Bella Ciao: i primi cinquant'anni di un mito
Mezzo secolo prima che voi leggeste queste righe erano già
cominciate le prove.
Il Nuovo Canzoniere Italiano produceva uno spettacolo. Questo
spettacolo avrebbe avuto la prima assoluta il 21 giugno del
1964 al Festival dei Due Mondi di Spoleto, al Teatro Caio Melisso.
Cinquanta anni fa andava in scena lo spettacolo Bella Ciao.
Da qui – si può dire – comincia la nostra
storia.
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La copertina del disco “Le canzoni di Bella Ciao” |
Un lavoro di confluenze e di provocazione
Nello spettacolo Bella Ciao confluivano quasi dieci anni di
esperienze di ricerca e raccolta di canti popolari. Le pionieristiche
campagne di Alan Lomax e Diego Carpitella, attraverso l'Italia
contadina pre-televisiva degli anni '50. Il lavoro a tutto tondo
dei Cantacronache, che si erano mossi – con tutti i limiti
e le passioni dei giovani iniziatori – contemporaneamente
sulla composizione di nuovi canti sociali, sulle riflessioni
teoriche in merito alle canzoni in generale, sulla ricerca dei
canti popolari, sull'esecuzione e sull'accostamento di canti
di secoli, luoghi, forme, contesti differenti. Soprattutto sul
loro valore critico nella società dell'epoca.
E poi le esperienze di Roberto Leydi, Cesare Bermani, Dante
Bellamio, Riccardo Schwamenthal, ecc.
Il ruolo di uno dei più grandi organizzatori culturali
che il nostro paese abbia avuto, Gianni Bosio, aveva compiuto
il miracolo di far incontrare queste esperienze lontane, frammentarie,
in una prodigiosa macchina organizzativa che sotto le sue varie
definizioni (Nuovo Canzoniere Italiano, Istituto Ernesto de
Martino, Dischi del Sole, ecc.) avrebbe dato alla cultura popolare
lo slancio per incidere sul nostro presente ed arrivare sino
a noi.
Come fare? Data l'importanza e la bellezza di questi canti raccolti,
come si poteva comunicarli, cantarli, riproporli fuori dal contesto
originale in cui erano nati? Quale forma di spettacolarizzazione
avrebbe evitato i rischi del tradimento, del travisamento, della
normalizzazione da una parte, e quello della contemplazione
di un forziere di tesori musicali nascosti e riservati a pochi
eletti, dall'altro?
Era già cominciata la pubblicazione di dischi rigorosi
nelle esecuzioni. Frutto di registrazioni originali sul campo
(le voci popolari di Teresa Viarengo, delle sorelle Bettinelli,
di Giovanna Daffini) o di interpreti formatisi essi stessi nella
pratica della ricerca sul campo (Giovanna Marini, Caterina Bueno,
Michele L. Straniero), questi dischi erano tanto un documento
quanto un'opera d'arte, accompagnati sempre da note editoriali
sulla copertina e da contemporanee pubblicazioni di materiali
d'approfondimento in rivista o libri.
Questa fu certo la prima punta di diamante di questo progetto,
e produsse oggetti bellissimi – anche graficamente –
che, ristampati o diffusi via internet, arrivano sino al nostro
tempo e che, sui supporti originali, fanno l'orgoglio dei collezionisti
di vinile.
Ma la canzone popolare vive più di ogni altra nel contatto
diretto, in un'esecuzione che non viene vissuta in modo gerarchico.
Ascanio Celestini – parlando di teatro e narrazione popolare
nel libro “Incrocio di sguardi” – fa un esempio
che, con poco sforzo, possiamo rovesciare sull'ambito musicale:
«In questo tipo di narrazione – al contrario di
quanto avviene a teatro – non c'è separazione netta
fra il narratore e tutti gli altri che ascoltano. Magari c'è
uno che racconta il novanta per cento della storia, ma ce ne
sono anche due che mettono bocca, c'è un altro che solo
annuisce, però dall'espressione si capisce che quella
storia già la sa e dunque partecipa. È sempre
la comunità che si racconta. Quella cosa lì viene
messa in quel luogo, in quel momento ed è a disposizione
di tutti. Anche di quello che manco annuisce, sta di spalle,
però sente». Evidentemente questa percezione è
impossibile da riprodursi in un ambito teatrale, ma le infinite
discussioni sorte a metà degli anni sessanta attorno
allo “specifico stilistico” e al dilemma del “ricalco”,
danno conto di come ci si arrovellasse per conservare l'eco
di questa sensazione.
Una delle strategie che più assorbirono le forze collettive
del Nuovo Canzoniere fu la costruzione di grandi spettacoli
corali di canzoni. Il più celebre è forse proprio
“Bella ciao” per motivi non del tutto intenzionali,
anche se lo stesso Cesare Bermani, sulla scorta di un giudizio
di Diego Carpitella, sostiene che forse il più bello,
di certo il più interessante dei loro spettacoli, sarebbe
stato “Ci ragiono e canto”, prodotto due anni dopo
assieme al genio teatrale di Dario Fo.
“Bella ciao” rimane però nel cuore degli
appassionati come un mito fondativo, la sua immagine s'è
propagata nella memoria collettiva come quella di una sorta
di Woodstock del folk italiano.
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Un momento dello spettacolo “Bella Ciao” |
La storia controversa di un mito
Bella Ciao è rimasto un evento nella musica, nel teatro
e più in generale nella cultura italiana. Lo spettacolo
fu presentato per la prima volta domenica 21 giugno del 1964
al Teatro Caio Melisso, nel cartellone del Festival dei Due
Mondi di Spoleto, dove fu inserito per interessamento di Nanni
Ricordi, il direttore artistico voluto quell'anno dal fondatore
del Festival Gian Carlo Menotti. Lo spettacolo venne presentato
a cura di Roberto Leydi e Filippo Crivelli (il regista) con
dei testi introduttivi redatti da Franco Fortini.
