storia
Imola un secolo fa
di Massimo Ortalli
Sul penultimo numero abbiamo pubblicato
con questo stesso titolo un servizio
su di un pranzo tra “reduci” della Prima Internazionale,
con successivo comizio, tenutisi a Imola il 31 agosto 1913.
Ritorniamo sull'argomento per dar conto delle polemiche che
ne seguirono in campo anarchico e tra socialisti e anarchici,
legate all'iniziativa in sé e al discorso di Errico Malatesta.
Come si è potuto vedere
dai resoconti usciti su L'Avanti e pubblicati
nel numero 382 di “A”, a proposito del raduno
imolese dei vecchi Internazionalisti del 1913, non mancarono
le polemiche, da parte socialista, in seguito al discorso che
Malatesta tenne, a conclusione della manifestazione, nel cortile
delle scuole comunali Carducci. L'aver ribadito con forza la
scelta anti istituzionale e anarchica, e proprio nella tana
del lupo, nella città che aveva dato i natali ad Andrea
Costa, il primo transfuga dall'anarchismo, e che da pochi anni
ne piangeva, ancora commossa, la morte, non poteva certo passare
in silenzio da parte dei numerosi “costiani” presenti
al comizio; e puntualmente L'Avanti non manca di rimarcarlo.
Anche se, a onor del vero, non nascondendo i frequenti applausi
che interruppero le parole di Malatesta.
Del resto, che la ricorrenza avrebbe potuto dar vita a colpi
di fioretto fra le due scuole del socialismo, andava messo nel
conto, come andavano messe nel conto le polemiche in campo anarchico,
sulla partecipazione libertaria a una manifestazione, tutto
sommato, organizzata da un consiglio comunale: un consiglio
comunale socialista fin che si vuole (uno dei primi d'Italia)
ma pur sempre una istituzione “autoritaria” eletta
in base al principio della delega.
A testimoniare quelle che devono essere state le inevitabili
polemiche fra anarchici, ci sono le pagine del settimanale anarchico
anconetano Volontà di quei giorni, dove, leggendo fra
le righe, appaiono ben chiari i termini della questione. Cesare
Agostinelli, gerente del periodico e presente alla ricorrenza
(nella foto è il primo da sinistra a pochi passi da Malatesta),
già il 4 agosto aveva scritto agli organizzatori –
pubblicandola con evidenza sulle pagine del giornale –
la seguente lettera:
Carissimi, vi rimetto lire 6 per quota di adesione al banchetto
per me e per il compagno Errico Malatesta. Vi avvertiamo però
che noi non intendiamo partecipare a ricevimenti ufficiali in
Municipio né a cortei od a gite ai cimiteri per rendere
omaggio ad uomini più o meno grandi. Partecipiamo al
Convegno solo per salutare i vecchi compagni coi quali abbiamo
già combattuto le buone battaglie, e per intenderci con
i giovani che combattono tuttora, insieme a noi, pel trionfo
del socialismo vero, cioè del socialismo anarchico. Cordiali
saluti.
|
Imola (Bo), 7 settembre 1913, pranzo tra “reduci”
della Prima Internazionale.
Da sinistra a destra: Luigi Fabbri (quello
calvo), Ugo Lambertini, Adamo Mancini (?), Aristide Venturini,
sconosciuto, sconosciuto (sindaco Morara?), Errico Malatesta,
Cesare Agostinelli |
Connessione retorica
E poco dopo sarà Lugi Fabbri, anche lui presente a
Imola, a mettere, anche se con un po' di commossa retorica,
i puntini sulle i, chiarendo, per chi ce ne fosse bisogno, quale
fossero stati lo spirito e le conseguenze della presenza degli
anarchici alla manifestazione socialista:
Che ci importa da chi e con che scopo si era indetto il convegno.
Nello stesso giorno in tutta Italia i socialisti parlamentari
iniziavano nei loro comizi la campagna elettorale. Qualcuno
ci ha sussurrato all'orecchi che anche a Imola si sarebbe approfittato
dell'occasione per giungere allo scopo… Se anche ciò
era nell'intenzione di qualcuno ciò non è avvenuto.
Molti socialisti, che ormai sono assai lontani dall'ideale nostro,
ieri parlavano in un modo che, almeno nell'attimo fuggente,
li avvicinava a noi.[…] Stringiamoci tutti in un fascio
solidale, nell'amore per la nostra idea e nell'odio per l'ingiustizia
e la tirannide, così come ieri, qui in Imola, giovani
e vecchi militi, le mani nelle mani, con i canti ribelli sulle
labbra e con la fede nel cuore, sotto il tiepido sole di settembre,
si sono sentiti profondamente uniti in una memoria ed in una
speranza.
