La costituzione dellUSI, nel novembre
del 1912 a Modena, aveva scarse ripercussioni sul piano internazionale,
se si esclude una certa risonanza nei fogli wobblies italoamericani.
La linea prevalente, in quel momento, negli ambienti sindacalisti
più rappresentativi in Francia e in Gran Bretagna
era quella dellunità. I sindacalisti francesi,
pur ormai minoranza effettiva, egemonizzavano di fatto, grazie
al sistema di rappresentanza non proporzionale, la Confédération
Générale du Travail. Gli industrialisti
inglesi, guidati da un leader di prestigio come Tom Mann, praticavano
un entrismo efficace (e lo dimostravano i grandi scioperi della
fine del 1911) nelle Trades Unions. Le organizzazioni scissioniste
a parte il caso tutto particolare degli Industrial Workers
of the World statunitensi vivevano vita stentata. Così
il NAS olandese, la SAC svedese, la FVDG (i cosiddetti localisti
tedeschi) e la CNT spagnola, travolta dalla repressione, anche
se i loro effettivi aumentavano sensibilmente dal 1910 al 1914
(ma si trattava sempre di poche migliaia) sullonda della
crisi che serpeggiava in tutta Europa erodendo i margini di
trattativa del riformismo sindacale.
Scommessa arrischiata
Si può quasi dire che lUnione Sindacale Italiana
fosse una scommessa arrischiata. Fino ad allora, infatti, anche
in Italia la tradizione unitaria aveva prevalso. Il tentativo,
nel novembre del 1907, di dar vita ad un Comitato Nazionale
della Resistenza, autonomo dalla Confederazione Generale del
Lavoro, aveva incontrato una sensibile resistenza tra le stesse
file sindacaliste ed era naufragato sia per mancanza di adesioni
sia per lemigrazione forzata (in seguito agli sfortunati
scioperi agrari di Piacenza, Argenta, Copparo, fino allo sciopero
generale parmense dellestate del 1908) dei suoi più
tenaci sostenitori. Scriveva Alceste De Ambris alcuni anni dopo:
mancanza duomini, dattività, di mezzi
finanziari, e soprattutto di un centro direttivo veramente forte,
resero vano il tentativo che i nostri compagni avevano fatto.
Quando, nel dicembre del 1910, il congresso bolognese dellAzione
diretta dava vita al Comitato Nazionale dellAzione Diretta,
sceglieva la via della minoranza organizzata allinterno
della CGdL, respingendo le tentazioni scissioniste.
Alla fine del 1912, tuttavia, la situazione era profondamente
mutata, tanto da permettere alle organizzazioni ad orientamento
sindacalista di costituirsi in organismo a sé, lUnione
Sindacale Italiana appunto, con una consistenza effettiva di
circa 60.000 iscritti (il Sindacato Ferrovieri milanese, 25.000
unità, aveva ben presto defezionato). Che cosa era cambiato
nel frattempo? In termini generali, le condizioni politiche
ed economiche: la crisi della mediazione giolittiana evidenziata
dal piccolo cabotaggio imperialista dellimpresa
tripolina, e quindi la crisi del riformismo da un lato;
la recessione economica conseguenza del breve, ma grave collasso
del 1907-1908, dallaltro. La pressione di larghe masse
di disoccupati e di sottoccupati, che neppure la massiccia emigrazione
riusciva a diluire, laggressività del fronte industriale
e agrario, il rilancio dellantimilitarismo di fronte al
deteriorarsi (definitivo) dellequilibrio internazionale,
la radicalizzazione della stessa sinistra socialista erano tutti
elementi del nuovo quadro. La contrapposizione tra sindacalisti
e riformisti si era accentuata dopo il durissimo conflitto di
Piombino e dellElba (1911), dove la Camera del Lavoro
di Piombino, autonoma, si era trovata a dover fronteggiare il
trust siderurgico con scarsa solidarietà da parte della
FIOM, e dopo gli scioperi degli automobilisti torinesi del 1912,
dove la FIOM e il recentissimo Sindacato autonomo si erano frontalmente
scontrati sulla questione del sabato inglese e delle
tolleranze in entrata e in uscita. Il passaggio, poi, al congresso
di Reggio Emilia del 1912, della direzione del PSI nelle mani
dei rivoluzionari e la contemporanea espulsione di alcuni destri,
con solidi agganci nella CGdL, era parsa legittimare le speranze
in un nuovo corso.
