Questa guerra, come tutte le
guerre combattute dagli Stati, ci logora dentro, affonda la
nostra umanità, mortifica i nostri sogni e i nostri desideri,
e, purtroppo, rischia di obnubilare il nostro pensiero critico.
Questa guerra ha già oscurato la ragione degli uomini
esaltando quella degli Stati. Sta producendo disastri, rovine,
morti, nuovi fanatismi e non abbiamo bisogno di altre disgrazie,
quelle che ci sono state sono davvero già troppe.
Questa guerra ha ridestato un grande e spontaneo movimento internazionale
di protesta ma, purtroppo, ha anche rivelato una scontata azione
egemonico-politica e tante squallide idee e affermazioni disoneste.
È una guerra che, come sempre, trova la sua giustificazione
solo ed esclusivamente nella volontà di potenza mondiale
(attraverso la politica dellamministrazione statunitense)
e nella volontà di potenza locale (con il regime dittatoriale
di Saddam Hussein). Ma fa confluire dentro questo schema esemplificato
molto di più. Le ragioni geo-politiche sono quelle della
volontà dellImpero di garantirsi strategicamente
il dominio politico, economico e culturale sul mondo. Che questo
mondo si chiami adesso Iraq poco importa, potrà chiamarsi
dopo Corea del Nord, Pakistan, ecc. Cè ed è
palese la volontà da parte dei governi statunitensi,
dopo la caduta del muro di Berlino, di ridisegnare la propria
sfera di influenza anche in paesi non tradizionalmente satelliti.
Le «ragioni» di chi sostiene luso della forza
militare statale, anche se strumentalmente sbandierate come
un mezzo per affermare la democrazia sulla dittatura, non mi
interessano perché in realtà costituiscono alibi
dietro cui si nascondono esclusivamente scelte di potere e di
dominio.
Presunte scelte pacifiste
Ma trovo raccapriccianti ancor di più le presunte scelte
«pacifiste» di stati come la Francia, protagonista
di scelte imperialiste e guerrafondaie in Africa e in Oriente,
la Germania, con i suoi molteplici interessi economici anche
nellarea dellIraq, o peggio la Russia con i massacri
sistematici in Cecenia, la Cina con le guerre nel Tibet e le
sistematiche repressioni di ogni dissenso interno.
Chi, anche in questa guerra, è senza interessi di potere
parli o taccia per sempre.
È una guerra che fra i contendenti ha Saddam Hussein,
sanguinario e spregevole dittatore, già fido alleato
degli USA in funzione anti-Iran e ora «furbescamente»
paladino degli interessi espansionisti e fanatici di una parte
della civiltà islamica, che dà voce al terrorismo
internazionale e ad una cultura e una prassi di assoluta intolleranza
anti-occidentale e anti-israeliana mortificando una cultura
e una civiltà, quella islamica, portatrice di straordinarie
e uniche caratteristiche.
È veramente squallido assistere a ciò che i media
ci trasmettono a tutte le ore contribuendo ad assuefare le persone
che vi assistono impotenti. Ma si sa lo scopo è probabilmente
proprio quello di parlarne tanto per aumentare il senso di impotenza
e di abitudine tra la gente. Ma io non accetto tutto ciò
e mi ribello ad un mondo che contempli ancora guerre e violenze,
Stati e dittatori che sono la causa di morti, sofferenze e tribolazioni
che a loro volta producono solo altre guerre.
Così come sono inorridito davanti al massacro dell11
settembre a New York, oggi soffro nel vedere gli occhi profondi
e straziati dei bambini iracheni, nel sentire le urla delle
donne davanti alle devastazioni delle bombe «intelligenti»,
ma anche alle esecuzioni in diretta dei prigionieri.
E questi sentimenti così profondi, voglio proprio urlarli
forte, impedire che si affievoliscano, affermare il diritto
di esprimerli pubblicamente, di diffonderli con tutti i mezzi
di cui dispongo, nella speranza che a New York e a Bagdad li
sentano e altri cittadini americani e iracheni trovino la forza
per unirsi a me e a tutti coloro che la pace la vogliono sul
serio, a tutti coloro che pensano che sia giusto affermare «morte
ai tiranni e pace tra i popoli».
