editoria
Anarchiche
di Lorenzo Pezzica con nota a margine
di Martina Guerrini
Con questo titolo è da poco uscito per shake edizioni un libro (scritto da un maschio). Quindici biografie, la vita e le idee, l'impegno e le lotte, di militanti anarchiche in molti casi sconosciute (o quasi).
Ne presentiamo qui tre:
la statunitense Virginia Bolten, la giapponese Noe Ito e l'italiana Luce Fabbri.
Abbiamo chiesto un commento a Martina Guerrini, che partendo dal libro affronta alcuni nodi “di genere”, dentro e fuori l'anarchismo.
Il dibattito è aperto.
Virginia Bolten
(1870-1960)
“Ni Dios, ni patrón, ni marido.”
Virginia Bolten
|
Virginia
Bolten |
Il Primo maggio del 1890 è
un giovedì. Da giorni, nella città di Rosario,
le organizzazioni operaie locali, i socialisti e gli anarchici
della città fremono per i preparativi di un'importante
manifestazione. Vogliono essere sicuri che vada tutto per il
meglio e che il suo successo sia certo.
Rosario, detta anche la “Barcellona argentina” per
la presenza di un combattivo movimento operaio, è in
quel momento storico un centro industriale emergente, la città
più grande e popolosa della provincia argentina di Santa
Fe, capoluogo dell'omonimo dipartimento, e il suo porto, sul
margine occidentale del fiume Paraná, è fra i
più importanti del paese. Rosario è la città
dove 38 anni dopo, sempre di giovedì, nascerà
Ernesto Guevara detto il Che.
La manifestazione era stata decisa nell'estate dell'anno precedente,
non a Rosario ma a Parigi e riguardava tutti i paesi del mondo.
Nella capitale francese dal 14 al 20 luglio 1889 si era svolto
il primo congresso della Seconda Internazionale1.
Nell'ultimo giorno dell'incontro era stata lanciata l'idea di
organizzare una grande iniziativa per la riduzione della giornata
lavorativa a otto ore, da tenersi simultaneamente in tutti i
Paesi. La scelta della data era caduta sul 1 maggio. Una scelta
simbolica che voleva ricordare la tragedia della rivolta di
Haymarket del 1886, la grande manifestazione operaia di Chicago
repressa nel sangue.
Quel giorno a Rosario, in Plaza López, si presenta sul
palco allestito per gli interventi una giovane donna. Ha i capelli
neri corvino raccolti in una crocchia, lo sguardo severo aiutato
da un viso appuntito. Avanza con passo fiero, nascosto dalla
lunga e grande gonna scura, portando sulla spalla una bandiera
nera con la scritta “1° maggio: Fratellanza Universale”.
Ha vent'anni ed è anarchica. In Argentina l'evento passerà
alla storia perché sarà la prima donna oratrice
del nascente movimento operaio.
Il suo nome è Virginia Bolten. Il suo comizio le costa
l'arresto; l'accusa è quella di violare l'ordine sociale
esistente e di diffondere propaganda anarchica. Ma Virginia
non è donna da lasciarsi facilmente intimidire dalla
repressione. Presto rilasciata, riprende subito la sua attività
propagandistica, scrivendo per il periodico “La Protesta
Humana” e tenendo conferenze e comizi in diverse città
argentine: San Nicolás de los Arroyos, Campana, Tandil,
Mendoza.
Con tutta la società e la cultura patriarcale contro
di lei, Virginia dà inizio, nei suoi scritti anarco-femministi,
alla voce di rivendicazione femminile, comunicando la sua natura
ribelle – Né dio, né padrone, né
marito – non solo attraverso gli articoli pubblicati nei
periodici creati da lei stessa, ma anche tramite l'attivismo
reale, appassionato, intenso e di piazza. Soprannominata la
Luise Michel di Rosario, è una di quelle donne controcorrente,
in anticipo sui tempi, su cui la storia ufficiale calerà
una coltre di silenzio.
Virginia Bolten nasce nel 1870 da Enrique Bolten, un emigrato
tedesco che di mestiere fa il venditore ambulante, e Dominga
Sánchez. Non è chiaro quale sia stato il suo luogo
di nascita, forse San Luis o San Juan oppure Rosario in Argentina,
ma potrebbe anche essere nata in Uruguay.
Da ragazza lavora in una fabbrica di scarpe e poi per una compagnia
di raffinazione dello zucchero di Rosario. Giovanissima si sposa
con Manuel Manrique, un anarchico uruguayano attivista in uno
dei quartieri più popolari della città, e abbraccia
gli ideali del comunismo anarchico2
e femministi.
Nella sua idea di lotta contro ogni forma di dominio, a partire
da quello patriarcale, per il cambiamento della società,
anarchismo e femminismo paiono inscindibili. È la strada
che decide di percorrere anche all'interno di un movimento anarchico
e operaio argentino che da parte sua fatica ad accettare l'impegno
politico e sindacale di una donna. Per Virginia infatti, alle
lotte del movimento era necessario affiancare in modo ancor
più radicale la rivendicazione femminista.
Nel 1896, a Buenos Aires, incontra Teresa Marchisio, Pepita
Gherra, Maria Calvia, Josefa Martinez e altre operaie di una
fabbrica tessile. Si crea intorno a Virginia un gruppo di pioniere
in lotta per il libero amore, la parità di diritti e
la fine di ogni dominio, all'alba del Ventesimo secolo. Virginia
persegue un obiettivo di lotta che vuole condividere con loro:
la pubblicazione di un giornale fatto dalle donne per le donne
che si rivolgesse alle migliaia di lavoratrici che lottavano
per la propria autonomia all'interno e all'esterno della casa.
Un giornale che denunciasse il doppio sfruttamento a cui sono
sottoposte le donne rispetto al loro status di classe e di genere.
Al gruppo presto si aggiunge anche un'altra donna. È
Lucia Boldoni, stella del canto lirico nazionale. Appartiene
alla classe borghese, è famosa in Argentina. Non se la
sente di presentarsi per quella che è. Nasconde la sua
identità ma si butta a capofitto nell'impresa.
Nasce così “La Voz de la Mujer”, La Voce
della Donna, il primo giornale latino americano anarco-femminista.
Con lo slogan “Né Dio, né padroni, né
marito”, il periodico, finanziato da sottoscrizioni e
donazioni individuali, viene pubblicato e diffuso in semiclandestinità
tra il 1896 e il 1897.3
Nel breve periodo di vita del giornale, Virginia cambia città
di frequente: Buenos Aires, Rosario, Montevideo. La rivista
segue gli spostamenti della sua fondatrice. Teresa, Pepita,
Maria e Josefa diventano le principali collaboratrici, ma Virginia
riesce anche ad avere la collaborazione di Louise Michel ed
Emma Goldman.
Il giornale, quattro pagine fitte, viene distribuito in duemila
copie (per ciascuno dei nove numeri pubblicati) nelle fabbriche,
nei laboratori, negli opifici della città, conquistando
spazio per la propaganda dei principi di libertà e di
giustizia sociale, innescando il dibattito sul libero amore,
sul matrimonio, sull'abuso di potere, cercando di insegnare
alle madri a educare i propri figli nell'uguaglianza dei diritti,
invitando le donne a ribellarsi contro l'oppressione maschile
senza abbandonare la lotta operaia, diffondendo gli ideali del
comunismo anarchico e della rivoluzione sociale, denunciando
apertamente le ingiustizie subite dai lavoratori e in particolare
dalle donne, criticando gli atteggiamenti misogini di molti
uomini anarchici.
I temi sollevati da Virginia nelle pagine del suo giornale provocano
una certa tensione all'interno del movimento anarchico argentino.
L'anarchismo, sostenevano i militanti anarchici uomini, in quanto
teoria della rivoluzione, conteneva già implicitamente
ed esplicitamente l'idea della liberazione della donna. Bolten
rispondeva loro che proprio per questo motivo, se la volontà
anarchica era quella di abolire i rapporti di autorità,
di distruggere lo stato, di costruire una società non
repressiva, la volontà anarchica si doveva anche tradurre
in azioni che impedissero il riproporsi, all'interno del movimento,
dei rapporti di dominio uomo/donna. L'essere umano può
e deve essere libero. La rivoluzione sociale esige la distruzione
dello stato per abolire lo sfruttamento, ma comporta anche l'abolizione
del patriarcato affinché il dominio non possa risorgere
sulle rovine della società classista.
