Marzo 1938/
Barcellona martellata
“Iniziare da stanotte azione violenta su Barcellona con
martellamento diluito nel tempo”. Questo ordinava il telegramma
inviato al generale Velardi il 16 marzo 1938. Di conseguenza:
41 ore di bombardamento a ondate che non lasciavano tregua.
Finiva la sirena per un attacco ed era già iniziata quella
per l'attacco successivo. La città era stravolta come
mai dallo scoppio della guerra civile il 18 luglio 1936.
Barcellona aveva il torto di aver sconfitto il golpe dei generali,
tra cui Franco, di aver sostenuto la lotta antifranchista in
varie regioni spagnole, di aver sperimentato un modello di produzione
e di vita sociale basato sull'autogestione dei lavoratori. Per
i golpisti nazionalcattolici Barcellona andava quindi piegata,
umiliata, repressa.
Il 18-21 marzo 1938 non ci fu il primo né l'ultimo dei
bombardamenti che colpirono la metropoli catalana. Tutto era
cominciato già nelle prime settimane del 1937 con le
cannonate sparate dalle navi militari fasciste. L'ultimo bombardamento
ebbe luogo il 25 gennaio 1939, il giorno prima della caduta
della città e dell'avvio di un esodo di massa verso la
Francia. Una fuga che coinvolse circa 500.000 persone.
La decisione di martellare Barcellona, presa da Mussolini
in persona, si concretizzò, in quella primavera del 1938,
nella prima azione bellica dal cielo contro una città
europea per fiaccare il morale e la resistenza della popolazione.
Era l'inaugurazione della pratica della guerra totale
che troverà poco dopo la realizzazione su larga scala
nella seconda guerra mondiale. Di ciò fecero le spese
soprattutto i civili: prima in Gran Bretagna, poi in altri paesi,
tra cui l'Italia, e infine in Germania.
Lo scopo del “duce” era quello di mostrare, a Franco
e al mondo intero, che il processo di militarizzazione del popolo
italiano aveva fatto degli enormi passi avanti insieme allo
sviluppo dell'industria aeronautica e bellica in generale. Di
fronte alle proteste internazionali, spesso più formali
che sostanziali, il dittatore esibì la propria soddisfazione
per il terrore suscitato dagli “italiani aviatori”
che aveva preso il posto della compiacenza verso gli “italiani
mandolinisti”.
Con i 200 attacchi aerei e l'uso di oltre mille tonnellate di
bombe, l'Aviazione Legionaria fascista usò la città
catalana come “laboratorio bellico” nel quale mettere
alla prova una nuova strategia. Nel complesso si contarono oltre
2.700 morti e 7.000 feriti, soprattutto nei quartieri più
popolosi della città, oltre agli enormi danni materiali.
In tutta la Catalogna le vittime furono oltre 5.000 registrate
nei 137 centri urbani bombardati. Nell'intera Spagna risultarono
circa 10.000 decessi causati dagli attacchi aerei, di cui un
decimo nelle zone sotto il controllo franchista.
Questi eventi che intaccano, come molti altri, il mito autoassolutorio
dell' “italiano brava gente” sono assai poco conosciuti
nella storia diffusa nell'Italia repubblicana e democratica.
Lo stato e il potere mediatico hanno volutamente steso un velo
pietoso su queste prodezze nazionali insieme a quelle compiute
in Etiopia prima e in Jugoslavia dopo. Si è verificata
una sostanziale continuità, soprattutto nell'apparato
militare e statale in generale, fra l'Italia fascista e quella
postfascista. Un esempio particolarmente eloquente fu il trattamento
di favore riservato alle centinaia di “criminali di guerra”:
nessuno fu consegnato ai paesi vittime dell'occupazione italiana,
quasi nessuno fu veramente processato, nessuno restò
in carcere più di qualche mese o anno. Con tutte le ambiguità
del caso, non ci fu alcun processo di Norimberga o qualcosa
di simile nella storia italiana.
