Maledetta questAmerica che si
propone al mondo con il volto imbolsito di un texano alcoolizzato,
in preda, per di più, a crisi mistiche deliranti!
Maledetta questAmerica, che crede di essere pragmatica,
ed è, invece, solo cinica, incapace di concepire un mondo
pacificato, privo di conflitti e di angosciose competizioni!
Maledetta questAmerica che non riesce a cicatrizzare le
sue ferite e, in preda a furori irrazionali, miete vittime innocenti
in ogni parte del globo.
Maledetta questAmerica, sorda ad ogni istanza di moralità
politica, pronta a calpestare i più elementari diritti
dei popoli pur di soddisfare la sete di dominio di unAmministrazione
corrotta e corruttrice!
Maledetta, infine, questAmerica per aver indotto un anarchico
a lanciare anatemi, come la maledizione, che non gli sono certo
congeniali!
Adesso, purtroppo, lincendio è appiccato e occorrerà
molto tempo solo per capire da che parte iniziare per arginarlo.
Effetto domino
Negli articoli precedenti si era cercato di delineare la reazione
dei paesi della regione ad un attacco angloamericano. Si era
avvertito il pericolo che un effetto domino ci sarebbe stato,
ma non nel senso auspicato (almeno a parole) dagli strateghi
della Casa Bianca, bensì in senso esattamente inverso.
Gli sciiti del sud dellIraq non si sono ribellati contro
Saddam; non hanno ricevuto a braccia aperte i liberatori; molti
addirittura hanno imbracciato le armi, aumentando il potenziale
di resistenza delle forze regolari del regime. A Nord, come
ampiamente previsto, la Turchia ha creato grosse difficoltà
al passaggio delle truppe americane, sicché queste ultime
hanno dovuto nuovamente imbarcarsi e fare marcia indietro. Dal
canto loro i curdi, in barba proprio allesercito turco
che ha oltrepassato il confine per evitare il costituirsi di
una istituzionalizzata comunità curda, sono pronti a
rivendicare a tempo debito il territorio che ritengono spetti
loro di diritto: quello che ha per epicentro le città
di Mosul e di Irkuk. Basta dare uno sguardo ad una cartina dellarea
per rendersi conto che il vecchio stato iracheno, creato artificiosamente
dagli occidentali per meglio controllare le vie del petrolio,
è tornato ad essere smembrato, di fatto, in tre parti
distinte: i curdi a nord, al centro i sunniti, al sud gli sciiti.
Vi sono, però, dei fatti nuovi, anche se non inattesi.
Manovra a tenaglia?
Intanto, la guerra-lampo si è dimostrata una pia aspirazione
del Pentagono. Anche se non lo ammetteranno mai, i generaloni
a stelle e strisce ritenevano di fare, se non proprio una passeggiata,
una parata quasi indolore, che li avrebbe portati in pochi giorni
(vi ricordate le fatidiche 72 ore?) dal confine del Kuwait alla
periferia di Baghdad, dalla quale sferrare poi lattacco
finale a tenaglia con le forze che, si presumeva,
sarebbero discese dal nord, dal confine turco, appunto. Nessuna
di queste ottimistiche previsioni si è realizzata e lintero
schieramento angloamericano si è trovato sbilanciato,
senza essere riuscito, in quindici giorni di guerra, ad occupare
completamente una sola città irachena, con grosse difficoltà
nei rifornimenti degli avamposti e con la necessità di
riformulare le strategie iniziali, essendo venuto a mancare,
almeno così come era stato disegnato, il fronte del nord.
Ma il punto non è questo: la sproporzione tra le forze
in campo è tale che non è in discussione lesito
della guerra, ma la fine del conflitto. Chi ha un minimo di
memoria storica, ricorda che il protettorato inglese nellarea
si stabilì senza grosse difficoltà, ma nei 35
anni della sua durata (dal 1922 al 1957) gli occupanti pagarono
un tributo di sangue pesantissimo: ne morirono ben 83 mila.
Ma andiamo avanti.
Il bombardamento mediatico di quellaltro genio di Rumsfeld
sulle presunte complicità di Siria e Iran con il regime
di Baghdad, ha avuto leffetto di vanificare dun
colpo i tentativi dei rispettivi governi di evitare, da un canto,
il coinvolgimento, diretto o indiretto, nel conflitto (nellultima
assemblea della Lega Araba dei primi di marzo non si è
andati al di là di generiche dichiarazioni contro la
guerra): dallaltro, di tenere a freno lopinione
pubblica dei due paesi che, contro lintervento angloamericano,
avrebbero preferito un atteggiamento meno accomodante. Senza
considerare e questo è laspetto più
inquietante delle dichiarazioni del ministro della difesa americano
che le accuse lanciate potevano essere percepite, proprio
per quelle che probabilmente volevano essere: la minaccia dellestensione
dellintervento bellico ai due paesi canaglia, una volta
concluso quello contro lIraq.
