Senza amore non c'è pace
L'indipendente
stella*nera, in collaborazione con l'editrice imolese
Bruno Alpini, ha pubblicato “No love, no peace”
degli anarchici inglesi Crass.
Si tratta di un cd con le registrazioni del concerto
dei Crass eseguite la sera del 2 maggio 1984 a Nottingham
(UK) accompagnato da un libro che raccoglie una presentazione
storica dell'attività del gruppo e le traduzioni
dei testi delle canzoni fatte al concerto e del volantino
distribuito quella sera, più altri scritti collegati.
Per ogni copia viene richiesto un contributo responsabile
di almeno 12,00 euro che copre sufficientemente le spese
di realizzazione e le spese postali; le eventuali eccedenze
saranno destinate al sostegno della stampa anarchica.
Altre informazioni sulle pagine
web di stella*nera ospitate sul sito anarca-bolo.ch.
Per richieste:
Aparte (c.p. 81 CPD - 30171 Mestre VE), editrice Bruno
Alpini (bruno.alpini@libero.it),
oppure stella*nera (stella_nera@tin.it). |
|
La
copertina del cd No love, no peace |
|
Sull'argomento pubblichiamo un'intervista di Enrico Bernardi
(www.sullamaca.it)
con Marco Pandin, curatore di questa rubrica e soprattutto ideatore
e produttore di No love, no peace.
Marco, finalmente un'edizione curata da te sui Crass.
«Direi che “finalmente” è la parola
giusta. Una decina d'anni fa avevo cominciato a raccogliere
le varie cose scritte da me sui Crass, le recensioni e le segnalazioni
dei dischi, le interviste e le lettere, le traduzioni eccetera.
Non era una cosa organizzata, era più una questione personale,
come dire, quasi privata. Sai, quelle cose che senti di fare
perché ormai hai quasi cinquant'anni e ti accorgi che
i ricordi e le esperienze si accumulano, così provi a
mettere un po' d'ordine sperando di trovarci dentro un senso.
Negli anni ho accatastato tanta di quella carta, in mezzo ai
ritagli un giorno sono saltate fuori da una scatola le registrazioni
originali del concerto di Nottingham a sostegno del giornale
pacifista Peace News, primi di maggio del 1984. Le avevo già
diffuse allora, avevo fatto delle cassette che erano state persino
piratate negli USA, così ho pensato potesse essere interessante
far circolare ancora quelle canzoni, ma mi sarebbe piaciuto
offrirle mettendoci anche qualcosa di personale, il mio punto
di vista, tipo come e perché sono state importanti per
me. Scriverci attorno una storia, ecco cosa volevo fare. Qui
in Italia sui Crass è sempre girata poca roba, una letteratura
sotterranea e minore di fanzine e fotocopie di fotocopie, spesso
purtroppo le traduzioni sono state fatte stando più attenti
alle proprie frustrazioni che al dizionario, mi ci metto in
mezzo pure io. Di libri in italiano ne sono usciti due e solo
di recente sull'onda delle ristampe rimasterizzate, ma si tratta
comunque di traduzioni dall'inglese e dallo spagnolo. Quando
gli avevo scritto spiegandogli cos'avevo in mente, da Dial House
era arrivata in fretta una risposta positiva. Penny Rimbaud
è un entusiasta, con me è sempre stato disponibilissimo
e molto gentile. C'erano però dei problemi con gli altri,
scazzi interpersonali anche seri, infatti Pete Wright mi ha
chiesto di tenere in sospeso il progetto finché non si
fossero chiarite le cose tra di loro. Con Pete siamo molto amici,
degli ex-Crass è quello con cui ci siamo frequentati
di più e francamente non c'erano ragioni per non fare
come mi aveva chiesto, quindi ho aspettato. Nel frattempo ho
avuto qualche difficoltà familiare, come magari già
sai cinque anni fa è mancata la mia figlia maggiore e,
nonostante fosse arrivato il “go ahead” anche da
parte di Pete ero preso da tutt'altro genere di pensieri e non
sono riuscito comunque a star dietro a niente. Ero al limite
della depressione e c'è voluto del tempo per raccogliere
i pezzi, poi però sono stato meglio e ho provato a riprendere
in mano le cose che erano rimaste là. Così, durante
l'estate scorsa, ho risistemato e aggiornato il testo e l'ho
portato a stampare, c'è stato ancora qualche incidente
tecnico e qualche ritardo, il libro è uscito dalla tipografia
a metà novembre. Sì, “finalmente”
è proprio la parola giusta.»
Come hai fatto?
