a
cura di Alessio Lega
Mala Testa.
I pro e i contro di un altro disco
Fare ancora un disco è
inutile e anacronistico.Però non siamo ancora riusciti
a far di meglio... non paia questa una excusatio non petita,
perché sto proponendo qualche riflessione che sta dietro
al mio nuovo lavoro discografico Mala Testa. C'è
proprio un problema irresoluto nei musicisti che si ostinano
a far dischi, e per farli intendo: a stamparli sul supporto
del cd.
Prendiamo atto che, noi stessi musicisti, di dischi ne compriamo
quanti ne comprano la media degli amanti della musica: pochissimi,
quasi niente, forse zero! Se parecchi cd girano ancora per le
nostre case è perché ci regaliamo fra di noi le
nostre stesse opere. Ma quante volte qualcuno di noi si reca
in un negozio di cd a veder cosa c'è di nuovo? Cos'è
uscito? Ancora dieci anni fa – forse poco più –
era una dolce dispendiosa abitudine... come per la libreria.
Poi, con una più o meno testarda resistenza, ci saremo
pur convertiti agli mp3, alla condivisione più o meno
legale dei files musicali. Qualche dandy del terzo millennio
magari è tornato a procurarsi degli sceltissimi vinili.
E poi la musica è deflagrata in rete. Se oggi mi vien
voglia di ascoltare un pezzo, voglio ripassare una data soluzione
arrangiativa, non vado a scartabellare fra le migliaia di cd
– che non ho avuto il coraggio di buttar via, ma che per
lo più se ne stanno archiviati negli scatoloni –
ricorro a Youtube. Tanto il computer è sempre
acceso e io vivo connesso.
Certo, conosco i vistosissimi difetti della musica “liquida”,
primo fra tutti la scarsa qualità sonora, ma la nostra
vita sempre più affollata d'impegni, costretta in spazi
abitativi sempre più esigui, precaria e dilaniata dai
continui spostamenti, quanto meglio si concilia con la comodità
di avere accesso in ogni momento e in ogni luogo con una fornitissima
Discoteca di Babele, costruita dalla pazienza di milioni
di appassionati animati dal demone della condivisione.
Fare ancora un disco – sapendo tutto ciò –
è contraddittorio.
Però non siamo ancora riusciti a far di meglio... e così
abbiamo fatto Mala Testa.
Ho sempre pensato che il vero lavoro dei musicisti, quello che
a me più appassiona, è il lavoro dal vivo: pensare
e ripensare scrittura, interpretazione e arrangiamenti, in relazione
alla dinamica viva e collettiva della risposta del pubblico.
Le canzoni si continuano a scrivere, se ne inseriscono di nuove
negli spettacoli, si cerca di scalzare qualcuna delle più
vetuste. Le canzoni mai pubblicate sul disco però –
anche se eseguite in pubblico – dopo un po' ci ossessionano,
non riusciamo a liberarcene, ci appesantiscono e intorpidiscono
lo stimolo a scriverne di nuove. Ci sembra che chiedano a gran
voce di essere registrate, per lasciarci liberi di andare avanti,
cercare nuove strade espressive per nuove storie da raccontare.
L'unica forma soddisfacente per proporre un gruppo di canzoni
resta il disco, è solo allora che ci sentiamo di aver
proposto quelle canzoni nella loro forma ideale. Poco male se
poi ogni ascoltatore ne prediligerà alcune alle altre,
riascolterà ossessivamente la stessa, magari sentirà
una sola volta il cd nella sua completezza e nell'ordine suggerito:
sono tutte cose che noi facciamo coi dischi degli altri. Solo
quando pubblichiamo un cd, pensato come un'opera coerente, riteniamo
di aver consegnato una fotografia che, almeno per un'attimo,
nelle intenzioni ci somiglia.
Perciò fare il disco Mala Testa mi era indispensabile.