La scissione sul piano nazionale innescava una specie di reazione
a catena. Quasi ovunque in Emilia lunità locale
si sgretolava, seppur con qualche significativa eccezione, Ferrara
ad esempio. A Milano, dopo una dura battaglia allinterno
della Camera del Lavoro, i sindacalisti costituivano nel marzo
1913 lUnione Sindacale Milanese. Unioni Sindacali nascevano
in diverse località lombarde e Sestri Ponente, Carrara
e Piombino costituivano i punti di forza della fascia ligure
e toscana.
Armando
Borghi (1882-1968, sulla destra della scala centrale) a Parigi
nel 1912, dove era riparato per sfuggire alle persecuzioni poliziesche
Serie ininterrotta di scioperi
Nel corso del 1913, la scommessa risultava vincente.
La tensione cresceva progressivamente e sfociava in una serie
quasi ininterrotta di scioperi di categoria (con epicentro a
Milano) fino allo sciopero generale dellagosto. Alla testa
delle agitazioni, sempre e dovunque gli organismi locali o di
categoria aderenti allUSI. Sullonda del momento
di alta conflittualità lUnione Sindacale aumentava
le proprie forze. Si avviava il processo di concentrazione delle
leghe di uno stesso settore in Sindacati Nazionali dindustria
(lavoratori della terra, delle costruzioni e della metallurgia).
Sindacalisti, anarchici e perfino frazioni non trascurabili
di repubblicani e socialisti guardavano allUSI come allo
strumento per spezzare legemonia riformista e convogliare
le spinte rivoluzionarie verso obiettivi precisi. Alla fine
del 1913, lUSI contava circa 100.000 iscritti (localizzati
soprattutto in Emilia, Lombardia, Toscana, Liguria) e poteva
far leva sulla simpatia della maggioranza dei ferrovieri e dei
lavoratori del mare. Si trattava della più consistente
organizzazione sindacalista del mondo e superava probabilmente,
come area di influenza anche se non come prestigio, perfino
la corrente sindacalista della CGT. Soprattutto, fatto impensabile
fino a poco tempo prima, sembrava in grado di tenere testa alla
CGdL (che con la Federterra toccava i 300.000 iscritti) data
la non eccessiva sproporzione di forze.
Indubbiamente la fase di crescita era stata anche una fase in
cui le sconfitte avevano superato le vittorie e lo stesso sciopero
generale dellagosto aveva dimostrato sia le carenze strutturali
dellUSI (mancanza di coordinamento centrale e spesso di
quadri intermedi) sia la debolezza di una strategia basata sullaccelerazione
della conflittualità. Il livello di scontro sul piano
economico poteva rimanere elevato solo a condizione di offrire
anche risultati positivi sul terreno pratico. Di qui un leggero
mutamento di rotta, agli inizi del 1914, e un tentativo, da
parte della leadership sindacalista, di costruire
più accuratamente le forme organizzative e di programmare
le stesse scadenze di lotta. Il trasferimento a Milano della
sede dellUnione (deciso nel dicembre del 1913 durante
il II congresso), lattenzione sempre maggiore verso il
proletariato industriale, il superamento del localismo tipico
delle organizzazioni agricole ne erano un segno evidente.
