società
Crescita della coprocrazia
di Angelo Tirrito
Niente pensioni, niente sanità, niente scuola, niente contratti collettivi di lavoro, niente casa, niente risparmi ecc. E, infine, niente manifestazioni contro. Viaggio dentro i disegni del Potere.
Una delle cose che reputo più
odiose è affrontare un tema premettendo un qualche ragionamento
di taglio generale, se si vuole, una definizione. Ma poiché
il tema che tratterò è “la crisi“,
non posso esimermi dal far notare a coloro che accettano di
definire il momento attuale come un momento di crisi e soprattutto
a quanti scrivono e leggono questa rivista che il termine crisi
è inaccettabile perché improprio, falso, deviante
e tendenzioso.
Infatti “crisi“ presuppone che, da una situazione
che viene valutata se non ottima almeno buona, si sia passati
ad una situazione peggiore dalla durata imprecisata, ma dalla
quale ci si possa “riprendere“, termine che prefigura
un ritorno, se non uguale, almeno vicino al tanto amato passato.
Ed ecco il punto. Dobbiamo accettare di definire “crisi“
quella attuale? Dovremmo batterci, dalle pagine di questa rivista
e fuori per la “ripresa“ al fine di tornare al passato?
Ma quando mai chi si riconosce (più o meno) nelle idee
portate avanti da “A“ ha mai immaginato un passato
o un trapassato degno di essere riproposto non solo a se stessi
ma, addirittura, ad ogni vivente persona, animale o pianta che
sia?
Ma ecco un altro punto sul quale desidererei che si ponesse
la massima attenzione: perché si possa desiderare di
tornare ad un qualunque passato; perché, per restare
solo al nostro paese, quelli del Pd, del Pdl, della Udc, del
Cinque Stelle, dei sindacati tutti possano indurre la maggioranza
dei cittadini (il 90% fatto salvo il noto e ricco 10%) a fare
sacrifici, occorre che alcuni significativi diritti che
quel 90% aveva conquistato fossero stati se non migliorati,
almeno mantenuti.
Ma che sta succedendo? Mi è già capitato di scriverlo
ma voglio ancora ripeterlo: al potere interessano moderatamente
i soldi dei lavoratori o dei cittadini, i soldi li hanno già,
invece gli interessano e molto i diritti. Niente pensioni, niente
sanità, niente scuola, niente contratti collettivi di
lavoro, niente casa, niente risparmi (che possono consentire
maggiori tempi di resistenza) ecc. E, infine, niente manifestazioni
contro.
|
Manifestazioni
studentesche a Roma (foto da http://livesicilia.it/) |
Dietro
la “maggiore mobilità”
Ma allora? Allora forse questa non è affatto una crisi.
Da qui non si riprende alcunché, da qui – e i più
illuminati governanti, giornalisti, professori, intellettuali
lo dicono e ce lo ripetono continuamente – si deve puntare
alla crescita.
Che termine meraviglioso è questo “crescita”!
Sembra che voglia dire quello che, quasi naturalmente, noi desideriamo
per noi. Poi passa il tempo e ci rendiamo conto che voleva dire
quello che loro volevano per loro.
Lo abbiamo dimenticato che sin da bambini abbiamo imparato a
diffidarne? Ci siamo scordati che quando “un grande”
voleva farci ingoiare una idea, un fatto, una ingiustizia, sempre
una qualunque cosa che noi si giudicava esecrabile, ci veniva
detto: devi crescere! Cresci ragazzo mio e capirai!
E supponiamo pure che i loro indici, pil, disoccupazione, riduzione
delle tasse, riduzione spread, ecc., dati economici rilevati,
valutati ed interpretati dal potere, indichino una crescita:
in che spazi sociali questa crescita troverà i lavoratori,
anzi i cittadini?
|
Primo Maggio 2012, manifestazioni
contro la crisi in tutta Italia per la festa del lavoratori
(dal sito http://photofinish.blogosfere.it) |
Ecco
come si svilupperà la crescita
Maggiore mobilità. Che non è solo la possibilità
di licenziare chi, come e quando si vuole, ma anche obbligo
di spostarsi cioè abbandonare i valori rappresentati
dalle proprie radici, dal proprio paese, dai parenti, dagli
amici, dal lavoro che si è fatto fino ad allora e al
quale ci hanno imposto di prepararci lungo gli anni di scuola
e di università. Mobilità vuol dire abbandonare
i figli, spostarsi in un ambiente totalmente diverso in cui
non sei nessuno e dove non è escluso che coloro con i
quali inizierai nuovi rapporti non parlino la tua lingua e che
ti vedano addirittura come un invasore.
E se per lavoro ti sei spostato, ma nel tuo paese d'origine
possiedi una casa, una casa magari sulla quale stai pagando
il mutuo, su questa dovrai pagare l'Imu come seconda casa. Ma
come si può accettare che definiscano la tua prima ed
unica casa come seconda casa? Dicono: quella casa te l'affitti
e con l'affitto paghi la casa nel nuovo posto dove lavori e
magari ti restano soldi per pagare l'Imu. Ma quando si lascia
un posto perché manca il lavoro per un altro dove forse
si può lavorare, gli affitti in questo nuovo posto saranno
molto più alti, mentre la casa che lasci, spesso, non
la puoi affittare, per via della desolazione economica nella
quale è immersa.
Se si lascia Palermo per Milano, vogliamo farli due conti? Chi
paga il prezzo di questa tanto decantata mobilità? Non
si potrà nemmeno ritornare a casa per alcuni giorni per
rivedere i propri cari e per star loro vicino in momenti pesanti
della vita.
Inoltre, ovunque, niente diritti sul lavoro, niente diritti
sulla salute, niente scuola, niente contratti collettivi di
lavoro ecc.
Ecco come si svilupperà e cosa significherà la
crescita.
Tra poco, molti italiani si recheranno speranzosi alle urne
trascinati, sono certo, da questa parola “crescita”
che tutti ripeteranno e prometteranno.
Io, per quanto mi riguarda, vorrei vedere, per una volta nella
mia lunga vita, questi miei concittadini elettori indotti a
votare non da parole prive di significato o sulla base di “un
contratto” di berlusconiana memoria, ma almeno su testi
di leggi già scritte e sottoscritte da coloro che chiedono
il voto con l'impegno che, se eletti, saranno promulgate immediatamente,
pena la validità della loro stessa elezione.
Visto che tutti credono nella democrazia (i presenti sono, come
sempre, esclusi) questo è il minimo che dovrebbero chiedere.
Invece credo che l'unica cosa che otterranno è, elezione
per elezione, la crescita della “coprocrazia”.
Che, in una società, è il dominio degli elementi
più vili e spregevoli. (Grande dizionario della lingua
italiana).
Angelo Tirrito |