Per contrastare l'avanzare del movimento operaio e anarchico,
il governo conservatore argentino adotta numerose misure repressive,
in particolare nel 1902 promulga la Ley de Residencia4
che autorizza l'espulsione di molti anarchici immigrati. Virginia
organizza immediatamente una campagna di opposizione al provvedimento
governativo.
A Buenos Aires entra a far parte del Comité de huelga
femenino (Comitato dello sciopero femminile), che è parte
del sindacato della Federación Obrera Argentina, impegnato
nella difesa dei lavoratori del mercato della frutta di Buenos
Aires. La sua frenetica attività le costa qualche problema
di salute, ma i compagni del gruppo Germinal non la lasciano
sola e si auto-organizzano per sostenerla moralmente ed economicamente.
Quando, in ragione del suo intervento in favore del movimento
degli inquilini nel 1907, le viene applicata la famigerata Ley
de Residencia, Virginia si vede costretta all'esilio in Uruguay
insieme al compagno Manuel Manrique e alla figlia Mary Milagra.
Si trasferisce così a Montevideo. La sua casa diviene
un punto di riferimento per molti anarchici argentini esiliati
e non solo. Pur vivendo in Uruguay Virginia mantiene vivi i
contatti con il movimento anarchico e sindacale argentino, informandosi
e seguendo le sue iniziative di lotta. Nel maggio del 1909 apprende
con angoscia e rabbia degli eventi tragici della “Semana
Roja”.5
Non c'è tregua nella lotta per la giustizia sociale.
Virginia senza perdersi d'animo si mobilita immediatamente e
organizza nel centro di Montevideo una pubblica protesta contro
la brutale repressione del 1 maggio a Buenos Aires.
Nel luglio dello stesso anno un altro evento tragico investe
il movimento anarchico e rivoluzionario. Non più in Argentina
ma oltre oceano, in Spagna, a Barcellona. È la “Settimana
Tragica”.6
Quando diventa di dominio pubblico la notizia della condanna
a morte di Françisco Ferrer7,
iniziano in tutto il mondo corpose manifestazioni di protesta
che degenerano talvolta in scontri di piazza.
Virginia si mobilita e partecipa alla campagna pro-Ferrer, organizzando
manifestazioni a Montevideo contro l'esecuzione del pedagogista
libertario spagnolo che, dopo essere stato sottoposto a un processo
farsa da parte del tribunale militare, sarà fucilato
a Barcellona, nella fortezza di Mont- juich il 13 ottobre 1909.
All'impegno diretto nelle lotte anarchiche Virginia continua
ad affiancare anche quello, mai interrotto, della lotta per
l'emancipazione femminile, a cui aveva dato inizio alla fine
dell'Ottocento con la sua rivista. Collabora con il periodico
anarco-femminista La Nueva Senda diretto da Juana Buela Rouco
che, nella sua autobiografia Historia de un ideal vivido
por una mujer, ne ricorderà l'impegno e la tenacia
nella sua attività propagandistica. Si impegna con l'Asociación
femenina-emancipación, appoggiando le donne anticlericali,
le operatrici telefoniche e impegnandosi contro il riformismo
delle suffragette.
Nel marzo del 1911 il riformista José Batlle y Ordóñez
viene eletto per la terza volta presidente dell'Uruguay. Resterà
al potere fino al marzo del 1915. Con l'elezione di Batlle y
Ordóñez, Virginia entra a far parte del gruppo
anarco-battlista di Francisco Berri, Adrian Zamboni e Orsini
Bertani, cioè di quel gruppo di anarchici che decidono
di sostenere le politiche di laicizzazione dello stato e di
nazionalizzazione dei capitali stranieri sostenute dalla politica
dal presidente uruguayano. Durante questo periodo l'anarchismo
uruguaiano entra in crisi, perdendo l'appoggio popolare a favore
del Partito socialista del paese. Il giornale El Socialista
attaccherà duramente Virginia e il gruppo dell'anarco-battlismo,
accusandoli esplicitamente di aver tradito la causa rivoluzionaria
del movimento operaio.
Da quel momento la Bolten sembra scomparire dalla scena pubblica.
Ancora nel 1923 entra a far parte del Centro internazionale
di studi sociali, un'associazione libertaria con sede nella
capitale uruguaiana, ma poi se ne perdono le tracce. Poco o
nulla si conosce circa gli altri anni della sua vita che continuerà
a trascorrere nel barrio Manga di Montevideo fino alla sua morte,
avvenuta intorno al 1960.
Note
- La Seconda Internazionale è fondata nel 1889 a Parigi
dai partiti socialisti e laburisti europei e scioltasi di fatto
il 4 agosto 1914. Erede della Prima Internazionale (caratterizzata
dallo scontro tra anarchici e marxisti, venne sciolta nel 1876),
al contrario dell'organismo che la precedette, fu dominata dal
Partito Socialdemocratico tedesco, di indirizzo riformista.
- Il movimento anarchico si era da poco sviluppato in Argentina
in seguito all'immigrazione di massa, che aveva coinvolto tutto
il continente sud-americano dalla fine dell'Ottocento ai primi
del Novecento, di lavoratori, lavoratrici e militanti anarchici
e socialisti in fuga dalle persecuzioni politiche attuate dai
governi europei. Le masse lavoratrici, influenzate dagli anarchici,
numericamente prevalenti rispetto ai socialisti, avevano cominciato
a organizzarsi nei sindacati, utilizzando come armi di lotta
lo sciopero generale, il sabotaggio e il boicottaggio. L'anarchismo
argentino ha un forte impulso quando nel 1885 giunge in Argentina
Errico Malatesta. Dopo la sua partenza, nel 1889, si accentuano
tutta una serie di polemiche interne al movimento anarchico
che cessano temporaneamente solo quando giunge nel 1898 un altro
anarchico italiano: Pietro Gori.
- Parte dei numeri del giornale sono oggi conservati presso
l'Istituto internazionale di storia sociale di Amsterdam.
- La Ley de Residencia sancita dal Congresso di Argentina
nel 1902 permetteva al governo di espellere gli immigrati senza
processo. La legge è stata utilizzata dai successivi
governi argentini per frenare l'organizzazione sindacale dei
lavoratori del commercio, guidata soprattutto da anarchici e
socialisti. Essa era nata da una richiesta fatta dall'Unione
Industriale di Argentina nel 1899, a seguito della quale il
senatore Miguel Cane presenta al Congresso Nazionale la proposta
di espulsione degli stranieri.
- Per la ricorrenza della festa dei lavoratori la Federación
obrera regional argentina (Fora) – il sindacato più
grande del paese, controllato dagli anarchici – e il Partito
socialista, insieme all'Union general de trabajadores (Ugt)
– il sindacato controllato dal Partito socialista –
convocano a Buenos Aires ognuno una distinta manifestazione.
La manifestazione socialista si svolge normalmente, mentre quella
della Fora, prima che possa iniziare a muoversi, viene brutalmente
repressa dalla polizia, guidata dal colonnello Ramón
Lorenzo Falcón. Ci sono 12 morti, 70 feriti e 150 arresti.
Le organizzazione sindacali proclamano congiuntamente lo sciopero
generale a tempo indeterminato. Il 4 maggio i funerali delle
dodici vittime sono accompagnati da oltre trecentomila persone.
Solo l'8 maggio il governo argentino accetta, per la prima volta,
di negoziare con i sindacati. Il 14 novembre viene ucciso Ramón
Lorenzo Falcón da una bomba fatta esplodere dal giovane
anarchico Simon Radowitzky, che in questo modo intende vendicare
le uccisioni dei compagni e dei lavoratori.
- In seguito alla dichiarazione della legge marziale nel 1909
durante la “Settimana Tragica”, una rivolta scoppiata
il 26 luglio quando la popolazione si ribellò alla Guardia
Civile che aveva il compito di far imbarcare i coscritti (per
la quasi totalità appartenenti alle classi povere) mandati
a combattere nelle guerra coloniali in Africa. Françisco
Ferrer fu arrestato il 31 agosto con l'accusa di essere il fomentatore
della rivolta.
- Françisco Ferrer (1859-1909) è stato un anarchico,
pedagogista e libero pensatore spagnolo. Su Françisco
Ferrer vedi Giuliana Iurlano, Da Barcellona a Stelton. Francisco
Ferrer e il movimento delle scuole moderne in Spagna e negli
Stati Uniti, M&B, Milano 2000.
