Botta.../
Ancora sui berberi
Cari Isabelle e Abdellah,
credo che tra di noi (Attenti
a non mitizzare i berberi, “A” 386, febbraio
2014, pag. 119) ci sia un diverso modo di leggere la storia.
Forse complementare, ma certamente diverso.
La storia a cui voi fate riferimento è quella delle conquiste
o delle conversioni, dei condottieri e degli eroi, dei trattati
e degli imperi. Avete ragione, io sono fuori da questa storia,
anzi ad essere sincero io a questa storia non sono semplicemente
interessato. La storia che mi affascina è quella delle
persone, magari delle comunità, dei loro usi e costumi.
Forse più che storia si tratta di antropologia. In antropologia
c'è una maniacale ricerca del mito. Il mito rappresenta
un potentissimo strumento per capire una comunità.
Quello che ho voluto descrivere con il mio articolo sui berberi
non è certo un mito tamazight, ma un mito del mondo occidentale.
Del resto si capisce meglio se stessi quando si entra in relazione
con gli altri. Il mito che ho raccontato è quello legato
ad un mondo che sembra essere perduto, fatto di relazioni che
sono anche di natura commerciale, come quelle che avvenivano
nei mercati, ma sono anche legate ad una prossimità con
la natura, che un popolo nomade è costretto ad affrontare,
oserei dire, per definizione.
Quindi lungi da me il voler miticizzare i berberi, io ho voluto
alimentare un mito in seno alla cultura occidentale che credo
sia importante alimentare, per stimolare il cambiamento verso
una società più autentica. Una conversione alla
logica del lavoro artigianale e del contatto con l'ambiente
che ci circonda. Perché, cari Isabelle e Abdellah, quello
che ho trovato essere vero, nel senso sincero, durante il viaggio
che ho fatto in Marocco, è l'incontro con una cultura
viva e pulsante, energia questa che faccio fatica a trovare
in Europa, anche nella mia per ora poco standardizzata Lisbona.
Grazie.
Gianluca Luraschi
Lisbona (Portogallo)
...e risposta/Parliamone davanti a un tè (alla menta)
Caro Gianluca,
la nostra era semplicemente una reazione ad una tua frase sulla
“lunghissima storia dei berberi”, di cui dicevi
che “non hanno mai fatto guerre di conquiste, solo vittoriose
resistenze”. Il titolo sulla mitizzazione non è
nostro ma degli editori.
Per il resto, siamo contenti, e non sorpresi, che anche tu sia
stato conquistato dall'atmosfera dei suk, dal saper fare degli
artigiani, dall'arte di negoziare che descrivi così bene
nel tuo articolo, e forse anche dalla “leggendaria ospitalità
marocchina”. E così t'invitiamo, appena si presenta
l'occasione, a prolungare la discussione intorno ad un tè,
alla menta s'intende.
Isabelle Felici e Abdellah Diyari
Montpellier (Francia)
Ma che brutto gioco/ Programmi tv come addestramento di massa alla sottomissione
Avrete notato, credo, il moltiplicarsi (in tempi così
rapidi da non poter essere fenomeno casuale o “naturale”)
di programmi tv basati sulla competizione. Anzi sulla competizione
esasperata che conduce ad una sistematica, progressiva eliminazione.
La formula è semplice, sempre la stessa: cantanti, cuochi,
parrucchieri, pasticcieri, ballerini, aspiranti uomini d'affari
(sic) e altre categorie si sottopongono al giudizio - spesso
spietato, sempre severo - di sedicenti giudici. Da notare che
i giudici, il cui verdetto è inappellabile, sono quasi
sempre sconosciuti al grande pubblico quanto gli aspiranti che
saranno giudicati, ma essi (i giudici) sono investiti di un'autorità
(ripeto: autorità, dato che della loro autorevolezza
nulla è dato a sapere) di un'autorità, dicevo,
assoluta. Lo “spettacolo” funziona così:
gli esaminandi si sottopongono a prove anche molto dure, la
competizione è feroce perché il “gioco”
è a eliminazione, non esistono squadre perché
il vincitore può essere solo un individuo e i gruppi
che occasionalmente si formano hanno una vita solo funzionale
alla selezione dei singoli. I giudici usano - si noti, ciò
accade in ogni programma - una durezza ostentata, una spietatezza
programmatica e spiccia. Talvolta arrivano alla soglia dell'insulto,
mentre l'umiliazione è regolare.