In realtà questo processo, che avrebbe dovuto rendere
lUSI più funzionale al suo ruolo, rivoluzionario
sì, ma pur sempre tipicamente sindacale, non riusciva
a maturare. La settimana rossa prima (giugno 1914)
e la guerra mondiale poi impedivano allUnione di consolidare
il proprio assetto e di radicarsi in profondità. La settimana
rossa, sussulto insurrezionale improvviso, anche se non
del tutto imprevedibile, obbligava lUSI a lanciare lo
sciopero generale, in circostanze tutto sommato perdenti e soprattutto
su di un terreno, quello della rivolta popolare, che non le
era congeniale. Il meccanismo della lotta economica
era saltato. Tutto si riduceva ad una protesta, più o
meno efficace, più o meno radicale, ma sempre destinata
a rimanere simbolica. Lo sciopero generale (grazie anche al
ritiro della CGdL, che secondo la propria tradizione
lo aveva concepito a tempo e puramente dimostrativo)
si esauriva e lUSI si ritrovava a dover ricomporre con
difficoltà le proprie file.
Foto
segnaletica di Armando Borghi
Lacerazioni e contrasti
La guerra, poi, sviluppava allinterno dellUnione,
dei suoi stessi quadri dirigenti, una tendenza apertamente interventista,
causa di lacerazioni e contrasti che portavano nel settembre
1914, al Consiglio Generale di Parma, ad una scissione. Il gruppo
parmense e quello milanese (De Ambris, Masotti, Corridoni, ecc.),
infatti, allindomani dello scoppio del conflitto si erano
orientati verso unipotesi di intervento: per la Francia
repubblicana contro il militarismo austro-tedesco; per la futura
rivoluzione contro la reazione. E se è vero che lala
interventista era minoritaria, era altrettanto vero che trascinava
con sé le due organizzazioni più importanti dellUSI,
Milano e Parma, modificandone la geografia interna, e privava
lUnione del suo organo ufficiale «LInternazionale»
(sostituito alcuni mesi dopo dal bolognese «Guerra di
classe»).
In ogni modo, più che luscita della componente
guerraiola, era la decisa opposizione alla guerra,
soprattutto dopo lintervento italiano del maggio 1915,
a mettere in crisi la tenuta dellorganizzazione. La chiamata
alle armi e, per i più coriacei, linternamento
(come nel caso del segretario Borghi) ne bloccavano la crescita.
Nel 1917 gli iscritti erano scesi a 50.000. Ma non era solo
questo a determinare il tracollo. Mentre la CGdL (in particolar
modo la FIOM) aveva accettato di entrare nel Comitato Centrale
della Mobilitazione Industriale, organismo paritetico (rappresentanti
degli imprenditori, degli operai e del comando militare) con
il compito di dirigere leconomia bellica, lUSI aveva
rifiutato quella che le appariva come un esempio di collaborazione
di classe. Con la conseguenza di isolarsi e di lasciare mano
libera alle organizzazioni confederali. In effetti, al termine
della guerra, nel momento più alto (1920), la CGdL superava
i due milioni di iscritti, mentre lUSI (lindicazione
è di Giuseppe Di Vittorio, ma potrebbe essere ottimistica)
non oltrepassava le 500.000 unità. Un divario eccessivo
perché potesse essere colmato soltanto da una maggiore
combattività.
Del resto, nel cosiddetto biennio rosso (1919
1920), erano gli avvenimenti, spesso se non sempre, a precedere
le organizzazioni. Così la nascita dei Consigli di fabbrica,
che lUSI, nel suo congresso parmense del dicembre 1919,
salutava entusiasticamente; così le agitazioni operaie
e i moti del caro viveri del 19, che vedevano lUSI
presente, ma non promotrice. Anche loccupazione delle
fabbriche del settembre del 1920, nata dallostruzionismo
dei metallurgici (che aveva visto FIOM e Sindacato Nazionale
Metallurgico dellUSI associati) aveva avuto più
i caratteri della spontaneità che della mossa predeterminata.