Noe Ito (1895-1923)
“Era giovane e bella... Dora le chiese:
'Ma non hai paura che le autorità ti possano fare qualcosa?'.
Lei si portò le mani alla gola e rispose: 'So bene che
lo faranno prima o poi'.”
Bertrand Russell1
|
Noe
Ito |
Noe Ito nasce a Imajuku, sull'isola
di Fukuoka, in Giappone, il 21 gennaio 1895. L'aspetta una vita
di obbedienza assoluta ad ogni tipo di autorità in una
società rigidamente gerarchica, codificata, ritualizzata:
come geisha, come madre, come prigioniera, come esclusa.
Ito prende un'altra strada, assolutamente impervia.
Dotata di temperamento artistico, si iscrive alla scuola femminile
di Ueno, a Tokyo. A 15 anni, mentre è ancora a scuola,
sposa un uomo di vent'anni più vecchio di lei; Fukutaro,
che si impegna a sostenere la sua formazione artistica e culturale,
ma che in realtà non è minimamente in grado di
tenere fede a quanto sottoscritto. Del resto, Noe non era innamorata
di lui; lo aveva sposato con la speranza di emigrare negli Stati
Uniti. In seguito, confiderà alla sorella, una volta
arrivati in America, che lo avrebbe immediatamente lasciato.
Poco dopo il matrimonio, Noe stringe amicizia con il suo insegnante
di inglese, Jun Tsuji. È un anarchico dichiarato; poeta,
saggista, drammaturgo, traduttore, dadaista, nichilista, femminista
e bohemien. È il primo traduttore in giapponese dell'Unico
e la sua proprietà di Max Stirner e delle opere di
Cesare Lombroso.
Una sedicenne che si avvicina all'anarchismo è qualcosa
di assolutamente impensabile nel Giappone dei primi anni del
Novecento; l'amicizia con Jun Tsuji si trasforma in amore e
impegno politico. Man mano che il suo matrimonio va a rotoli,
Noe cerca sempre più il sostegno morale ed economico
di Tsuji. I due allacciano una relazione amorosa, così
lei decide di lasciare Fukutaro e sposare il suo ex insegnante.
La coppia avrà due figli: Makoto e Ryuji.
Dopo il diploma Noe entra nella Seito-sha, una sorta di scuola
artistica femminile con cui immediatamente collabora alla pubblicazione
della rivista Seito, di cui ben presto diventa caporedattrice,
imprimendole una svolta radicale: da blanda rivista artistica
femminile, seppure “tenuta d'occhio” e invisa alle
autorità, Seito diviene una pubblicazione di critica
sociale radicale e femminista. Ito si distingue per i suoi articoli
e per la traduzione di The Tragedy of Woman's Emancipation
di Emma Goldman.
Nel 1916 la rivista viene chiusa d'autorità. Nel periodo
d'impegno nella rivista Noe conosce e si innamora di un altro
giovane anarchico, di otto anni più grande di lei e già
sposato: Osugi Sakae. È con lui che decide di tradurre
lo scritto della Goldman. Instaurano un rapporto basato sul
libero amore, che trova coerentemente d'accordo anche Jun Tsuji.
Nel Giappone tradizionale e conservatore il fatto genera un
autentico terremoto; lo scandalo si amplifica ancora di più
quando Osugi viene ferito a coltellate in una casa del tè
dalla sua prima amante, Masaoka Itsuko, a sua volta militante
femminista. Come è prevedibile attendersi, se pure lo
scandalo non risparmia nessuno dei due protagonisti, un accanimento
maggiore viene riservato a Noe, in quanto donna.
Noe decide di convivere con Osugi da cui avrà quattro
figli e per il quale prenderà le sue difese dopo che
Shimbun Heimin (“Giornale dell'uomo del popolo”),
la rivista fondata da Osugi, viene chiusa dalla polizia giapponese.
Il turbinio della sua vita sentimentale e le critiche feroci
ricevute per la sua condotta “morale” non impediscono
a Noe Ito di impegnarsi sempre di più sia nelle lotte
del movimento anarchico, che in quegli anni sta assumendo dimensioni
tali da preoccupare seriamente le autorità, sia in quelle
di rivendicazione dell'emancipazione femminile, contribuendo
alla fondazione e alla crescita del movimento femminista anarchico
giapponese. Nel 1921 fonda un gruppo di donne socialiste a Sekirankai,
e continua a tradurre le opere di Emma Goldman e di Pëtr
Kropotkin.
Nell'ottobre del 1922, Osugi Sakae raggiunge clandestinamente
Shanghai per discutere della creazione di un'Unione degli anarchici
dell'Asia orientale e partecipare alla Conferenza dei socialisti
dell'Estremo oriente. Parte poi per l'Europa, dove resterà
per tre mesi, per partecipare alla Conferenza anarchica internazionale
di Berlino del febbraio 1923. Il ritorno in Giappone di Osugi,
nel luglio dello stesso anno, è preceduto da una lettera
di Ito in cui lo esorta a tornare il prima possibile. A parte
le complicazioni derivanti dalla sua quinta gravidanza, quello
che più preoccupa la giovanissima anarchica sembra essere
l'emergere di attriti all'interno del gruppo anarchico Rodo
Undo che insieme ad Osugi aveva fondato ed animato prima della
sua partenza per il vecchio continente.
Il ritorno di Osugi, il loro incontro a Tokyo, i racconti della
sua permanenza a Parigi, l'incontro con Nestor Makhno, la febbrile
raccolta di articoli, riviste, giornali che parlassero dei makhnovisti
e la stesura dell'ultimo scritto sull'impresa dell'anarchico
ucraino (Museifu Shugi Shogun: Nesutoru Mafuno). Sono
questi gli impegni che riempiono i giorni di due lunghi mesi
d'estate che Ito e Osugi passano insieme.
La mattina del primo settembre 1923 la pianura del Kanto sull'isola
maggiore del Honshu in Giappone è colpita da un terribile
terremoto. La scossa è infinita. I morti sono più
di 100.000, i dispersi circa 37.000. Tokyo è devastata.
Il sisma colpisce all'ora di pranzo, quando nelle cucine delle
case il focolare è acceso per preparare il pranzo. Gli
incendi divampano ovunque, crescono rapidamente, fondono l'asfalto
delle strade, assumono dimensioni enormi in tutti i quartieri
della città. Migliaia di persone radunate in uno spazio
aperto a Rikugun Honjo Hifukusho vengono incenerite da un tornado
di fuoco proprio quando ormai credevano di essere in salvo.
Il panico e la confusione si propagano come il fuoco, alimentando
dicerie e false leggende. Una di queste sostiene che i coreani
stessero traendo vantaggio dal disastro, commettendo furti,
appiccando incendi e avvelenando i pozzi. Si scatena una caccia
al coreano. Il numero totale di morti coreani delle rappresaglie
xenofobe è incerto; per il governo le vittime sono 231,
mentre altre fonti parlano di 2500 vittime. Una delle primissime
preoccupazioni del governo e delle forze armate giapponesi è
quella di dichiarare ai superstiti del disastro sismico che
gli anarchici ne avrebbero approfittato per prendere il potere
e rovesciare l'Imperatore. La crescita del movimento anarchico
e socialista, iniziata con il sorgere del nuovo secolo, preoccupava
da sempre il governo giapponese. Il clima di panico e confusione
creatosi con il terremoto era un'occasione da non lasciare passare.
È dichiarata la legge marziale.
Nelle ore immediatamente successive al sisma, squadre della
polizia militare vengono inviate non a prestare soccorso alla
popolazione colpita dal terremoto, ma a dare la caccia ai pericolosi
sovversivi; una di esse raggiunge Noe Ito e Sakae Osugi. La
squadra militare è guidata dal tenente Masahiko Amakasu,
che arresta Noe e Sakae insieme a suo nipote, un bambino di
soli sei anni.
Ito capisce subito che le cose si mettono al peggio; si sente
un animale in trappola. Alla domanda di Dora Russell “ma
non hai paura che le autorità ti possano fare qualcosa?”,
Ito aveva risposto “so bene che lo faranno prima o poi”.
La paura è un'emozione intensa, una delle emozioni primarie.
Nel momento in cui la paura diviene travolgente ed estrema,
si trasforma in panico o terrore. L'impulso è quello
di scappare correndo via alla cieca oppure di rimanere paralizzati.