L'arroganza è il codice di questi programmi: arroganza
esibita dal giudice, arroganza subìta come inevitabile
e dunque necessaria da parte del candidato. O si vince o si
cade nel nulla: questo è il messaggio di tali programmi
che, va sottolineato ancora una volta, sono sempre più
diffusi. Gli esaminati accettano supinamente l'autorità
totale dei giudici: chi viene cacciato, ha spesso parole molto
severe verso se stesso; così come sono esagitate le dichiarazioni:
“ce la metterò tutta” o “non posso
fallire questa è la mia vita” o “non la deluderò,
chef” ecc.ecc.
Perché mi occupo di questa ennesima forma di tv spazzatura
che, francamente, fa proprio schifo? Perché oggi la tv
non descrive, ma anticipa la realtà della società.
O meglio: la tv è il battistrada, l'apripista delle teorie
sociologiche delle classi dominanti. È la cartina al
tornasole. È la ricetta della torta avvelenata che ci
stanno confezionando. Sotto la (falsa) motivazione dell'intrattenimento,
la televisione disegna e testa la società che il sistema
sta imponendo.
La tv oggi è il laboratorio di prova, e al tempo stesso
il maggior artefice, della società che le classi dominanti
stanno disegnando e imponendo al mondo occidentale. I programmi
di cui ho appena detto non sono “giochi”: sono la
struttura imminente della società e del mondo del lavoro.
Le classi dominanti vogliono una società docile, mansueta,
fatta di individui che non hanno idea di cosa sia la solidarietà
ma che vivono sgomitando rabbiosamente in una competitività
frenetica. Le classi dominanti vogliono il diritto assoluto
di giudicare e premiare e selezionare. La cosiddetta meritocrazia
è l'infame etichetta che i padroni hanno dato alla loro
pretesa di scegliere chi premiare, in base a criteri che solo
loro decidono e applicano.
Altro messaggio forte che si vuole dare è questo: “se
fallisci, la colpa è solo tua”, e ancora: “io
ti ho dato l'occasione della tua vita, tu l'hai sprecata”:
sono vergognose menzogne che servono solo a giustificare il
ruolo di potere e negano che il successo sia ottenuto (come
invece succede) da infinite vie anche inconfessabili, da mezzi
diversi, in modi diversi e la riuscita, in questa nostra società,
non dipende che in piccola parte dal reale valore delle persone.
Ma se si ammettesse questo, cadrebbe come una montagna di fango
l'imponente piramide sociale su cui svettano i potenti. Questa
pseudo- ideologia del successo ignora, anzi irride, tutto ciò
che sappiamo da secoli sulle dinamiche sociali, sulle influenze
dell'ambiente economico e sulle profonde complesse reti causali
che modulano la vita degli individui e della società.
Insomma: non è affatto vero che vincono solo i migliori,
ed è ancora più falso che “se sei bravo,
prima o poi arrivi al successo”: è la più
ridicola menzogna borghese, fondata su un agghiacciante darwinismo
sociale, rozzo e bestiale. Certi programmi tv sembrano divertenti
passatempi che incentivano l'hobby della cucina o del canto.
In realtà, sono operazioni di manipolazione culturale
che stanno sovvertendo valori secolari, creati dall'impegno
e dalla fatica di generazioni: solidarietà, collaborazione,
consapevolezza, rispetto, autogestione, creatività sono
ciarpame che ostacola il progetto di dominio delle classi dominanti.
Obbedienza, sottomissione, arrivismo e servilismo sono le nuove
coordinate della società che i padroni ci stanno imponendo
con la forza (repressione, controllo poliziesco, nevrosi normativa)
e con la suggestione più o meno evidente di uno “spettacolo”
che celebra soltanto l'imbecillità e la violenza.