Certo, lUSI, sul terreno della volontà di lotta
non aveva esitazioni, ma quello che le sfuggiva, tranne forse
in alcune zone e in particolari settori, era la capacità
di rappresentare la possibilità del mutamento reale,
la potenzialità rivoluzionaria. Non si vuol dire con
questo che la rivoluzione fosse possibile. Ma non era questo
a contare. Era lUSI a non costituire più il punto
di riferimento delle tensioni rivoluzionarie. La rivoluzione
russa aveva cambiato le cose. In un primo momento, infatti,
nel 1919, lUSI non solo aveva aderito alla III Internazionale,
ma aveva visto la concezione sovietistica della ricostruzione
sociale come antitetica dello Stato. Ben presto, però,
una più profonda conoscenza e analisi degli avvenimenti
russi aveva portato alla critica e al distacco. Tanto che nel
1922 lUSI aderiva alla nuova Associazione Internazionale
dei Lavoratori berlinese (sindacalista rivoluzionaria) dando
luogo al suo interno a vivaci polemiche tra la maggioranza anarchica
e sindacalista e la minoranza filocomunista.
Alberto
Meschi (1879-1958)
Fratture verticali
LUSI, come anche la CGdL, veniva attraversata da fratture
verticali, il cui motivo originario erano i rapporti con le
forze politiche del momento. E questo metteva in forse la sua
unità. Si faceva strada anche, soprattutto tra i sostenitori
del legame con Mosca, lidea di una fusione con la CGdL,
in linea con la tesi leninista dellunità sindacale.
Il problema emergeva con chiarezza al IV Congresso nazionale
(Roma, marzo 1922) che doveva anche affrontare la scottante
questione delle candidature politiche di esponenti come Faggi
e Di Vittorio. Lipotesi dellunificazione veniva
respinta, ma non eliminata. Nel 1925 era la volta di anarchici
come Malatesta, Fabbri e Molaschi, ad invitare, senza successo,
i resti dellUSI ad unirsi alla CGdL (visto che lUnione
Sindacale Italiana non può far altro che seguire lazione
della Confederazione del Lavoro, a quale scopo mantenerla o
contribuire a mantenerla in vita?, scriveva questultimo
nel marzo 1925). Tali proposte, indipendentemente dalla strategia
leninista, avevano il pregio di essere realiste. Dopo loccupazione
delle fabbriche il movimento operaio era stato costretto sulla
difensiva dalla massiccia offensiva fascista. Nel 1921/22, lobiettivo
principale era lopposizione al fascismo dilagante che
distruggeva materialmente le organizzazioni operaie e contadine,
colpendo individualmente i dirigenti e i militanti e devastando
le sedi. Nel novembre 1922, un esposto dellUnione al Ministro
dellInterno parlava di quasi tutte le organizzazioni
sindacati e camere del lavoro distrutte o poste
in condizione di non poter funzionare regolarmente. Nel
1925, in una fase di totale riflusso, non si può certo
dire che Unione Sindacale e CGdL si differenziassero molto,
sul piano della pratica sindacale. Ma le speranze unitarie finivano
con il cozzare contro forti resistenze sia nellUSI che
nella Confederazione. Le lacerazioni erano troppo profonde per
pensare di ricucirle con una decisione, tutto sommato, di vertice.
Roma,
10-13 marzo 1922. IV Congresso dell'Unione Sindacale Italiana
Decimata dagli arresti
Lavvento del fascismo significava in pratica la distruzione
dellUnione Sindacale. Attaccata ben più duramente
della CGdL, lUSI già nel 1923 era costretta a chiudere
il proprio organo «Guerra di classe» e a sostituirlo,
lanno successivo, con un mensile di studi
dal titolo tranquillo («Rassegna sindacale»)
e a vivere una vita semiclandestina. Le sue fila venivano decimate
da arresti in massa e da processi per sindacalismo criminale.