«Come ho sempre fatto, cioè arrangiandomi da solo:
dalle traduzioni (ma questa è una mezza bugia: Jane Dolman,
che avevo conosciuta e incontrata proprio grazie ai Crass trent'anni
fa, mi ha aiutato con la revisione) alla composizione, poi l'impaginazione,
la confezione, le spedizioni. Per la diffusione mi stanno dando
una mano i compagni imolesi dell'editrice Bruno Alpini e la
rivista Aparte. Per mille ragioni non sono mai riuscito a dare
una regolarità a questa attività, con stella*nera
si naviga a vista, spesso si va lenti, magari sto fermo per
mesi, per anni in questo caso, poi riprendo. Per pagare la tipografia
ho chiesto un prestito, che sto già restituendo a rate.
Appena riesco a recuperare le spese vive, dirotterò tutto
a sostegno della A/Rivista Anarchica, appunto come è
sempre stato fatto.»
|
Nottingham (Inghilterra), 2 maggio 1984. Crass in concerto:
Eve Libertine e Phil Free |
Perché “niente amore, niente pace”?
«È per rimettere tutto in discussione, anche quella
copertina offensiva così gratuita. Penso che amore e
pace siano stati fraintesi, che siano stati troppo spesso confusi
con rassegnazione e silenzio. Non me la sentivo di fare un santino,
com'erano bravi e belli, com'erano avanti. Ho cercato di scrivere
mantenendo un approccio critico, non proprio distaccato perché
non ne sono capace, diciamo una via di mezzo tra lo studio storico
e un report da fanzinaro agitato.»
Mi vuoi descrivere brevemente No love, no peace?
«C'è un cd con le registrazioni del concerto dei
Crass fatte la sera del 2 maggio 1984 a Nottingham. Mi avevano
lasciato collegare il registratore al mixer, la registrazione
è fedele, c'è casino, sporco, agitazione, imprecisioni,
è stata solo aggiustata un minimo per adattarla meglio
al formato digitale, niente trucchi in studio se non qualche
gap del nastro analogico che è stato sistemato. Il cd
è accompagnato da un libro di 60 pagine, formato circa
20 per 20, con dentro una presentazione scritta da me, i testi
delle canzoni che i Crass hanno cantato al concerto, la traduzione
del volantino distribuito quella sera e qualche altra cosa,
tipo un articolo scritto da Pete Wright per Peace News e l'intervista
originariamente presente in Anok4u. Nelle prime copie
c'è anche un secondo cd con le registrazioni complete
dei concerti di Flux e D&V, più quelle di Annie Anxiety
che si è riusciti a salvare. Non è roba messa
in vendita, non ha “un prezzo” ma viene richiesta
un'offerta libera e responsabile. Niente distribuzione commerciale,
si può comunque trovare in qualche piccola libreria o
negozio “ideologicamente vicino”, oppure richiedere
per corrispondenza ad Aparte (casella postale 81 CPD - 30171
Mestre VE), oppure all'editrice Bruno Alpini (bruno.alpini@libero.it),
oppure direttamente a me (a breve la mailbox stella_nera@tin.it
sarà nuovamente disponibile). Le pagine web di stella*nera
ospitate sul sito
www.anarca-bolo.ch sono purtroppo ferme da tempo, come dicevo
prima ho avuto tutt'altri pensieri in questi anni, comunque
cercherò di aggiornarle appena possibile.»
Mi è piaciuto molto leggere la loro storia intervallata
dai volantini che i Crass periodicamente stampavano e distribuivano,
così si riesce ad entrare meglio nei loro messaggi.
«È un po' il mio stile, ho sempre lavorato di forbici
e colla. Mi piace raccontare le cose che ho in testa, ma mi
piace utilizzare la voce vera di chi scrive e canta. Quando
scrivo penso spesso di fare una specie di trasmissione radiofonica,
dove un po' parlo io e un po' faccio ascoltare la musica o le
registrazioni delle interviste. Anche adesso ho fatto così,
ho raccolto volantini, stralci di lettere e testimonianze e
li ho inframezzati alla storia. Ho anche rivisto le traduzioni
dei testi, in fin dei conti era questa la cosa che più
mi interessava rimettere in circolazione. In questo libretto
ho raccolto solo quelli delle canzoni fatte al concerto di Nottingham,
tra qualche tempo farò invece uscire una raccolta più
completa e articolata, diciamo la versione molto migliorata
del libro Anok4u che avevo curato e pubblicato nel 1984.
Nel caso specifico dei Crass trovo che per certi versi le cose
che hanno detto, scritto e cantato siano profetiche. Allora
erano considerati dei visionari e degli estremisti pericolosi,
quando non peggio, eppure andando a rileggere le parole delle
loro canzoni ci si accorge presto che i loro incubi sono stati
il nostro presente per questi ultimi trent'anni.»
Il punk ha messo in discussione tutto...
«Negli anni settanta suonavo in un gruppo, facevamo cose
nostre, spesso improvvisazioni lunghissime, eravamo piuttosto
giovani ma ci dedicavamo a studiare con determinazione, ci impegnavamo
per tirare fuori cose “importanti” dai nostri strumenti.