Mi concederete che ho aspettato molto, moltissimo: Mala Testa
è il sesto disco che incido, ma di fatto il secondo come
autore completo. Dopo Resistenza e amore – prodotto
musicalmente dai Mariposa – mi sono dedicato alla rilettura
del patrimonio di canzoni francofone e internazionali, riadattando
per la nostra lingua e per il nostro presente opere urgenti
e misconosciute. Mala Testa ha dunque una gestazione
quasi decennale, attentissima al presente e ai suoi suoni, non
per fare opera di ricalco ma per trovare una strada e una musica
adatta alla rinascita della canzone narrativa. Proprio come
militante anarchico, sento la necessità di continuare
un discorso rivoluzionario, ma oggi l'unico modo sensato di
far politica mi sembra sia quello di raccontar storie. Di cantare
le storie.
Come suonano le storie?
La foto che vedete quassù è una foto giovanile
dell'anarchico campano Errico Malatesta. Non è però
una foto particolarmente riconoscibile: in genere le foto lo
ritraggono in un'età più matura, con la faccia
più scavata, più profetica, e anche un pizzico
più faunesca. Con immagini come quella che vedete sotto,
l'anarchico Malatesta viene consegnato alla Storia con la “S”
maiuscola.
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Errico Malatesta giovane (sopra)
e quasi settantenne (sotto). La seconda
foto è stata scattata nel carcere milanese di San Vittore,
nel marzo 1921, durante lo sciopero della fame che Malatesta
e altri suoi coimputati stavano facendo per protestare contro
la detenzione preventiva cui erano sottoposti da alcuni mesi |
Ma le nostre canzoni vogliono evocare gli esseri umani un
attimo prima che entrino nella Storia. Le canzoni sono il lato
individuale, privato, emotivo dei personaggi che per volontà,
per coraggio, per caso o per sfiga sono entrati nella Storia.
Spartaco (e Rosa Luxemburg), Dino Frisullo, Isabella di Morra,
Matteotti, Sophie Scholl (la Rosa Bianca), le otto vittime della
strage del '74 di Piazza Loggia che incontrano i sei immigrati
saliti su una gru nel novembre del 2010 a Brescia. La storia
del canto sociale delle mondariso del Nord Italia, quella collettiva
dei lavoratori precari dei centri commerciali, in una canzone
inedita di Ascanio Celestini (Monte Calvario). Questo
è un disco pieno di ritratti, pieno di nomi. Mala
Testa nasce per combattere due forme di oblio. L'oblio della
Storia: al potere fa molto comodo che vengano dimenticate storie
come quella della resistenza, delle lotte operaie, del femminismo
e per questo riscrive i libri di scuola, finanzia le fictions
televisive, oppure mette la memoria nel museo, la incide nelle
medaglie, la seppellisce nelle celebrazioni vuote. Il secondo
oblio è più personale, è l'erosione costante
che il fiume del tempo fa su tutti noi. Tutti dimentichiamo
tutti. È difficile tenere assieme il bagaglio dei vivi
e dei morti, abitare le stesse stanze con tutti coloro che hanno
fatto la nostra vita (la nostra storia) e non mi riferisco solo
alla morte fisica, ma anche a quella morale di amici, fidanzate,
mogli, amanti, compagni che non vediamo più. È
la diaspora degli anni che ci vede vagare e ogni tanto fermarci
estasiati per una musica, un sapore, una sensazione che ci riporta
indietro di un colpo a dire: «quello ero veramente, dov'è
che ho cominciato a perdermi?»
Questa è la battaglia che ho chiesto ai musicisti di
ingaggiare suonando questo disco. Trovare il suono adatto a
raccontare, per resistere al potere e per resistere al tempo.
Questo è il senso del sottotitolo del disco «Che
cosa ancora brilla dal fondo senza ritorno?». Ci sono
stelle che sono spente da milioni di anni eppure ci illuminano
il cammino.