E lo stesso Malatesta, pochi numeri dopo, a fine settembre,
sempre sulle stesse pagine del giornale anconetano, manda questa
sorta di lettera aperta agli organizzatori del Convegno:
I socialisti sono malcontenti di me per quel che io dissi
nel comizio di Imola. Si capisce! Io criticai Costa ed attaccai
la tattica parlamentare: li offesi, perciò, nel sentimento
e nell'interesse. È possibile che fossero contenti? Il
momento non era dei più opportuni, ne convengo; e perciò
non volevo parlare. Furono i socialisti, anche più che
i miei compagni, che insistettero perché parlassi. Potevano
essi aspettarsi che io dicessi cosa diversa da quel che pensavo?
E non conoscevano già prima quale doveva essere il mio
pensiero? Ma, francamente, era poi opportuno parlare dell'Internazionale
quando si voleva commemorare Costa, o parlare di Costa quando
si voleva commemorare l'Internazionale? O che non è risaputo
che Costa fu il massimo traditore dell'Internazionale in Italia?
Se i socialisti non ne sono persuasi, io potrò dimostrarlo
pubblicando quello che Costa scriveva o faceva quando era Internazionalista,
e paragonandolo con quello che scriveva e faceva quando abbandonò
il programma dell'Internazionale. A C. Golfarelli, che a proposito
di ciò che avvenne al Convegno di Imola vuol fare un
paragone tra quello che ho fatto io e quello che han fatto essi
[articolo apparso su La Romagna Socialista, n.d.r.],
dirò questo: Essi sono diventati dei personaggi ragguardevoli,
benvisi alle autorità, alieni dai rischi, e godenti vita
tranquilla e soddisfatta. Io, e come me tanti altri restati
fedeli al programma dell'Internazionale, son diventato sempre
più povero, sono sempre in pericolo di andare in prigione
e di esser trattato da malfattore, come altra volta eravamo
trattati e io, e Costa. Ma noi abbiamo tenuta alta la bandiera
dell'Internazionale, noi abbiamo salvato l'anima vera del socialismo,
mentre essi han fatto del socialismo tale cosa che Costa, quando
era Internazionalista, avrebbe stigmatizzato come la peggiore
delle mistificazioni. Vogliono essi che io getti loro in faccia
le parole che scriveva Costa?.
In altro numero del giornale Malatesta, rispondendo a una evidente
forzatura di Golfarelli – che voleva far passare l'ancora
anarchico Costa come aderente all'impostazione “politica”
dell'Internazionale autoritaria marxista – dopo aver fatto
una breve ed opportuna lezione di storia ad uso delle giovani
generazioni, riprende con lena l'affondo antilegalitario:
[...] Ora si può anche pensare che Costa avesse ragione
[a cambiare strada, n.d.r.]; ma allora era l'Internazionale
italiana ad avere torto. E la gloria di Costa non sarebbe quella
di aver appartenuto all'Internazionale e di aver difeso il suo
programma, ma quella di aver saputo abbandonare un'Associazione
che era nell'errore, e trascinare con sé fuori dell'Associazione,
molti dei suoi membri. Malgrado questo, io riconoscendo il diritto
in ogni uomo, di cambiare idea e di adattare la sua condotta
alle sue nuove idee, non avrei usato la parola grossa di tradimento,
se Costa avesse francamente, lealmente dichiarato le sue idee
e non avesse per lungo tempo cercato di mascherare le sue intenzioni
allo scopo di evitare la ribellione degli Internazionalisti
romagnoli [...]. Facciano dunque i socialisti l'apoteosi di
Costa, se così piace loro, ma lascino stare l'Internazionale;
chè se poi si vuol dimenticare Costa deputato e vice
presidente della Camera, per ricordarsi solo di Costa membro
della Federazione italiana dell'Internazionale, di Costa perseguitato
e trattato da malfattore, allora Costa è gloria nostra.
E con queste chiare parole Malatesta pone fine a una polemica
che, del resto, anche se non si riaffacciava nelle pagine dei
giornali, si perpetuava quotidianamente nelle sempre più
divaricate strategie del socialismo parlamentarista e dell'anarchismo.
O, se si preferisce, del socialismo autoritario e di quello
antiautoritario. Come dimostrano, a chiusura della ricorrenza,
le lettere di vecchi internazionalisti (Gaetano Grassi, Angelo
Saviozzi e Oreste Grotta da San Paolo del Brasile, Giovanni
Frangioni da Marsiglia e da New York l'imolese Vito Solieri)
nelle quali gli autori, rivendicando di non aver abbandonato
i vecchi ideali, si dichiarano pienamente solidali e pronti,
come sempre, a dare quel poco che resta della loro esistenza
per l'emancipazione del proletariato da ogni dominio politico,
religioso e capitalista.
Massimo Ortalli
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