Prato Carnico (Ud)/
Riapre la Casa del Popolo (un secolo dopo)
È il 26 ottobre. Siamo in tre da Trieste (due anarchiche
del Germinal e un anarcosindacalista dell'Usi) ad alzarci di
mattina presto per andare a Prato Carnico, in Carnia, per partecipare
alla riapertura della Casa del Popolo dopo anni di ristrutturazioni.
Ci andiamo perché nei decenni si è creato un forte
legame tra Trieste e la Val Pesarina, fatto di iniziative (una
manifestazione contro la strage di stato nel gennaio 1972, la
presentazione nel 1983 del libro sul “funerale ribelle”
dell'anarchico Casali avvenuto nel 1933 in pieno fascismo, l'organizzazione
della Fiera dell'Autogestione nel 1997), ma anche di amicizie
personali, di gite e tentativi di sciate, di acquisti di prodotti
della valle quali il formaggio, i fagioli, le patate, i frutti
di bosco e i funghi.
Perché è importante in particolare per noi anarchici
questa Casa del Popolo? Perché l'idea della sua creazione
era nata tra gli emigrati in Germania già nel 1908, e
nel febbraio del 1913, grazie al lavoro di valligiani ed emigranti,
era stata inaugurata. Una casa molto grande per permettere di
svolgervi tante attività: ristorazione, stanze per dormire,
biblioteca, uno stupendo salone affrescato per conferenze e
dibattiti e, non si dimentichi, i balli e la socializzazione
tra i giovani che tanto infastidivano le parrocchie della valle
sempre poco frequentate.
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26 ottobre, Prato Carnico (Ud). Riapertura della Casa del
Popolo |
Affrontiamo una lunga strada tra la nebbia. Ma arrivati in
Val Pesarina la nebbia scompare e il sole illumina le belle
montagne. Arriviamo davanti alla Casa del Popolo, tutta rosa
e tirata a lucido. C'è già tanta gente, circa
500 persone. Tutta la valle, certamente anche altre valli, alcuni
indossano gli zoccoli e i costumi tradizionali, altri sono vestiti
alla montanara come sempre.
Ci mettono un'ora per fare la foto di gruppo. Intanto li osservo.
La maggior parte sono di mezza età, anziani, bambini,
pochi giovani che, a quanto pare, non sono tanto coinvolti dalla
commemorazione.
Dopo la foto, la “processione” con banda attraversa
tutto il paese. Tiriamo fuori le nostre bandiere rosso-nere
e nere. Alcuni sono preoccupati, altri sorridono. I più
giovani chiedono cosa rappresentano. Vendiamo anche Umanità
Nova e Germinal.
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La donna in prima fila, di fronte a quella
in costume, tiene avvolta la figlia nella ex-bandiera anarchica
storica (rossa con frangia nera) sulla quale sono stati attaccati
successivamente la falce e il martello |
Poi si torna indietro e iniziano i discorsi. Una caterva. Anche
il sindaco, leghista, si adegua alla situazione (le elezioni
sono vicine, mai perdersi l'elettorato); sappiamo però
di censure preventive su canti e musiche proposti quali Bella
Ciao e L'Internazionale. I bimbi cantano ma anche
parlano, in lingua friulana e italiana. La banda continua a
suonare; solo su richiesta affronta un Inno dei lavoratori.
Affiorano ricordi personali e politici.
Parla anche Ido Petris, il compagno anarchico presidente della
cooperativa che ha gestito la Casa del Popolo fino al 2004 quando
ha dovuto arrendersi di fronte agli enormi costi che la ristrutturazione
di un tale edificio comportava e l'ha affidata al comune. Parla
anche lo storico anarchico triestino Claudio Venza che ribadisce
la centralità della coscienza storica e diffonde, assieme
ad altri, un volantino riproducente il manifesto di apertura
del 1913 incentrato sugli ideali di libertà, solidarietà,
laicità.
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L'anarchico Ido Petris attende di prendere
la parola |
Nella Casa ora sono ospitati l'Archivio Storico e la Biblioteca
Pubblica. Speriamo che non rimanga un guscio vuoto e che continuino
le iniziative che possano attirare anche i giovani, oggi quasi
assenti.
