Riclassificazione di Camus
1.
A cent'anni dalla nascita di Albert Camus (1913-1960), oggi,
di suo, perlopiù si legge Lo straniero (1942)
e La peste (1947), un po' meno Il mito di Sisifo
(1942) e ancor meno L'uomo in rivolta (1948). Quest'ultimo,
infatti, è il libro dove Camus specifica più direttamente
la propria filosofia che, alla rinfusa e con superficialità,
viene annoverata come “esistenzialismo”. Un altro
versante della sua produzione – quello teatrale, risultato
di una passione sviluppatasi nella sua giovinezza – è
ancor più dimenticato. Con la prima traduzione italiana
de La commedia dei filosofi – di data incerta ma,
occhio e croce, ascrivibile al 1947 – i due fili più
o meno spersi – esistenzialismo e teatro - vengono a riannodarsi.
2.
Il canovaccio de La commedia dei filosofi non è
un granché. Si tratta di una struttura narrativa piuttosto
pretestuosa alla maniera di un Molière o di qualche suo
epigone: dal sindaco-farmacista-ambiziosamente-intellettuale
di un paesino arriva un Tale che, in quattro e quattrotto, gli
spiattella una nuova filosofia “parigina” particolarmente
persuasiva. Mentre il Maestro mangia gratis a quattro palmenti,
ecco, dunque, il nostro eroe nuovo adepto, entusiasta neofita,
nonostante la perplessità di moglie e figlia –
almeno fino all'immancabile irruzione del direttore del manicomio
che riconosce nel Maestro un suo paziente fuggito e se lo porta
via cancellando in un battibaleno la sua influenza nefasta,
ovvero rimettendo le lancette dell'orologio filosofico alla
stessa ora da cui eravamo partiti.
3.
Non ci vuol molto per renderci conto, tuttavia, dell'obiettivo
polemico di Camus. La filosofia diffusa dal matto – che
già presentandosi come “Signor Nulla” (“Monsieur
Néant”) la dice lunga – è quella dell'esistenzialismo.
Nel 1943 – lo ricordo – era stato pubblicato L'essere
e il nulla di Jean Paul Sartre. Le battute salaci non si
contano: il signor Nulla, “piazzista” della nuova
“dottrina”, sarebbe molto noto a Parigi dove, con
lui, si aggirerebbero vari altri nuovi “Messia”
che annunciano il loro “vangelo”. Secondo questo
vangelo il mondo sarebbe assurdo perché senza spiegazioni
e sarebbe senza spiegazioni perché questo mondo è
assurdo; senza angoscia non ci sarebbe vita – “angoscia,
ancora angoscia, sempre angoscia e saremo salvi” urla
il filosofo esistenzialista ingozzandosi con uno stinco di maiale
– e la “prova” starebbe nel fatto che “i
morti non la sentono per nulla”. Legittimati il furto,
l'incesto e la pederastia, fra le varie formule per ottenere
la felicità – una più astrusa dell'altra
– ce n'è una che raccomanda di “diventare
nel momento in cui si è” – una citazione
di Sartre.
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Albert Camus (1913-1960) |
4.
Qua e là potrebbe sorgere il sospetto che Camus ce l'abbia
su con la filosofia tutta. Dice che i filosofi non saprebbero
“far niente con le mani” e conclude la sua commedia
con il monito del direttore del manicomio rivolto al sindaco-farmacista-ricondotto-alla-mediocrità:
che lasci in pace la moglie e che d'ora in poi si guardi dal
praticare con lei la filosofia. Ma questo sospetto, purtroppo,
non ha ragione d'essere. Camus era filosofo e filosofo rimane
– anche se, a onor del vero e per un minimo di rispetto
nei confronti della sua memoria, sarà bene esentarlo
dall'accomunamento con l'esistenzialismo.
5.
Che Camus non si liberi dalla filosofia risulta chiaro da una
battuta del suo eroe negativo cui non corrisponde in alcun altro
momento della commedia nessun argomento contrario: “nulla
ha causa” e “tutto è caso”. “Causa”
ed “effetto”, infatti, non possono essere considerati
come caratteristiche intrinseche di un fatto, ma vanno considerate
come categorie mentali, ovvero come costrutti tramite i quali
conferiamo un ordine alle nostre esperienze. Stessa considerazione
va riservata al rapporto tra il “caso” e il “determinato”.
Qualsiasi cosa può essere considerata di volta in volta
in termini di casualità o di determinatezza – dipende
da noi, da come operiamo mentalmente nei confronti delle cose.
Camus ne denuncia l'uso scriteriato da parte della filosofia
esistenzialista, ma non sembra avere gli strumenti – la
necessaria consapevolezza metodologica – per far emergere
la matrice del loro uso distorto. D'altronde, proprio in filosofia
si era laureato e con una tesi su Metafisica cristiana e
neoplatonismo – difficile immaginarlo immune nel prosieguo
della sua vita.
6.
La stessa ridicolizzazione degli asserti sartriani è
limitata dalla semplice esibizione della proposizione –
che è proposta come intuitivamente assurda –, ma
senza andare alla radice della questione. Chi comunica –
in qualsiasi momento stia comunicando – ha da rispettare
un patto implicito con chi è chiamato a ricevere la sua
comunicazione e questo patto prescrive che il rapporto semantico
– il rapporto tra un significante e un significato –
rimanga lo stesso almeno per tutta la durata della comunicazione.
Se cambio i significati in corsa sto tradendo la relazione che
ho posto in atto – sto tradendo un impegno implicitamente
preso con il mio interlocutore. “Diventare” –
torno alla citazione sartriana – designa un dinamismo,
mentre “è”, in questo caso, designa uno stato:
farli coincidere in un “momento” significa contraddire
il significato di almeno uno dei due termini.
Felice Accame
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Albert
Camus
Mi rivolto dunque siamo
Scritti politici a cura di Vittorio Giacopini
Elèuthera,
Milano 2013,
pagg. 120,
€ 12,00. |
Nota
La commedia dei filosofi di Albert Camus, firmata con
lo pseudonimo di Antoine Bailly, è pubblicata da Via
Del Vento edizioni, Pieve a Nievole (Pistoia) 2010. Il titolo
originale è Impromptu des philosophes la cui prima
parola, propriamente – secondo un uso che fu già
di Molière –, starebbe per “improvvisato”,
pièce improvvisata. |