Ito ha paura – è naturale – resta immobile,
non tenta di scappare, e guarda dritto negli occhi il tenente
Amakasu.
I militari agiscono ferocemente, non hanno alcun ritegno nei
suoi confronti così come nei confronti di Osugi e del
bambino. Vengono strattonati violentemente, ammanettati, insultati.
Una volta presi non vengono portati al vicino comando di polizia.
Vengono trascinati poco più distante in un vicolo cieco
della città. Lì vengono brutalmente picchiati
a morte, strangolati e i loro corpi gettati in un pozzo, dove
vengono ritrovati il giorno dopo. È il 16 settembre 1923,
Noe aveva 28 anni.
L'uccisione di Noe Ito, del suo compagno Sakae Osugi e del piccolo
nipote di lui viene definita, naturalmente, dalle autorità
di polizia, un “incidente”. Così, infatti,
passa alla storia: l'Incidente di Amakasu. Pur nel caos del
dopo terremoto però succede qualcosa di difficilmente
immaginabile dagli esponenti del governo: l'episodio guadagna
grande risonanza. Il Giappone intero insorge indignato per l'assassinio
dei due anarchici e di un bambino, anche perché era stato
fatto brutale scempio dei cadaveri.
Per fare fronte all'enorme indignazione popolare, le autorità
governative sono costrette ad arrestare il tenente Amakasu,
che viene condannato a dieci anni di carcere da scontare nel
penitenziario di Chiba. Dopo soli due anni, però, Amakasu
viene liberato, beneficiando dell'amnistia generale in occasione
dell'ascesa al trono dell'imperatore Hirohito.
Nel 1969, la vicenda di Noe Ito e Osugi Sakae è narrata
dal regista Yoshishige Yoshida2
nel film Eros + massacro (Erosu purasu gyakusatsu),
considerato uno dei primi capolavori della Nouvelle Vague giapponese.
Protagonisti del film sono due giovani studenti interessati
a conoscere la verità sui fatti accaduti ai due anarchici
nel lontano 1923. Iniziano la loro ricerca storica e nello stesso
tempo riflettono sull'anarchismo e sul libero amore. I due ragazzi
si appassionano a tal punto delle sorti di Ito e Osugi da non
riuscire più a tenere distinti passato e presente. Noe
Ito torna di nuovo e con lei la sua storia.
Note
- Bertrand Russell, nella sua Autobiografia, ricorda così
l'incontro avuto nel 1921 con Noe Ito. Bertrand Russell, L'Autobiografia.
Da Freud a Einstein: 1914-1944, vol. 2, Longanesi, Milano
1970. Dora Black Russell (1894-1986) è stata una scrittrice,
attivista femminista e socialista inglese e la seconda moglie
del filosofo Bertrand Russell.
- Yoshishige Yoshida (Fukui, 16 febbraio 1933), conosciuto anche
come Kiju Yoshida, è un regista e sceneggiatore giapponese.
È stato uno dei membri più importanti della Nouvelle
Vague cinematografica giapponese, insieme ai colleghi Nagisa
Oshima e Masahiro Shinoda. Nel 1964 fonda una propria compagnia
di produzione. Nel 1973 il grande insuccesso di Kaigenrei
gli costa oltre dieci anni di inattività prima di riuscire
a riprendere la sua carriera con Ningen no yakusoku,
con cui viene selezionato per Un Certain Regard dal Festival
di Cannes 1986. Oltre all'attività di regista ha scritto
libri sul cinema. È sposato con l'attrice Mariko Okada,
figlia dell'attore Tokihiko Okada.
Luce Fabbri (1908-2000)
Questa è la strada, o non c'è
nessuna strada.”
Luce Fabbri1
|
Luce Fabbri |
Luce Fabbri è oggi considerata
una tra le figure intellettuali più significative dell'anarchismo
italiano e internazionale del Novecento. Nonostante ciò
il suo pensiero, seppur accolto su numerose riviste del movimento,
per lungo tempo non è stato compreso e dibattuto quanto
avrebbe meritato, anche se, per esempio, Pier Carlo Masini,
critico nei confronti di alcuni aspetti del suo pensiero,2
ne aveva già riconosciuto l'originalità e la profondità
tanto da ricordare molti anni più tardi la “boccata
d'ossigeno” che ne aveva provocato l'impatto.3
Masini però resta uno dei pochi e le idee della Fabbri
sono passate sostanzialmente inosservate. Anche quando, nel
movimento anarchico italiano della fine degli anni Sessanta,
c'è chi riprende per esempio il tema della “tecnoburocrazia”,
riscoprendo pensatori anarchici come Luis Mercier Vega o personaggi
come Bruno Rizzi, non si accorge delle pagine scritte dalla
Fabbri sullo stesso tema. Così come poco dibattuta sarà
la sua riflessione sul totalitarismo,4
svolta tra gli anni Trenta e Sessanta, che le permetterà
anche di ripensare l'essenza stessa dell'anarchismo.
Testimone sensibile e consapevole degli eventi e delle tragedie
che attraversano tutto il Ventesimo secolo, Luce Fabbri “nasce”
anarchica, favorita dallo speciale ambiente familiare in cui
cresce. Tutto il suo percorso esistenziale, intellettuale e
politico si iscrive all'interno dell'ideale anarchico, cosa
che non le impedisce comunque di ancorare il suo pensiero a
un forte principio di realtà e al contesto sociale e
politico di appartenenza. Essere anarchica “da sempre”
è ciò che rende Luce Fabbri un personaggio estremamente
significativo per la pregnanza con cui ha vissuto e concretizzato
la sua visione libertaria del mondo.
Luce Fabbri sostiene nei suoi scritti una nozione dell'agire
libertario visto come espressione diretta della volontà
dell'uomo. Per descrivere la sua riflessione si può utilizzare
il giudizio che Alessandro Dal Lago ha espresso a proposito
del pensiero di Hanna Arendt: “una teoria libertaria dell'azione
nell'epoca del conformismo sociale”.5
Ancorata alla radice socialista dell'anarchismo di Errico Malatesta
e del padre Luigi,6 al contempo
Luce lo sviluppa e per alcuni aspetti lo supera, affrontando
nel corso della sua esistenza alcuni tra i nodi centrali delle
vicende storiche della realtà contemporanea. In lei ha
convissuto sia una solida cultura politica, storica e letteraria
che, per esempio, le permette nel 1949 di accedere all'insegnamento
universitario a Montevideo, sia la massima apertura mentale
verso i problemi del presente e del futuro.
Un elemento centrale che caratterizza l'esistenza e il pensiero
della Fabbri è anche rappresentato dalla condizione dell'esilio,
da lei vissuto con grande sofferenza. Nel 1932 pubblica I
canti dell'attesa, pubblicato a Montevideo dall'editore
Bertani, una raccolta di poesie da cui traspare soprattutto
la nostalgia per il paese natale e lo sdegno per il fascismo
e le sue imprese.
La sua esistenza si è svolta infatti tra l'Italia, che
lascia insieme alla famiglia a vent'anni esule del fascismo,
e l'Uruguay, la sua seconda patria. Dal 1929, anno di arrivo
a Montevideo, la sua condizione “binaria” diventa
centrale per la sua esistenza e il suo pensiero. Nonostante
questa sua scelta esistenziale, il movimento anarchico italiano
resta un punto di riferimento fondamentale della sua azione
di militante ed intellettuale anarchica. Alla fine della Seconda
guerra mondiale Luce comunque decide di non tornare in Italia
a differenza di altri esuli antifascisti. In Italia tornerà
solo tre volte nel 1954, nel 1981 e nel 1993.
Nel movimento anarchico uruguayano
Luce Fabbri nasce a Roma il 25 luglio 1908, figlia di Luigi
Fabbri e di Bianca Sbriccioli. Nell'ottobre del 1910 a Bologna,
dove la famiglia si era nel frattempo trasferita, nasce il fratello
Vero. Luce cresce in un ambiente libero e culturalmente stimolante,
testimone privilegiata dell'intensa attività politica
e culturale del padre, esponente di primo piano dell'anarchismo
italiano ed internazionale, a contatto con i numerosi compagni
e amici che frequentano la sua casa, in particolare Errico Malatesta.
Ancora giovanissima pubblica sulla rivista “Pensiero e
Volontà” il suo primo articolo che firma con lo
pseudonimo Epicari.
