Punto primo: lacqua è scarsa
e in continuo calo. Punto secondo: sta diventando una merce.
Punto terzo: il suo controllo è la questione democratica
degli anni a venire. O almeno così sembra a chi si batte
contro la privatizzazione delloro blu, e anche a personaggi
insospettabili come il vice presidente della Banca Mondiale,
Ismail Serageldin, autore di una terribile profezia: Se
le guerre del XX secolo sono state combattute per il petrolio,
quelle del XXI avranno come oggetto del contendere lacqua.
Sembra così anche a Vandana Shiva, fisica e scienziata
indiana, paladina nel suo paese della lotta contro gli ogm,
autrice di un saggio tradotto da Feltrinelli col titolo Le
guerre dellacqua. Vandana Shiva vi sostiene, fra le
altre cose, che la scarsità idrica nel mondo è
causata dalle logiche di mercato, che hanno imposto colture
agricole ad alto consumo dacqua e scelte strutturali (le
grandi dighe, lintervento degli Stati e le successive
privatizzazioni) rivelatesi fallimentari.
Guerra per lacqua
Così ora ci troviamo in una fase storica segnata dalle
guerre per lacqua. La prima, secondo la ricostruzione
storica di Vandana Shiva, risale probabilmente al 1924. I residenti
della Owens Valley, in California, fecero saltare un acquedotto
destinato a dirottare le acque della Sierra Madre verso Los
Angeles. Seguirono altri attentati, il cedimento strutturale
di una diga (400 morti), una dissennata opera destrazione
delle acque di falda che provocò il prosciugamento dellOwens
Lake. Lo stillicidio di attentati si è fermato solo nel
1978.
Le guerre dellacqua, combattute nelle forme più
diverse, spaziano dalla Palestina allIndia, dalla Bolivia
allarea del Nilo. A volte il controllo dellacqua
è la ragione inconfessata di scontri armati motivati
ufficialmente con ragioni politiche, etniche, religiose. Altre
volte non si tratta di guerre vere e proprie, ma di conflitti
sociali così acuti da causare rivolte popolari. Il caso
più noto, fra quelli recenti, ha avuto per teatro Cochabamba,
città di una semidesertica regione boliviana. La privatizzazione
dellazienda idrica, decisa nel 1999 su indicazione della
Banca Mondiale, causò unimpennata iperbolica delle
bollette. Fra i cittadini nacque un coordinamento per
la difesa dellacqua e della vita, che organizzò
proteste e scioperi lanciando lo slogan Lacqua è
un dono di Dio e non una merce. Il governo, dopo i primi
morti negli scontri di piazza, arrivò a proclamare la
legge marziale, ma nellaprile 2000 gettò poi la
spugna, abrogando la privatizzazione.
È stata una vittoria, conquistata dai cittadini, che
ha segnato un punto di svolta: lesempio di Cochabamba
è il più citato fra gli attivisti e gli amministratori
che cercano di mettere qualche bastone nellingranaggio
planetario che sta rapidamente trasformando lacqua in
una merce e laccesso alle fonti idriche in un privilegio
da conquistare con la forza. A marzo a Firenze si è tenuto
un Forum mondiale dellacqua, alternativo a quello ufficiale
che si teneva a Kyoto negli stessi giorni. Centinaia di delegati
arrivati da tutto il mondo hanno rilanciato il messaggio venuto
da Cochabamba: lacqua è un diritto, non una merce.
Il messaggio è rimasto però inascoltato e a Kyoto
i padroni dellacqua, ossia i governi dei paesi
più potenti, hanno ribadito invece che lacqua tuttal
più è un bisogno e che le leggi del
mercato offrono il sistema migliore per gestirne la distribuzione
e luso. È la tesi che sarà ribadita a Cancun
a settembre, alla quinta conferenza ministeriale del WTO, un
appuntamento importante quanto e più di quello di Seattle
del 1999, perché si discuterà di ampliare la privatizzazione
dei servizi, inclusa la distribuzione dellacqua. Nellarco
di pochi mesi, se il meccanismo non verrà inceppato,
la mercificazione sarà un fatto compiuto e le guerre
dellacqua una realtà incombente e diffusa, perché
i casi Cochabamba si moltiplicheranno. Nella stessa Bolivia,
del resto, la partita è tuttora aperta, perché
la compagnia (Bechtel) che aveva acquisito lazienda idrica
locale, ha fatto causa al governo boliviano, che ha ceduto una
volta ma forse prepara la rivincita.
Fonti idriche privatizzate
La sfida è al tempo stesso politica ed ecologica. Vandana
Shiva spiega molto bene nel suo libro il percorso storico di
espropriazione dellacqua, con esempi riferiti soprattutto
allIndia ma di valore universale. Il controllo tradizionalmente
democratico sulle fonti idriche, gestito su base comunitaria
a livello di villaggi o di piccole regioni, è stato progressivamente
sostituito dagli Stati, che oggi giocano un ruolo attivo in
direzione della privatizzazione. Nel Novecento gli Stati hanno
attuato in tutto il mondo politiche interventiste, con dighe
e acquedotti, in nome della modernizzazione e dellefficienza.
