politica
La deriva del sistema Stato
di Antonio Cardella
Per noi contano sempre e solo le donne e gli uomini che sono costretti nella realtà quotidiana a schivare, sin dove è possibile, le insidie di un sistema politico-economico oppressivo, iniquo e socialmente insostenibile.
Credo proprio che quello del commentatore politico sia oggi un mestiere del tutto impossibile, anche se l'aria che respiriamo è attraversata da flussi imponenti di notizie, informazioni, pettegolezzi trasmessi da una molteplicità incredibile di fonti di incerta attendibilità. E il problema non è più quello di operare una tara, di selezionare le voci più prossime a quella che noi percepiamo come realtà esistenziale della comunità alla quale apparteniamo, ma di arginare un immaginario collettivo che tende a disperderci nel nulla della politica.
Se invece di essere ospite placido di questa rivista, i cui tempi di allestimento consentono la metabolizzazione degli eventi o, meglio, una certa cernita dei fatti dalla mistificazione delle tante parole in libertà, se fossi destinato a rappresentare un quotidiano frammentato e contraddittorio, il cui dato incontrovertibile è solo lo spaesamento di esistenze oppresse e private di futuro, allora, con ogni probabilità, sarei anch'io travolto dalla necessità di aggiungere il mio al vaniloquio dilagante.
Il fatto è che, se manca il tracciato che prefiguri la proiezione verso un futuro razionale e compatibile con un presente non mistificato, allora la politica perde la sua ragion d'essere: si riduce a registrare un presente che sfugge alla sua sfera di competenza e costringe la realtà sociale ad una navigazione a vista estremamente pericolosa. Fatta questa premessa, coerenza vorrebbe che il discorso si chiudesse qui.
Ma noi anarchici diamo della politica un'interpretazione diversa. Per noi ad urlare non sono i fatti che attengono alla sfera istituzionale: quello che avviene nei parlamenti o nei palazzi dove si esercita il potere è solo l'apparato scenico di una compagnia di teatranti che si agita e urla sul proscenio per occultare ciò che accade dietro le quinte, dove gli apparati di Stati largamente illegittimi per difetto di rappresentanza reale e autoreferenziali muovono le pedine di una partita che ha come posta solo la propria sopravvivenza.
Innumerevoli vittime innocenti
Per noi fare politica significa promuovere e sostenere comunità che, nello specifico del loro tessuto culturale, autoregolino la propria esistenza con norme condivise sempre revocabili con il mutare dei tempi e degli eventi. Comunità che non debbano veder veleggiare sulle proprie teste leggi e imperativi maturati in un altrove estraneo e insensibile alle concrete esigenze delle comunità stesse. Per noi, immersi in un presente con il quale siamo in conflitto perenne, quello che conta sono le difficoltà, le sofferenze e spesso le tragedie che il sistema politico ufficiale produce. Contano sempre e solo le donne e gli uomini che sono costretti nella realtà quotidiana a schivare, sin dove è possibile, le insidie di un sistema politico-economico oppressivo, iniquo e socialmente insostenibile. E in un panorama più ampio, conta la sorte delle innumerevoli vittime innocenti che un'infinità di guerre regionali, scatenate da sordidi interessi egemonici e inqualificabili fanatismi, religiosi e no, producono senza soluzione di continuità, in ogni angolo del mondo.
Degrado della vita pubblica
Ma, per tornare al qui ed ora dello specifico italiano, diciamo subito che il vuoto della politica si rende più visibile per l'inconsistenza degli equilibri tra i poteri istituzionali che dovrebbero garantire il funzionamento del sistema. Il dato di un potere giudiziario che, di fatto, è costretto a debordare dai suoi ambiti per arginare la deriva sia del sistema parlamentare che dell'esecutivo è la più convincente dimostrazione che l'intero sistema è andato in tilt. Hanno voglia Berlusconi e berlusconiani a urlare contro lo strapotere dei giudici quando sono stati proprio loro a ridurre parlamento ed esecutivo a un orgiastico banchetto di crapuloni, convinti di poter usare a proprio esclusivo vantaggio le risorse pubbliche; a vanificare le più elementari norme del diritto con abusi e stravolgimenti legislativi per parare conseguenze giudiziarie contro il loro leader, riconosciuto finalmente delinquente abituale, e per favorire privilegi indecorosi, quando non addirittura consorterie criminali, numerose nel nostro Paese, a partire dalle molte mafie, e giù per le vie sino ai boiardi di Stato, agli organi elettivi degli enti locali, alle associazioni affaristiche, anche a sfondo religioso. Con questo non si intende certo assolvere il Terzo potere che è anche lui non privo di pecche vistose, con una bilancia che non sta mai in equilibrio e pende spesso a favore dei potenti.
