lotte sociali
La casa de nialtri
di Gianfranco Careri
Così è stata chiamata una scuola in disuso ad Ancona, occupata e autogestita da decine di migranti,
profughi politici, emarginati, ecc. con la solidarietà di una parte della popolazione.
ULTIMA
ORA!
Mercoledì
5 febbraio 300 poliziotti hanno militarizzato il quartiere
e sgomberato la Casa de Nialtri.
Caricati in pullman, gli occupanti sono stati trasferiti
in una struttura a 30 km da Ancona e qui tutti denunciati. |
L'inverno porta il freddo nella
città che si appresta a celebrare il centenario della
grande rivolta, quella “Settimana Rossa” che vide
un popolo tentare di rovesciare il potere dello sfruttamento,
del militarismo e dell'ineguaglianza sociale. Ma l'inverno ha
portato anche la speranza, la riscoperta di una dignità
e di una solidarietà da tempo sbiadite. I protagonisti
di questa storia sono quelli che vengono considerati “gli
ultimi della terra”, senza casa e senza nulla, che affollano
sempre più le strade di un'Ancona un tempo baluardo dell'accoglienza
e oggi diventata vetrina delle barriere e dei respingimenti.
Un gruppo di uomini e donne, sempre più compatto e deciso
con il passare dei giorni, ha scelto di riprendersi diritti
e dignità dando vita all'occupazione di una ex-scuola
materna e a un tentativo concreto di autogestione. Vengono da
tutto il mondo, sono rifugiati politici, immigrati, “barboni”,
edili e operai delle aziende cittadine e dell'indotto del cantiere
navale che hanno perso lavoro e quindi anche una casa, c'è
anche chi è fuggito da fame e da guerre arrivando al
porto di Ancona dalla Grecia, stipato in container o sotto i
camion, saltando giù e giungendo, con il tam tam dei
disperati, all'edificio occupato, la Casa de nialtri, in dialetto
anconetano “la casa di tutti noi”.
Accanto a loro un bel gruppo di solidali, con presenza numerosa
di anarchici e anarcosindacalisti.
Il tutto come dirà Adam, è divenuto “un
sol corpo”. Di questo popolo questa è la storia
e queste sono le idee.
Il percorso
Elisabetta è una simpatica signora con il minimo della
pensione e una storia complessa con l'ente della case popolari.
È sotto sfratto (tra l'altro l'affitto è stato
fatto salire alle stelle e non può più pagarlo).
È il centro sociale Asilo Politico (con l'appoggio di
qualche altra sigla) che organizza il primo picchetto antisfratto.
Anche gli anarchici portano la loro solidarietà e si
uniscono ai solidali. Riusciamo a impedire e a far rimandare
lo sfratto. Comincia da questa situazione un percorso per la
creazione di un movimento in città sulla questione dell'emergenza
abitativa. In una prima assemblea si prendono i contatti con
un gruppo di senza casa (diversi dei quali rifugiati politici)
ed è un combattivo missionario saveriano (padre Alberto,
28 anni passati a lottare con i poveri dei ghetti brasiliani)
che lancia la parola chiave: occupazione, subito condivisa da
solidali e futuri occupanti. Il gruppo dei rifugiati trova una
momentanea sistemazione al centro sociale occupato mentre una
seconda grande assemblea (circa 80 i senza casa) ha luogo nella
sede dell'USI-AIT e del gruppo anarchico “Malatesta”.
È un impatto molto forte, molti di loro hanno passato
la notte al freddo e per fortuna la sede è attrezzata
per scaldarli e dare a tutti tè e cibo.
L'assemblea segna un momento importante nella preparazione dell'occupazione
dando vita a un percorso solidale e organizzativo che coinvolge
un centinaio di persone. Per alcune settimane, fino al giorno
della liberazione dell'ex asilo, la sede degli anarchici funge
da punto logistico e coordinativo del movimento e si tengono
altre assemblee e momenti operativi.
Seguono altre fasi, un secondo picchetto antisfratto per Elisabetta
(questa volta con l'appoggio e la presenza dei senza casa),
l'occupazione della sala consiliare e un presidio davanti al
comune.
