retrospettive
Il profondo Sud di Rocco Scotellaro
di Domenico Sabino
Poetica e rivolta di un poeta
“anomalo” del Sud, morto trentenne nel 1953, il
cui segno nella cultura meridionale è rimasto netto.
“Rocco vestito di perla
/ come il grigiore dei colli vicino al tuo paese / mostrami
la via che conduce / non so dove.” Così Amelia
Rosselli ricorda, dopo la morte prematura, l'amico del cuore
Rocco Scotellaro (Tricarico 19 aprile 1923/ Portici 16 dicembre
1953).
A novant'anni dalla nascita e sessanta dalla scomparsa dello
scrittore, non viene conferito giusto rilievo alla sua produzione
poetico-letteraria (e non solo), indebolita forse dagli ideali
politici che gli hanno dato popolarità, al punto di far
prevalere l'impegno sociale sull'opera poetica in sé.
Prima la presenza costante accanto alla sua gente e l'elezione
in giovane età a sindaco del partito socialista del suo
paese materano; poi il carcere, in seguito all'accusa di concussione
da parte degli oppositori politici, per poi essere prosciolto
con formula piena. A ciò si aggiunga la morte prematura
a trent'anni.
Scotellaro è considerato il poeta più rappresentativo
del neorealismo, lucido interprete di quelle stesse sollecitazioni
che in ambiti come il cinema o la produzione romanzesca hanno
dato esiti memorabili. Emblematiche le parole che Carlo Levi
gli rivolge dopo aver letto parte del romanzo autobiografico
L'uva puttanella: “Questo tuo libro supera il mio
Cristo”.
Lo scrittore lucano spoglia la poesia di retorica e visioni
oleografiche; restituisce la parola/suono a chi per secoli l'ha
persa o mai posseduta; ridà voce a figure ritenute non
meritevoli di poesia e tagliate fuori dalla storia, facendole
parlare, ad esempio, nella poesia È fatto giorno,
scelta da Carlo Levi per intitolare l'antologia uscita postuma
nel '54 e illustrata dal critico Franco Fortini come “la
celebrazione di alcuni dei momenti più alti della vita
collettiva di una classe che prende coscienza di sé e
l'angoscia dell'inevitabile perdita dell'idillio”.
“È fatto giorno, siamo entrati in giuoco anche
noi
con i panni e le scarpe e le facce che avevamo.
Le lepri si sono ritirate e i galli cantano,
ritorna la faccia di mia madre al focolare.”
Sono versi che conferiscono diritto all'esserci ai
braccianti meridionali, agli esclusi, agli analfabeti. Diritto
a essere considerati, concedendo loro la parola. Il giuoco
di cui parla Scotellaro è quello che i contadini hanno
sempre subìto dalla classe dominante. Quel noi
fatto di esclusi, di contadini incolti e schiavizzati dalla
terra che lavorano ma non possiedono, ora decide di entrare
nel giuoco per modificare le leggi ineguali. I braccianti
non sono più oggetti passivi, ma soggetti della storia.
Scotellaro indica un metodo e un indirizzo politico-culturale
sconosciuti a gran parte della popolazione meridionale che a
metà degli anni cinquanta costituisce il nucleo fondamentale
della classe lavoratrice, quei braccianti che Antonio Gramsci
guarda come interpreti di un possibile riscatto, rivincita,
alleanza con gli operai del Nord.
La letteratura e l'arte diventano non solo mezzo d'indagine
della condizione umana, ma soprattutto eco dell'ansia di riscatto
morale, civile e sociale del popolo.
Di estrazione contadina
Figlio di un calzolaio e di una sarta, porta a termine gli
studi malgrado l'indigenza della famiglia: dopo aver frequentato
il liceo classico nel salernitano, prima nel convento dei frati
Cappuccini a Sicignano, poi a Cava de' Tirreni, consegue la
maturità a Trento. Qui, avvicinatosi agli ideali del
socialismo, nel novembre '40 sarà sospeso per aver aderito
a una manifestazione antifascista. Nel triennio1940-43 scrive
alcune poesie affini a quelle del poeta suo conterraneo Leonardo
Sinisgalli, entrando così nel vivo dei dibattiti sul
ruolo sociale del letterato e sul rapporto tra cultura e politica.
Gli si aprono nuovi orizzonti: marxismo, psicoanalisi, esistenzialismo
alla Sartre. Manifesta notevole interesse per la letteratura
straniera; predilige gli autori russi ma non disdegna Eliot,
Verlaine, Mallarmé, García Lorca, Rilke. Si avvicina
alla poesia straniera grazie alle traduzioni pubblicate in Italia
su riviste come Mercurio, Il Ponte, Lo Smeraldo. Su Società
ha modo di leggere le poesie di Sergej Esenin, che cantano la
Russia contadina. Traduce non solo classici greci e latini,
ma anche versi di Rimbaud e Stevenson.
Eugenio Montale afferma: “Scotellaro fu come Sergej Esenin
o Attila Jószef, due dei più raffinati artisti
della moderna poesia europea. Rocco ha potuto lasciarci un centinaio
di liriche che rimangono certo tra le più significative
del nostro tempo. La voce di Scotellaro è una delle ultime
illusioni di poesia funzionale, civile e consolatoria”.