Nell'autunno del 1926, dopo la definitiva affermazione del fascismo
in seguito alle leggi del 1925 dette “fascistissime”,
il padre Luigi è costretto ad espatriare clandestinamente
attraverso la frontiera svizzera, recandosi in Francia dove
lo raggiungerà nell'anno successivo la moglie Bianca.
Luce rimane da sola a Bologna per terminare gli studi universitari,
ospite in casa di un amico di famiglia, il socialista Enrico
Bassi. Due mesi dopo la laurea, ottenuta nel 1928, anche Luce
decide di lasciare clandestinamente l'Italia, raggiungendo la
famiglia a Parigi i primi di gennaio del 1929.
Nel marzo dello stesso anno il padre Luigi è nuovamente
costretto ad attraversare clandestinamente la frontiera con
il Belgio, sotto la minaccia di un arresto da parte della polizia
francese. In aprile Luce e la madre lo raggiungono a Bruxelles
e il mese successivo la famiglia parte dal porto di Anversa
per l'Uruguay.
Fin dall'inizio del suo arrivo nel nuovo paese Luce si impegna
attivamente nel movimento anarchico uruguayano, scrivendo articoli
e libri, tenendo conferenze e impegnandosi in svariati ambiti.
L'anarchismo nei paesi del cono sud dell'America latina agli
inizi degli anni Trenta appare ancora forte. In grande maggioranza
il movimento è di ispirazione anarcosindacalista, e trova
espressione soprattutto in due organizzazioni sindacali controllate
dagli anarchici, la Fora (Argentina) e la Foru (Uruguay), ma
era presente anche una minoranza agguerrita di anarchici “illegalisti”
e “espropriatori” come Severino Di Giovanni,7
che proprio in quegli anni sta concludendo in Argentina la sua
tragica parabola.
I primi anni a Montevideo sono difficili per problemi economici
e di inserimento, mentre la nostalgia dell'Italia si fa sentire
in modo acuto. Per aiutare la famiglia, Luce impartisce lezioni
private di italiano e greco, e partecipa alle commissioni annuali
d'esame per l'italiano, che era materia curricolare nelle scuole
secondarie superiori dell'Uruguay, ottenendo nel 1933 l'incarico
di professoressa di storia in molte scuole, che svolgerà
fino al 1970. Durante la prima estate nel nuovo paese, per ristabilirsi
nella salute compromessa dal lungo viaggio, Luce trascorre un
periodo di vacanza sulle montagne di Cordoba, in Argentina,
ospite di Diego Abad de Santillan.8
È l'inizio di una lunga amicizia che durerà tutta
la vita. Nel frattempo Luigi Fabbri avvia una nuova importante
iniziativa editoriale, la pubblicazione della rivista “Studi
Sociali”, il cui primo numero esce nel marzo del 1930.
Alla redazione collaborano Ugo Fedeli e Torquato Gobbi e Luce,
che scrive alcuni articoli firmati con lo pseudonimo Lucia Ferrari.
Il 6 settembre 1930, con il colpo di stato del generale Uriburu
in Argentina, si scatena una feroce repressione contro gli anarchici.
In pochi giorni l'intera organizzazione della Fora vene spazzata
via. Molti militanti vengono uccisi, torturati, deportati. Quelli
che riescono a fuggire vanno a Montevideo, dove va a ingrossare
la comunità degli esiliati. Tra i profughi c'è
anche Ermacora Cressatti, un muratore anarchico di origini friulane,
di cui ben presto Luce si innamora e che diventa suo marito
nel 1933. Alcuni anni dopo nasce la figlia Luisa.
Il 22 giugno 1935 muore Luigi Fabbri. Luce, gravemente ammalata,
non può assistere ai suoi ultimi istanti e neppure prendere
parte al funerale. La perdita del padre, che adorava, rappresenta
uno dei più grandi dolori della sua vita. Cerca di reagire
continuando l'opera iniziata dal padre, in particolare “Studi
Sociali”.
Tra il 1936 e il 1939 Luce si impegna nel sostegno agli anarchici
spagnoli che lottano sul doppio fronte della guerra contro Franco
e della rivoluzione. Nel 1937 pubblica, con lo pseudonimo Luz
d. Alba, il volume 19 de julio. Antologìa de la revolución
española, con lo scopo di informare l'opinione pubblica
dell'America latina su ciò che sta realmente accadendo
in Spagna. L'anno successivo esce a Lugano, a cura di Carlo
Frigerio, l'opuscolo Gli Anarchici e la rivoluzione spagnola,
contenente l'articolo di Luce Il problema del governo,
improntato a una certa comprensione nei confronti delle ragioni
di quegli esponenti anarchici spagnoli che nel corso della Guerra
civile avevano accettato di fare parte del governo di Madrid
e di quello autonomo della Catalogna, e che aveva suscitato
dissensi e critiche da parte di molti esponenti del movimento
libertario internazionale. La stessa Luce preciserà in
seguito che si trattava di comprendere il dramma umano e politico
di quei compagni, e non della accettazione del ministerialismo
che anche lei non condivideva.
La Rivoluzione spagnola, che aveva suscitato all'inizio tante
speranze, si conclude infine tragicamente, seguita poco dopo
dallo scoppio della Seconda guerra mondiale. Durante la guerra
Luce compila in italiano la rivista “Rivoluzione libertaria”
(giornale spedito clandestinamente in Italia e di cui escono
cinque numeri), e subito dopo la pagina italiana di “Socialismo
y libertad”, un interessante esperimento di periodico
trilingue, a cui collaborano socialisti, anarchici e repubblicani
uniti dalla comune lotta al fascismo.
Analisi originale del totalitarismo
Anche se negli anni Trenta, tra moltissime difficoltà,
Luce Fabbri cerca di mantenere i contatti con l'Italia, è
però solo con la fine della Seconda guerra mondiale che
riprende in modo più continuativo i contatti con il movimento
anarchico italiano.
Fin dal 1944 segue con entusiasmo i tentativi di diversi militanti
impegnati nella riorganizzazione del movimento nella parte dell'Italia
liberata, in particolare da parte di Pio Turroni, Giovanna Berneri
e Cesare Zaccaria, tentativi che si concretizzano nel settembre
del 1945 con il primo Congresso nazionale di Carrara che dà
vita alla Federazione anarchica italiana9
e alla fondazione della rivista “Volontà”.10
Luce Fabbri comunica il suo entusiasmo a Giovanna Berneri, aderendo
al progetto della nuova rivista. Pensa che “Volontà”
possa essere la naturale prosecuzione di quella che era stata
la rivista del padre. L'ultimo numero di “Studi sociali”
esce infatti nel maggio del 1946, due mesi prima dell'uscita
del primo numero di “Volontà”. La collaborazione
di Luce alla rivista italiana rappresenta uno dei momenti più
importanti del suo percorso esistenziale e di riflessione teorica.
I suoi articoli apparsi sulla rivista tra il 1946 e il 1960,
oltre ad affrontare argomenti legati all'attualità politica
e sociale italiana e uruguayana, ai temi della pedagogia libertaria,
sono incentrati sul fenomeno del totalitarismo.
Negli anni della Guerra fredda e del mondo diviso in due blocchi,
Luce Fabbri vuole trovare “il luogo attuale dell'anarchismo”,
ripensandone l'essenza, e ritiene di trovarlo considerandolo
la naturale confluenza di due linee evolutive: il liberalismo
e il socialismo.
Pur saldamente ancorata alla tradizione socialista dell'anarchismo
Luce Fabbri intende recuperare al pensiero anarchico ciò
che chiama “una parentela più remota”: il
liberalismo, inteso nel suo valore profondamente etico di difesa
dell'uomo e di lotta per la libertà. Il liberalismo così
inteso potrà dirsi compiuto, secondo la Fabbri, quando
avrà eliminato i presupposti del dominio economico: la
libera impresa e la proprietà privata. In questo senso,
la tradizione liberale, nel suo momento più alto, non
potrà che confluire nel socialismo.
Nel proporre queste sue idee Luce Fabbri non manca di richiamarsi
sia al liberalismo radicale di Gobetti sia al socialismo liberale
di Carlo Rosselli; ma è soprattutto il pensiero di Camillo
Berneri a cui la Fabbri si richiama direttamente.11
Questa riflessione, che aveva avuto inizio fin dagli anni Trenta,
giunge nel periodo della sua collaborazione alla rivista “Volontà”
a una completa formulazione. Il suo originale contributo al
tema del totalitarismo la pone sullo stesso piano dei maggiori
pensatori e la inserisce a pieno titolo all'interno della storia
di quel dibattito che ha profondamente segnato la cultura del
Ventesimo secolo.