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La sede USI/“Malatesta”
durante l'assemblea preparatoria all'occupazione |
Si occupa e si autogestisce
Piazza Ugo Bassi si comincia a riempire nella mattina di domenica
22 dicembre, c'è chi ha dormito in stazione (con la polizia
sempre pronta a buttare fuori dalla sala d'aspetto), chi nei
binari, chi nei sotterranei del grande ospedale regionale, chi
nelle sempre più poche panchine, chi in altri improvvisati
rifugi per la notte. A piccoli gruppi raggiungiamo la scuola
di via Ragusa. Si entra!
All'interno un grande applauso e tanta allegria. Cominciano
subito i lavori per pulire lo stabile e dotarlo dell'indispensabile
per cominciare a viverci. Arrivano da ogni parte gli aiuti.
I materassi, in lunga interminabile fila, passano il cancello
trasportati da occupanti e solidali, poi cibo, utensili, letti,
stufette, mobili e tant'altro. Una dimostrazione di solidarietà
cittadina che non mancherà per tutta la durata dell'occupazione.
Con l'azione dal basso arriva anche l'acqua e poi la luce.
Nei giorni successivi si consolida l'occupazione e la Casa de
nialtri diventa sempre più accogliente e ben organizzata.
Si formano squadre di lavoro di occupanti interni addetti alla
cucina, al magazzino (vestiti, coperte, materiale per l'igiene,
ecc.), e alle pulizie di camere e bagni.
La casa deve subito affrontare il problema della convivenza
di persone proveniente da paesi e culture così diverse,
la fragilità di tanti senza casa provati da pesanti situazioni
di miseria e di sofferenza, le continue spinte esterne e i ricatti
del comune (dei suoi assistenti sociali e associazioni “umanitarie”
in cerca solo di facili guadagni economici) per cercare di contattare
individualmente e clientelarmente gli occupanti e farli uscire
dalla casa promettendo tanto fumo ma in realtà solo soluzioni
temporanee e inadeguate. Ma il gruppo tiene, i legami tra gli
occupanti crescono di giorno in giorno, i contrasti si superano
con la ragione e le decisioni sono prese insieme. La quotidiana
Assemblea della casa diventa il momento centrale per parlare
di tutto, affrontare le problematiche (anche gli scazzi sorti)
e decidere collettivamente le varie scadenze della lotta, le
risposte da dare e la linea da seguire.
Parte, anche per opera di anarchici, un corso di italiano per
gli immigrati che non conoscono la lingua mentre sempre gli
anarchici si occupano delle questioni sanitarie e di un primo
aiuto per chi nella casa ha problemi di salute.
La questione del lavoro è fondamentale per i senza casa,
molti di loro sono in strada perché licenziati e quindi
senza reddito. E la casa cerca soluzioni alternative cercando
di sfruttare le competenze degli occupanti (diversi sono stati
edili, carpentieri, addetti alla ristrutturazione, infermieri,
ecc.) attraverso progetti collettivi di lavoro svincolati dal
sistema dello sfruttamento e del mercato liberista. Naturalmente
si pensa subito anche alla possibilità di uno o più
orti collettivi (cominciano i lavori per un orto sinergico)
e la costruzione di un forno per garantire forme di autosufficienza
svincolandosi così dalla logica assistenzialista.
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La Casa occupata |
Il braccio di ferro
I rapporti con il comune (Valeria Mancinelli, sindaca ex-Pci
e ora Pd) sono da subito molto tesi e conflittuali. La politica
della giunta si può riassumere nel famoso detto “buoni
a nulla e capaci di tutto”. L'assessore per la casa aveva
avuto il coraggio di affermare, dopo le nostre prime proteste
precedenti all'occupazione, che ad Ancona nessuno dormiva in
strada. Menzogna che gli è andata di traverso quando
abbiamo occupato, insieme ai senza tetto, la sala della giunta
comunale. Di fatto l'emergenza abitativa non era mai stata fino
ad ora presa in considerazione. Esistevano solo due posti (“un
tetto per tutti” e “la tenda d'Abramo”) dove
tempi e modi di “accoglienza” non sono dissimili
da quelli delle prigioni. In genere i senza tetto possono accedervi
solo per quindici giorni e poi fuori, devono aspettare tre mesi
per poter tornare qualche altro giorno. Di solito si formano
le fila e solo i primi riescono a dormire sotto un tetto. Gli
orari sono incredibili, l'ospite deve entrare dalle 18,00, non
può più uscire e la mattina presto deve andare
via (attorno alle 8,00) e stare fuori al freddo fino al tardo
pomeriggio quando può rientrare nella struttura.
