1. Resistere è creare
A differenza di molti gruppi e movimenti contestatari o
alternativi che spesso adottano una posizione difensiva, noi
sosteniamo che la vera resistenza passa dalla creazione, qui
e subito, di relazioni e di forme alternative da parte dei collettivi,
dei gruppi e delle persone che, attraverso pratiche concrete
e una militanza che coinvolge l'esistenza, sappiano andare oltre
il capitalismo e la reazione.
Sul piano internazionale stiamo assistendo ai prodromi di una
controffensiva, che segue un lungo periodo di incertezze, di
arretramento e di distruzione delle forze alternative. Questo
arretramento è stato in gran parte favorito dalla logica
neoliberale e capitalista che punta a distruggere quello che
si era costruito in un secolo e mezzo di lotte rivoluzionarie.
Da quel momento resistere significa creare le nuove forme, le
nuove ipotesi teoriche e pratiche che siano all'altezza della
sfida attuale.
2. Resistere alla tristezza
Viviamo in un'epoca profondamente segnata dalla tristezza,
non solo la tristezza delle lacrime, ma soprattutto quella dell'impotenza.
Gli uomini e le donne della nostra epoca vivono nella certezza
che la vita sia tale che l'unica cosa che possiamo fare, per
non peggiorare le cose, sia di sottometterci alla disciplina
dell'economicismo, dell'interesse e dell'egoismo. La tristezza
sociale e personale ci induce a pensare di non disporre più
dei mezzi per vivere un'esistenza autentica e perciò
ci assoggettiamo all'ordine e alla disciplina della sopravvivenza.
Il tiranno ha bisogno della tristezza, perché così
ognuno di noi si isola nel suo piccolo mondo, virtuale e inquietante,
proprio come gli uomini tristi hanno bisogno del tiranno per
giustificare la propria tristezza.
Noi pensiamo che il primo passo contro la tristezza (che la
forma sotto la quale il capitalismo esiste nelle nostre esistenze)
sia la creazione, in forme molteplici, di legami concreti di
solidarietà. Rompere l'isolamento, creare queste forme
di solidarietà è l'inizio di un impegno, di una
militanza che funziona non più "contro", ma
"per" la vita, la gioia, attraverso la liberazione
della potenza.
3. La resistenza è molteplicità
La lotta contro il capitalismo, che non è riducibile
alla lotta contro il neoliberalismo, implica pratiche nella
molteplicità. Il capitalismo si è inventato un
mondo unico e monodimensionale, che però non è
dato "in sé". Perché esista ha bisogno
della nostra sottomissione e del nostro consenso. Questo mondo
unificato è un mondo fatto merce, che si oppone alla
molteplicità dell'esistenza, alle infinite dimensioni
del desiderio, della fantasia e della creazione. E che si oppone,
fondamentalmente, alla giustizia.
Per questo noi riteniamo che qualunque lotta contro il capitalismo
che pretenda di essere globale e totalizzante rimanga ingabbiata
nella struttura stessa del capitalismo che è, appunto,
la globalità. La resistenza deve partire e dispiegarsi
nelle molteplicità, ma in nessuno caso seguendo una struttura
o una direzione globalizzante e accentratrice delle lotte.
Una rete di resistenza che rispetti la molteplicità è
un cerchio che paradossalmente ha il centro in ogni sua parte.
Possiamo accostare questa immagine a quella del rizoma di Gilles
Deleuze: "In un rizoma si entra da qualunque parte, ciascun
punto si connette con qualsiasi altro, esso è composto
di direzioni mobili, senza fuori e senza fine, solo un dentro
dal quale cresce e deborda, senza mai dipendere o derivare da
un'unità; senza soggetto né oggetto."
4. Resistere non è desiderare il potere
Centocinquant'anni di rivoluzioni e di lotte ci hanno insegnato
che, contrariamente alla visione classica, il luogo del potere,
i centri di potere, sono anche il luoghi di scarsa forza, cioè
dell'impotenza. Il potere si occupa della gestione e non ha
la possibilità di modificare dall'alto la struttura sociale
se non lo consente la forza dei legami reali alla base. La forza,
così, è sempre separata dal potere. Per questo
noi distinguiamo tra quello che avviene "in alto"
e quello che avviene "in basso".
Perciò la resistenza alternativa sarà tanto più
forte quanto più saprà uscire dalla gabbia dell'attesa:
da quel meccanismo classico che rimanda invariabilmente a un
"domani", a un poi, il momento della liberazione.
I "padroni della libertà" ci chiedono obbedienza
oggi in nome di una liberazione che vedremo domani, ma domani
resta sempre domani, in altri termini, il domani (quello dell'attesa,
del perpetuo rinvio, il domani dell'indomani che cantano) non
esiste. Per questo suggeriamo a questi padroni della libertà
(commissari politici, dirigenti e altri militanti tristi): la
liberazione qui e subito e l'obbedienza
domani.