Un'ultima nota curiosa. Una giovane donna teneva tra le braccia
la figlia avvolta in una bandiera rossa, con una frangia nera.
Sopra, in modo approssimativo, in panno nero erano attaccate
la scritta P.C.D.I e una stella nera. Ho chiesto informazioni
su questo strano connubio. Lei mi ha risposto che probabilmente
era una storica bandiera trafugata agli anarchici e poi trasformata
dai comunisti e conservata così anche durante gli anni
del fascismo. Sarebbe bello che anche questa bandiera divenisse
parte dell'Archivio della Casa del Popolo.
Clara Germani
Editoria/
Dopo Francoforte
Alla Fiera di Francoforte nello scorso ottobre, l'Associazione
Italiana Editori presentava secondo tradizione il proprio rapporto
sullo stato della lettura in Italia, con dati alquanto sconfortanti:
“Annus horribilis per il settore che registra una
chiusura apparentemente più contenuta rispetto al pesante
segno meno da Nielsen per le vendite dei canali trade
(quelli rivolti al pubblico, -7,8%), attestandosi su un -6,3%
complessivo. Un dato in verità ben più negativo
e che raggiunge quota -8,4% se dal perimetro complessivo del
mercato del libro si esclude – come ormai è necessario
– il non book (fatto sempre meno da prodotti di cartoleria
e sempre più da gadget) e il remainders.”
Il
tutto mentre la produzione subiva solo una relativa contrazione:
61mila i titoli in Italia, 220 milioni le copie stampate. Diminuiva
il prezzo medio e raddoppiano i titoli digitali, che rappresentavano
comunque una quota di scarso rilievo.
A commento di questa situazione, si leggevano sul Corriere della
Sera le lamentazioni di Gian Arturo Ferrari:
“Nei corridoi semivuoti della Fiera di Francoforte il
declino italiano diventa palpabile. Spazi abbandonati, con rade
sedie. Stand – quelli rimasti – con dimensioni ridotte,
in una patetica ostentazione di parsimonia... Le responsabilità
sono, come sempre, di tutti e di nessuno. Sono della mano pubblica,
che ha martoriato una scuola già debole. E non ha saputo
creare una platea di lettori perché non ha mai davvero
creduto che leggere libri fosse uno degli attributi essenziali
della cittadinanza moderna. Sono del privato, che non è
mai riuscito a mettere sensatamente insieme proprietà,
management e competenza editoriale. Sono del Paese nel suo insieme,
che non ha mai avuto la capacità di vedere pubblico e
privato come facce della stessa medaglia e li ha lasciati lì
a ignorarsi o a guardarsi in cagnesco.” (dagospia.com/rubrica-29/Cronache/e-anche-nelleditoria-siamo-un-paese-di-carta-straccia-a-francoforte-aria-di-disfatta-64577.htm)
Giustamente Christian Raimo ha fatto rilevare come quelle di
Ferrari fossero le classiche lacrime di coccodrillo:
“Gian Arturo Ferrari, il presidente del Centro per il
libro e la lettura, ossia colui che la politica – il Ministero
dei Beni Culturali nella gestione Bondi-Galan – ha designato
per dirigere l'istituzione più importante per trovare
soluzioni a un mondo complicato e in supercrisi come quello
del libro, dovrebbe appunto trovare soluzioni, non lanciare
geremiadi sul Corriere: questo mi sembra il compito di un'istituzione...
E lo dico, sul serio, senza polemica. In qualità di editorialista
trovo i suoi pezzi trancianti, millimetricamente centrati, ben
scritti; con l'unico difetto – piuttosto evidente: che
dovrebbero essere diretti contro se stesso visto che Ferrari
mantiene questo ruolo al Cepell. Si tratta, a ben pensare quindi,
di un difetto facilmente eliminabile.” (minimaetmoralia.it/wp/giusto-due-parole-a-gian-arturo-ferrari/)
Va ricordato anche che Ferrari, prima di diventare presidente
del Cepell, era stato a capo della Mondadori e primo fautore
della politica mercatista del gruppo che ha contribuito a provocare
il soffocamento di tante librerie, l'annichilamento dell'editoria
indipendente e la precarizzazione del lavoro editoriale.