Paolo Cortesi
Forlì
Prosegue
il dibattito su
movimenti e potere
Pubblichiamo
qui di seguito il terzo interventi pervenuto nel dibattito
sulle tematiche toccate nei quattro articoli di Antonio
Senta (“potere e movimenti”) pubblicati sulla
nostra rivista tra l'ottobre 2013 (“A” 383)
e il febbraio 2014 (“A” 386). Ricordiamo che,
come in occasione del precedente dibattito sul libro “Libertà
senza rivoluzione” di Giampietro “Nico”
Berti, gli interventi non possono superare le 6.000 battute
(spazi compresi).
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Dibattito
Movimenti e potere/3
Francesca Palazzi Arduini/Lo Stato non c'è (quasi) più
È stato fatto molto dibattito in questi ultimi anni
sull'autogestione di proteste, assemblee e spazi come momenti
politici, sulle manifestazioni di massa popolari che spesso
vedono l'assenza di forme partito alla loro testa.
L' anarco ottimista David Graeber ci invita a pensare al futuro
come basato su collettività sociali e politiche che ri-cominciano
a decidere di sé con la pratica “del consenso”,
pratica inclusiva che mette ognuno/a nella libertà di
accettare o no le decisioni prese. Il ritorno a metodologie
di base funziona però solamente in piccole comunità,
o Reti Sociali e Piattaforme digitali che non si occupino di
questioni sociali ed economiche pratiche, per le quali il “non
decidere” o il “non accettare le decisioni prese”
potrebbe favorire la creazione di enclaves, e di un pericoloso
sgretolarsi del concetto di “cittadinanza” già
abbondantemente sconfitto assieme a quello di laicità.
Un futuro del pensiero anarchico concentrato sulla pratica del
consenso, già applicata in tante assemblee e comitati
territoriali, ed altrettante volte malfunzionante non appena
il consesso si allarga, ci mostra dunque ancora una volta quali
sperimentatori marginali.
Ipotizzare che il futuro politico consisterà di decisioni
anche su larga scala per le quali “Anziché votare
delle proposte, le proposte sono considerate e rielaborate…in
un processo di compromesso e sintesi in cui si finisce con l'ottenere
qualcosa con cui chiunque è d'accordo”, somiglia
un po'troppo a un processo di negazione del conflitto reale
e a un esperimento già svolto dalla socialdemocrazia
.
L'anarchismo come riflessione filosofica e politica antistatale,
resta quindi marginale nello scenario in cui la concezione tradizionale
di Stato (e anche di Diritto e di Bene pubblico) è stata
rottamata assieme ai baluardi etici che lo abbellivano, affidati
ai soggetti sussidiari.
La forbice tra nuove comunità chiuse, o micro-regioni
virtuose solo se cinte da mura… e l'alleggerimento del
sistema Stato per farne una Agenzia di fornitura di un servizio
basico di controllo sociale al nuovo capitalismo, taglia in
realtà fuori come sempre l'anarchismo dal dibattito politico,
e non è poi così larga.
L'esempio italiano è eclatante: la pratica del non voto
in continuo aumento ma un movimento anarchico somigliante a
un Tantalo.
Dal 1948 al 1976 si recava alle urne il 92% degli italiani e
solo dal 1976, guarda caso con le prime defaillances del Pci,
l'astensionismo inizia a salire giungendo alla percentuale di
oggi che rasenta il 25% ed è destinata a salire. Infine
si presenta un nuovo movimento politico gestito commercialmente
e mediaticamente da due ‘pubblicitari', che riesce a diventare
il terzo partito in Parlamento (con 8.689.168 voti alla Camera,
più del Pd) e che sembra mimare tutti i difetti della
Lottocrazia, per la quale, a prescindere dalla appartenenza
ad una classe sociale e/o dalla competenza, chiunque ha diritto
ad essere sorteggiato per governare.
A ciò certo si sovrappongono nuovi esperimenti di manipolazione
di massa che sfruttano la povertà per innescare una richiesta
di Stato, ma che interessano per ora solo l'estrema destra e
le caste di servizio allo Stato.