Per restare nell'ambito dell'aviazione, il generale Moci che
aveva partecipato a varie missioni, tra cui quella famosa di
Guernica, continuò tranquillamente la propria “professione”
e nel 2000 fu addirittura insignito di una medaglia “alla
carriera” dal presidente della repubblica Ciampi. Pochi
mesi fa è stato eretto, con fondi pubblici, in una cittadina
laziale, un mausoleo al maresciallo Graziani noto per i massacri
compiuti in Libia e in Etiopia. L'esaltazione nazionalmilitarista
continua a farsi sentire di frequente al di là di qualsiasi
art. 11 della Costituzione o di parole di circostanza ogni 25
aprile.
La consegna del silenzio fu rispettata da quasi tutti
i principali mezzi di informazione, anche nei confronti della
mostra sui bombardamenti di Barcellona che vari ispanisti portarono
in una decina di città italiane nel 2008. Il terrorismo
dello stato italiano fu di fatto cancellato dai centri di disinformazione
di massa.
Già allora si manifestò l'attività, intensa
e originale, di un gruppo antifascista di giovani, di origine
italiana e con diversi orientamenti politici, che vivono nella
città catalana da anni e che rifiutano l'immagine di
un paese berlusconizzato. Con tenacia AltraMemoria, parte del
movimento AltraItalia, è riuscita ha raggiungere un risultato
insperato: lo stato italiano è da qualche settimana sotto
inchiesta da parte della procura di Barcellona. È iniziata
l'istruttoria di un processo che non si sa se ci sarà
mai. Al di là del significato e dei risultati giudiziari,
verso i quali manteniamo una sana e tradizionale diffidenza,
il dato importante riguarda l'attenzione suscitata da questa
iniziativa condotta insieme ad alcune vittime barcellonesi dei
bombardamenti. L'accusa formulata dagli avvocati di AltraMemoria
contro l'Italia è quella di aver compiuto dei “crimini
contro l'umanità”, crimini che non sono mai prescritti.
Anche questo può essere il punto di partenza per molti
che, in Italia e in Catalogna, ignorano tali eventi sanguinari.
La strada verso la presa di coscienza generalizzata e il giudizio
etico sulla violenza insita nello stato, italiano o meno, di
ieri o di oggi, è ovviamente ancora lunga. Ma, come diceva
il poeta spagnolo Antonio Machado, “el camino se hace
al andar”.
Per altre informazioni:
www.altramemoria.org
Claudio Venza
Pisa/
Una strada intitolata al fascista Niccolai?
Il Consiglio comunale, con una decisione bipartisan, nella
sua ultima riunione prima delle prossime elezioni amministrative
di fine maggio, ha votato a maggioranza una mozione per intitolare
tre strade a un democristiano (Carlo Ciucci), un comunista (Giuseppe
De Felice) e un fascista (Giuseppe Niccolai). Tale decisione
cade nel 70° anniversario della caduta del fascismo e dell'inizio
della lotta di Liberazione e a pochi giorni dalle commemorazione
del 25 aprile (festa della Liberazione)!
Nelle motivazioni di tale delibera si legge che è oggi
“importante richiamare come esempi positivi di 'buona
politica', utili a imparare, figure che hanno dedicato la vita
alla ricerca del bene comune della propria città, in
maniera appassionata e disinteressata”. I tre personaggi,
in realtà molto diversi tra loro, come indicato nel testo
della mozione, sono stati soprattutto “uomini di partito”,
che coerentemente con le loro idee hanno dedicato la loro vita
alla propaganda ideologica. La decisione, dunque, presa dalla
maggioranza del centro sinistra con l'accordo del centro destra
di dedicare a loro delle strade sembra essere in realtà
più un provvedimento autoreferenziale di coloro che oggi
si sentono gli eredi di tali tradizioni politiche, che un riconoscimento
a dei “benefattori” della comunità.
In particolare ci sembra grave che, nella mozione, là
dove si dice che Giuseppe Niccolai ha partecipato come volontario
alla seconda guerra mondiale, si ometta di precisare che l'adesione
fu alla guerra dell'Italia fascista alleata con la Germania
nazista, ovvero quella parte che se avesse vinto non avrebbe
creato una democrazia bensì un regime di terrore, di
discriminazione, di violenza e di razzismo. D'altra parte, coerentemente,
Giuseppe Niccolai non ha mai rinnegato il suo passato, anzi
in più di un'occasione ha sempre rivendicato la sua appartenenza
di parte, quella parte che ha sempre rifiutato di vedere nel
25 aprile la data che ha ispirato la nascita della nostra repubblica,
il giorno del riscatto del paese soggiogato da vent'anni di
dittatura e da una guerra disastrosa voluta dal regime fascista
alleato alla Germania nazista.