La tensione, cresciuta già durante l'anteprima, esplose
dalle prime file della platea nel secondo tempo di quel pomeriggio,
quando la canzone antimilitarista “O Gorizia tu sei maledetta”,
che sarebbe dovuta essere cantata da Sandra Mantovani, lo fu
invece da Michele L. Straniero con la variante “traditori
signori ufficiali/voi la guerra l'avete voluta/scannatori di
carne venduta/e rovina della gioventù” (strofa
che non era compresa nel copione depositato). La percezione
dell'evento e delle sue probabili ripercussioni aveva però
richiamato quel giorno in teatro molti nomi dell'intelligencija
di sinistra, quali Giorgio Bocca, Raf Vallone, Giancarlo Pajetta,
Miriam Mafai. Ci furono battibecchi e rumorose contestazioni
per tutto il resto dello spettacolo. Quella sera Nanni Ricordi
rassegnò le dimissioni in furiosa polemica con Menotti,
Straniero fu denunciato per vilipendio alle forze armate. Le
minacce e le intimidazioni dei gruppi di destra crebbero di
replica in replica, arrivando nei giorni successivi alla soglia
dell'attentato dinamitardo. In ogni caso lo spettacolo arrivò
alla fine della settimana di repliche (l'ultima il 29 giugno),
totalizzando il più alto incasso del Festival, per poi
essere ripreso al Teatro Odeon di Milano nel maggio dell'anno
dopo.
Le polemiche, le denunce, i processi, mobilitarono una sorta
di solidarietà attraverso la quale le aree più
progressiste del paese si strinsero attorno a Bella Ciao e si
accesero d'interesse per il lavoro del Nuovo Canzoniere e del
canto popolare e sociale in genere. Bella Ciao era certo un
prodotto culturale del centrosinistra, impensabile già
solo pochi anni prima, al tempo del governo Tambroni e delle
repressioni di Scelba. Ma la canzone popolare e le strategie
di riproposizione e di studio messe in atto da Bosio, Leydi
e compagnia, generarono un patrimonio progressivo e inclassificabile,
per nulla settario, che superò l'incomunicabilità
di classi e generazioni diverse, dialogando col nascente movimento
studentesco e finendo per rappresentare il dizionario sentimental–politico
dell'ondata libertaria sessantottina. Oggi quelle canzoni sono
ancora percepite come la colonna sonora degli anni della Contestazione.
Si definì in quei giorni un modo del tutto nuovo di fare
politica con le canzoni, di raccontare la storia dal punto di
vista delle classi subalterne. Si scoprì in un colpo
che i dialetti non erano un fatto residuale di folklore, ma
una miniera di cultura, che il teatro musicale – all'epoca
non esisteva il concerto pop – non era appannaggio della
lirica e di chi aveva frequentato il conservatorio. La profonda
bellezza dei canti rinvenuti negli anni che precedettero lo
spettacolo, ma più ancora l'assoluta novità dei
loro moduli musicali poetici ed esecutivi, mise il popolo italiano
di fronte alle proprie radici contadine, alla propria cultura
orale. Bella Ciao fece epoca, e la sua versione discografica
– che, si badi bene, è solo una selezione registrata
in studio, non una ripresa live dell'originale – sempre
ristampata, non può mancare in nessuna collezione essenziale
di musica popolare al mondo.
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Milano, Teatro Odeon, da sinistra: Ivan Della
Mea, Gaspare De Lama, Giovanna Daffini, Sandra Mantovani, Caterina
Bueno, Hana Roth e Policarpo Lanzi |
Canzoni di ieri? Canzoni per domani?
Se lo spettacolo Bella Ciao è entrato nel mito, lo
stesso si può dire per le sue intenzioni a cinquant'anni
di distanza? Purtroppo no...
Il repertorio di Bella Ciao – a eccezione di pochi brani
entrati nella memoria collettiva, come appunto il brano eponimo
– è stato ingiustamente rimosso proprio per la
sua importanza, per la sua urgenza, per il fastidio che genera:
sono canzoni che chiamano il pubblico a prendere posizione,
che tirano le orecchie alle coscienze addormentate della sinistra
di ogni tempo. Oggi le canzoni di Bella Ciao non solo conservano
tutta la loro potenza espressiva, ma hanno acquisito una nuova
urgenza nel mondo globalizzato, che dietro una malintesa percezione
delle radici popolari della nostra cultura, sembra ignorare
i valori libertari e pacifisti. Bella Ciao è una lezione
di civiltà che nasce dal basso. Un romanzo storico costruito
attraverso la musica, i suoni e le parole.
Ad ogni decennale girano voci di un riallestimento, ma toccare
un mito è difficile, è necessario essere al contempo
fedeli e innovativi, risolvere l'apparente inconciliabilità
di queste due esigenze. Riallestire Bella Ciao in una nuovissima
versione che sia una fedele riproposizione delle intenzioni
e delle canzoni originali, ma anche l'occasione per dialogare
con un mondo culturale lontanissimo da quello per cui fu concepito.
Non un atto di archeologia dunque, ma una provocazione per il
pubblico contemporaneo.
Bella Ciao è ancor più necessario oggi che nel
'64... e qualcuno a Milano forse se ne è finalmente
reso conto.
Alessio Lega
alessiolegaconcerti@gmail.com |