Il poeta lucano e il poeta russo hanno almeno due punti in comune:
sono di estrazione contadina e individuano nella campagna il
luogo della palingenesi della liberazione; inoltre conoscono
l'esperienza carceraria. Disprezzano il sopruso, gridano giustizia
e sognano rivoluzioni: Scotellaro non si rende conto che con
l'elezione a sindaco deve occuparsi dei registri di stato civile
e allontanarsi dai braccianti; Esenin sperimenta la rivoluzione
ma non comprende che tutto si esaurisce nel ricambio della classe
dirigente.
Del mondo contadino, lo scrittore tricaricese è sia protagonista
per ceto, usanze, lingua e solidarietà, che spettatore
per capacità espressiva. Abbandonata la carica di sindaco,
sceglie studio, ricerca e scrittura quali armi per combattere
la sua battaglia. Non è una resa ma una scelta consapevole
di adoperare strumenti differenti ma non meno efficaci e impegnativi
per tutelare i contadini e far comprendere all'opinione pubblica
le loro difficoltà.
Convocato da Manlio Rossi Doria all'Osservatorio di economia
agraria di Portici, in provincia di Napoli, prende parte alla
stesura degli studi preliminari del Piano regionale della Basilicata,
commissionato dalla Svimez (Associazione per lo sviluppo dell'industria
nel Mezzogiorno) e cura la parte inerente ai problemi igienico-sanitari,
all'analfabetismo e alla scuola.
Certo che “la cultura italiana sconosce la storia autonoma
dei contadini, il loro più intimo comportamento culturale
e religioso, colto nel suo formarsi e modificarsi presso il
singolo protagonista”, inizia per Vito Laterza la stesura
del libro-inchiesta Contadini del Sud che sfortunatamente
non porta a termine per l'improvvisa morte e che sarà
pubblicato postumo e incompleto nel '54. Analizza dal punto
di vista sociologico la realtà rurale attraverso storie
di vita raccontate dai protagonisti, registrate e trascritte
fedelmente, come la storia dell'anarchico Michele Mulieri (13
aprile 1904/11 maggio '90), contadino e artigiano che nel '50
innalzò, al bivio per Grassano (Matera), un tricolore
listato a lutto e proclamò la 'Repubblica dei Piani Sottani'.
Il sociologo Gilberto A. Marselli sottolinea in particolar modo
la singolarità con cui Scotellaro relaziona la campagna
alla città: “Rifiutava l'arroccamento su vecchie
posizioni ruralistiche senza per questo idealizzare l'industrializzazione
come pacifico superamento di ogni difficoltà e problema”.
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Rocco Scotellaro |
Come un eroe greco
Secondo Pier Paolo Pasolini “lo stesso Rocco Scotellaro,
che rinunciando allo sforzo mimetico – che l'avrebbe automaticamente
portato alla paratassi, alla restituzione immediata del concreto-sensibile
–, preferisce o annullarsi del tutto nel documento –
il magnetofono su cui incidere nella loro assoluta fisicità
le voci dei contadini: in un parlato dunque intero, non scelto
nelle sue 'punte' espressive, e mimetizzato –, oppure
riaffermarsi come osservatore appartenente alla classe alta:
e in ciò adotta una prosa già pronta a tal fine,
una prosetta leggera, capricciosa e divertita, che, attraverso
Levi, recupera addirittura gli stilemi sinisgalliani”.
Carlo Levi proclama Scotellaro poeta-contadino, personaggio
paradigmatico con propri simboli, miti, visione antropologica,
folklore; fa di Rocco il nuovo messia del Sud e della poesia
il quinto vangelo a uso dei contadini. Dispone personalmente
il corteo funebre; le donne lucane col loro lamento accompagnano
al cimitero il feretro. È come se fosse morto un eroe
greco.
Nonostante l'intensa attività portata avanti, nel corso
degli anni non mancano al poeta lucano momenti difficili e drammatici
da affrontare e superare. Sradicato dalla sua terra, vive una
profonda angoscia da emigrato; è smarrito e in perenne
conflitto esistenziale per aver lasciato il paese natio; si
sente quasi un traditore, tanto che definisce Napoli 'città
d'esilio'. È lo stesso stato d'animo che affiora in alcuni
versi della poesia Il posto:
“E ora ti sei messo a posto
tieni il posto e mangi pane.
[...]
Ma tu che hai tradito patria e amore
sei punito e non trovi amore,
ma tavola pronta e mangi tonno.
piangi piangi cuore contento
finita è la fame, la sete e il sonno.”
Il malessere lo attanaglia: vive la partenza dal paese e l'abbandono
della lotta politica come il peccato della propria vita. Si
sente in colpa verso i contadini per aver ottenuto il posto
fisso; teme di apparire distaccato e indifferente ai loro occhi.
In Scotellaro emerge anche il dato antropologico quale elemento
strutturante della poesia; in essa si concretizza l'incontro/scontro
tra i due codici culturali: quello egemone e quello subalterno.
Gli esiti sono quelli di una funzione dinamica e propulsiva
che fa della sua poetica qualcosa di forte e moderno. Oggi non
si presta a Scotellaro l'attenzione che merita, forse perché
lo spessore culturale della sua poetica è agli antipodi
con la gestione culturale dei partiti politici che sembrano
aver perso ogni valore ideologico, progettuale, esercitando
solo un forte potere di lottizzazione lontano anni luce dalla
concezione politica del poeta-contadino che senza alcun dubbio
può definirsi gramsciano.
Domenico Sabino |