Se la situazione italiana, con queste premesse, non risulta
proprio brillante, va detto che mai come quest'anno alla Buchmesse
i venti di crisi hanno raggelato l'atmosfera, dimostrando che
sia in sofferenza l'intero settore librario: non c'era un editore
che non parlasse di un calo delle vendite, di una limitazione
del proprio programma editoriale, soprattutto nell'acquisto
di diritti di traduzione. In passato le eterne crisi del libro
erano vissute in ben altro modo alla fiera: si cercava di reagire
con nuovi progetti e nuove idee e il clima generale era di grande
vivacità e stimolo. Ora, invece, regnava tra gli stand
di ogni paese una grigia depressione, più o meno accentuata
da paese a paese. A me ha colpito il grave stato recessivo dell'editoria
olandese, un tempo citata a esempio come tra le più vitali.
Il che mi ha indotto a riflettere: penso che la causa stia nel
fatto che i Paesi Bassi sono l'area più “digitalizzata”
d'Europa, a riprova che il libro oggi patisce la concorrenza
dell'elettronica. Non tanto del libro elettronico – l'ebook
rappresenta solo una quota limitata del mercato librario ed
è pur sempre un libro – ma del consumo di prodotti
digitali nel loro insieme. Chi era abituato a dedicare due ore
della propria giornata alla lettura di un libro, oggi le riserva
alla navigazione online con tutte le opportunità che
offre. Le nuove generazioni, nate e cresciute con l'elettronica,
hanno più familiarità con il pc o con il tablet
che con la carta stampata.
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Francoforte (Germania), Fiera del libro, ottobre 2013 - John
Oakes e Colin Robinson, i fondatori di ORBooks, alla presentazione
del libro Acorn di Yoko Ono |
È allora prossima la fine del libro? Io credo di no:
potrà affrontare la concorrenza multimediale e ritagliarsi
uno spazio privilegiato, più limitato forse, ma importante
per la trasmissione del sapere. Molti operatori in campo editoriale,
consapevoli della necessità di un cambiamento profondo,
stanno già sperimentando nuove vie di sopravvivenza.
Io qui voglio citarne due che mi sembrano significative, una
americana e una asiatica.
OR Books è una casa editrice indipendente di New York,
fondata nel 2010 da due veterani del mondo editoriale, John
Oakes and Colin Robinson. Robinson aveva lavorato come redattore
da Scribner, come editore di The New Press e direttore di Verso;
Oakes è stato editore di Four Walls Eight Windows, vicepresidente
dell'Avalon Publishing Group, eancora editore di marchi di qualità
come Thunder's Mouth Press e Nation Books. Entrambi hanno fatto
tesoro delle esperienze precedenti per avviare una politica
assolutamente nuova e originale nel settore. Così la
illustrano sul sito della casa editrice (orbooks.com)
“OR Books è una casa editrice di nuovo tipo, favorevole
a un cambiamento progressista in politica, nella cultura e nel
modo di gestire le imprese. Il nostro catalogo è molto
selettivo: pubblichiamo solo uno o due titoli al mese, alternando
autori affermati e nuove scoperte. I nostri standard editoriali
sono rigorosi e le nostre copertine son chiare ed eleganti.
La promozione dei libri è vivace e con un uso creativo
di video e della Rete.
Per evitare sprechi di rese e invenduto, noi facciamo libri
solo quando sono richiesti, come copie print-on-demand o come
ebook da scaricare direttamente da piattaforme “laiche”.
Questo sistema abbrevia i tempi di produzione e ci permettere
di uscire rapidamente con testi di grande attualità.
E soprattutto, noi vendiamo direttamente al lettore, in pronta
consegna, quando il libro esce e/o ci viene ordinato.
Il nostro sistema indica un nuovo futuro per l'editoria libraria.”
Tara Books è una casa editrice indiana che pubblica soprattutto
album illustrati e che si è conquistata nel corso degli
anni una fama internazionale. Sul suo sito (tarabooks.com) si
presenta così:
“Tara Books è una casa editrice indipendente di
libri illustrati per adulti e bambini e ha sede a Chennai, nell'India
meridionale. Fondata nel 1994 resta sempre un collettivo di
autori, designer e artisti impegnati per assicurare un connubio
di bellezza formale e ricchezza di contenuti. Lavoriamo con
una tribù sempre più ampia di gente avventurosa
di ogni parte del mondi. Orgogliosi della nostra indipendenza,
pubblichiamo un catalogo scelto che attraversa diversi generi
e offre ai nostri lettori voci insolite e rare dell'universo
artistico e letterario.”