Eravamo sulla buona strada, secondo molti amici e compagni.
Invece ci eravamo persi in una sega colossale, stando alla nuova
mentalità: certo, un modo di pensare discutibile e magari
non del tutto condivisibile ma mi è servito a rivedere
certe convinzioni, a ripensare certi atteggiamenti. Quei dischi
dei vari gruppi punk che a fine anni settanta si potevano comprare
nei negozi tipo Damned o Ultravox a me facevano cagare, o come
minimo pena. Non ci trovavo dentro proprio niente. Per me i
Sex Pistols erano banali, John Lydon tutto spettinato che diceva
“fuck” e faceva le linguacce al fotografo era tutt'altro
che trasgressivo e soprattutto era inconsistente, quando fino
a poco tempo prima coi miei compagni si andava a manifestare
in piazza con i sassi e la fionda in tasca. La musica nuova
io la cercavo altrove: Jan Garbarek, Jaco Pastorius, Brian Eno.
Avevo preso i dischi di Patti Smith e dei Television, e li amavo
pure, ma diffidavo della “musica punk”, quella delle
spille da balia e delle magliette strappate apposta.»
Eppure ne eri attratto...
«A me incuriosivano i punks anarchici, trovo ci sia grossa
differenza, che sia importante fare una distinzione. Le loro
canzoni erano assolutamente concrete, mi ci riconoscevo, riconoscevo
quei posti, come ci si sentiva, il rumore dentro. La differenza
vera era che gli anarcopunks pisciavano sul serio addosso ai
maestri, noi invece i maestri li si ascoltava e come, anche
se solo con un orecchio, o facendo solo finta di non ascoltare.
Mi sono reso conto che il punk anarchico era una maniera radicalmente
diversa di fare della musica politica, abituato com'ero a tutt'altra
roba, agli Stormy Six e agli Area insomma, e a tutt'altro livello
di trasgressioni, che so, a Lindsay Kemp, a Dario Fo, a Frank
Zappa, gente che aveva un certo spessore. Altro che le spille
da balia, appunto.»
C'era dunque una certa differenza fra punk e punk...
«Secondo me una differenza sostanziale. Sex Pistols, Damned,
Clash, Ultravox eccetera avevano tutti firmato dei contratti
con grosse case discografiche, ma gli anarcopunks si stampavano
i dischi e le cassette da sé e se li distribuivano per
conto proprio e a basso prezzo, s'era sviluppato intorno anche
un gran bel giro di fanzine, un'alternativa dal basso alla stampa
musicale. C'era un abisso tra i dischi dei Crass e delle Poison
Girls, i primi gruppi anarcopunk con cui sono venuto a contatto,
e quelli di “musica punk” di allora. E non era soltanto
un problema di qualità del suono, di produzione, di confezione:
era un problema di comunicazione e di impatto culturale molto
più complesso e articolato: facevano tutti una musica
di merda, lo sapevamo noi e soprattutto lo sapevano bene loro
e non gliene fregava niente, ma i dischi degli anarcopunks offrivano
degli spunti, non era solo un blando lamentarsi per la mancanza
di “futuro”, o un atteggiamento, una posa per la
foto di copertina. Questi ragazzi vivevano lontani, Londra e
l'America erano posti che in provincia io e i miei compagni
a malapena eravamo capaci di sognare, ma da loro si stava complessivamente
male come da noi. Sembrava proprio che gli anarcopunks non avessero
affatto paura a usare le canzoni per gridare il loro malcontento,
l'insofferenza, il disagio: stavano ridisegnando i perimetri
espressivi, si stavano riprendendo, se non la vita, almeno il
diritto di cantare la vita, e lo facevano a modo loro, come
ne erano capaci. Erano le stesse identiche cose che avrei voluto
fare anch'io, ma non mi ritenevo abbastanza preparato come strumentista,
né ero abbastanza dentro ad una qualche organizzazione
o una struttura politica o culturale che mi potesse sostenere.
A me piaceva molto leggere e me la cavavo piuttosto bene a scrivere,
ma le cose che scrivevo me le tenevo per me. Coi miei amici
avevamo suonato in un paio di posti occupati, mica per qualche
comizio elettorale, come artisti non avevamo davvero alcuna
prospettiva concreta, e men che meno di prospettive potevo averne
io come scrittore. A meno che non decidessi di prendere la mia
vita in mano e darmi da fare, senza aspettarmi un aiuto da nessuno.»
A distanza di anni un aspetto che ammiro del collettivo
dei Crass è la forza con cui credevano nelle loro idee.