Per far ciò, Luce Fabbri attinge alle più diverse
e stimolanti correnti del pensiero “critico”, dimostrando
così la sua particolare apertura mentale e culturale.
Al fianco del padre Luce aveva acquisito la conoscenza delle
problematiche scaturite dal dibattito sulla Rivoluzione russa
e l'avvento del regime fascista in Italia; fa proprio e rielabora
il pensiero dei classici dell'anarchismo ma si dimostra sensibile
anche alle suggestioni emerse dal “laboratorio parigino”
degli anni Trenta, indipendentemente dall'estrazione politico
culturale di quei pensatori. Tra le letture di Luce Fabbri in
quegli anni vi è per esempio Emmanuel Mounier, filosofo
cattolico del personalismo. Tra le fonti a cui attinge vi sono
anche le opere di George Orwell, Ernst Cassirer, James Burnham
e Milovan Gilas. Molte delle sue intuizioni sul fenomeno del
totalitarismo paiono molto vicine a quelle espresse da Simone
Weil o anticipano per alcuni aspetti quelle di Hanna Arendt.
Parlare di totalitarismo come fa Luce, comparando fascismo,
nazismo e comunismo, nell'Italia in quegli anni, significa esporsi
al bando della società intellettuale e, nella sinistra,
all'isolamento sanitario. La riflessione della Fabbri appartiene
infatti a quella che lo storico Enzo Traverso chiama la “caratteristica
paradossale”12 all'interno
del dibattito sul totalitarismo, cioè il ruolo del tutto
marginale nell'articolazione del dibattito svolto dall'Italia,
paese in cui la parola totalitarismo aveva trovato la sua origine.13
Nell'Italia postbellica, caduto il fascismo, il tema del totalitarismo
infatti resta fuori dalla porta anche se il termine totalitarismo
circola comunemente, ma in un'accezione “autarchica”.14
Ai dogmatismi e alle certezze manichee di quegli anni Luce Fabbri
risponde con un'indagine critica e analitica, insoddisfatta
della vulgata corrente, animata da una costante problematicità
e da una prospettiva culturale aperta.
Per Luce il fenomeno totalitario trova le sue origini storiche
nel contesto creato dalla Prima guerra mondiale. Constata che
le esigenze connesse alla guerra del 1914 avevano portato a
una profonda modificazione della struttura sociale dei paesi
capitalisti. La necessità di rendere omogenei gli sforzi
di pianificare l'economia in funzione della guerra aveva comportato
un massiccio accrescimento delle prerogative dello stato e una
conseguente espansione degli apparati burocratici. Un processo
che sostanzialmente ricalcava le dinamiche di accentramento
del potere “attraverso una casta di funzionari economicamente
privilegiati e [...] partecipi – secondo la loro gerarchia
– delle funzioni cosiddette di direzione, cioè
in verità del potere. Tale casta comprende tutta la burocrazia
governativa nei suoi diversi settori, compresi i tecnici e gli
organizzatori della produzione e della distribuzione, la polizia,
l'esercito e col tempo, senza dubbio, il clero”.15
È il fenomeno tecnoburocratico. Luce Fabbri e Louis Mercier
Vega sono stati i primi a introdurre nel movimento anarchico
di lingua italiana il concetto di tecnoburocrazia e fin dal
1933 quando, a partire dallo studio comparato degli stati fascista
e sovietico, aveva già individuato come uno dei tratti
unificanti delle società contemporanee l'ascesa della
classe tecnoburocratica.16 Il
totalitarismo del Ventesimo secolo, secondo Luce Fabbri, gestiva
il passaggio in campo economico dal capitalismo al collettivismo
burocratico.17
Dopo aver inquadrato il tema tecnoburocratico all'interno del
fenomeno totalitario, Luce Fabbri rivolge la sua analisi all'aspetto
più genuinamente “politico” e “ideologico”
del totalitarismo. Per lei fascismo, nazismo e stalinismo fanno
leva, insieme a un'espansione ipertrofica della sfera pubblica
in economia, al potenziamento esponenziale della violenza dello
stato attraverso la guerra, interna ed esterna, sull'irreggimentazione
sistematica delle coscienze e sull'imbarbarimento dei rapporti
sociali, che porta all'annichilimento dell'individuo in nome
di ingannevoli e falsi ideali collettivi. In particolare sono
tre gli elementi che definiscono il regime totalitario: la neolingua,
la visione ufficiale della storia, la militarizzazione delle
intelligenze.
Il primo elemento mantiene il potere attraverso la trasformazione
profonda e unilaterale del “vocabolario”, sfigurando
e a volte invertendo senza dichiararlo i termini dei vecchi
e dei nuovi problemi. E a questo proposito parla della “semantica
artificiale del nazionalsocialismo tedesco” diretta a
creare quella “neolingua” che impedisce ogni pensiero
eretico. Lo stato totalitario, in altri termini, una volta conquistato
il potere lo consolida a “colpi di linguaggio”,18
trasformandosi in una vera e propria “logocrazia di massa”.
In secondo luogo, il regime totalitario impone una visione ufficiale
della storia contemporanea e di quella passata, utilizzando
il suo potere per manipolare le informazioni e distruggere la
memoria storica. La realtà viene vagliata, selezionata,
costruita, prodotta. Infine, nello sforzo di militarizzare le
intelligenze individuali fondendole in una massa omogenea, costringe
le persone a un lavoro di investigazione solitario, privo del
beneficio dell'interscambio spirituale e della discussione.
Da una parte quindi il potere onnipervasivo dell'ideologia totalitaria
rende “omogenea” la massa degli individui e dall'altra
“isola” il pensiero dal rapporto tra idea e realtà.
Nel formulare queste sue idee Luce Fabbri fa riferimento a Orwell,
ponendo direttamente al centro delle sue argomentazioni, le
tesi di 1984.19
Insegnamento e militanza
Luce Fabbri non si limita, nella sua riflessione, ad analizzare
il fenomeno totalitario nel solo significato di nuovo regime.
Si apre verso una prospettiva ermeneutica, cercando non soltanto
l'intensità e la struttura dell'oppressione politica
ma la sua essenza. Interrogando le responsabilità del
passato Luce Fabbri fa emergere la continuità tra totalitarismo
e tradizione occidentale, tra la logica del potere tout-court
e la logica totalitaria.
Rispetto alla Arendt è interessante qui sottolineare
il diverso accento posto sulla continuità o discontinutà
del totalitarismo, che avvicina, non a caso, il giudizio della
Fabbri a quello di Simon Weil.
Se è possibile vedere elementi di unità di giudizio
da parte della Fabbri e della Arendt nei confronti del totalitarismo,
le due pensatrici si differenziano sull'originalità e
l'unicità del fenomeno. Per la Arendt il totalitarismo
è sì implicato nella mentalità politica
e filosofica moderna, ma non è assolutamente necessitato
né iscritto come destino nei suoi geni. Per la Fabbri
invece, il fenomeno totalitario è un esito estremo di
quella logica del potere che ha segnato la nostra storia. Insomma,
dove per la Arendt si tratta di novità, per la Fabbri
si deve parlare dell'ennesima ripetizione, portata alla sua
estrema efferatezza, di una violenza che da sempre abita nel
potere.
Ma riconoscere l'onnipotenza del potere totalitario non significa
dichiarare impossibile l'azione. Soprattutto quando si è
anarchici. Contro le strutture di comando e le pratiche violente
del potere è possibile gettare in aria le carte, con
il coraggio e la forza di una volontà ritrovata.
In questo senso la Rivoluzione spagnola del 1936 è una
preziosa lezione storicamente praticata di lotta contro il totalitarismo,
dimostrando, nella realtà storica concreta, la possibilità
dell'alternativa anarchica di una società libera, sperimentale,
federativa, capace di rivalorizzare (in seno a un'economia socializzata)
la più ampia autonomia degli individui e degli organismi
locali. La macchina del potere sempre più sofisticata
e oppressiva che rafforza le gerarchie e i poteri burocratici,
anche se vissuta come una ferita dolorosa, non deve quindi mai
tradursi in senso di impotenza. Da un lato lo impedisce la prospettiva
anarchica, dall'altro l'impegno ad agire in favore della liberazione
dell'uomo.la guerra, all'inizio del 1946 Luce si reca in Brasile,
a Rio de Janeiro, in visita agli anarchici italiani Nello Garavini
ed Emma Neri. Lì contrae, insieme a Nello, la malaria,
rischiando seriamente di morire. Debilitata, Luce rientra a
Montevideo, dove riesce a recuperare la salute.