È una posizione etica, perché penso che la Politica
non sia in grado di produrre alcun risultato positivo di fronte
alla logica del dominio e alloblio della ragione.
Purtroppo ancora una volta la Politica (al potere o allopposizione)
parla un altro linguaggio, pensa e ribadisce che bene e male
sono facilmente identificabili, che si sta da una parte o si
è costretti a schierarsi con laltra. Io rivendico
il diritto di pensare ad altre possibili strade, preferisco
impegnarmi e consumarmi nel cercare altre soluzioni, perché
non sono anti-americano così come non mi sento anti-iracheno,
ma sento di appartenere ad unumanità esclusa dalle
tragiche e violente logiche del Potere e della sua perpetuazione.
Allora non chiudo e non restringo il mio pensiero dentro la
solita storica dualità ma rivendico la possibilità
di pensare non solo terze, ma quarte, quinte, infinite vie,
pur di trasformare in pacifica e solidale una convivenza tra
diversi.
Preferisco sporcarmi le mani, compromettere i miei comportamenti,
senza rinnegare le mie convinzioni, nel cercare di meticizzare
le culture del mondo, nella direzione però di un mondo
più libero, più solidale, più uguale.
Resa, diserzione, rifiuto
Preferisco la resa, la diserzione, il rifiuto di giurare fedeltà
ad una bandiera, quando questa si macchia di innocente sangue
umano. Questa «anti-Politica» non è una nuova
forma di reclutamento ideologico, ma una speranza e una fede
etica nel valore della diversità, della ricchezza degli
uomini e delle donne che non sono compromessi col Potere.
Purtroppo anche nel mondo pacifista la purezza e la trasparenza
della propria identità viene sistematicamente compromessa
da logiche e politiche strumentali e a volte speculari nel fanatismo
e nellideologismo di parte. Che dire altrimenti del silenzio,
dellassenza di ogni protesta, di presunti «disobbedienti»
nei confronti dei massacri della Russia in Cecenia, e in tutte
le altre guerre in cui non è presente lodiata America?
Che dire delle sconcertanti (ma rivelatrici) espressioni di
Berlinguer e Cofferati che, nellaugurarsi che la guerra
in Iraq non si concluda in tempi brevi, riaffermano con spregevole
realismo il trionfo del cinismo del Potere sul primato delletica?
Cosa pensare di questo pacifismo ad oltranza solo quando ci
sono di mezzo gli Stati Uniti e si confonde la parola pace con
lodio a senso unico nei confronti degli americani? Forse
che gli americani sono tanti piccoli Bush o Clinton, gli inglesi
Blair o Thatcher? Non dimentichiamo che questi popoli hanno
creato valori, opere e sentimenti dei quali non possiamo che
andare fieri, così come non possiamo che nutrirci nella
saggezza dei grandi pensatori dellIslam che hanno cullato
le nostre radici e le nostre civiltà.
Preferisco pensare che questa volta si possa essere a favore
di qualche cosa piuttosto che contro qualche cosa daltro.
Allora dietro allo slogan «Né con Bush, né
con Saddam», che se inteso come il rifiuto di schierarsi
è condivisibile, ci apparirà chiara legemonia
di una cultura antiamericana che non credo debba appartenere
a degli uomini liberi e ragionevoli, così come nella
real-politik dei guerrafondai si nasconde solo una incapacità
di sperare o peggio nuove forme di razzismo, di violenza e di
dominio.
Non importa essere considerati sognatori o utopisti, meglio
pensare di essere dei «vigliacchi» per la logica
del Potere che degli assassini per quella del vero pacifismo.
Meglio essere a favore degli uomini e delle donne che da questa
e da tutte le guerre non hanno nulla da guadagnare, che servi
sciocchi dei potenti al potere o allopposizione ma accomunati
dallaccettazione del dominio come ineluttabile forma di
convivenza sociale.
Allora conviene sostenere la logica della Pace integrale quando
si parla di confronti tra popoli diversi e non temere la debolezza
della ragione nello scontrarsi con la forza dello Stato.
Francesco Codello
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