storia
L'eretico David Lazzaretti
intervista a Mauro Chiappini di Valerio Pignatta
David Lazzaretti (1834-1878), barrocciaio di Arcidosso, paese del grossetano, è stato il fondatore dell'ultima eresia popolare italiana.
Ne parliamo con uno degli ultimi seguaci di quel movimento, che tanta risonanza ebbe nell'ottocento.
E che non è spenta del tutto.
La figura di David Lazzaretti è abbastanza nota a sinistra, perché la sua vicenda e la sua fine drammatica (fu ucciso dalle forze dell'ordine durante una processione pacifica) furono analizzate da varie prospettive e vari pensatori autorevoli (come Lev Tolstoj e Antonio Gramsci). Lazzaretti, che aveva partecipato alla seconda guerra d'indipendenza e che nutriva simpatie socialisteggianti e garibaldine, diede vita in seguito a visioni mistiche, e sulla base di un cambiamento interiore profondo, a una nuova organizzazione comunitaria delle famiglie dei contadini della sua zona (il Monte Amiata).
Sottoponendosi a eremitaggi e digiuni e radunando attorno a sé un buon numero di seguaci, Lazzaretti tentò con insuccesso di essere riconosciuto come portatore di un nuovo messaggio evangelico dalla chiesa incontrando papa Pio IX.
Nel gennaio 1870, gettò le basi dell'austera istituzione degli Eremiti Penitenti e pochi mesi dopo della Santa Lega o Famiglia Cristiana, una cooperativa di consumo volta alla soluzione dei crescenti problemi materiali dei contadini. All'inizio del 1872 era già operante invece la terza istituzione creata del Lazzaretti, ossia la Società delle famiglie cristiane e si tenne la prima adunanza nella cappella costruita sul Monte Labbro.
La Società fu l'istituzione giurisdavidica socialmente
più elevata. Assomigliava alle società di mutuo
soccorso del tempo, ma era ispirata al “comunismo”
della chiesa primitiva. Le ottanta famiglie che si riunirono
in essa infatti “'misero in comunanza i terreni, i bestiami
ed interessi onde trarne il guadagno pel mantenimento comune';
una famiglia sola 'regolata da un presidente e da una magistratura
composta di dodici persone, le più anziane e savie scelte
a voto dagli stessi soci'. C'era un responsabile della cassa,
altri dei magazzini e dei vari depositi, mentre alla razionale
distribuzione dei lavori agricoli soprintendeva un esperto fattore.
Ogni capo famiglia doveva tenere un libretto colonico dove annotare
le proprie entrate e uscite; il bilancio di tutta l'azienda
si teneva ogni tre mesi, in riunioni generali in cui ciascuno,
anche i braccianti addetti ai lavori più umili, aveva
diritto di parlare. Presto l'amministrazione agricola si estese,
prendendo terreni in affitto o a mezzadria non solo in montagna,
ma anche in Maremma. In pratica si determinò una situazione
nuova per cui la produttività agricola subì un
incremento notevole. Si resero fertili terre mai lavorate, si
distribuirono accortamente i pascoli, così che quei colli
si rivestirono di grano e di biade, s'ingentilirono di grandi
prati, si ornarono d'alberi nuovi. Intanto, con regolare permesso
della direzione scolastica di Grosseto, nei villaggi più
vicini al monte si erano aperte due scuole rurali per l'istruzione
dei bambini e degli analfabeti”1.
Lazzaretti, nel corso della sua vicenda politica, economica e religiosa, venne arrestato due volte (nel 1871 e nel 1873) e la seconda volta scontò otto mesi di carcere prima di essere assolto in appello. Instaurò legami diretti e corrispondenze con alcuni simpatizzanti francesi della borghesia, presso cui venne anche ospitato con tutta la sua famiglia. Durante il suo soggiorno in Francia del 1875-76, scrisse varie opere e compì anche un breve viaggio in Inghilterra.