Proprio l'esperimento taroccato in partenza dei Cinque stelle
mette al centro del dibattito questo: la riflessione anglosassone
sulla sperimentazione di forme di autogoverno nazionale e transazionale
basate sulla Sorteggiocrazia, che punta tutto sul recupero della
nozione di cittadinanza paritaria. Qui dovrebbe essere presente
anche l'analisi sul mutamento della composizione delle classi
sociali, della coscienza di appartenervi, e il dilemma dell'influenza
dei media, cui chi attualmente dibatte non sembra molto interessato.
“Chiunque può governare”, un assunto che
pare rivoluzionario ma che può perdersi nell'individualismo
e nell'astratto. E questo proprio per i mutamenti che il Capitale
ha innescato: dal 2006 la globalizzazione della produzione determina
una drastica diminuzione dei lavoratori nel settore agricolo
(38.7%) e industriale (21.3) e la preponderanza dei lavoratori
nei servizi (40%). Mutanti, fluttuanti, ricattabili, influenzabili.
È cambiata non solo la percezione di sé ma anche
la socialità politica.
Nelle nuove generazioni c'è sempre minore consapevolezza
della differenza non solo tra uso della violenza e uso della
forza ma soprattutto di quella tra la politica del Manifestare
(che ha come controparte un potere che può ascoltare
ma anche ignorare ed è oggi in gran parte teatro gestito
dai mass media), la politica delle Vertenze (che presuppone,
come nel caso di scioperi e blocchi una controparte verso la
quale si può esercitare un potere e intavolare una trattativa),
e quella delle Rivoluzioni (che consiste nel privare del potere
chi ce l'ha deliberando nuove forme per la gestione di esso).
Non è un caso che, come sottolinea Maria Matteo in “A”
385, nell'ottobre 2013 le manifestazioni romane si siano divise
tra quella sindacale e quella che riuniva in qualche modo l'area
antagonista sociale: ciò ha sottolineato l'incapacità
di unire ciò che la globalizzazione ha diviso.
La mia opinione è che in questo scenario, nel nostro
Paese l'ideologia debba cedere il passo ad una politica saldamente
ancorata ai fatti e alla possibilità di inserirsi nelle
macro-dinamiche suscitando dibattito e prese di posizione fruttuose.
La nostra scommessa deve essere riattivare socialmente e politicamente
il gigante che dorme in quel 25% di astensioni e in quell'altro
25% di votanti delusi dalla demagogia.
Francesca Palazzi Arduini
Anarchici contro il fascismo/ Altri libri
Nello scorso numero di “A ”(n. 388 – aprile
2014), all'interno della mia traccia bibliografica (Insuscettibili
di ravvedimento, alle pagg. 06/109), rimarcavo la sostanziale
assenza di lavori specifici sulla Resistenza antifascista in
Liguria e nel milanese.
Devo invece segnalare, con piacere, due titoli nei quali si
parla delle numerose formazioni partigiane libertarie operanti
nel genovesato. Il primo, di Guido Barroero, Anarchismo e
Resistenza in Liguria, Genova, AltraStoria, 2004, uno studio
particolareggiato, ricco di nomi e notizie, che l'autore vorrebbe
propedeutico a nuovi e più ampi studi, il secondo di
Anna Marsilii, Il movimento anarchico a Genova (1943 –
1950), Genova, Annexia, 2004, con un lungo capitolo sulla
Resistenza armata.
Segnalo infine che a breve dovrebbe uscire un ampio lavoro storico
sulle formazioni libertarie operanti a Milano, coronamento del
lungo lavoro di ricerca di Mauro De Agostini e Franco Schirone.
Massimo Ortalli
Ricordando Paolo Soldati/Intransigente e generoso
Mi unisco ad Aurora Failla e a Paolo Finzi in tutto quello
che hanno espresso ricordando
Paolo Soldati (“A” 387, marzo 2014).
Amico generoso ed intransigente al contempo, compagno di strada
nell'aprire altre vie, Paolo riusciva a comporre la vita ideale
nell'esistenza materiale direi quasi distrattamente, senza principi
e dogmi, da anarchico qual era. Così lo rivedo: solare
nell'adempiere le necessità quotidiane, spaccare legna
e murare sostegni, soffermarsi pensoso in pieno orto di montagna
e potare la vigna, discutere senza mezzi termini su ciò
che è giusto e si deve fare, e che lui faceva in cambio
di niente; gli zoccoli di legno e le mani scalfite...
|
Paolo Soldati |
L'ho conosciuto insieme alla sua compagna Milena proprio grazie
a Paolo e ad Aurora, per questo avrei voluto sottoscrivere la
loro lettera: una lettera è sempre una lettera d'amore
e in questo circolo mi ritrovo, con parole che riesco “miseramente”
a dire in confronto a ciò che provo.