5. Resistere alla serializzazione
Il potere conserva e fa crescere la tristezza facendo leva
sull'ideologia e sull'insicurezza. Il capitalismo non può
esistere senza serializzare, separare, dividere. La separazione
vince quando, a poco a poco, le persone, i popoli, le nazioni
vivono nell'ossessione dell'insicurezza. Non c'è niente
di più facile da disciplinare di un popolo di pecore,
tutte convinte di essere lupi per le altre. L'insicurezza e
la violenza sono reali, ma solo in quanto le ammettiamo, ove
accettiamo quell'illusione ideologica che ci fa credere che
ognuno di noi sia un individuo isolato dal resto e dagli altri.
L'uomo triste vive come se fosse stato spinto in mezzo al palcoscenico
dove gli altri non sono che comparse. La natura, gli animali,
il mondo, sarebbero "beni di consumo" o ognuno di
noi il protagonista, centrale e unico, delle nostre esistenze.
Ma l'individuo non è che una finzione, un'etichetta.
La persona, invece, è ognuno di noi in quanto accettiamo
la nostra appartenenza a quel tutto sostanziale che è
il mondo.
Si tratta quindi di rifiutare le etichette sociali della professione,
della nazionalità, dello stato civile, la ripartizione
tra disoccupati, lavoratori, handicappati, dietro alle quali
il potere cerca di uniformare e di schiacciare quella molteplicità
che ognuno di noi è. Noi siamo, infatti, molteplicità
frammiste e legate ad altre molteplicità. Per questo
il legame sociale non è qualcosa che si debba costruire,
quanto una cosa da assumere. Le etichette, gli individui, vivono
e rafforzano il mondo virtuale ricevendo notizie della propria
esistenza dallo schermo della televisione. La resistenza alternativa
è quella che fa esistere il reale degli uomini, delle
donne, della natura. Gli individui sono tristi sedentari ingabbiati
nelle etichette e nei ruoli; l'alternativa impone di far proprio
un nomadismo libertario (...).
7. Resistenza e politica della libertà
La politica, nel suo significato più profondo, è
legata alle pratiche di emancipazione, alle idee e alle immagini
di felicità che da queste derivano. La politica è
la fedeltà a una ricerca attiva della libertà.
A questa concezione della politica si contrappone quella della
"politica" come gestione dell'esistente così
come appare. Ma questa, che noi chiamiamo gestione, pretende
di essere tutta la politica gerarchizza le priorità limitando,
frenando e istituzionalizzando le energie vitali che la travalicano.
Ma la gestione non è che un momento, una funzione, un
aspetto.
La gestione è rappresentazione e in quanto tale, non
è che una parte del movimento reale. Il quale non ha
bisogno della rappresentazione per esistere, mentre questa tende
a limitare la forza della presenza. La politica rivoluzionaria
è quella che persegue in ogni istante la libertà,
non in quanto sostanzialmente associata agli uomini e alle istituzioni,
ma come divenire permanente che non vuole soffermarsi, fondersi,
"incarnarsi" o istituzionalizzarsi. La ricerca della
libertà è legata alla struttura del movimento
reale, della critica pratica, della costante messa in discussione
e dello sviluppo illimitato della vita. In questo senso, la
politica rivoluzionaria non è il contrario della gestione,
che come parte del tutto, è parte della politica. Invece
la gestione, in quanto tende a essere il tutto della politica,
rappresenta appunto il meccanismo della virtualizzazione, quello
che ci fa affondare nell'impotenza.
La politica in quanto tale è l'armonia della molteplicità
dell'esistenza in lotta costante con i suoi stessi limiti. La
libertà è il dispiegamento delle sue capacità
e della sua forza: la gestione non è che un momento limitato
e circoscritto, quello della rappresentazione di questo dispiegamento.
8. Resistenza e controcultura
Resistere significa creare e sviluppare contropoteri e controculture.
La creazione artistica non è un lusso, ma una necessità
vitale che è tuttavia negata alla maggioranza. Nella
società della tristezza, l'arte è stata separata
dalla vita e addirittura viene sempre più separata da
se stessa, così com'è posseduta e infettata dai
valori mercantili. È per questo che gli artisti, forse
meglio di altri, comprendono che resistere è creare.
Perciò ci rivolgiamo anche a loro, perché la creazione
superi la tristezza, la separazione, perché possa liberarsi
dalla logica del denaro e ritrovi il suo posto nel seno dell'esistenza.
