Il nome sbagliato
di Paolo Pasi
Il primo campanello d'allarme
suonò alla fine di una telefonata con la sua ex: “Mi
ha fatto piacere sentirti” gli aveva detto lei. “Ci
vediamo presto. Ciao Luca.”
Dieci minuti di conversazione solo per arrivare a un congedo
sbagliato, perché lui si chiamava Giovanni.
Tre giorni dopo ci fu una seconda telefonata, e l'allarme divampò.
Un suo caro amico che non vedeva da tempo lo aveva salutato
con trasporto e partecipazione: “Grazie di avermi chiamato.
È stato un piacere, dobbiamo assolutamente vederci. A
presto Roberto!”
Due nomi sbagliati da persone che aveva creduto intime, ma che
non avevano retto alla prova del tempo. Seguirono altri equivoci
ed errori con amiche, conoscenti, familiari, il che portò
presto a far convergere le sue ansie su una domanda: era così
sicuro che fossero loro a sbagliarsi?
Chi poteva assicurare che lui fosse davvero Giovanni? Un nome
altero, evangelico, comune ma ambizioso. Per anni lo avevano
chiamato così, e sui documenti era tutto certificato.
Giovanni Benincasa, professione fotografo. Ma nulla era per
sempre. In pochi giorni, la sua identità era diventata
un lapsus. Quegli errori marchiani sul nome lo avevano spinto
a dubitare di se stesso, ponendo altri, più pesanti interrogativi.
Che cos'era diventata la sua esistenza per non lasciare più
traccia nella memoria degli altri? Probabilmente una vita scialba,
uguale a quella di milioni di persone. Anonima, appunto.
Ecco che a forza di compiacere le aspettative degli altri,
ho perso di vista le mie pensò.
Per anni aveva delegato al prossimo il potere di giudicare,
di scegliere ruoli e limiti, di assicurare l'ordine affinché
ciascuno rispettasse la propria parte. Era stato sottomesso
in cambio di precise generalità. Giovanni Benincasa,
professione fotografo. Scatti di vita quotidiana e operose pacche
sulle spalle di colleghi interessati, pronti a dimenticarti
al primo accenno di difficoltà professionale.
Era accaduto. Consegnandosi a una vita omologata, aveva semplicemente
smarrito il copione, trascinando il suo nome nel gorgo dell'indifferenza.
Era nudo. Un apolide senza nome. Non era più nessuno
per gli altri, e poco per se stesso. Avrebbe lavorato su quel
residuo di energia. Sarebbe scomparso per rinascere.
Fu così che si concesse una lunga aspettativa, si ritirò
in una stanza segreta e si scelse uno pseudonimo, Notor, che
non voleva dire assolutamente nulla. Poi si gettò con
impeto nichilistico nella rete. Social network, blog, hackeraggio...
Notor.
Un nome su cui spirava l'alito del mistero, che metteva soggezione,
e che in breve tempo si conquistò rispetto e autorevolezza.
Notor divenne il più influente blogger della rete, un
opinion maker che dilagava nei messaggi, un obbligo morale per
i possessori di tablet. Un neologismo. Notor come sinonimo di
potere virtuale.
Ebbe un programma radiofonico tutto per sé. Lo conduceva
nella sua stanza segreta da mezzanotte alle sei del mattino.
Provocò un boom di insonnia. Il pubblico lo adorava.
Notor era tutto ciò che loro non avevano il coraggio
di essere. Era un fuoco nel buio, una voce senza i fardelli
del corpo.
Allora Notor capì. Non poteva limitarsi a essere una
voce, ripiegare sull'ennesimo ruolo, seppure di successo, scelto
da altri. Aveva bisogno del suo corpo, per quanto indolenzito
dagli anni. La chiave stava proprio nello pseudonimo, nient'altro
che l'anagramma di “torno”. Doveva tornare. Fu così
che una notte, nel pieno dell'ascolto, decise di rivelare il
mistero: “Tutti mi conoscono come Notor” disse al
microfono con voce profonda “ma io mi chiamo Giovanni
Benincasa”.
Si scatenò l'inferno. Arrivarono centinaia di mail, e
in una di queste riconobbe nel mittente il nome del suo migliore
amico, da tempo in esilio volontario su un'isola del Tirreno.
Ecco i vecchi amici che si rifanno sotto pensò
compiaciuto e sorridente. Dopo di che aprì il messaggio
e lo lesse: “Perdio, Giorgio, sei proprio tu. Chi lo avrebbe
mai detto?”
Paolo Pasi
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