Il quadro, molto sinteticamente qui tracciato, aggrava la deriva di un sistema Stato che ormai, soprattutto nel mondo occidentale, non regge più.
Non bisogna certo essere anarchici per registrare il fallimento di organismi internazionali nati con la velleità di armonizzare economie, culture e tradizioni molto diverse tra loro. La Comunità europea ha ridotto drasticamente l'autonomia funzionale degli apparati statali, senza riuscire a sostituirli con una sintesi credibile. L'idea che la moneta unica fosse motrice di normative funzionali alla realizzazione di un'unità del continente, un'unità quantomeno in progress, con tappe e tempi certi e riconoscibili, è palesemente fallita: è fallita la concezione di aggregare apparati statali che già al loro interno mostravano crepe paurose. Moltiplicando le deficienze è chiaramente impossibile ottenere un risultato di segno opposto.
Anche in ambito comunitario si naviga a vista, con una banca centrale che vomita miliardi destinati in massima parte al sistema bancario, il quale li impiega per bilanciare il peso di titoli di Stato incamerati un po' per imposizione, molto per compensare la montagna di derivati tossici occultati negli armadi. Sostegno all'economia reale neppure a parlarne, anzi, in molti Paesi in difficoltà, l'erogazione del credito si riduce provocando fallimenti a catena di piccole e medie iniziative imprenditoriali ed un'erosione sistematica dei risparmi delle famiglie, spesso accumulati in anni di duri sacrifici.
La piaga emergente di questo empasse della politica comunitaria è il livello di disoccupazione che ha orma raggiunto quasi il 13% della forza lavoro, senza contare categorie che sfuggono alle indagini statistiche, sia perché costituite da un precariato volatile e privo di garanzie, o da lavoratori potenziali che ormai il lavoro non lo cercano più.
C'è solo l'irrigidimento, miope e privo di visione strategica, del pareggio di bilancio, che scarica sulle spalle dei cittadini il peso di gestioni, il più delle volte criminose, del denaro pubblico. Ormai non esiste angolo del mondo in cui non si scoprono somme imponenti di denaro pubblico che finiscono nelle tasche di personaggi politici, gran commis, amministratori pubblici e privati posti ai vertici delle istituzioni. Anche questa corruzione diffusa è un segnale significativo del degrado della vita pubblica in gran parte dell'Europa, dove, appunto, di politica, intesa come prospettiva di futuro, neppure l'ombra.
Quei valori di libertà e di giustizia
Abbiamo sempre sostenuto che questo mondo non ci piace e non
certo per ragioni estetiche, ma per il persistere generalizzato
di costrizioni aggregative basate sulla conflittualità
sociale, sullo sfruttamento e sulle logiche di dominio. Un mondo
che continua a produrre macerie con le quali ovviamente anche
noi siamo costretti a convivere con grande disagio.
Ecco perché, come si diceva all'inizio, il mestiere di
chi si trova a dover descrivere l'esistente, è un mestiere
infame. L'esercizio della critica può apparire suggestivo
e persino gratificante, ma poi, se guardiamo in faccia la realtà,
mostra la sua profonda inadeguatezza.
Dovremmo allora parlare di noi, di come ci attrezziamo per iniziare
quel lungo viaggio verso generazioni antropologicamente diverse,
che siano disposte a ignorare la memoria storica di epoche che
hanno prodotto i disastri da cui noi stessi non sappiamo ancora
come uscire. Dobbiamo disporci a vivere una sorta di vita parallela
che ci consenta, da un lato, di continuare a vivere al limite
dell'impossibile quei valori di libertà e di giustizia
che riteniamo irrinunciabili; dall'altro a non estraniarci,
anzi, di condividere le difficoltà, le sofferenze, i
drammi della nostra gente.
Come farlo dovrebbe costituire argomento finalmente approfondito,
senza che ci distraggano problematiche fittizie che, troppo
spesso, hanno disperso le nostre energie.
Antonio Cardella
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