Malgrado una resistenza tenace e tentativi di riorganizzazione
in alcune zone (Puglie, Liguria, Toscana) lUSI non aveva
ormai più nessuna possibilità di azione. La vita
sindacale era semplicemente una formalità e solo qualche
sporadico sussulto (gli scioperi dei metallurgici nel 1925,
ad esempio) sembrava mettere in discussione legemonia
fascista. Agli inizi del 1925, del resto, prima ancora del Patto
di Palazzo Vidoni (con cui la Confindustria stabiliva relazioni
uniche con i sindacati fascisti) e delle leggi eccezionali che
mettevano fuori gioco partiti e sindacati liberi,
lUSI veniva dichiarata illegale. Un ultimo tentativo (un
congresso clandestino, tenuto a Genova nel giugno1925), pur
in un coro di speranze, era la dimostrazione definitiva del
crollo. LUnione Sindacale non esisteva più né
i comitati fondati nellemigrazione (quello parigino in
particolare) riuscivano ad assicurarle la continuità.
«Guerra di classe» riprendeva le pubblicazioni in
Francia sul finire degli anni Venti e le continuava, irregolarmente,
negli anni Trenta, ma lUnione Sindacale non poteva ormai
essere che un semplice simbolo.
Maurizio Antonioli
LUSI-AIT
oggi
Riattivata
alla fine degli anni settanta, lUSI-AIT è
oggi una componente importante allinterno del Sindacalismo
di Base e della conflittualità sociale.
LUSI è diffusa sul territorio nazionale con
sue Unioni Locali territoriali e Sindacati Aziendali e
di Settore.
Particolare importanza la presenza nella Sanità
dove lUSI-AIT risulta uno dei Sindacati più
forti in importanti ospedali della Lombardia (e a livello
nazionale in tutta la sanità privata) con significative
presenze anche a Trieste, nella provincia di Savona e
in altre realtà. Lesperienza e la lotta condotta
dai Sindacati Autogestiti USI degli ospedali milanesi
(San Raffaele, San Paolo, San Carlo, San Gerardo di Monza,
ecc.) ne fa da tempo punto di riferimento per tutta la
conflittualità di questo settore.
Nelle Poste (UsiPostel), negli Enti Locali, nel Commercio
e tra le Arti e mestieri lUSI opera con suoi sindacati
nazionali di settore (un altro è in costituzione
nella Scuola). Presenze anche tra le cooperative sociali,
i metalmeccanici, i precari e i disoccupati.
Da segnalare infine le vincenti belle battaglie condotte
nella cartiera della Val Bormida (Sv) dove la quasi totalità
dei lavoratori è iscritta allUSI.
Territorialmente consistente è la presenza USI
in Lombardia (con le Federazioni, oltre a Milano, della
Brianza, di Brescia e di Bergamo) mentre attive sezioni
operano a Trieste, Udine, Pordenone, Savona, Firenze,
Bologna, Parma, Reggio Emilia, Correggio, Ancona, Macerata.
Recentemente si è ricostituita una combattiva sezione
USI nella provincia di Massa e Carrara. Altri nuclei e
gruppi operano in diverse altre città e regioni.
Caratteristica particolare dellUSI è laver
mantenuto intatta la sua struttura assembleare e autogestionaria,
priva di qualsiasi burocrazia.
In questa fase lUSI, in coerenza con la sua scelta
antimilitarista, si sta impegnando a fondo nella lotta
contro la guerra e il militarismo promuovendo mobilitazioni,
boicottaggi e scioperi.
Tra i recapiti: Segreteria Generale e Redazione Lotta
di Classe: USI, via Dalmazia 30, 60126 Ancona (e-mail:
usi-ait@ecn.org,
tel.: 071-32047).
Periodico dellUSI è Lotta di Classe.
Abbonarsi costa 15,00 euro da inviare con ccp 10284602
intestato a USI via Dalmazia 30 Ancona.
Per contatti con lUSI Sanità: e-mail usis@libero.it.
Gianfranco
Careri
segretario nazionale dellUSI-AIT
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