Paolo e Milena mi hanno accolto nella loro casa di Pedrinate,
ai confini tra Ticino e Lombardia. Mi hanno fatto incontrare
“mio” marito, sentire l'amore anche nel legame istituito,
trovare la libertà nell'essere amata davvero: per nulla
e ancor di più per i miei difetti.
Giorni fa mi è giunto un biglietto dalla Francia: il
volto sorridente di Paolo in foto, accompagnato da una scritta:
Paolo è partito. Ci ha lasciato un ultimo messaggio per
voi: «Viva la vita, viva l'anarchia». Me l'hanno
mandato Milena, Emma, Emiliano: il mondo condiviso di Paolo,
il mondo per cui la fine è di nuovo sempre un inizio.
Monica Giorgi
(Bellinzona- Svizzera)
I
nostri fondi neri
|
Sottoscrizioni. Giovanna Gervasio (Bagno
a Ripoli – Fi) 50,00; Aurora e Paolo (Milano)
ricordando Amelia Pastorello e Alfonso Failla, 500,00;
Gabriella Fabbri (Colognola ai colli – Vr) 30,00;
Frigerio – Giglio (Lecco) 30,00; Paolo Sabatini
(Firenze) 20,00; Antonino Pennisi (Acireale –
Ct) 20,00; Gesino Torres (Santo Spirito – Ba)
10,00; Monica Giorgi (Bellinzona – Svizzera)
ricordando Paolo Soldati, 82,00; Francesco Piave (Torino)
10,00; Roberto Mazzini (Montechiarugolo – Pr)
20,00; Giovanni Canonica (Barolo – Cn) 10,00;
Jonatha Trabucco (Pisa) 10,00; Marco Sommariva (Genova)
40,00; Antonio Cardella (Palermo) 40,00; Igor Cardella
(Palermo) 20,00; Rolando Frediani (Livorno) 10,00;
Giovanni Dorigo (Moimacco – Ud) 10,00; Rocco
Tannoia (Settimo Milanese – Mi) 10,00; Michele
Morrone (Rimini) 10,00; Pino Cavagnaro (Genova) 10,00;
Mauro Pappagallo (Torino) 10,00; Nicola Farina (Lugo
– Ra) 50,00; Daniele Frattini (San Vittore Olona
– Mi) 10,00; Monica Bagnolini (Bologna) “in
memoria di tutti i migranti morti nel Canale di Sicilia”
10,00; Emanuele Magno (Varese) 20,00; Pasquale Palazzo
(Cava de' Tirreni – Sa) “in ricordo di
Faber e don Andrea Gallo”, 10,00; Alessio Castagna
(Courgnè – To) 3,00; Alessandro Delfanti
(Milano) 100,00; Filippo Spaventa (Roma) 4,00. Totale
€ 1.159,00.
Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti
specificato, trattasi di euro 100,00). Valeria
Nonni (Ravenna); Benedetto De Paolo (Prato Perillo
– Sa); Mirko Negri (Livraga – Lo); Fantasio
Piscopo (Milano) “in ricordo di mio padre Tullio”;
Paolo Fossati (Mariano Comense – Co) “verso
centoquattordici-virgola-cinquanta euri, uno in più
del canone RAI, perché non voglio neanche pensare
di finanziare chi trasmette Porta A Porta più
di chi pubblicava il grande Carlo Oliva”, 114,50;
Fernando Ainsa (Saragozza – Spagna); Maddalena
Antona Traversi (Milano); Alessandro Marutti (Cologno
Monzese – Mi); Pietro Mambretti (Lecco); Eros
Bonfiglioli (Bologna); Roberto Chiacchiaro (Cinisello
Balsamo – Mi); Gianluca Botteghi (Rimini); Paolo
Vedovato (Bergamo). Totale € 1.314,50.
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