Rientrò ad Arcidosso definitivamente nel luglio del 1878
(dopo una convocazione a Roma presso il Sant'Uffizio) e nell'agosto
seguente vi morì in seguito alla repressione operata
da stato e chiesa. Gramsci sosterrà che questa repressione,
che costò la vita oltre che a Lazzaretti ad altre tre
persone, il ferimento di cinquanta e il susseguente arresto
di 23 seguaci2, fu una “crudeltà
feroce e freddamente predeterminata”3.
Al processo del 1879, i lazzarettisti furono accusati di aver
tentato di rovesciare il governo, di far scoppiare una guerra
civile e di devastare e saccheggiare un comune dello stato.
Grazie al lavoro della difesa composta da otto avvocati volontari,
tra cui due deputati, tutti i lazzarettisti furono assolti.
Nella campagne di Arcidosso la fratellanza giurisdavidica è sopravvissuta alla fine del suo profeta raccolta per più di un secolo attorno a vari sacerdoti lazzarettisti. L'ultimo, Turpino Chiappini, è morto nel 2002 e al momento permangono ormai solo poche famiglie che si possono definire gli ultimi eredi del messaggio davidiano.
Dal punto di vista storiografico, in questi ultimi decenni su
Lazzaretti si è davvero approfondito il discorso sotto
tutti gli aspetti. Tuttavia, non si è ragionato abbastanza
su che tipo di rapporto avesse Lazzaretti con le istituzioni
e le autorità. Ossia, quale messaggio ha dato il lazzarettismo
rispetto all'interrelazione col potere, i politici e i governi4.
Abbiamo quindi intervistato Mauro Chiappini, uno degli esponenti più in vista degli ultimi lazzarettisti rimasti oggi all'Amiata e nato e cresciuto all'interno di questo ambiente “eretico” che dura da circa centotrenta anni. L'intento è quello di dar voce a una forma di religiosità che non è istituzionalizzata, non è gerarchica né dogmatica.
Una cosa su cui forse non si è ragionato abbastanza è che tipo di rapporto aveva Lazzaretti con le istituzioni. Ossia, quale messaggio ha dato rispetto all'interrelazione col potere, coi politici e coi governi?
«Credo che il Lazzaretti essenzialmente si rivolga all'uomo. Indipendentemente dal fatto che sia un uomo di potere o un uomo che non ha potere. Egli, proprio attraverso il suo percorso personale, capì che c'è un passaggio. Ed è quando tu esci dalla mondanità, che è una sorta di costrizione, perché è la creazione che l'uomo fa, autonoma, il mondo che creiamo noi. La chiave sta proprio nel rapporto fra la mondanità e l'universalità.
Lazzaretti si rivolge quindi a quella parte (essenza) di noi che è il prodotto e anche il legame con l'universo. Ragionevolmente, un messaggio di questo tipo entra in urto con qualsiasi potere costituito, è ovvio. Perché il potere non è altro che lo specchio di quello che è la costruzione, l'organigramma che tu metti in piedi come modalità per esistere, quindi fondamentalmente la struttura economica, e questa determina le sue gerarchie. Naturalmente, un messaggio di tipo universale entra immediatamente in urto con qualcosa di particolare, proprio perché questo particolare non tiene conto dell'universalità. Quindi c'è un rapporto critico con il potere, qualsiasi esso sia.»
Oggi assistiamo a una situazione di crisi sia sociale che ambientale senza precedenti. Possiamo ripescare in Lazzaretti una prassi che ci aiuti a uscirne?
«La situazione che stiamo vivendo, secondo me, sta mandando in frantumi tutte le certezze che avevamo. Ci troviamo in una dimensione che potremmo paragonare all'attraversata del deserto. Tutto ciò che è rimasto dietro di noi non ha più validità e quindi si tratta di muoversi in una dimensione sconosciuta. Ecco, nella dimensione sconosciuta alla fine riprende il sopravvento quello che è già codificato in noi, quella unione fra noi e il Tutto. E credo che ciò piano piano stia venendo fuori. Non riesce a trovare le sue forme organizzate, però esce spontaneamente.
