Rivista Anarchica Online


paralleli

Della tirannide degli antichi e dei moderni
di Carlo Oliva

 

Dai tyrannos dell’antica Grecia a George W. Bush c’è una linea di continuità. Anche se lui non lo sa.


Ci sono certe tematiche sulle quali, per un motivo o per l’altro, non è possibile non essere tutti d’accordo (e che quindi, per logica conseguenza, dovrebbe essere perfettamente inutile continuare a dibattere). Prendete, per esempio, quella della libertà: chi non è d’accordo sulla libertà? A quella propria siamo evidentemente favorevoli tutti a priori e quanto a quella altrui, se qualcuno nutre, in cuor suo, delle riserve, non si azzarderà certo a dichiararlo in pubblico. I problemi possono nascere quando c’è da decidere in che modo e a che prezzo assicurarla e difenderla, ma sul concetto in sé è davvero difficile non essere unanimi. È per questo che quando qualche figura autorevole parla della libertà come del suo obiettivo più caro, dà tanto spesso l’impressione di parlare soltanto per dare aria alla bocca.
E la tirannide? Trovatemi, se ci riuscite, nella pubblicistica degli ultimi tremila anni, un solo discorso in lode della tirannide. Se con i tiranni e i tirannelli che infestano concretamente il nostro mondo bisogna, il più delle volte, imparare a convivere a collo più o meno obtorto, per il tiranno in astratto – per l’idea di tiranno, se preferite – non è possibile remissione alcuna. Sul fatto che simili figuri vadano cancellati dalla faccia della terra concorderanno anche i governanti più autoritari e i ministri meno liberali, tutti convinti, non è chiaro perché, che il tiranno è sempre qualcun altro e quel termine, per definizione, non li riguarda. E anche in questo caso i relativi discorsi suoneranno, a orecchie appena un po’ esercitate, come vuote sparate retoriche senza un contenuto degno di nota.
Il presidente Bush ha inaugurato il suo secondo mandato, lo scorso 22 gennaio, parlando della necessità di difendere la libertà e di abbattere, sempre e dovunque, i tiranni. Sulla base delle osservazioni di cui sopra, sembrerebbe ovvio concludere che se l’è cavata con poco. O meglio, visto che l’uomo è quello che è e ha dimostrato con i fatti quali siano i suoi disegni e i relativi riferimenti ideologici, che, per ricoprire, come è d’uso, di parole solenni lo squallore dei suoi propositi non si è sforzato poi tanto. A leggerlo senza sapere nulla di chi l’ha pronunciato, poco si troverebbe in quel discorso che un medio cittadino democratico di qualsiasi paese occidentale (e non solo occidentale) non potrebbe sottoscrivere.

Una connotazione di classe

George W. non ha, che io sappia, compiuto gli studi classici. Ma lo avranno fatto, probabilmente, i suoi collaboratori e i ghost writers cui affida la stesura materiale dei testi che legge in pubblico. In effetti, quel discorso di investitura si collega a una linea che ci porta dritto dritto alla Grecia del quinto secolo avanti Cristo e alle polemiche degli oratori attici. Anche allora, ricorderete, si parlava molto di tirannide di libertà e della necessità di difendere l’una contro l’altra. I termini del discorso, forse, erano un po’ più precisi di adesso, nel senso che tyrannos, “tiranno”, nella lingua corrente non era qualsiasi buzzurro prepotente insediato sul trono, ma soltanto chi vi giungeva senza legittimazione dinastica, senza appartenere a una famiglia cui spettasse un titolo principesco. E siccome quasi tutta la pubblicistica greca che ci è giunta è ferocemente di parte, e di parte – di solito – aristocratica, come “tiranni” in quei testi vanno intesi soprattutto i capi del partito democratico e gli statisti sostenuti dall’appoggio popolare. Una connotazione di classe destinata a durare più a lungo di quanto si immagini: non per niente nelle lettere italiane è legata al nome di un reazionario allo stato puro come il celebre Vittorio Alfieri, che visse alle soglie della nostra era e quando si trattava di parlar male dei più noti tiranni letterari, i vari Saul, Creonte, Filippo e compagnia bella non era secondo a nessuno, ma quando, nel corso degli eventi della Rivoluzione Francese, ebbe a che fare con degli autentici tirannicidi nella persona dei sostenitori del Comitato di Salute Pubblica parigino si incazzò di brutto e ritenne opportuno tagliare la corda. Libertà o non libertà, quell’idea di tagliare la testa ai nobili, a lui che era non ricordo più se conte o marchese non andava evidentemente giù. È per motivi di questo genere, credo, che l’uso moderno di quel termine ha una connotazione così fastidiosa. Con il tempo le parole cambiano significato, ma qualcosa della loro origine se lo portano sempre dietro e salta fuori quando meno ce lo si aspetta.
E, in fondo, non dovevano essere così male i tiranni del buon tempo antico. Di Pisistrato tutti hanno scritto le peggio cose, ma quando si viene ai fatti concreti si scopre, stringi stringi, che governava con il consenso della maggioranza, proteggeva le lettere e le arti, faceva costruire i primi templi sull’Acropoli e faceva mettere a disposizione di tutti un’accettabile edizione dell’opera di Omero. Edipo è tiranno, nel titolo della tragedia di Sofocle (e noi facciamo male a tradurre re) ma i tebani sono tutti con lui, che li ha liberati dalla Sfinge, ed è a lui che si rivolgono in un momento di crisi, e a ragione, visto che lui fa di tutto per aiutarli, fino al sacrificio finale di sé. E del resto, anche se non lo sapeva, il poveraccio, in quanto figlio legittimo di Laio, discendeva in linea diretta dalla nobile stirpe dei Labdacidi, per cui il regno gli spettava di diritto e il suo problema – in termini squisitamente tragici – non era quello di essere un tiranno, ma, al contrario, di non esserlo.

L’unico vero tiranno

Chiedo scusa per la digressione. Edipo, si sa, è una personificazione della intelligenza umana, e come tale ha poco a che fare con Bush, che quanto a piccole cellule grigie non gode fama di essere particolarmente fornito, tanto è vero che dovendo, in un’occasione solenne, presentare se stesso al mondo ricorre alle parole più fruste e più ambigue che la tradizione della retorica politica gli mette a disposizione. Come a dire che non è neanche capace, per evidenti limiti culturali, di giustificare sul piano ideologico, o almeno su quello retorico, le proprie azioni e le proprie scelte. In effetti, sotto il fragile velo di quelle espressioni auliche e vagamente desuete, la natura spietata del suo programma, la volontà di dominio che lo permea, il disprezzo per la identità altrui che lo sostanzia risultano con un’evidenza agghiacciante. Figlio della nuova aristocrazia del denaro, tanto più potente e spietata di quella antica del sangue, Bush parla di libertà, ma non crede nell’eguaglianza e non saprebbe che farsene della fraternità, che della libertà sono, da un paio di secoli, le necessarie specificazioni. L’unica opzione vera, per lui, è, sempre e comunque, quella della forza. La conclusione è quasi banale ma inevitabile. Anche se non può rendersene conto, in senso moderno, l’unico vero tiranno è lui.

Carlo Oliva