Due sono dunque le caratteristiche che rendono Tara Books un
editore capace di reggere la concorrenza nel mondo globale.
Tutti i membri del collettivo, qualunque sia la loro mansione,
partecipano in termini di parità alle scelte e ai proventi.
C'è poi la decisione di mettere al primo posto le proprie
capacità artigianali: gli album più belli sono
illustrati da artisti di villaggio e sono prodotti con tecniche
di stampa non convenzionali: serigrafie policrome o impressioni
a tampone, su preziose carte a mano. I progetti sono fatti in
modo da poter inserire il testo in lingue diverse: è
così che la pratica artigianale della produzione può
raggiungere uno spazio globale: i libri di Tara Books trovano
lettori in tutta Europa, negli Stati uniti, in Brasile e in
Giappone.
Guido Lagomarsino
Storiografia dell'anarchismo/
Un seminario e un convegno
L'Archivio Famiglia Berneri-Aurelio Chessa e la Biblioteca
Panizzi hanno organizzato a novembre a Reggio Emilia un seminario
pubblico dedicato alla storiografia dell'anarchismo italiano
dal 1945 a oggi e, per il 2014, promuoveranno un convegno dedicato
allo stesso tema.
Il seminario (Metodi e temi della storiografia sull'anarchismo)
è indispensabile tappa di avvicinamento al convegno,
che si terrà il 10 e l'11 maggio 2014 con il titolo:
150 anni di lotte per la libertà e l'uguaglianza.
Per un bilancio storiografico dell'anarchismo italiano.
Il seminario, partecipatissimo, ha visto per l'intera giornata
un intenso avvicendarsi di studiosi per una bella occasione
sia per storici che per appassionati.
La scelta del 2014 per il convegno ha valore simbolico e coincide
col bicentenario della nascita di Bakunin e il centocinquantesimo
della nascita della Prima Internazionale. Berti è coadiuvato
da un comitato scientifico creato ad hoc. Alcuni studiosi
fanno parte del comitato scientifico dell'Archivio Berneri-Chessa,
come Enrico Acciai, Alberto Ciampi, Carlo De Maria e Giorgio
Sacchetti; altri sono stati individuati tra esperti esterni
(Pietro Adamo, Franco Buncuga, Pasquale Iuso, Tiziana Pironi,
Massimo Ortalli, Salvo Vaccaro) e tra i migliori giovani ricercatori
impegnati su questi argomenti, quali Luigi Balsamini, Pietro
Di Paola, Antonio Senta e Selva Varengo.
Per informazioni: Archivio Aurelio Chessa-Famiglia Berneri,
tel. 0522 439323 / email archivioberneri@gmail.com.
Alberto Ciampi
Carrara/
Una mostra sulla “propaganda del fatto”
Dal 19 ottobre al 25 novembre scorsi il Centro Arti Plastiche
di Carrara ha ospitato la personale dell'artista statunitense
Sam Durant (Seattle 1961), ispirata alla storia del movimento
anarchico a cavallo tra il XIX e XX secolo. La mostra, curata
da Federica Forti, rientra nel programma espositivo della seconda
edizione di Database, progetto di ampio respiro che raccoglie
in sé mostre e attività culturali, ideato e realizzato
da Ars Gratia Artis in collaborazione con il comune di Carrara.
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Sam Durant |
Il progetto esposto, Propaganda of the Deed (“Propaganda
del fatto”), realizzato nel 2011 presso Telara Studio
d'Arte di Carrara, è frutto del fascino che la città
di Carrara ha esercitato sull'artista dopo la sua partecipazione
alla XIV Biennale di Scultura del 2010. In questa occasione
Durant ha infatti avuto modo di approfondire la conoscenza dei
laboratori artigiani, delle segherie e della storia di questa
città in cui l'estrazione del marmo è legata in
modo imprescindibile alla storia del movimento anarchico.