Per il resto ci sono solo le “graduatorie” per poter
avere una casa popolare, gestite in modo burocratico e inadeguato,
con migliaia di persone che aspettano. Ovviamente i senza casa
che vivono in strada sono in genere fuori da qualsiasi possibilità
di ottenere un'abitazione. Il primo striscione (poi issato sulla
casa occupata) utilizzato nei picchetti antisfratti recita infatti
“non si abita in una graduatoria”, confermando l'impossibilità
di far fronte a una catastrofe sociale con le regole imposte
da chi ha il potere.
Fin dall'inizio l'amministrazione comunale cerca di dividere
gli occupanti, sguinzaglia le assistenti sociali per convincere
ma anche per ricattare pesantemente i senza casa (delle assistenti
sociali sono state responsabili di disastri che ad Ancona hanno
distrutto famiglie e individui più deboli). Per questo
i tentativi di assistenti e vigili, per lo più nei primi
giorni, di entrare nella Casa de nialtri sono neutralizzati
dagli occupanti. Il sindaco si rifiuta di riconoscere l'occupazione
ma la grande solidarietà e l'esplosione del problema
(con la risonanza mediatica che ne segue) costringe a venire
per tre volte alla casa (una volta non sarà fatta entrare
e rimarrà fuori dal cancello) ed esporre nuove proposte
che comunque tendevano a dividere il gruppo, dando individualmente
soluzioni temporanee (sei mesi) e fatiscenti, dopo delle quali
come ha dichiarato lei stessa, non esistono garanzie e il rischio
di tornare in strada è elevatissimo. Nell'ultimo e definitivo
incontro il sindaco azzera le proposte, dà tempo due
giorni per gli occupanti di accettarle e lasciare l'edificio,
e annuncia la fine dell'“illegalità” e lo
sgombero imminente di Casa de nialtri.
L'assemblea decide di non accettare le richieste. Risponderà
per tutti Adam (rifugiato politico del Sudan), non ci potete
dividere, resteremo qui e siamo disposti a morire per i nostri
diritti: “Noi siamo umani, non siamo animali. Noi dormiamo
per strada perché non siamo italiani, perché non
abbiamo soldi, perché non abbiamo lavoro. La vita non
è così, la terra deve essere per tutti. Qui ora
siamo in tanti, tante nazionalità, anche italiani e loro
ci aiutano perché loro sentono come noi sentiamo. Siamo
un corpo solo”.
Nasce tra gli occupanti una canzone che fa il giro della rete
e della stampa, sull'aria del brano di De André, la Canzone
di Mancinella ricorda di quando il sindaco venne alla casa
e...
Questa di Mancinella è la storia vera / che venne
a “Casa Nostra” verso sera / ma il tempo, che non
era così bello / la fece stare fuori dal cancello.
Sola senza il ricordo di un amore / veniva in compagnia dell'assessore
/ veniva con la sua truppa e con la scorta / bussò, ma
stette fuori dalla porta...
La Casa è un mondo di umanità
Nel giro di poche settimane gli occupanti e i solidali hanno
costruito “un corpo solo” davvero eccezionale. Non
credo di aver visto in vita mia una crescita operativa e una
radicalizzazione “politica” così vertiginosa
come quella che ho visto in molti degli occupanti. Le storie,
i percorsi di molti di loro (guerre, fame, strada, alcol, carcere,
soprusi di ogni genere subiti) si intrecciano e trasformano
in una nuova esistenza (che può essere chiamata famiglia,
comune o come volete) che dà a tutti grande forza e dignità.