Per esempio basta osservare quello che succede sul Monte Labbro (il luogo scelto da Lazzaretti per erigervi un eremo e una torre). Questo monte ha avuto negli anni '70, quelli del boom economico, una frequentazione che si può definire un turismo alla ricerca di folklore e paesaggio. Si stava su una dimensione. Quello che sta succedendo da diversi anni è invece che il Monte Labbro è frequentato da persone che vanno lì perché riconoscono la valenza simbolica del luogo. Simbolica significa che esso è un ponte fra invisibile e ciò che noi non riusciamo a rendere visibile. In una condizione di “guerra” dove tutte le tue certezze crollano, nel momento di massima sofferenza ritorna questo concetto, questa forza endogena che viene da dentro che ti riporta al tuo vero legame con il Tutto. Probabilmente questo è il punto di partenza per le risposte che dovremo dare al futuro.»
Eravamo tutti contadini
Quindi, partendo da queste premesse per te che cos'è
la religione?
«La religione è un sistema culturale ideato dagli
uomini nel tentativo di gestire questo qualcosa di innato, che
è il legame dell'uomo con l'universo.»
Che quindi viene prima di qualsiasi altra religione?
«L'uomo di per sé ha questo legame e la presenza
di un qualcosa che chiama divino è innata in noi. Le
religioni sono i metodi culturali mediante i quali si è
cercato di inserirsi su questa specificità umana per
cercare di gestire nelle migliori delle intenzioni quelli che
sono i peggiori istinti umani, anche se poi chi si prova a gestire
questi istinti da un punto di vista generale, non riesce nemmeno
a gestire i propri istinti individuali. Quindi la religione
è una creazione dell'uomo istituzionalizzata e funzionale
al potere del momento in cui si istituzionalizza. Per me esiste
la fede. Essa è una percezione tua di questo legame che
tu hai con il Tutto e si sviluppa secondo quella che è
la tua individualità e la tua potenzialità. Infatti,
ognuno di noi è una libera individualità in divenire
che segue una coordinata di valenza universale, cosa diversa
dai monoteismi che sono parziali e a volte molto arroganti e
non riescono poi nemmeno a riformar se stessi. È quello
che in definitiva ha fatto il Partito comunista che è
diventato una sorta di chiesa dove le istanze inferiori delegavano
la coscienza a quelle superiori; così ci si è
accorti che tale coscienza non ce l'aveva nessuno e sono implosi.»
La maggior parte dei seguaci di Lazzaretti era formata
da contadini?
«Sì, erano tutti contadini. Perché da noi
l'economia è sempre stata quella agricola. Però
non erano agricoltori ma addetti alla manutenzione dell'universo.
La terra la curavano come un giardino. Si ponevano il problema
di conservarla per gli altri. Oggi sembra incomprensibile che
una persona a 90 anni si ponga il problema di conservare l'ambiente,
la terra, di piantare degli alberi per quelli che verranno.»
Lazzaretti come si è posto di fronte alla nascita
dell'industrializzazione e del cosiddetto progresso che ha aperto
il campo a un declino di valori etici, politici ed ecologici?
«Quest'epoca è quella che David ha chiamato “maturità
dei tempi”. Lui non ha mai avuto fiducia nel progresso
tecnologico e pensava che non sarebbe stato in piedi e che sarebbe
giunta inevitabilmente la crisi del sistema. Aveva del resto
anche avuto l'intuizione dei cambiamenti climatici.
Lazzaretti però non pensava a una fine del mondo, ma
alla fine di un ciclo legato alla materialità dopo il
quale gli esseri umani avrebbero ritrovato il loro rapporto
con il Tutto, e questo è possibile. Perché è
proprio nel momento in cui tutto sembra perduto, quando le certezze
crollano, che puoi ritrovare la tua coordinata di origine.»
Oggi la fratellanza giurisdavidica non ha più una
Società delle famiglie?