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Carrara, un particolare della mostra |
Una storia dell'azione (Propaganda del fatto è
il titolo tradotto) raccontata da Durant attraverso i busti
ritratto in marmo bianco di carrara di Gino Lucetti, Renzo Novatore,
Marie Louise Berneri, Carlo Cafiero, Errico Malatesta e Francesco
Saverio Merlino. In mostra anche le repliche in marmo di una
cassa di dinamite, tre scatole di cartone utilizzate per contenere
polvere da sparo e un sacco di carbonato di calcio.
Chiara Musso
press.database.carrara@gmail.com
Bergamo/
Buon compleanno Errico!
Sabato 30 novembre 2013 a Bergamo, nello spazio dell'Auditorium
di Piazza Libertà, è stato ricordato il 160°
della nascita di Errico Malatesta, nato a Santa Maria Capua
Vetere il 14 dicembre 1853. L'iniziativa è stata organizzata
dal Progetto “Il futuro della memoria. La storia va narrata”
in collaborazione con il Centro studi libertari-archivio Giuseppe
Pinelli di Milano, Elèuthera e Lab 80 film.
È stata una bella festa riuscita. L'evento è iniziato
alle 18.30 con la presentazione del libro di Vittorio Giacopini
Non ho bisogno di stare tranquillo Errico Malatesta, vita
straordinaria del rivoluzionario più temuto da tutti
i governi e le questure del regno. Ad ascoltare ben 150
persone. Non male per ricordare l'anarchico campano. E alla
sera, dopo un aperitivo conviviale, per la proiezione del film
Che gioia vivere! (1961) di René Clément
(con Alain Delon, Barbara Lass, Gino Cervi, Rina Morelli e Paolo
Stoppa), le persone sono state più di 200. Insomma una
giornata riuscita, con piacevole sorpresa da parte degli stessi
organizzatori.
Purtroppo per diversi motivi non erano presenti né Nico
Berti né Vittorio Giacopini.
Sul palco, insieme a Goffredo Fofi, Lorenzo Pezzica, direttore
scientifico del progetto “Il futuro della memoria”.
Una lunga chiacchierata, ricordando la vita e il pensiero di
Malatesta, ma anche divagando, grazie all'intervento di Fofi,
tra questioni del presente e ideali del futuro.
La sera, dopo un'accattivante introduzione di Fofi, la proiezione
del film di René Clément, ambientato a Roma nei
primi anni Venti. Protagonista Ulisse, che dopo essersi iscritto,
per fame, ai Fasci di combattimento, entra in contatto con una
famiglia di anarchici di cui fa parte la bella Franca. Un'ironica
rivisitazione storica e comicità di classe; un elegante
stile narrativo, legato ai moduli del cinema classico. Ottimi
gli attori. E il pubblico si è divertito e si è
appassionato. Che dire... ne è valsa veramente la pena.
Buon compleanno Errico!
Lorenzo Pezzica
Honduras/
Intervista a Bertha Cáceres
L'Honduras è il paese più violento del mondo,
l'impunità copre l'80% dei delitti e il suo territorio
è completamente militarizzato. I movimenti sociali sono
vittima di repressione e persecuzione giudiziaria, come nel
caso di Bertha Cáceres, coordinatrice del Copinh (Consejo
Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas
de Honduras). Il Copinh è una delle maggiori organizzazioni
del paese centroamericano e lotta in difesa dei diritti del
popolo indigeno lenca.
A causa dell'opposizione alla costruzione dell'idroelettrica
Agua Zarca, nella comunità di Río Blanco (Dipartimento
di Intibucá), Bertha Cáceres e altri due integranti
del Copinh, Tomás Gómez e Aureliano Molina, sono
stati accusati di gravi delitti. Abbiamo incontrato Bertha Cáceres
alla vigilia delle elezioni del 24 novembre, vinte poi dal nazionalista
Juan Orlando Hernández, proclamato presidente malgrado
le numerose accuse di brogli elettorali.
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Bertha Cáceres |
Bertha, di cosa ti accusa la Procura? Come sta andando
il processo giudiziario?
«La persecuzione giudiziaria è solo un'espressione
di tutta la persecuzione politica contro il Copinh ed è
una strategia definita a livello presidenziale. Siamo coscienti
che con la nostra lotta, che è pacifica però energica,
ci misuriamo con poteri grandi e influenti.
