Cari amici, la mia età, i malanni
cronici e la calura estiva mi costringono a non muovermi di
casa; per questo mi dispiace molto di non poter essere presente
alla vostra conferenza sul municipalismo libertario. Vorrei,
però, grazie a Janet Biehl, che ha accondisceso di leggervi
queste mie parole, darvi il benvenuto nel Vermont e farvi i
miei auguri per le discussioni che avranno luogo nei prossimi
tre giorni. Se qualcuno di voi vorrà venirmi a trovare,
alla fine dei lavori, a Burlington, che oggi è bene o
male il mio rifugio sicuro, sarò felicissimo di riceverlo.
Non fatevi scrupoli a chiamarmi e magari sarà possibile
riuscire a vederci durante o dopo questo incontro.
Intanto, in questo messaggio, vorrei toccare alcune delle questioni
sollevate in proposito delle precedenti discussioni sul municipalismo
libertario, esponendo le mie opinioni a riguardo. Forse la cosa
più importante è la distinzione che andrebbe fatta
tra comunitarismo e municipalismo libertario, una distinzione
che spesso va smarrita quando si discute della politica del
municipalismo libertario.
Con il termine comunitarismo io intendo riferirmi a quei movimenti
e a quelle ideologie che aspirano a trasformare la società
creando cosiddette alternative nel campo economico e dell'esistenza
personale, come le cooperative alimentari, le scuole, le tipografie,
i centri comunitari, le aziende agricole di quartiere, gli squats
e così via elencando. Tra gli esponenti del comunitarismo,
che si ispirano alle opere di Proudhon, ci sono state personalità
come Martin Buber, Harry Boyte, Colin Ward, per fare qualche
nome. Che sia o no esplicitamente teorizzato, il comunitarismo
mira a distaccare lentamente lo sviluppo dell'umanità
dalla logica delle imprese private (banche, grandi aziende,
supermercati, fabbriche e sistemi industriali in agricoltura)
e avvicinarlo allo stile di vita che promuovono, con imprese
pubbliche e valori collettivi. La parola "comunitario"
spesso è sostituibile col termine "cooperativo",
una forma di produzione e di scambio che risulta attraente non
solo perché richiama un senso d'amicizia e di collettivo,
ma anche perché è sotto il "controllo operaio"
o la "gestione operaia".
Il comunitarismo non cerca di creare un centro di potere che
serva ad abbattere un giorno il capitalismo, ma cerca di metterglisi
in concorrenza, di svalutarlo, di sopravvivergli, di fungere
da barriera morale all'avidità e alla malvagità
che agli occhi di tanta gente rende così riprovevole
l'economia borghese. Non si tratta, per dirla in breve, di una
politica, ma di una pratica, spesso limitata a gruppi di piccole
dimensioni che fanno la "scelta" di acquistare o di
lavorare in un'azienda cooperativa. Quando indico in Proudhon
uno dei padri del comunitarismo, anche se non è esattissimo,
faccio risalire la nascita di questa ideologia e di questa pratica
a circa centocinquanta anni fa, a un'epoca in cui la maggior
parte della produzione di oggetti era affidata agli artigiani
e quella agricola e alimentare a piccoli contadini. Da allora
sono nate tante cooperative, animate dalle più ambiziose
speranze e destinate in genere a fallire, a vivacchiare o a
trasformarsi in imprese orientate al profitto. Per riuscire
a sopravvivere sul mercato capitalista, sono state regolarmente
costrette ad adattarvisi o sono state semplicemente annientate
dalla concorrenza di aziende animate da uno spirito di rapina
e, nei fatti, più efficienti, ma tutte orientate al profitto.