Anche noi, i solidali, cresciamo e impariamo tante cose da loro,
in primo una stupenda lezione di umanità. Da oggi per
tutti le cose non saranno più come prima. Ma non lo saranno
nemmeno per questa città.
Voglio citare alcuni di loro. Di Adam, il portavoce, abbiamo
già parlato, maestro e uomo disposto a tutto per le sue
idee di libertà, di fronte a lui il sindaco mostrava
quanto fosse piccola e falsa. Roberto viene dalla Repubblica
Domenicana, ha una spalla rotta (lavorava per il comune, spalatore,
quando due anni fa ebbe l'incidente), dolce e con tanta cultura,
artista del legno, intagliatore e disegnatore partecipa all'occupazione
nonostante i continui problemi ospedalieri. Morice viene dal
Biafra in Nigeria, incrollabile nella sua determinazione di
non cedere e di rispettare sempre le decisioni assembleari.
Alex il rumeno, sentinella della casa sempre attivo e presente,
Claudina la portoghese nera, con i modi nobili e riservati,
che avevamo visto girare in città senza un tetto né
una destinazione. Morteza, giovane profugo politico iraniano,
infermiere che mentre occupava è riuscito a trovare lavoro
(autista di ambulanze) e alla domanda dove fosse residente ha
risposto felice e orgoglioso (mostrando un giornale) che lui
risedeva alla Casa de nialtri e non avrebbe voluto essere in
un altro posto. Il piccolo ma combattivo Salem, tunisino, e
il marocchino Abdelghani. Singh invece è un indiano musulmano,
è simpatico e ci fa stare in allegria. Infine gli occupanti
italiani Gianluca, Emilio e Aldo, da vagabondi della strada
a giganti della casa, dove il loro lavoro si è rivelato
indispensabile sia per gli aspetti organizzativi che per la
realizzazione dell'unità degli occupanti. Poi tutti gli
altri, provenienti da tutti i continenti, un grazie a tutti,
insieme abbiamo costruito una realtà e al tempo stesso
un sogno che nessuno sgombero potrà mai cancellare.
I termini per definire questa esperienza si sono sprecati e
la questione della possibilità del cohousing sociale
è passata trasversalmente tra una parte che appoggia
la casa (come sviluppo del progetto) e dalla controparte che
voleva la sua eliminazione. Credo che la questione del cohousing
sia molto diversa dalla progettualità espressa dalla
casa e anche dalla sua possibile evoluzione. Il sistema autogestionario
sperimentato e in alcuni aspetti ben praticato è stata
la caratteristica fondamentale della Casa de nialtri e la suddivisione
dello spazio all'interno dell'edificio (stanze ricavate con
divisori e spazi comuni da gestire collettivamente) siano stati
una necessità elementare per garantire un percorso collettivo
e al tempo stesso salvaguardare l'individualità di ognuno.
Il tema dell'illegalità infine, usato dal sindaco per
invocare lo sgombero (insieme a quello della guerra tra poveri
e di una poco chiara presunta inagibilità di un piano
dello stabile) merita alcune considerazioni finali. Regole e
leggi vengono fatte da chi detiene il potere, per i propri interessi,
e quindi si trasformano nel tempo. La resistenza partigiana
fu illegale come lo furono tutte le lotte (operaie, contadine,
sociali) che hanno permesso la conquista dei diritti civili
e sindacali (oggi di nuovo cancellati). È legale che
senza casa dormano al freddo? La panchina è più
a norma di una struttura solida come quella di Casa de nialtri?
A un'emergenza sociale catastrofica e di queste proporzioni
(dopo l'occupazione la stampa “scopre” che ancora
tantissime altre persone dormono all'aperto o in vecchi edifici
in rovina) non si possono dare risposte assurde come rispetto
della legalità, graduatorie, regole e regolette. L'illegalità,
il riprendersi quello ci spetta di diritto in quanto essere
umani, è una risposta giusta e necessaria per affrontare
questo momento e costruire la possibilità di avere un
domani per tutti.
Gianfranco Careri
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