«Sono nato nel 1957, quindi a me è successo di
vivere i miei vent'anni troppo tardi per il 1968 e gli hippies
e troppo presto per il punk. Alle scuole superiori grazie a
un insegnante avevo scoperto Fernanda Pivano e i poeti beat
e mi avevano preso molto cose come la controcultura, il pacifismo,
l'antimilitarismo e la contestazione, e amavo certa musica della
fine degli anni sessanta, un tesoro che generazionalmente apparteneva
però ai miei fratelli maggiori se non addirittura ai
miei genitori. Tieni conto della diversa velocità con
cui le informazioni si diffondevano allora, era tutto più
lento e più costoso. All'inizio degli anni ottanta noi
ragazzi non compravamo tanti dischi nuovi, e ascoltavamo abitualmente
dalle radio libere la musica di dieci-quindici anni prima, tipo
che so certo rock di Canterbury, certo jazz militante, i cantautori
impegnati, roba che comunque non era certo considerata vecchia
né “scaduta”, anzi. Il punk da noi veniva
spacciato come un fenomeno da baraccone, per un bel po' qui
non se ne sapeva un cazzo neanche nei giri anarchici che frequentavo.
Ma nel settembre del 1979 un bel giorno Patti Smith è
stata invitata alla Biennale di Venezia ed io mi sono ritrovato
con alcuni compagni di radio a rincorrerla per le calli per
poi restare chiusi fuori della porta al reading: ci voleva un
invito per entrare, o forse era solo una bugia perché
ci togliessimo dai coglioni. A Bologna il suo concerto è
stato una celebrazione di anarchia e libertà, è
stata una cosa emozionante che non dimenticherò mai,
hanno iniziato con So you wanna be a rock'n'roll star
dei Byrds e poco dopo hanno fatto All along the watchtower
di Dylan, offrendo un collegamento assolutamente esplicito con
la contestazione di dieci anni prima. A me Patti Smith piaceva
enormemente, sui banchetti di Stampa Alternativa ai concerti
si trovavano dei libretti con le traduzioni dei suoi testi,
avevo già da tempo preso i suoi dischi che venivano commercializzati
come roba punk e identificati come tali nei primi spazi che
i giornali musicali aprivano a questa nuova cultura. Patti Smith
mi aveva proprio preso, era più vecchia di me di dieci
anni, idealmente la vedevo come una specie di sorella maggiore
ribelle che era scappata di casa e che era improvvisamente ritornata
per raccontarmi i segreti di famiglia e farmi aprire gli occhi.
Lei mi offriva a piene mani collegamenti e rimandi e connessioni
tra la ribellione di oggi e quella che c'era stata prima, per
me era una pacificazione nella ribellione, un trovare posto
nella corrente. Coi Crass è successo uguale, li ho scoperti
a distanza breve.»
Crass e Poison Girls erano gruppi di gente che aveva una
differenza d'età anche significativa.
«La cantante delle Poison Girls, Vi Subversa, era la madre
di due ragazzi poco più giovani di me che avevo conosciuto
a Londra e che suonavano in altri gruppi, Omega Tribe e Rubella
Ballet, quindi anagraficamente poteva benissimo anche essere
mia madre. Penny Rimbaud ha quattordici anni più di me,
Gee Vaucher tredici, Pete Wright otto, io e Steve Ignorant siamo
coetanei. La cosa già al tempo sembrava non avere alcuna
rilevanza, d'altra parte anch'io tramite i giri delle radio
e degli anarchici avevo frequentato volentieri dei compagni
più vecchi di me. Crass e Poisons erano riusciti a risolvere,
se non a dissolvere, il conflitto generazionale sbattendoci
davanti a quello che era invece il vero e proprio conflitto
in cui ci si doveva impegnare: quello contro l'establishment,
quello contro il sistema. A me piaceva ascoltarli perché
mi offrivano sì delle vie d'uscita dalla mediocrità,
ma soprattutto perché mi incuriosivano. Immagino funzionasse
così poi anche per loro, c'era questa curiosità
reciproca che specie le prime volte ha stravolto il senso dei
nostri incontri. La prima volta a Dial House mi immaginavo di
essere il povero ragazzo anonimo e sfigato venuto dalla periferia
dell'impero che andava a trovare i cattivi maestri, sai, quegli
anarchici inglesi che fanno dischi che è disdicevole
e pericoloso ascoltare, ma una volta lì mi sono ritrovato
con una tazza di tè in mano, un gatto in braccio che
faceva le fusa e tutt'attorno un gruppo di compagne e compagni
meravigliati del fatto che ci fosse qualcuno così lontano
da Londra che stesse lì a leggersi e tradursi i testi
delle loro canzoni, e ci trovasse pure dentro dell'ispirazione.»
|
Nottingham
(Inghilterra), 2 maggio 1984.
Steve Ignorant e Andy Palmer |
I Crass sono stati dei pionieri nell'indipendenza dall'industria
musicale: fondarono una loro etichetta discografica, aprirono
uno studio discografico, organizzavano in proprio i tour.
