe i comportamenti umani, determinando
quindi pure la qualità dell'essere società, sarebbe
basato “naturalmente” sulla spinta a dominare. Insomma
è pienamente vigente l'interpretazione che vorrebbe la
natura umana inchiodata al homo homini lupus, nefando
nichilismo del potere di triste hobbesiana memoria.
Coi suoi studi e le sue ricerche la Gimbutas ha ribaltato di
trecentosessanta gradi questa impostazione, che sostiene la
logica del dominio come base fondante di qualsiasi assetto sociale.
Ha mostrato e dimostrato pienamente invece come per millenni
i nostri avi pre-indoeuropei vissero in pace, su un piano egualitario
nei rapporti tra gli individui, maschi o femmine che fossero,
senza strutturarsi in forme gerarchiche di comando e senza imporre
logiche di dominio, dedicandosi al benessere collettivo, al
piacere di fabbricare cose che oggi definiremmo artistiche e
producendo tecnologie utili per vivere tutti al meglio. Nei
reperti analizzati non c'è traccia di armi, combattimenti,
violenze, conquiste ed eserciti schierati per la “gloria”
dell'occupazione di altre terre e altre genti.
|
Riane Eisler (Vienna, 1931) |
Senza
gerarchie e senza violenza
Noi dobbiamo ringraziare la Eisler e la Gimbutas, perché
il loro sguardo femminista, non a caso proteso ad evidenziare
la condizione femminile in quanto genere e il rapporto tra il
genere maschile e quello femminile, condannando il presente
di supremazia maschilista è stato stimolo fondamentale
per riuscire ad evidenziare una realtà effettuale che
altrimenti sarebbe rimasta nascosta perché occultata.
Emblematico ciò che scrive la Eisler stessa in proposito:
«Si tratta di un lungo periodo di pace e prosperità,
durante il quale progredì la nostra evoluzione sociale,
tecnologica e culturale: diverse migliaia di anni in cui tutte
le tecnologie fondamentali su cui si basa la civiltà
continuarono a evolversi all'interno di società non violente
e non gerarchiche, in cui il maschio non era dominante.»
E ancora «Uomini e donne, e a volte, persino popoli con
origini razziali differenti, lavoravano insieme per il bene
comune.»1
Interessante lo smantellamento del pregiudizio secondo cui le
società che si opponevano al patriarcato erano per forza
di tipo matriarcale. Situazioni matriarcali, cioè a predominio
femminile a discapito del maschile, sono esistite in concomitanza
e in parallelo con quelle patriarcali. «Ciò che
non ha senso è concludere che nelle società in
cui l'uomo non dominava la donna, era la donna a dominare l'uomo.»2
E più avanti chiarisce bene «Né ci sono
segni di oppressione e sottomissione dell'uomo da parte della
donna»3. A Gilania, al
contrario di come siamo abituati da millenni di predominio maschile,
non c'era nessuna supremazia, né di genere né
gerarchica. Sia la Eisler sia la Gimbutas parlano di modello
di tipo mutuale, cioè fondato su cooperazione e aiuto
reciproco, in contrapposizione al patriarcato, che in modo più
appropriato definiscono androcrazia (comando del maschio), che
invece viene classificato come modello di tipo dominatore, proprio
perché basato sulla spinta e la volontà oligarchica
di dominare.
Una civiltà e un mondo che vivevano immersi nella natura.
Se ne sentivano felicemente parte e vivevano con essa un rapporto
simbiotico che culturalmente si esprimeva attraverso il culto
della dea. Un divino femminile primordiale, olistica dispensatrice
di vita, immersa in simbiosi magica con tutte le cose, che rappresentava
il potere creativo della pienezza, del donare e del ricevere,
fonte rigeneratrice di tutte le forme di vita. Una religiosità
panteista, una specie di manto di natura che avvolge tutto,
simboleggiato dal calice che ha il potere di dare, proteggere,
beneficare e amare la vita, lontana anni luce dalle concezioni
teocratiche d'imposizione divina che distinguono le teologie
patriarcali e androcratiche, che al contrario sono dispensatrici
di morte ed esaltano la spada, simbolo del potere che toglie
la vita.
La ricerca scientifica archeologica ha pure identificato e compreso
perché questo eden sociale del neolitico ebbe traumaticamente
termine. I Kurgan (le popolazioni dell'Eurasia, tra l'Europa
orientale e la Siberia fino alla Mongolia, che usavano seppellire
i morti d'alto rango in tumuli funerari), inizialmente bande
di popolazioni nomadi, che progressivamente crebbero in numero
e ferocia, s'imposero attraverso ripetute incursioni e aggressioni
fino a sottomettere definitivamente per intero le popolazioni
e la cultura gilaniche. Un'aggressione che probabilmente si
sviluppò in tre ondate fino all'imposizione totale. Prima
ondata all'incirca tra il 4300 e il 4200 a.c; seconda tra il
3400 e il 3200; terza tra il 3000 e il 2800. Creta fu l'ultimo
avamposto gilanico che resistette fino circa al 1500 a.c. I
Kurgan in realtà non sono altro che gli indoeuropei,
o ariani, che tanto stavano a cuore a Hitler.