«No. La fratellanza giurisdavidica è una testimonianza
che continua nel tempo. Lazzaretti aveva capito che la Società
delle famiglie cristiane fine a se stessa non poteva stare in
piedi, non poteva trasformare il mondo. In una lettera del 1875
affermò lucidamente che ora si trattava di riprodurre
su scala allargata quello che era l'esperimento fatto a Monte
Labbro. Un momento di tenebre, cioè un caos in atto,
contiene un nuovo ordine in potenza. Ecco perché in Lazzaretti
c'è forte la dimensione apocalittica, perché è
il luogo della presa di coscienza, ma anche il momento della
spinta per andare oltre.»
Per Lazzaretti prima di organizzare la comunità
dal punto di vista materiale e sociale bisogna passare attraverso
le due fasi di fede e speranza: fede a livello individuale,
“speranza”: cominci a dialogare con l'altro e infine
“carità”: costruisci il mondo di condivisione.
Normalmente, invece, chi tenta di andare a vivere insieme secondo
“nuove regole” parte dall'ultimo gradino...
«Sì. Ma perché si è spinti da una
sofferenza puramente materiale. Invece questa era gente che
non era in sofferenza materiale. La sociologia degli anni '60-70
del novecento ha descritto i seguaci di Lazzaretti come gente
devastata socialmente dalla tassa sul macinato. Ma non è
vero. Erano tutti dei piccoli proprietari. I più garantiti.
Ciò che accadde fu invece proprio un fatto imprevisto,
frutto dell'incontro tra quel catalizzatore che è Lazzaretti
e queste persone che erano predisposte. Infatti quei contadini
lo seguirono senza chiedere nemmeno spiegazioni. Non ce n'era
bisogno.
Questa è la ragione per cui il lazzarettismo non arriva
nei paesi vicini, dove c'erano già i minatori ed esperienze
di lavoro e movimento operaio. Difatti, l'operaio non sta più
dentro un tempo escatologico. Sta dentro il tempo della fabbricazione.
Non è più configurato con l'altro tempo. Invece
le masse contadine di quei luoghi, Monte Labbro e pendici, sì,
ed erano quelli che comprendevano Lazzaretti. Se si va a verificare,
i seguaci erano tutti di quei posti. E dove è rimasto
il lazzarettismo? In quell'area.»
Si è affermato che è stato più disgregante
l'impatto del consumismo sulla società lazzarettista
che non più di un secolo di persecuzioni. Il consumismo
quindi si riconferma come impattante per ogni tipo di comunità?
«La modernità ha senz'altro distrutto la continuità
generazionale. Ovviamente ci sono persone che per altre strade
arrivano a essere in sintonia coi principi di libera individualità
in divenire e che sono su questa frequenza. Ma sono sparsi e
non hai modo di raccordartici. Se ti incontri è casuale.
Si cerca quindi di tener pulita la strada. Perché c'è
una letteratura su Lazzaretti che dura da centotrenta anni che
sarebbe meglio rielaborare. Ha sì contribuito a tenere
viva la memoria, però è improntata a un riduzionismo
storico che è distorcente. Quindi, come primo passo cerchiamo
di realizzare studi che poi giriamo a persone che possono risocializzarli
con altri. Da questa nostra attività emergono libri,
ricerche, articoli, conferenze, confronti, nuove amicizie. Certo,
sono risultati piccoli, ma che riteniamo significativi. Per
noi va bene così.»
Valerio Pignatta
Note
- Innocenti Periccioli, Anna, David Lazzaretti. Il profeta
toscano della fine '800, Jaca Book, Milano, 1985, p. 111.
- Questo il numero fornito dal Dizionario biografico degli
italiani. Secondo altre fonti gli arrestati furono una cinquantina.
Si veda in proposito Niccolai, Lucio, David Lazzaretti. Il
racconto della vita, le parole del “profeta”,
Edizioni Effigi, Arcidosso, 2006, p. 138.
- Gramsci, Antonio, Il Risorgimento, Einaudi, Torino,
1954, p. 250.
- Si veda in merito: Pignatta, Valerio, Storia delle eresie
libertarie, Odoya, Bologna, 2012.
|