«Ma dai, i Crass non hanno inventato niente, i gruppi
che si autogestivano e le etichette indipendenti c'erano già
prima, pensa agli Henry Cow, pensa all'etichetta Topic legata
al sindacato dei musicisti inglese, oppure senza andare tanto
lontano, agli Stormy Six e alla cooperativa l'Orchestra, ai
Dischi del Sole. E prima ancora, a metà degli anni cinquanta
tutto il giro marginale di musica popolare americana, blues
e folk si stampava i dischi artigianalmente. Penso che il fattore
determinante per lo sviluppo e l'espandersi dell'editoria discografica
indipendente nei primi anni ottanta sia stato il calo del costo
della tecnologia, è stato improvvisamente più
facile acquistare strumenti, registratori e microfoni, ed è
stato più facile accedere a qualche stabilimento di stampaggio
di dischi per farsi fare quelle mille copie di tiratura minima.
Sono convinto che la rivoluzione operata dai Crass e dagli anarcopunks
sia stata altrove, sia stata cioè nel far aprire gli
occhi e soprattutto la mente ai ragazzi proprio riguardo al
diritto d'accesso all'espressione libera: non occorre essere
musicisti bravissimi per potersi permettere di suonare, così
come non occorre essere poeti o scrittori laureati per potersi
permettere di leggere a voce alta su di un palco. Anzi, neanche
serve il palco: mescolati alla gente. Il fuoco dell'attenzione
è stato spostato sulla creatività, togliendo importanza
alle sovrastrutture della diffusione culturale industriale.
Hai delle cose da dire? Hai delle cose da far sapere in giro?
Bene, fallo. Non hai una bella voce? Non importa: è la
tua. Usala. Anche se i giornali musicali ti convincono del contrario,
non hai bisogno di un agente e neanche di un produttore artistico,
e men che meno hai bisogno dei giornali musicali. Comincia a
cantare, fallo adesso. La vera rivoluzione è stato affermare
questo in un periodo storico in cui l'attenzione per le produzioni
discografiche si era sempre più allontanata dai contenuti
per concentrarsi sulla confezione: i cantautori impegnati, la
sperimentazione e la ricerca, tutto l'universo conosciuto come
la cosiddetta “musica alternativa” era improvvisamente
stato spinto fuori del mercato, dai media, non era più
di moda. Le radio trasmettevano sempre più disco music,
le radio libere sempre meno libere e sempre più private.
Dopo The dark side of the moon un gruppo rock non poteva
più proporre soltanto dei “semplici” dischi
e dei “semplici” concerti, ma delle opere e degli
spettacoli sempre più elaborati e complicati che improvvisamente
hanno cominciato a scricchiolare. I Crass e gli anarcopunks,
diffondendo la pratica dell'autoproduzione e riportando tutto
ad una dimensione umana hanno rosicchiato una fetta di mercato
dapprima marginale poi però sempre più consistente,
sto parlando di centinaia di migliaia di copie, e la cosa per
un po' ha funzionato. È ovvio che l'industria discografica
non se ne sia rimasta lì a guardare, in breve ha voltato
le spalle ai musicisti “veri” per dedicarsi allo
sfruttamento degli incapaci, comprati con vino scadente e pochi
spiccioli, e s'è ripresa il controllo del mercato. Chi
era recalcitrante all'omologazione è stato preso per
fame e ricattato, o è stato fatto fuori. Del resto è
sempre stato così, mica importa qualcosa se ti chiami
Kurt Cobain o Luigi Tenco.»
Raccontami del concerto.
«Be', riuscire ad assistere di persona a un concerto dei
Crass è stata un'esperienza formativa. Qualche mese prima
avevo pubblicato Anok4u, volevo raccontargli come stava
andando e ho telefonato a Dial House ma mi ha risposto la segreteria
telefonica: non c'era nessuno, sarebbero stati per un po' in
giro a suonare. Dai, ci vado, mi sono detto. Sono riuscito per
fortuna a trovare un biglietto aereo molto economico, così
ho preso qualche giorno di ferie e sono partito. Spero sia chiaro
che per me non è stata una cosa tipo vado a vedere i
Led Zeppelin, i Crass dal vivo me li sognavo da cinque anni,
ci eravamo incontrati più volte ma non li avevo mai visti
suonare. Non sapevo cosa aspettarmi. Non è stato un evento
memorabile, cioè, mi spiego meglio, memorabile lo è
stato sì, ma non nel senso comune di impatto spettacolare
o di accadimento culturale rimbombante. È stata, direi,
una semina a germogliazione lenta. Il concerto di quella sera
era organizzato in un centro culturale in periferia, un quartiere
popolare, uno di quei posti mandati avanti a forza di volontariato
e buonsenso. Ho preso un autobus per Nottingham da Londra nel
primo pomeriggio, loro erano arrivati da poco così gli
ho dato una mano a scaricare l'attrezzatura. C'era della roba
da mangiare portata là da qualcuno, siamo rimasti seduti
a un tavolo vicino al palco a fare merenda e bere tè
e chiacchierare mentre arrivava gente, tutta gente calma e tranquilla,
ragazze e ragazzi ma anche famiglie con bambini, poi con molta
naturalezza sono iniziati i concerti. Probabilmente non so descrivere
bene l'atmosfera della serata, io ero distratto da cento cose,
ero agitato e nervoso, ma tutti lì sembravano invece
molto calmi e rilassati. Eppure è stata una cosa molto
intensa, specialmente il concerto dei Flux, davvero incendiari
e inquietanti, tutti molto presi dal discorso su violenza e
sessismo. I D&V riuscivano a ipnotizzare, facevano pezzi
voce e batteria di uno-due minuti soltanto ma sembrava non finissero
mai, e quando finivano restava appeso attorno un silenzio irreale.
