Le zone morte dell'immaginario
A distanza di pochi mesi dall'intervista
fatta a David Graeber per le pagine di questa rubrica, torno
a parlare del suo lavoro di riflessione politica e antropologica.
La traduzione, in un solo anno (2012), di ben quattro saggi
di antropologia scritti dallo stesso autore, è un evento
raro e forse unico nel panorama editoriale italiano. (Critica
della democrazia occidentale, Il Debito, La rivoluzione che
viene, Rivoluzione, istruzioni per l'uso). David Graeber
si sta in effetti imponendo sulla scena internazionale come
uno degli antropologi di riferimento, (González Díez
2013)un riferimento pericoloso per gli studi accademici classici
e per i ben pensanti dei dipartimenti. I suoi scritti infatti
sono sempre estremamente lucidi e critici nei confronti della
società del dominio.
Da
poche settimane è uscito in Italia un nuovo saggio particolarmente
interessante per la sua originalità tematica, dal titolo
Oltre il potere e la burocrazia (elèuthera, 2013).
Nella prima parte del saggio Graeber affronta da un punto di
vista antropologico le zone morte dell'immaginario create dalla
burocrazia per poi proseguire con un saggio interpretativo che
esplora le forme dell'azione diretta, che si sono affermate
negli ultimi quindici anni in Nord America, e le mobilitazioni
di massa organizzate dal cosiddetto movimento anti-globalizzazione,
insieme alla guerra delle immagini che le hanno accompagnate.
Nella prima parte del testo con una scrittura chiara e coinvolgente
chiarisce come utilizzando tanti piccoli divieti, ovvero perpetuando
quotidianamente tanti piccoli atti che violano la libertà
individuale il dominio riesce ad anestetizzare il nostro immaginario
e la voglia di vivere senza imposizioni. Graeber nelle prime
pagine chiarisce subito cosa intende quando parla di questi
micro atti violenti quotidiani. Per “violenza“ non
intendo qui quegli atti occasionali e spettacolari che ci vengono
in mente non appena viene evocata questa parola, quanto piuttosto
quelle forme noiose, monotone e onnipresenti di violenza strutturale
che definiscono le condizioni stesse della nostra esistenza;
quelle minacce, più o meno velate, di uso della forza
fisica contenute nelle norme che determinano dove è possibile
sedersi, stare in piedi, mangiare o bere nei parchi e negli
altri spazi pubblici, fino alle minacce, alle intimidazioni
fisiche o alle aggressioni che puntellano l'imposizione di tacite
norme di genere. Tanti piccoli divieti che nel complesso ci
abituano all'obbedienza e ci portano a creare dei veri spazi
morti nel nostro immaginario. Ma non solo, l'ipertrofia burocratica
che attanaglia molte società occidentali, è una
forma di semplificazione e, insieme, di impoverimento estremo
della realtà sociale.
L'imposizione di una burocrazia asfissiante si radica in primo
luogo nell'incapacità (o non volontà) di chi sta
al potere di impegnarsi in quello che Graeber chiama “lavoro
interpretativo“ – è ciò che, nella
vulgata mediatica, si definisce il “distacco“ della
politica dalla realtà. Si tratta di una situazione niente
affatto inedita nella storia occidentale. Dallo schiavismo,
al razzismo, al sessismo, fino all'attuale “ossessione
burocratica“, è avvenuto spesso che chi sta ai
vertici delle catene del comando non sia per nulla interessato
a cogliere il punto di vista dei dominati. Sono stati al contrario
gli schiavi, le donne oppresse da sistemi patriarcali, le minoranze
etniche discriminate a cercare di “capire“ i dominanti
e i loro punti di vista, e non viceversa. Un'immagine estremamente
miope del dominio troppo impegnato a gestire i suoi privilegi
per poter interpretare il mutamento sociale.
In passato in pochi si sono occupati della violenza strutturale
della burocrazia, soprattutto in campo antropologico. La ricerca
antropologica si è chiesta non tanto perché la
burocrazia produce assurdità, ma perché la gente
ritiene “normale“ tale assurdità. Graeber
invece va oltre e mette in discussione tutte le forme burocratiche
di organizzazione sociale – dagli ospizi per anziani alle
forze di polizia – rilevando come in ultima istanza la
loro legittimità si basi sempre sulla minaccia della
forza. Questo testo esplora quindi alcuni ambiti della vita
umana che mettono a disagio gli antropologi e i ricercatori
sociali in generale, ovvero quegli ambiti esistenziali, resi
possibili dalla violenza, che sono caratterizzati dalla rigidità,
dalla cialtroneria, dalla smemoratezza e dalla totale stupidità.
In
questa indagine cha va dalle piazze in fiamme per la protesta
sociale agli uffici asettici delle corporazioni burocratiche
Graeber, antropologo e attivista, si interroga sulle dinamiche
istituzionali, dandoci una sua interpretazione dell'immaginario
contemporaneo e degli spazi morti in cui si annida l'insensatezza
burocratica. Ci dona una riflessione completa, che parte dalla
cieca applicazione di procedure standardizzate, in cui la minaccia
della forza è latente e remota, per arrivare al vivo
delle manifestazioni di piazza, in cui il ricorso alla violenza
è esibito e immediato. Ci parla del Black Bloc che spacca
e incendia i simboli del dominio capitalista, affermando che
forse sono gli ultimi eredi di una tradizione artistico-rivoluzionaria
che passa per i dadaisti, i surrealisti e i situazionisti, una
tradizione che cerca di mettere il capitalismo di fronte alle
sue contraddizioni per rivolgergli contro le sue stesse forze
distruttive. E poi analizza la protesta immaginifica dei mega-pupazzi
e del travestimento grottesco, l'irrisione del potere attraverso
delle sculture plastiche trasportabili durante i cortei, che
dal suo punto di vista hanno creato maggiore attenzione da parte
delle forze repressive rispetto al blocco nero che è
più facilmente attaccabile, soprattutto da un punto di
vista mediatico e repressivo.
Questi movimenti sociali e di lotta sono sicuramente interessanti
per degli attenti ricercatori sociali, sono fondamentali per
capire il mutamento sociale e le possibilità che ci troviamo
di fronte, per vivere e agire contro il dominio, senza rinunciare
alla possibilità di immaginare una realtà diversa
da quella opprimente che ci viene venduta come l'unica possibile
dai potenti della terra. Questi movimenti, queste possibilità
appaiono sfocate allo sguardo miope delle istituzioni coercitive,
appaiono come insignificanti o al massimo come qualcosa da contenere
e reprimere. Una repressione dai mille volti che porta la maggior
parte delle persone a una strutturale incapacità immaginativa
che condiziona l'intera organizzazione sociale, creando zone
morte in cui trionfano l'ignoranza e la stupidità.
Andrea Staid
andreastaid@gmail.com
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