Nel 1949 Luce ottiene la cattedra di Letteratura Italiana all'Università
di Montevideo, che terrà fino al 1991, esclusa la parentesi
di dittatura militare (1975-1985). Numerosi sono i suoi saggi
pubblicati su Dante, Machiavelli e Leopardi.
Negli anni Cinquanta e Sessanta, accanto all'insegnamento, Luce
si dedica alla militanza nel movimento locale, pur non trascurando
contatti con gli ambienti italiani e internazionali. In particolare
s'impegna in un movimento pedagogico per la riforma autonomistica
della scuola secondaria; Luce vive questa sua attività
come parte integrante del suo concreto impegno politico in senso
libertario, un impegno che la vede critica nei confronti della
scelta della lotta armata. Dalla seconda metà degli anni
Sessanta infatti in Uruguay si delinea un periodo di forte tensione
interna, caratterizzata dalla lotta armata dei Tupamaros e dalla
conseguente dura reazione della classe dirigente che porterà
alla dittatura militare tra il 1975 e il 1985.
La sua posizione critica nei confronti dei Tupamaros e della
Rivoluzione cubana del 1959, di cui Luce Fabbri denuncia la
deriva autoritaria e antilibertaria, si inserisce in un'accesa
discussione e polemica all'interno della Federazione anarchica
uruguayana (Fau). Luce, trovandosi in minoranza su una questione
per lei imprescindibile, lascia l'organizzazione con pochi altri
compagni e fonda un proprio gruppo autonomo, il Grupo de Estudio
y Accion Libertaria e la rivista “Opción libertaria”.
A partire dal 1985, con l'inizio del processo di democratizzazione
dell'Uruguay, riprende la sua attività militante, a partire
dalla riapertura di “Opción libertaria”.
Riprende anche i contatti con l'Italia, diventando per esempio
collaboratrice della rivista “A rivista anarchica”
di Milano.
Nel 1993 Luce compie il suo ultimo viaggio in Europa, per prendere
parte alla Esposiciòn internacional anarquista di Barcellona.
L'intervento che legge al Convegno, Una utopìa para
el siglo XXI, viene pubblicato sul n. 205 di “A rivista
anarchica” e può essere inteso come il suo testamento
spirituale. Approfittando del viaggio a Barcellona si reca per
qualche settimana in Italia, e sarà per lei l'ultima
volta che rivedrà il paese natale. Negli ultimi anni
Luce si dedica alla scrittura della biografia del padre, Luigi
Fabbri. Storia di un uomo libero, pubblicato nel 1996. Attiva
sino agli ultimi giorni della sua vita, Luce Fabbri muore a
Montevideo il 19 agosto 2000 nella sua casa, in J.J. Rousseau
3659.
Lorenzo Pezzica
Note
- Luce Fabbri, Socializzazione e libertà, “A
Rivista Anarchica”, xxix, 1999, n. 255.
- Luce Fabbri, Obiezioni a una recensione, “Volontà”,
1952, n. 9, pp. 524-527.
- Pier Carlo Masini, Introduzione a Luce Fabbri, Luigi
Fabbri. Storia d'un uomo libero, Bfs, Pisa 1996, p. 9.
- Sulla riflessione di Luce Fabbri sul tema del totalitarismo
vedi Lorenzo Pezzica, La collaborazione di Luce Fabbri alla
rivista Volontà (1946-1960), in Maurizio Antonioli,
Roberto Giulianelli (a cura di), Da Fabriano a Montevideo.
Luigi Fabbri: vita e idee di un intellettuale anarchico e antifascista,
Bfs, Pisa 2006, pp. 223-234.
- Alessandro Dal Lago, La città perduta, introduzione
a Hanna Arendt, Vita activa. La condizione umana, Bompiani,
Milano 2004, p. X.
- Luigi Fabbri (1877-1935) è considerato uno dei pensatori
più originali dell'anarchismo italiano. Nel 1903 fonda
con Pietro Gori la rivista “Il Pensiero” alla quale
collaborano i nomi di maggior rilievo dell'anarchismo internazionale.
Nel 1921 pubblica Dittatura e Rivoluzione, prima opera
critica sul bolscevismo, e nel 1922 La controrivoluzione
preventiva, una delle analisi più complete sulla
nascita del fascismo. Duramente perseguitato, espatria clandestinamente
in Francia nel 1926, morendo esule a Montevideo.
- Osvaldo Bayer, Severino Di Giovanni. C'era una volta in
America del Sud, Agenzia X, Milano 2011.
- Sinesio Baudilio García Fernández (1897-1983),
noto con lo pseudonimo di Diego Abad de Santillán, è
stato importante esponente dell'anarchismo argentino e spagnolo.
Editore e scrittore, partecipa alla Guerra civile spagnola.
- Ugo Fedeli, Congressi e Convegni, Ed. fai, Genova 1963,
pp. 43-68.
- “Volontà” è titolo malatestiano:
era infatti il titolo dato da Errico Malatesta al suo giornale
pubblicato ad Ancona tra il 1911 e il 1914, ma anche il titolo
del giornale di Luigi Fabbri tra il 1919 e il 1920; nel 1924
infine Malatesta, con Fabbri, dà vita a “Pensiero
e volontà” che uscirà fino al 1926. In effetti
la rivista era stata preceduta da tre brevi esperienze giornalistiche:
“La Rivoluzione libertaria”, “Risveglio libertario”
e “Volontà” giornale. Oltre a Malatesta la
rivista si richiamava fortemente anche al pensiero di Luigi
Fabbri e a quello di Camillo Berneri. A partire dal 1946 “Volontà”
uscirà quasi ininterrottamente fino al 1996. Dopo il
1996 “Volontà” è stata sostituita
da una nuova iniziativa editoriale: la rivista “Libertaria”.
Molti sono i collaboratori italiani e stranieri quali per esempio:
Armando Borghi, Ugo Fedeli, Lamberto Borghi, Pier Carlo Masini,
Luis Mercier Vega, Gaston Leval, Carlo Doglio, Albert Camus,
George Woodcock.
- Cfr. Luce Fabbri, Sotto la minaccia totalitaria: democrazia,
liberalismo, socialismo, anarchismo, RL, Napoli 1955.
- Enzo Traverso, Il totalitarismo: Storia di un dibattito,
Bruno Mondadori, Milano 2002, p. xii.
- Dopo avere forgiato il concetto negli anni Venti la cultura
italiana si astenne dal discuterlo nel dopoguerra, fino a un'epoca
recente. Percepito prima come un vocabolo irrimediabilmente
contaminato dal fascismo, poi come una parola d'ordine anticomunista
durante la Guerra fredda, il termine sarà a lungo messo
al bando e coltivato da pochi spiriti anticonformisti. Per avere
un'idea del ritardo con il quale questo dibattito è giunto
in Italia, basti pensare che il libro della Arendt Le origini
del totalitarismo viene tradotto in Italia solo nel 1967,
sedici anni dopo l'edizione originale, così come Le
origini della democrazia totalitaria di Jacob Talmon, tradotto
anch'esso nel 1967. L'opera di Carl Joachim Friedrich e Zbignew
Brzezinski, Totalitarian Dictatorship and Autocracy,
del 1956 non è ancor oggi pubblicato, mentre occorre
aspettare il 1997 per l'organizzazione, a livello universitario,
del primo convegno italiano dedicato al tema del totalitarismo.
- Lelio Basso, Due totalitarismi: fascismo e democrazia
cristiana, Garzanti, Milano 1951.
- Luce Fabbri, Sotto la minaccia totalitaria: democrazia,
liberalismo, socialismo, anarchismo, RL, Napoli 1955, p.
40.
- Luce Fabbri, Camisas negras: estudio critico historico
del origen y evolucion del fascismo, sus hechos y sus ideas,
Buenos Aires 1934.
- Bruno Rizzi, Il collettivismo burocratico, Ed. Galeati,
Imola 1967; Bruno Rizzi, La burocratizzazione del mondo,
Colibrì, Paderno Dugnano 2002; James Burnham, La rivoluzione
dei tecnici, Mondadori, Milano 1946; Id., I difensori
della libertà, Mondadori, Milano 1947.