Ma gli obiettivi dichiarati, sostiene Shiva, sono stati quasi
sempre mancati. Le dighe non hanno impedito la crisi idrica
e spesso lhanno incentivata, sovvertendo gli equilibri
millenari nel ciclo dellacqua, favorendo il cambiamento
del clima e la perdita delle difese naturali da fenomeni devastanti
come cicloni, alluvioni e frane. Le dighe in compenso si sono
rivelate un potente strumento di controllo politico, attraverso
la trasformazione del territorio e levacuazione di milioni
di persone (fra 40 e 80 milioni di sfollati secondo la Commissione
mondiale sulle dighe). Perciò i governi di tutto il mondo
non hanno smesso di progettarne. La lotta di questi anni lungo
il grande fiume Narmada in India, resa celebre dai libri e dagli
interventi della scrittrice Arundhati Roy, è solo una
delle tante.
Questi grandi sistemi dice Vandana Shiva
erodono i diritti umani e provocano gravi danni ecologici.
Come le colture industriali e la rivoluzione verde
hanno annichilito lagricoltura tradizionale e drenato
le riserve idriche mondiali, così la politica delle grandi
dighe ha spazzato via i sistemi tradizionali di conservazione
idrica, che pure hanno sempre dato, sostiene Shiva, risultati
eccellenti. La combattiva ecologista indiana cita numerosi
esempi di fallimento dellingegneria idrica. Fra questi
cè il caso del fiume Karnataka, in India. Una diga
ha sommerso 2.500 ettari di terra, obbligando a disboscare 12.000
ettari di foresta vergine per creare nuovi villaggi in cui ospitare
gli sfollati. Lintervento sullambiente è
stato così massiccio da cambiare il microclima. Le precipitazioni
sono scese da 150 a 110 centimetri, il limo si è accumulato
al punto da menomare fortemente la portata della diga, nel giro
di due anni lerosione e la salinità hanno distrutto
vaste aree di colture di riso e palme di cocco. Un disastro
ecologico. Uno dei tanti.
Per impedire che scelte simili si diffondano ancora e distruggano,
insieme con lambiente, anche il controllo democratico
sulle risorse naturali, si dovrebbe affermare il diritto naturale
allacqua, limpegno a considerarla un bene comune
e quindi a conservarla. Lacqua non è sostituibile
e perciò non può essere trattata come altre risorse
o prodotti. Non può essere considerata una merce.
Mobilitazione civica
A Cochabamba lo hanno capito, e così in molti altri
luoghi del pianeta, dove la mobilitazione civica per il diritto
allacqua è una realtà quotidiana. LItalia,
in questo senso, ha già un primato negativo, ossia una
legge che impone la privatizzazione dei servizi idrici entro
tempi stabiliti. Alcuni sindaci si stanno opponendo, a cominciare
da quello di Grottammare, piccolo Comune marchigiano, forte
di unesperienza molto positiva di gestione pubblica dei
servizi dalla farmacia al depuratore , riportati
sotto il controllo del municipio dopo un passaggio in mani private.
Altri enti locali stanno ripensando certe scelte del recente
passato, fatte sullonda della convinzione, presto rivelatasi
fasulla, che la gestione privata di servizi e risorse sia più
efficiente di quella pubblica. Lo stesso Claudio Martini, presidente
della Regione Toscana, che prima di altre si è lanciata
sulla via delle privatizzazioni, ha proposto un tavolo comune
di approfondimento agli organizzatori del Forum di Firenze,
segno della disponibilità a correggere le proprie posizioni.
E il sindaco di Roma, Walter Veltroni, è il destinatario
di una lettera-appello di Alex Zanotelli, che chiede conto delloperato
dellAcea, la ex municipalizzata, che si sta accaparrando
a caro prezzo scrive il missionario comboniano
la gestione di servizi idrici nei paesi Sud del mondo, negando
di fatto laccesso allacqua dei più poveri.
DallAmerica Latina allAfrica allEuropa, forse
linsegnamento di questi anni è proprio questo:
lunica credibile alternativa alle guerre dellacqua,
alla profezia di Ismail Serageldin, è la democrazia dellacqua,
la gestione decentrata e partecipativa delle risorse. In Bolivia
hanno dimostrato che si può vincere. E dal Forum di Firenze
il sindaco di una cittadina francese, Marne La Vallée,
ha lanciato un nuovo appello alla mobilitazione: Mettiamo
in rete i servizi pubblici di tutto il mondo ha detto
Jacques Perreux che sono ancora il 95% del totale. Possiamo
unirci e proclamare lacqua un diritto di tutti e così
liberare quel 5% che è stato già privatizzato.
Lorenzo Guadagnucci
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