Annie Anxiety è stata particolarmente sconvolgente, siamo
rimasti a parlare e bere tè fino a mezzo minuto prima
che iniziasse il suo reading e lei, una volta fatti quei due-tre
gradini per arrivare sul palco si è messa a volare su
un tappeto di nastri registrati intrecciati trasformandosi in
una gatta, in un serpente, in una nuvola, in una fiammata, in
pioggia battente. A fine serata siamo rimasti tutti ancora un
poco là con la gente del posto, poi gli ho dato una mano
a riportare la roba nei furgoni e a dare una ripulita alla sala.
Alla fine baci e abbracci, loro se ne sono andati via e io a
piedi fino al terminal ad aspettare il primo autobus del mattino
per ritornare a Londra. È stato uno dei loro ultimi concerti,
un paio di mesi dopo hanno deciso di smettere di suonare.»
Un'altra cosa che ho notato, ci sono le tue foto del concerto
al Marcus Garvey Centre.
«Sono un incapace, le foto sono fatte male e sfocate,
sono tutt'altro che professionali, ma sono vere. Sono anche
poche, sette otto in tutto, avevo con me solo un rullino e ho
esagerato scattando le foto a quegli altri che avevano suonato
prima. Chissà dove saranno finite, saranno andate perse
in qualche trasloco. Magari saltano fuori.»
Immaginavo una serata ricca di tensione, almeno è
questa l'idea che mi sono fatto ascoltando la registrazione.
«Era senz'altro d'impatto il discorso complessivo, e d'impatto
forte, ma l'ambiente intorno come ti ho detto era molto pacifico.
Magari esagero, ma venire a contatto con loro per me è
stato una specie di insegnamento zen. Penso sia stata una delle
loro caratteristiche fondamentali: i Crass ti prendevano in
contropiede, ti rendevi conto del vuoto che sosteneva i tuoi
pregiudizi. Una cosa importante per me, che sarò stato
senz'altro ben disposto alle cattive frequentazioni anarchiche
e influenzato da queste, ma che ero comunque cresciuto in un
ambiente fortemente politicizzato come poteva esserlo una città
operaia degli anni settanta. Ero di una curiosità vorace.
In un certo senso mi allarmava il fatto che si interessassero
a me, che mi chiedessero come stavo e come andava a casa: ero
io quello che aveva mosso il culo da Venezia fino a Londra,
ero io quello interessato a cosa facevano loro, ero io quello
che voleva fare le domande. E loro lì sempre col loro
tè, sempre a scaldare altra acqua, sempre a sfornare
e affettare pagnotte da spalmare col Marmite, senti invece di
stare chiusi qua dentro a parlare andiamo a farci un giro che
è una bella giornata di sole. Ai giornali musicali invece
che rilasciare interviste richiedevano degli spazi da autogestire,
una cosa impensabile adesso, pensa trenta-trentacinque anni
fa. Ai ragazzi delle fanzine che gli chiedevano di preferenze
musicali parlavano di Martin Luther King e di Gandhi, di anarchia
e di femminismo. Per sapere quelle due cose che riuscivi a chiedergli
ci voleva un'ora e poi aspetta, lascia stare, senti questo disco,
conosci Joni Mitchell vero? Ricordo avevano un 45 giri bootleg
con una registrazione di Elvis Presley che si era messo a ridere
nel mezzo di una canzone e non riusciva più a fermarsi.
Che roba, vero? Dai, un altro po' di tè. Altro pane?
Hai sentito la canzone nuova di Robert Wyatt? Mettevano su Shipbuilding
e ascoltandola gli venivano le lacrime agli occhi. Dell'altro
tè? Ti spiazzavano. Pensavi di avere a che fare con un'organizzazione
politica e invece passavano più tempo nell'orto e a leggere
che in sala prove. Eppure avevano il potere, passami la brutta
parola, di darti fuoco alle idee dentro in testa.»
Erano considerati pericolosi per questo.