Un progetto antistatale
Anche dove le cooperative riescono a difendersi dalla concorrenza
capitalista, tendono a chiudersi in se stesse, a concentrarsi
sui propri problemi e interessi e, nella misura in cui sono
in rapporto tra loro, a puntare tutto sulla propria sopravvivenza
o la propria espansione. Soprattutto, capita molto raramente,
se mai succede, che diventino centri di potere popolare. Questo
in parte perché le questioni attinenti ai pubblici poteri
in quanto tali non le toccano e in parte perché non hanno
gli strumenti per mobilitare la gente su temi che le coinvolgano,
a proposito del chi dovrebbe governare la società e del
come dovrebbe governarla. Sostenendosi con le idee che esprimono
in campo sociale (e, con l'andar del tempo, anche come idee
socialmente valide queste sono defunte) sperano di riuscire
a superare a poco a poco il capitalismo senza doversi confrontare
con le imprese capitaliste e con lo Stato capitalista. Così,
col tempo, tendono a chiudersi in se stesse, a essere settarie
e limitate, a riunire in sé non collettivisti ma capitalisti
collettivi e, in ultima analisi, a essere più capitaliste
che socialiste nella pratica e negli interessi.
Il municipalismo libertario, invece, è decisamente un'espressione
politica antistatale che vuole la democrazia, il rapporto diretto,
faccia a faccia, il dialogo, il confronto. è soprattutto
attento alle questioni fondamentali del potere. Pone questi
interrogativi: dove dovrà sussistere il potere? Quale
parte della società dovrà esercitarlo? Quali istituzioni
sono necessarie per rendere possibile ed efficace un esercizio
del potere non statale? Se è vero che vivere/lavorare
in una cooperativa può essere una cosa buona per instillare
nelle persone valori, interessi, relazioni di stampo collettivista,
le cooperative non offrono i mezzi istituzionali per l'acquisizione
del potere. Consentitemi di sottolineare questo termine, "istituzioni",
perché mi viene in mente uno slogan degli anarchici spagnoli
che diceva: "Guerra alle istituzioni, non al popolo."
Io ritengo che uno slogan del genere crei confusione e disorientamento,
perché lascia intendere che le persone politically correct
siano individui "autonomi", liberi da ogni obbligo
istituzionale, mentre le istituzioni in quanto tali sarebbero
una sorta di gabbie che impediscono all'individuo di scoprire
il proprio "io autentico" e di realizzarsi.
No: è un grosso errore. Gli animali, senza dubbio, possono
vivere senza istituzioni (spesso perché il loro comportamento
è geneticamente condizionato), ma gli esseri umani ne
hanno bisogno per modellare in modo creativo le strutture sociali,
basate non tanto su una supposta genetica o su certe usanze,
ma soprattutto su "forme di libertà" (come
le definivo già negli anni sessanta) razionalmente costituite
che servono a organizzare ed esprimere il potere in forma tanto
collettiva quanto personale. Perciò, se oggi dovessi
riscrivere in forma più estesa il mio articolo The
Forms of Freedom, vi aggiungerei che sono necessarie costituzioni
e leggi formulate per mezzo di assemblee di democrazia diretta
e aperte al dialogo. In effetti, per molto tempo sono stati
gli oppressi a richiedere e a pretendere costituzioni e leggi,
quali strumenti di controllo, anzi di eliminazione del potere
arbitrario esercitato da re, tiranni, nobili e dittatori. Ignorare
questo fatto storico e regredire a un "istinto di solidarietà",
a un "istinto rivoluzionario", a un "istinto
di condivisione", significa abbandonare un auspicabilissimo
mondo civile per ritirarsi nel mondo della bestialità,
optare per una zoologia sociale che non ha senso applicare all'umanità
intesa come specie dalle capacità d'innovazione che crea
e ricrea se stessa come crea e ricrea il mondo.
A differenza del comunitarismo, il municipalismo libertario
si preoccupa del potere: non semplicemente del potere di autocontrollo
che si può acquisire partecipando a una riunione ispiratrice,
ma il potere concreto che si esprime in forme organizzate di
libertà, concepite in modo razionale e costituite con
modalità democratiche. Se da un lato posso ben comprendere
il rifiuto di Proudhon, nella sua qualità di deputato
alla Camera francese, di votare una bozza di costituzione (che
era orientata verso la tutela della proprietà e la costruzione
di uno Stato), respingo completamente le ragioni che adduceva
per questa scelta. "No!", aveva dichiarato, "Io
non voto contro la Costituzione perché è una costituzione
più o meno cattiva, ma perché è una costituzione."