Una delle accuse che mi vengono rivolte è possesso illegale
di armi e la procura mi ha offerto di patteggiare: inizialmente
mi è stato proposto di chiedere perdono allo stato e
indennizzarlo, cosa che certamente non farò, visto che
non ho commesso nessun delitto. Poi, vista la pressione esercitata
dalla mia difesa, dai movimenti sociali, da Amnesty Internacional
e dalle migliaia di espressioni di solidarietà che in
tutto il mondo hanno denunciato quest'ingiustizia, il tribunale
mi ha proposto di chiudere il processo se, in cambio, avessi
pagato tutte le spese sostenute dallo stato. Ho rifiutato anche
questa proposta.
Per l'altro processo, in cui l'impresa ci accusa di danni continuati
e usurpazione, la prossima udienza è stata fissata per
l'11 febbraio.»
Il processo è stato avviato a causa dell'opposizione
del Copinh al progetto idroelettrico Agua Zarca, nella comunità
di Río Blanco. Perché questa lotta è tanto
importante per lo stato honduregno?
«Anni fa le comunità di Río Blanco che fanno
parte del Copinh hanno iniziato una lotta per il territorio
e per la difesa del fiume Gualcarque, che è un corso
d'acqua considerato sacro dal popolo indigeno lenca. Siamo riusciti
a cacciare Sinohydro/Desa, che è la più grande
impresa mondiale nella costruzione di centrali idroelettriche,
e a dedicarci ad un esercizio di autonomia e controllo territoriale.
L'impresa ha ottenuto la concessione illegalmente nel 2010 e
grazie ai suoi legami con i militari ha esercitato molta pressione
sulle comunità della zona, non solo minacciando ma anche
corrompendo le autorità e cercando di manipolare la popolazione.
Questo indica che le multinazionali non hanno bisogno di intermediari
politici, ma reprimono direttamente le comunità. Dove
esiste l'intenzione di costruire progetti minerari o idroelettrici
ci sono piani di militarizzazione. La lotta di Río Blanco
è un cattivo esempio per il grande capitale, perché
ha dimostrato che è possibile fermare un progetto di
dominazione e di privatizzazione, dimostra che è possibile
cacciare una trasnazionale.»
La persecuzione giudiziaria che lo stato sta portando
avanti nei tuoi confronti sembra inserirsi in un clima di criminalizzazione
della protesta sociale che sta vivendo il paese.
«Lo stato ha costruito strutture repressive che sono finanziate
da vari organismi, come la Banca Interamericana di Sviluppo
nel quadro piano di sicurezza regionale per il Centroamerica.
Oggi è un crimine difendere i diritti umani. Il Congresso
e l'oligarchia hanno impulsato la creazione della polizia militare
di ordine pubblico, che sta operando come una struttura paramilitare
contro i movimenti sociali. Non funzionano solo gli apparati
di polizia e di intelligence, ma anche agenti infiltrati e agenzie
di sicurezza private, che non sono altro che un altro esercito
che protegge gli interessi dei grandi impresari. Lavorano insieme
a polizia ed esercito e raddoppiano il numero dei loro effettivi.
Nella settimana elettorale è stata incrementata la presenza
di militari e poliziotti nelle strade, non è un clima
che aiuta lo svolgimento di elezioni democratiche.»
Alle elezioni presidenziali di domani la candidata per
il partito Libertad y Refundación (Libre) è Xiomara
Castro, moglie dell'ex presidente Manuel Zelaya, deposto nel
2009 con un colpo di stato. Ha proposto una “via honduregna”
al socialismo e vorrebbe rompere il bipartitismo che dura da
cent'anni. Qual è la sua opinione su Castro?
«Il popolo honduregno è assetato di cambiamenti
profondi, nel periodo successivo al colpo di stato abbiamo vissuto
un processo di presa di coscienza e formazione, soprattutto
nelle strade, dove abbiamo imparato più che in qualsiasi
altro posto.
Credo che sarebbe positivo se Libre vincesse le elezioni, è
necessario che un altro partito si installi nel governo honduregno,
non porterebbe cambiamenti profondi ma sarebbe un governo differente
a quello della destra fascista che ha governato finora.»
Orsetta Bellani
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