«Sin dall'inizio hanno fatto di tutto per non soccombere
al silenzio: il loro disco d'esordio è stato pubblicato
nell'ottobre del 1978 ma privo di una canzone che era stata
ritenuta “oscena” dai gestori dello stabilimento
di stampaggio del vinile, si erano proprio rifiutati di farglielo
se non la toglievano. L'anno dopo hanno ristampato il disco
secondo il loro progetto originale, ricevendo di lì a
poco una visita di Scotland Yard che era stata allertata da
delle denunce per vilipendio e blasfemia criminale. John Peel
li ha trasmessi alla BBC una volta sola, la stampa musicale
inglese descriveva abitualmente i loro lavori in termini dispregiativi.
I loro dischi sono stati sistematicamente oggetto di censura
e boicottaggio, pensa a Bloody revolutions acquistato
quasi in blocco dai grandi magazzini HMV e mandato al macero
su ordine della direzione. Il loro terzo album Penis envy
è stato giudicato osceno da un tribunale, condanna confermata
in appello, e viene tuttora diffuso in una confezione di plastica
opaca semirigida come le riviste porno. Nel 1982 per vie traverse
erano riusciti a far stampare in Francia Sheepfarming,
una protesta infuocata contro la guerra delle Falklands, importandolo
sottobanco in Inghilterra e distribuendolo clandestinamente,
ma il disco è stato presto intercettato e sequestrato
e loro accusati addirittura di collusione col terrorismo. Il
disco successivo How does it feel to be the mother of one
thousand dead? li ha visti coinvolti in un'inchiesta giudiziaria
fatta aprire dal primo ministro Margaret Thatcher in persona.
I gestori dei negozi di dischi che esponevano i loro dischi
in vetrina ricevevano visite della polizia, dapprima invitavano
in forma discreta a toglierli e a renderli al distributore,
poi passavano a controlli pretestuosi, perquisizioni, minacce,
addirittura dei negozianti sono stati denunciati, processati
e condannati per commercio di materiale osceno a minori. Meno
male che erano inglesi, in un altro paese li avrebbero ammazzati
di botte e fatti sparire.»
Secondo te, ora, c'è ancora un senso a leggere
e ascoltare i Crass?
«Dipende da cosa vuoi quando ti metti ad ascoltare un
disco. Queste sono canzoni politiche nel senso più alto
ed onesto: parlano di vita, di morte e di tutto quello che ci
sta in mezzo mettendosi al nostro stesso livello e adoperando
le stesse parole che usiamo tu e io. Possono essere lette come
poesie, poesie di rivoluzione. Sono anche canzoni di protesta
nel senso più aggressivo: ti si inchiodano addosso, creano
agitazione, possono fare danni. Non sono delle occasioni di
intrattenimento, non si possono adoperare in sottofondo per
passare dei mezzi pomeriggi piacevoli. Mica ti capita di canticchiarne
una mentre sei sotto la doccia. Loro le avevano definite “canzoni
d'amore”, ma può essere stata una provocazione,
penso che dall'ascolto proprio di nessuna si possa uscire gratificati.
Che abbia oggi un senso mettersi ad ascoltarle, a leggere questi
testi, direi di sì. C'è però il rischio
reale che queste canzoni inneschino delle bombe in testa. Ad
esempio, ascoltare i vecchi Crass degli anni ottanta può
dare un'idea concreta di dove si sia arrivati adesso: ci si
può chiedere che tipo di rapporto e che tipo di condivisione
culturale ci possa essere con quella gente che oggi canta di
malcontento e frustrazione, ma col culo al caldo garantito da
un contratto con una multinazionale dell'intrattenimento. Ci
si può chiedere se vale davvero la pena perdere tempo
prezioso della vita sprecandolo per ascoltare della merda confezionata
in pacchetti di tre minuti e inframezzata da spot pubblicitari.
Ci si può chiedere se non valga davvero la pena comprare
un cd in meno e invece prendere un libro, o magari comprare
qualche cosa da mangiare a chi ne ha bisogno. Ci si può
chiedere se è una coincidenza che il padrone della casa
discografica del cd che hai comprato ieri sia lo stesso del
padrone del giornale che leggi, e del padrone del supermercato
dove fai la spesa, e del padrone di quella grossa fabbrica di
armi di cui parlano i giornali... Ci si può chiedere
se la tua vita passa davvero per i panorami in heavy rotation
su MTV o per i talent show, se il rumore che ti circonda assomiglia
davvero a quello che esce da dentro la televisione. Possono
magari venirti in mente interrogativi più inquietanti,
tipo se è davvero questa la vita che vuoi, se davvero
non ci sono soluzioni, vie d'uscita, possibilità. I Sex
Pistols si lamentavano che non esistesse il “futuro”
già trentacinque anni fa, e si sono arricchiti in fretta
rastrellando spiccioli di consenso tra i ragazzini. Potrei continuare,
ma già adesso sembro paranoico. Magari lì a Dial
House non avevano torto, forse era davvero meglio uscire e farsi
un giro perché c'era il sole. Era meglio approfittarne
finché si poteva.»