- Czeslaw Milosz, La mente prigioniera, Adelphi, Milano
1981.
- George Orwell, 1984, Mondadori, Milano 2004.
nota
a margine
Il rischio:
un teatro delle pari opportunità
di
Martina Guerrini
È
questo il rischio che si corre nel mettere su di un piedistallo
le “brave compagne” accanto ai “bravi
compagni”.
Mentre le riflessioni critiche che ci servono ci interrogano
su ben altri piani.
Il libro di Lorenzo Pezzica, Anarchiche. Donne ribelli
del Novecento, può essere inserito nel filone
di renaissance del protagonismo femminile dell'Otto
e Novecento, uno “strano” caso di uscita dalla
minorità dei cultural studies di genere
che sembra letteralmente “scoppiato” in Italia
negli ultimi anni, e sul quale sarà inevitabile
soffermarsi.
Tuttavia questo interessante lavoro parte in vantaggio
rispetto ad altre pubblicazioni, per la scelta di evidenziare
le responsabilità politiche degli anarchici nell'aver
emarginato il contributo femminile nella teoria e nella
pratica antiautoritaria.
Scrive con parole essenziali Ida Farè nella bella
prefazione al testo: “possiamo dire che queste donne
hanno preso molto sul serio i proclami dei loro compagni
di lotta, portando alle estreme conseguenze le loro istanze
e ponendosi in modo critico rispetto al loro naturale
e spesso inconsapevole maschilismo”.
Questa traccia interpretativa è assai utile per
leggere non solo il libro di Pezzica, ma tanta parte della
contemporanea rimozione del contributo delle compagne
all'anarchia.
Se da una parte esiste un problema concreto e reale di
sessismo nel movimento, non solo in Italia e da più
parti è stato sollevato con forza, dall'altra è
urgente fare i conti sia con la eleborazione storiografica
sia con il metodo che si sceglie per indagare i motivi
della presenza persistente della discriminazione di genere.
Mi chiedo se sia sufficiente, soprattutto da parte maschile,
ri-scoprire le biografie femminili scontatamente rilevanti
(Emma Goldman, per esempio, non è mai stata dimenticata
dalle compagne anarchiche, come testimoniano le pubblicazioni
curate dalle edizioni Bfs, La Fiaccola e Zero in Condotta),
mentre non muta un metodo classificatorio secondo il quale
alcune, più “notabili” di altre, meritino
una rievocazione. Non è forse questo un approccio
storiografico che ha privilegiato la mitizzazione di alcune
figure fondative dell'anarchismo, favorendo una gerarchia
indebita, e nella quale è stato largamente favorito
il fantasma femminile? Era questo il sentire delle epoche
così narrate? E come si spiega la considerazione
nella quale Carlo Cafiero teneva Anna Kuliscioff, o la
fiducia che Malatesta riponeva in Maria Luisa Minguzzi,
detta “Gigia”, che a Firenze ebbe un ruolo
essenziale nella nascita del movimento femminile italiano
e dell'Internazionale, o in Elena Melli, capace di sostituirlo
in un comizio degli Arditi del Popolo a Roma? Siamo davvero
sicuri che questa gerarchia della fondazione sia priva
di conseguenze, sia sul piano di genere, che in quello
più ampio della corretta ricostruzione storica?
Più volte ho avuto l'impressione – confesso
che mi è stata talvolta suggerita da ricercatori
storici del movimento, ad esempio l'amico Gigi Di Lembo
– che nei primi anni del Novecento vi fosse una
diversa messa in questione della relazione mista della
militanza. Sfogliando le pagine dei giornali livornesi
come Il Seme o il Sempre Avanti!, ad esempio, fin dai
primi anni del secolo passato possono leggersi interventi
ben più anticonformisti e avanzati rispetto a quanto
la controriforma del dopoguerra permetteva sulla relazione
tra i sessi, sul problema dell'autonomia delle donne e
dell'eguaglianza (che niente aveva a che vedere, è
bene chiarirlo una volta per tutte, con quella formale
sostenuta dalla sinistra comunista e socialista).
Altri linguaggi, altri soggetti
L'epoca precedente al fascismo e, soprattutto, alla restaurazione
repubblicana parlava altri linguaggi e altri soggetti
avevano voce e ascolto. Eppure questa storia appartiene
all'anarchismo tanto quanto le esperienze e le vicende
dei vari Malatesta, Cafiero, Fabbri ecc... perché
essi stessi respiravano e si formavano in quelle medesime
discussioni.
Esiste tuttavia anche un problema rispetto all'analisi
urgente di questa rimozione e oblio. La tendenza diffusa,
se non fraintendo, mi pare quella di utilizzare il paradigma
femminista-marxista del cosiddetto “sospetto epistemologico”,
ovvero analizzare il sessismo del movimento anarchico
ricercando le eventuali impostazioni sessiste del pensiero
dei Padri fondatori, esacerbando la stortura storiografica,
Dunque può essere sufficiente questo approccio
analitico per capire quel che è accaduto?
È proprio perché occorre aggredire il nodo
che tiene insieme le discriminazioni che percorrono la
nostra storia recente e contemporanea, che dobbiamo scegliere
opportunamente i nostri più utili strumenti, evitando
facili scorciatoie che spesso si rivelano come la conseguenza
dell'assenza di una autonoma riflessione e pratica su
questi temi, in particolare sulla questione di genere.
Senza contare che un sano dubbio epistemologico dovrebbe
al contrario coglierci di fronte al dominante fiorire
di parole e pensieri su tale problema, indicato sempre
e soltanto come il nesso tra donne e potere e la loro
esclusione storica dalle istituzioni.
Se esistono caratteri comuni capaci di legare indissolubilmente
femminismo e anarchia, metodo ed esperienza occupano un
ruolo indispensabile e prioritario. Se donne e uomini,
nel movimento anarchico, hanno sfidato oppressioni intrecciate
di vario ordine, e se le loro biografie parlano di questo,
non sono forse tanto i loro nomi e cognomi che dobbiamo
ricordare e mettere su di un piedistallo, quanto cogliere
nella loro esperienza elementi utili a comprendere e modificare
l'esistente.
In Turchia come in Spagna
En passant, mettere su di un piedistallo un'idea,
oltre che una persona, è un modo per sterilizzarla,
pulirne le imperfezioni, dimenticando che spesso –
nel tempo – quelle stesse imperfezioni germogliano
nuovi fiori, più resistenti e consapevoli. Se per
le terribili convinzioni misogine di Camillo Berneri sulle
relazioni tra i sessi oggi il movimento anarchico è
capace di provare insofferenza, pur senza proporre un
autonomo dibattito antisessista, è forse perché
la storiografia che abbiamo ereditato non è stata
capace di far saltare il metodo, il cuore dell'anarchismo.
Un metodo che ha offerto, come evidenzia Ida Farè
nella ricostruzione degli eterni ritorni delle lotte femministe,
“percorsi intricati”, “astuzie”
“spesso all'ombra del potere patriarcale, per esprimere
(...) la nostra ancora lontana libertà”.
Pensiamo al fatto, emergente anche nel testo di Lorenzo
Pezzica, che un numero non irrilevante di anarchiche erano
individualiste. Un caso? Può darsi. Resta il fatto
che il metodo anarchico offre molte vie di fuga a chi
si sente stretto tra i compagni di viaggio.
Queste riflessioni hanno guidato la mia lettura di Anarchiche,
nel tentativo di allontanare la tentazione di mettere
sullo stesso piedistallo altrettante figure femminili,
con il rischio di allestire un brutto teatro delle pari
opportunità del quale possiamo fare a meno, ed
evitando di sospirare malinconicamente sulla odierna mancanza
di figure così epiche, mentre molte, troppe compagne
finiscono in galera lottando contro il Tav, o si difendono
coraggiosamente contro un compagno oppressore e l'immancabile
omertà/complicità maschile del centro sociale
o circolo politico nel quale militano.
Mentre sospiriamo, migliaia di persone con lingue diverse
e calpestando piazze diverse insorgono in Africa, in Grecia,
in Turchia come in Spagna. E le bandiere, se stringiamo
gli occhi per la messa a fuoco, dalla Valsusa fino ad
oriente sono spesso nere e parlano di metodo ed esperienza.
Martina Guerrini
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