9. Resistere alla separazione
Resistere significa, anche, superare la separazione tra
teorie e pratica, tra l'ingegnere e l'operaio, tra la mente
e il corpo. Una teoria che si stacca dalle pratiche diventa
un'idea sterile. È così che nelle nostre università
esiste una miriade di queste idee sterili, ma nello stesso tempo,
le pratiche che si staccano dalla teoria si condannano a scomparire
a poco a poco con una specie di autoassorbimento. Resistere,
quindi, significa creare i collegamenti tra le ipotesi teoriche
e le ipotesi pratiche, che chiunque sappia qualche cosa sappia
anche trasmetterla a chi desidera liberarsi. Creiamo allora
le relazioni, i legami che rafforzano le teorie e le pratiche
dell'emancipazione, voltando le spalle al canto delle sirene
che ci propongono di "occuparci della nostra vita",
alle quali noi rispondiamo che la nostra vita non vuole ridursi
alla sopravvivenza e si estende oltre i limiti della nostra
pelle.
10. Resistere alla normalizzazione
Resistere significa, nello stesso tempo, decostruire il
discorso falsamente democratico che pretende di occuparsi dei
settori e delle persone escluse. Nelle nostre società
non ci sono "esclusi", siamo tutti inclusi, in modo
diverso, più o meno degradante e orribile, ma comunque
ci siamo dentro. L'esclusione non è un accidente, un
"eccesso". Quello che qualcuno chiama esclusione e
insicurezza, noi lo dobbiamo vedere come la sostanza stessa
di questa società innamorata della morte. Per questo,
battersi contro le etichette implica anche il nostro desiderio
di metterci in contatto con le lotte di coloro che sono chiamati
"anormali" o "handicappati".
Noi affermiamo che non esistono uomini e donne "anormali"
o "handicappati ", ma persone e modi d'essere diversi.
Le etichette funzionano come minuscole prigioni in cui ognuno
di noi è definito in base alle sue incapacità.
Ora, quello che a noi interessa è la capacità,
la forza, la libertà. Un handicappato è tale sono
in una società che accetta la divisione tra forti e deboli.
Rifiutarle questa che non è che barbarie, significa respingere
le cernite, le selezioni intrinseche al capitalismo. L'alternativa,
pertanto, implica un mondo in cui ognuno prende la propria fragilità
come un fenomeno normale dell'esistenza e in cui ognuno sviluppa
ciò che può con gli altri e per sé. Che
si tratti della lotta per la cultura Sorda, che è riuscita
a far saltare in aria la tassonomia medica, come quella contro
la psichiatrizzazione della società, come di tante altre
che, lungi dall'essere piccole battaglie per un po' più
di spazio, sono autentiche creazioni che arricchiscono l'esistenza..
Per questo noi invitiamo a resistere con noi anche i gruppi
che lottano contro la normalizzazione disciplinare medico-sociale,
in tutti i suoi aspetti.
Lo stesso avviene anche per le forme di irregimentazione tipiche
dei sistemi educativi. La normalizzazione opera qui come minaccia
costante di fallimento o di disoccupazione. Esistono, di converso,
esperienze parallele, alternative e diverse rispetto alla scolarizzazione,
in cui i problemi legati all'istruzione si sviluppano seguendo
un'altra logica. Handicappati, disoccupati, pensionati, culture
emarginate, omosessuali, sono tutte categorie sociologiche che
operano separando e isolando sulla base dell'impotenza, di ciò
che non si può fare, rendendo unilaterale e immiserendo
il molteplice, ciò che può essere visto come sorgente
di forza.
19. Resistenza e collettivo dei collettivi
Molti dei nostri gruppi o collettivi dispongono di pubblicazioni
o di riviste. La rete si propone di raccogliere e di mettere
a disposizione degli altri gruppi questi saperi libertari che
possono servire a rafforzare la lotta degli uni e degli altri.
Centinaia di lotte spariscono per l'isolamento o per mancanza
di d'appoggio, centinaia sono costrette a partire da zero e
ogni lotta che perde non è soltanto "un'esperienza",
ogni sconfitta rafforza il nemico. Di qui la necessità
di aiutarci a vicenda, di creare una "retroguardia solidale"
perché chiunque, in qualsiasi parte del mondo lotti a
suo modo, nella sua situazione, per la vita e contro l'oppressione,
possa contare su di noi come noi speriamo di poter contare su
di lui.
Il capitalismo non cadrà dall'alto. Per questo, nella
costruzione delle alternative, non esistono progetti grandi
e progetti piccoli.
Saluti fraterni a tutti i fratelli e le sorelle della costa.
Saluto dei pirati: a differenza dei corsari, trafficanti e schiavisti,
i pirati erano comunisti e formavano comuni liberi sulle coste
dove s'insediavano.
El Mate (Argentina), Madri della Plaza de Mayo (Argentina),
Collettivo Amautu (Perù), Grupo Chapare (Bolivia),
Collectif Malgré Tout (Parigi), Collectif Che (Tolone),
Collectif Contre les Expulsions (Liegi), Centre Social (Bruxelles).
Sito internet:
www.sinectis.com.ar/u/redresistalt
E-mail: <redresistalt@sinectis.com.ar>
Casella postale:
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