Dedicare a lui una strada vuol dire dare uno schiaffo alla memoria
di tutti coloro che hanno sacrificato la propria vita alla libertà
e alla democrazia. Sarebbe stato bello se il consiglio comunale
nella sua ultima deliberazione avesse invece deciso di dedicare
una strada a Teresa Mattei, recentemente scomparsa, partigiana
antifascista, membro dell'Assemblea costituente che ha dedicato
tutta la sua vita alla difesa dei diritti delle donne e degli
umili, lei sì un modello di coerenza e di altruismo al
di sopra delle ideologie dei partiti, benefattrice della nostra
comunità.
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Franco
Serantini |
Ma molti altri personaggi avrebbero meritato l'attenzione
dei politici così attenti a voler dare dei “segnali
positivi ai cittadini pisani”, come ad esempio:
Angelo Sbrana, ferroviere, sindacalista libertario e antifascista,
nato a Pisa l'11 gennaio 1885, prima vittima civile pisana in
un campo di concentramento, morto per le dure condizioni di
vita cui era sottoposto a Caen il 1° agosto 1941 (una lapide
al cimitero vecchio messa dai suoi compagni di lavoro nel 1947
ricorda il suo sacrificio).
Maria Fischmann Di Vestea, prima laureata in medicina all'Università
di Pisa, il 18 novembre 1893, proveniente da Odessa da una famiglia
di mercanti ebrei. Maria Di Vestea esercitò a Pisa la
professione medica e fu impegnata socialmente a fianco degli
umili e dei più poveri, apprezzata da tutti per le sue
opere di bene e per l'impegno che profuse negli orfanotrofi
femminili.
Ottorino Orlandini, sindacalista cattolico, nato a Lorenzana
il 12 settembre 1896, partecipò valorosamente alla Prima
guerra mondiale, poi antifascista, è volontario in Spagna
in difesa della repubblica, membro attivo della Resistenza nelle
formazioni del Partito d'azione venne catturato e torturato
dalla famigerata banda fascista di Mario Carità a Firenze.
Vera Vassalle, nata a Viareggio il 21 gennaio 1920 e studentessa
a Pisa, insegnante, medaglia d'oro al valor militare della quale
si ricorda: “Ventiquattrenne [...] all'atto [...] dell'armistizio
[...] attraversava le linee tedesche e si presentava ad un comando
alleato” fatta sbarcare “in territorio occupato
dai tedeschi. Con altro compagno [...] organizzava e faceva
funzionare un servizio dì collegamento fra tutti i gruppi
di patrioti dislocati nell'Appennino toscano” e [...]
“rendeva possibile 65 lanci da aerei a patrioti. Sorpresa
dalle SS tedesche [...] riusciva a fuggire [...] Pochi giorni
prima dell'arrivo degli alleati passava nuovamente le linee
tedesche portando preziose notizie sul nemico e sui campi minati”.
Infine, come non ricordare la vicenda di Franco Serantini e
della sua tragica e violenta morte e come nessuna giustizia
sia stata fatta! Giuseppe Niccolai entra nella storia di Serantini,
come tutti sanno, nel bene e nel male, ed è uno dei protagonisti,
oggi a lui viene dedicata una strada, sembra un'ulteriore beffa
e ingiustizia che colpisce la memoria del giovane anarchico.
Come associazione di liberi cittadini, che da anni si occupa
di conservare la memoria sociale e politica della nostra comunità,
non possiamo che esprimere tutto il nostro dissenso e la nostra
distanza da tale decisione che è offensiva nei confronti
della memoria di tanti pisani che hanno, nel silenzio e fuori
dai riconoscimenti ufficiali, dedicato la propria vita alla
libertà, alla pace e alla giustizia.
Circolo culturale – Biblioteca Franco
Serantini
largo Concetto Marchesi, s.n. civ. – 56124 Pisa
tel. 331 11 79 799
www.bfs.it –
biblioteca@bfs.it
Pisa, 14 aprile 2013
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