In sostanza, con la guerra preventiva, si è vanificato
il lento cammino che lIran di Khatami e la Siria di Assad
avevano intrapreso per realizzare, ciascuno a suo modo, uno
stato laico, sottratto allestremismo islamico. Ma la guerra
ha messo in grosse difficoltà anche lArabia Saudita,
che, pur essendo la principale potenza petrolifera della regione,
non è riuscita a trasformare in benessere generalizzato
i proventi della commercializzazione delle risorse energetiche,
valutate, negli ultimi trentanni, in tre mila miliardi
di dollari. Il regime di Riyad, così, si trova a dover
fronteggiare unopposizione interna agguerrita e fortemente
critica nei riguardi di una politica troppo appiattita sulle
ragioni delloccidente. Per questo il principe Abdallah
ha fatto di tutto per non apparire coinvolto in una guerra che
il mondo arabo percepisce come unaggressione. Nel recente
vertice regionale di Istanbul, Riyad ha convinto Iran, Siria,
Giordania, Egitto e Turchia che trattare separatamente con gli
americani, rivelando in questo modo più i motivi che
dividono il mondo arabo piuttosto che quelli che lo uniscono,
avrebbe rafforzato nellinterlocutore la necessità
di ridisegnare un assetto geopolitico della regione, idoneo
a tutelare meglio i suoi interessi.
Il risveglio dellorgoglio arabo
La guerra, adesso, ha posto in secondo piano i problemi interni
dei singoli paesi investiti, direttamente o indirettamente,
dalle operazioni belliche. Ora sembra prevalere la necessità
di organizzare la resistenza. Qualunque sia, infatti, il giudizio
su Saddam, la guerra preventiva scatenata da Bush ha risvegliato
lorgoglio arabo e la sua ferma determinazione a difendere
la propria cultura e le proprie tradizioni contro un nemico
che pretende di esportare un modello di sviluppo, che non solo
è estraneo alla mentalità mediorientale, ma è
in crisi nello stesso Occidente dove è nato e si è
andato consolidando nel tempo.
Ma il disastro provocato dalla delirante teoria della guerra
preventiva va ben oltre i confini mediorientali e investe il
mondo intero.
Con il collasso dellimpero sovietico e la caduta del muro
di Berlino, lOccidente (e, con lui, il resto del mondo)
sembrava avviato verso unepoca in cui i problemi preminenti
fossero quelli dello sviluppo compatibile. Pur tra conflitti
di interessi e tensioni sociali, si discuteva di globalizzazione,
delle esigenze dei paesi in via di sviluppo, della salvaguardia
dellambiente e di quanto daltro fosse pertinente
alla sopravvivenza del genere umano, in relazione soprattutto
alla produzione delle risorse e alla loro distribuzione. La
guerra, come strumento per dirimere le possibili frizioni tra
i popoli, sembrava bandita per sempre, anche se in alcune plaghe
del pianeta persistevano conflitti endemici dovuti al sottosviluppo,
a screditate dittature o ad anacronistiche velleità colonialistiche.
La nuova strategia, elaborata e attuata con la guerra allIraq,
secondo la quale gli USA si ritengono autorizzati ad intervenire,
anche militarmente, laddove ritengano siano minacciati i loro
interessi di potenza egemone, ha sconvolto la stessa struttura
di norme giuridiche internazionali, che, bene o male, costituiva
un quadro di riferimento universalmente accettato. Ci si è
sentiti tutti, improvvisamente, vulnerabili, alleati o no che
si fosse degli Stati Uniti. Nella prospettiva indicata dallAmministrazione
Bush (anche se, per la verità, elaborata sin dal 1992
dai falchi repubblicani), chiunque, nel futuro prossimo o remoto,
poteva finire sotto il tiro della potenza militare doltre
Atlantico. La stessa Unione Europea, che, per la legge stessa
delleconomia di mercato, si pone in naturale concorrenza
con il capitalismo americano, potrebbe vedersi costretta, domani,
a difendere con le armi il proprio diritto allespansione
economica, espansione che, per la teoria capitalistica, equivale
al diritto stesso alla sopravvivenza.
Assicurarsi il dominio di unarea
Se le cose stanno così (e pare proprio che così
stiano), allora laggressione allIraq e il progetto
di mettere le mani sullintero bacino petrolifero più
importante del mondo vanno letti in modo assai differente. Non
si tratta più, per lAmerica, di garantirsi la quota
di risorse energetiche necessaria al suo sviluppo e al permanere
della sua egemonia economica, ma di assicurarsi il dominio di
unarea dalla quale ricattare, con il controllo delle risorse
energetiche, il mondo intero.
È prevedibile che, scoperto il gioco, i popoli minacciati
non stiano a guardare e ritorni, generalizzata, la corsa al
riarmo. Ritorneranno gli incubi delle guerre nucleari e quote
inimmaginabili di risorse verranno indirizzate, anziché
ad ampliare la geografia del benessere, a progettare e realizzare
altre e più tremende armi di sterminio di massa.
Dun balzo, questa maledetta America di Bush ha retrodatato
la storia ai tempi della guerra fredda, con laggravante
che, se prevalesse a tutti i livelli il concetto della guerra
preventiva, ciascuno stato vedrebbe come potenziale nemico ogni
altro stato e le coalizioni si consoliderebbero o addirittura
si formerebbero a scopi puramente bellici.
Un bel risultato per il più democratico degli stati democratici.
Ancora una volta, la diffidenza degli anarchici nei riguardi
dellistituzione stato, qualunque sia la forma
che lo caratterizzi, è clamorosamente confermata dai
fatti. Listinto di sopraffazione, latente in ogni struttura
statuale, si scatena non appena si spezzino gli equilibri del
terrore.
E ancora una volta, la cruda realtà dei fatti smaschera
lipocrisia dei regimi espressione della volontà
dei popoli: in centinaia di milioni hanno manifestato e continuano
a manifestare in tutto il mondo contro questa guerra. Malgrado
ciò, gli stati, per volontà o pavidità,
lhanno scatenata.
Antonio Cardella
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