Cosa sono riusciti a costruire i Crass?
«Tornando alle parabole zen, i Crass non hanno distribuito
pesci, ma hanno raccolto dei ragazzi attorno a sé e insegnato
a costruire canne da pesca. È gente che non ha avuto
paura di sporcarsi le mani di merda per tirarla addosso alla
regina, al papa, al governo, alla polizia, ai benpensanti, a
quelli che preferiscono restare zitti, a quelli che se ne fregano.
Gente che rifiutando l'obbedienza e il silenzio ha restituito
dignità alla protesta. Hanno convinto tanti ragazzi ad
usare la creatività come arma, scusa se è poco.
A quanto ho letto in giro, questo non viene considerato come
un'eredità concreta. Io non la penso così, trovo
invece assai concreto l'aver acceso speranza e soprattutto consapevolezza
nel cuore di una generazione come la mia, immersa nella disoccupazione
e nella minaccia della guerra e del buio nucleare. Non hanno
mica detto no e no e no e basta, hanno offerto alternative a
portata di mano, obiettivi che si riusciva a immaginare, a sfiorare
quasi con la punta delle dita. Hanno cantato che era possibile
e hanno spiegato come spezzare la catena scuola-caserma-chiesa-famiglia-fabbrica-cimitero,
e cazzo per uno come me che ne era condannato per nascita non
è stato poco. La mia esperienza personale è stata
importante: ho tratto ispirazione da questo incontro, con ogni
probabilità ne ho tratto degli insegnamenti e delle indicazioni,
penso che anche grazie a questi scambi la mia vita possa aver
preso una certa piega, senz'altro ha influito sul modo di rapportarmi
con gli altri. Penso che abbiano avuto un'influenza importante
anche sulla maniera globale di ripensare non solo l'anarchia,
ma l'antagonismo in generale.»
Invece cosa non sono riusciti a costruire i Crass?
«Trovo non siano riusciti a trovare una giusta pacificazione
tra loro, mi dispiace che si siano allontanati in maniera così
astiosa. Finché era vivo, John Loder riusciva a mantenere
un buon equilibrio tra le diverse anime del gruppo, ma venuto
a mancare lui tante tensioni sono proprio esplose. I problemi
interpersonali a cui mi riferivo all'inizio riguardavano la
rimasterizzazione delle registrazioni, era stato contestato
il fatto che Penny avesse messo mano alle registrazioni originali
mettendone a conoscenza gli altri solo a cose fatte, o comunque
tardi, c'era chi era d'accordo e chi invece non voleva venissero
toccate. C'erano stati dei contrasti già al tempo dello
scioglimento del gruppo e discussioni quando s'era trattato
di acquistare Dial House, poi altri attriti per la gestione
dell'archivio. E di recente, la classica ciliegina sulla torta,
i Crass si sono ritrovati un giorno con Colin Jerwood dei Conflict
che aveva registrato a proprio nome le loro canzoni all'MPCS,
press'a poco la SIAE inglese, meno male che la cosa s'è
risolta, erano appena a un passo dal finire in tribunale. Sono
cose che mi mettono fortemente a disagio e che non desidero
commentare.»
Vuoi aggiungere qualcosa per concludere?
«Sì, vorrei esprimere la mia gioia e la mia riconoscenza
a tutti quei vecchi compagni di strada che con la scusa di questo
libro si sono rifatti vivi con me, alcuni dopo tanti anni. Pete
Wright mi ha scritto una lettera che mi ha commosso, così
anche Martin Wilson dei Flux. Ho parlato a lungo anche con Laura
dei Raf Punk e la nostra conversazione mi ha molto toccato.
C'è da riflettere su quanto certi incontri e certe frequentazioni
giovanili possano poi trasformarsi in suggestioni e influenze
che ti accompagnano per il resto della vita. È stato
bello accorgersi che quei semi sono poi riusciti a germogliare
nonostante la terra avvelenata e la siccità e le pietre
intorno, nonostante i casini. Voglio molto bene a queste persone.»
Enrico Bernardi
i
Crass su “A”
Non è la prima volta che sulle pagine di “A”
si parla dei Crass. Presentati su “A” 101 (maggio
1982), sono stati i protagonisti anche di due copertine.
In alto, la copertina di “A” 104 (ottobre 1982),
oggetto di contestazione da parte di vari compagni/e, è
tratta da un'opera di Gee Vaucher allegata a Christ –
the album. In basso, anche il disegno di copertina di “A”
140 (ottobre 1986), tratto da Best before. All'interno
del numero (alle pagine 19-25) è stato pubblicato anche
un loro scritto, nel quale raccontano la loro storia. E spiegano
il perché dello scioglimento.
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