Se
qualcuno ha avuto modo di ascoltare le mie canzoni avrà
notato come queste canzoni cercavano un tono collettivo, volevano
dire “noi”. In particolare esiste una mia vecchia
canzone sui fatti di Genova 2001. Quella canzone ripete come
un mantra “Chi siamo noi, Chi siamo noi, Chi siamo noi”...
Ma da Genova in poi – e sempre più – faccio
fatica a dire “noi”, chi è quel “noi”?
C'è una memoria condivisa, una serie di punti di riferimento,
una tradizione comune? Oggi è difficile dire “noi”,
anche per paura che da questo “noi” molti, troppi
si sentano esclusi. In questo disco canto singole storie a singoli
individui. Queste storie però si ritrovano sempre in
una storia collettiva. Non solo. Nessuno è credibile
se non si mette in gioco di persona. Ai profeti chiediamo spesso
di morire prima di prenderli in considerazione. Ai cantautori
– per fortuna – chiediamo solo un po' di sincerità.
Non posso solo occuparmi di temi sociali, facendo finta che
i miei dubbi, le mie pene, le mie allegrie, i miei amori non
entrino a gamba tesa. Mi fa male il Ruanda, ma se mi lascio
con mia moglie mi fa ancora più male, se m'innamoro ancora
tutto trova soluzione. È così, è umano
che lo sia. Trovano perciò posto in questo disco una
serie di canzoni d'amore (I baci, Insulina, Icaro) e
di canzoni esistenziali (La scoperta di Milano). Il narratore
qui – purtroppo – non riesce (ancora?) ad annullarsi
del tutto dietro le sue storie. Non sono un cantastorie siciliano,
portatore metafisico che parla per tutto il suo popolo. Non
sono capace di scrivere nel mio dialetto. Non sono un Bluesman
del Delta del Mississipi. Ma non sono nemmeno un rappresentante
del cosiddetto Indie rock tutto avvitato sul proprio
minimalismo, dolente e senza uscita. Non mi piace parlarmi addosso,
non trovo utile la lamentazione. Quando con Rocco, Francesca
e i due Andrea abbiamo suonato queste canzoni non abbiamo compiaciuto
un ristretto giro delle medesime persone che va sempre negli
stessi posti, che vede sempre le stesse facce, che parla sempre
delle stesse cose, che beve sempre gli stessi cocktails. Noi
vorremmo scuotere, turbare, nulla di intelligente può
essere detto se si mira a rassicurare, meglio rischiare di far
cagare tutti.
Mala Testa è un disco che si pone il problema
di parlare della vita possibile e impossibile alla generazione
dei vecchi delusi e a quella dei giovani disperati: non è
detto siano condizioni anagrafiche. La vita oggi si nasconde
nelle storie individuali, nei nomi degli eroi sconosciuti del
nostro tempo senza storia. Mala Testa è il disco
di un aspirante cantastorie appassionato di Folk, di
Rock, incuriosito dal Pop, che suona nella piazza
globale e cerca i tratti individuali nelle tante maschere della
ribellione.
Pubblicare un disco è un'operazione anacronistica, dunque
chi lo fa è in obbligo di provare a farne un'opera indispensabile.
«Che cosa ancora brilla dal fondo senza ritorno?».
Quale racconto lasciamo dietro di noi? Cosa serve di noi agli
altri? Oggi un disco è la cosa più inutile del
mondo. Nessuno lo vuole, nessuno lo compra. Non sai se fai un
disco per fare dei concerti o se farai dei concerti per vendere
un disco. La discografia è la notte dei morti viventi.
C'è un solo vantaggio nella situazione attuale: siamo
liberi di fare ciò che veramente vogliamo, possiamo scrivere
un capitolo del tutto nuovo. Questo non è più
un lavoro e così proviamo a farlo somigliare alla vita.
Alessio Lega
alessio.lega@fastwebnet.it
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