Il quadro che ne risulta è che praticamente per tutto
il neolitico, cioè dal 10000 a.c. (accertato dallo studio
dei reperti circa dall'8500 circa), per diversi millenni in
Europa e nell'Asia minore è esistita, florida ed efficiente,
una civiltà sorretta dal paradigma sociale dell'uguaglianza
e della mutualità, che nel modo di convivere socialmente
rifiutò sia di governare attraverso forme di dominio
sia di strutturarsi in categorie gerarchiche, all'interno della
quale era assente ogni discriminazione sociale, sessuale, religiosa.
Un altro
mondo c'è stato
Emerge inoltre, cosa per noi fondamentale, che questo tipo
di civiltà e di società hanno avuto termine non
per malfunzionamento o altra incapacità a continuare,
ma perché sono state occupate e soggiogate militarmente.
In seguito a questa violenta aggressione conquistatrice, gli
androcrati vincitori, i Kurgan, hanno imposto un modo di vivere,
sostanzialmente quello tuttora in vigore, i cui paradigmi di
fondo sono la violenza e la sopraffazione del potere, il dominio
su tutto e su tutti, lo schiavismo, l'asservimento dei più
deboli, l'imposizione di una religione patriarcale che giustifica
la prevalenza prepotente del maschio sulla donna. Sicuramente
ciò è potuto avvenire perché i gilanici
non conoscevano il militarismo, non avevano eserciti né
armi e probabilmente furono colti di sorpresa perché
nel loro immaginario era escluso che si potessero usare strumenti
per togliere la vita ad altri esseri viventi, quindi non capivano
perché fossero aggrediti.
Quello che si svela al nostro sguardo è un tipo di società
che è sempre appartenuto ai nostri sogni e che gli anarchici
propagandano da più di due secoli. Certo, l'immaginario
degli anarchici oggi proietta un modo di vivere e di essere
che non può non avere caratteristiche in vari modi legate
all'epoca che stiamo vivendo, le quali non possono che essere
altamente differenti da quelle che contraddistinsero l'esperienza
concretamente vissuta dai gilanici. Ma ciò non toglie
che la sostanza è molto simile, se non identica. Uguaglianza,
assenza di forme di dominio, di gerarchie, di supremazie, di
discriminazioni sociali, oltre a convivere sulla base di un
sostanziale mutuo appoggio e in simbiosi con la natura. Altro
non sono che i principi, i valori e il senso dell'anarchia sociale
che per circa due secoli hanno propagandato i vari Malatesta,
Kropotkin, Reclus, Proudhon, Landauer, ecc.
Il mio è uno sguardo anarchico, tendente a cogliere gli
aspetti che identificano le realizzazioni libertarie, che nulla
toglie allo sguardo femminista che, pur soffermandosi e cogliendo
in particolare gli aspetti di genere, ha però descritto
quella società nella sua completezza. In proposito ciò
che mi sento di dire è che lo sguardo anarchico identifica
l'esercizio del dominio con la conseguente sottomissione di
tutti i più deboli, comprese le donne, quali elementi
fondanti e denotativi del potere impositivo. La non eludibile
questione femminile non può perciò che essere
parte della più generale questione della libertà
e la liberazione delle donne è strettamente connessa
e legata alla complessiva liberazione dalla schiavitù
e dal dominio.
La scoperta e la conoscenza di Gilania sono fondamentali. La
prova della sua esistenza dimostra che un “altro mondo”
non solo è possibile, ma addirittura molto più
auspicabile di questo che siamo costretti a vivere e da cui
non riusciamo a liberarci. Il fatto che sia esistita effettivamente
toglie ogni valore e credibilità ad uno degli assunti
di fondo del dominio, tuttora propagandato per delegittimare
e sconfiggere ogni prospettiva di emancipazione. Cioè
l'asserzione, proposta come scientifica, che proprio per la
natura dell'uomo non sarebbe possibile nessun tipo di società
che, riuscendo a farne a meno, rinnegasse l'autorità
e il dominio. Gilania smentisce proprio questa asserzione autoritaria.
Da parte nostra sarebbe certamente privo di senso riproporla
pari pari, perché ogni esperienza si nutre di se stessa,
mentre va propagandata come una luce di verità che dimostra
che l'utopia anarchica si può realizzare, dal momento
che per millenni è stata topia fattuale ed ha funzionato
benissimo.
Andrea Papi
Note
- Il calice e la spada, di Riane Eisler, ed. Forum, pagg. 27 e 108.
- Ibidem, pagg. 28.
- Ibidem, pagg. 80.
|