Un comportamento così fatuo lo faceva regredire, intellettualmente
come politicamente, nel mondo del potere arbitrario contro il
quale, nell'ottavo secolo avanti Cristo si schieravano i contadini
greci oppressi; come faceva Esiodo, che denunciava i "baroni",
come li definiva, che non facevano che asservire e sfruttare
gli agricoltori ellenici, e rivendicava una società basata
sulla legge, non sull'arbitrio degli uomini. Il municipalismo
libertario vuole raggiungere il potere, non vuole semplicemente
sfruttare la rivendicazione del potere a scopi di propaganda
e di spettacolo, e non respinge l'uso del potere, ma vuole darlo
in mano alla gente nelle assemblee popolari.
E non ci serve molto che ci vengano a dire che per arrivare
a una comunità basata sui principi del municipalismo
libertario bisogna prima prepararle il terreno, cementandola
con uno stile di vita basato sulla reciprocità come quello
offerto dalle attività cooperative. Fin troppo spesso
le cooperative sono diventate fini a se stesse e, quando ce
l'hanno fatta, hanno privilegiato gli scopi che rispondevano
alle proprie logiche interne, opposte alle comunità per
le quali volevano rappresentare un riferimento. Ne ho viste
tante, di cooperative alimentari che non solo chiudevano gli
occhi davanti alle altre dello stesso tipo, entrando addirittura
in concorrenza con loro, ma che abdicavano a tutte le loro supposte
attività "educative", togliendo a tutti i propri
associati ogni potere e trasformandoli in semplici clienti.
Costrette dal capitalismo ad adottare i metodi dell'organizzazione
capitalistica, assumono manager e specialisti del business di
un genere o di un altro, col risultato che, invece di educare
i propri associati, esse rivestono il capitalismo con i panni
eleganti delle istituzioni virtuose.
Educazione e formazione
Il municipalismo libertario si impegna in ogni modo per non
affondare nella palude comunitaria, perdendo la propria identità
per dedicarsi alla costruzione, al mantenimento e all'espansione
di cooperative, indipendentemente dal fatto che questa sia o
no una cosa buona. Il municipalismo libertario è il tentativo
di recuperare e superare la definizione aristotelica dell'uomo
quale zoon politikòn, animale politico. "L'uomo"
o quanto meno, l'uomo greco, nella Politica di Aristotele,
è chi vive nella polis, cioè in un municipio
e non, come spesso si ritiene erroneamente, una città-stato.
è questo uno dei teloi, dei fini dell'uomo, una
forma che si attualizza in quanto essere umano. Per esprimersi
in termini religiosi, egli è destinato a essere l'abitante
della polis, della città, nella misura in cui
realizza la propria umanità. I suoi teloi, che
comprendono un sistema di leggi (di diritti come di doveri)
razionalmente e democraticamente costituito, includono anche
la sua facoltà di essere cittadino, vale a dire un essere
umano preparato, con una formazione o paideia che dura
tutta la vita, in modo da possedere tutte le competenze che
servono per assumersi tutti gli impegni di autogoverno. Deve
essere capace, intellettualmente come fisicamente, di surrogare
tutte le funzioni socio-politiche assunte dallo Stato, in particolare
quelle dell'apparato fatto di militari, polizia, burocrati,
rappresentanti legislativi e così via. Lo Stato non è
liquidato solo istituzionalmente, ma anche soggettivamente,
rendendo la gestione della società una faccenda rigorosamente
umana. Lo Stato, in sostanza, è sostituito da cittadini
liberi e istruiti che, all'interno di assemblee popolari, ne
eliminano la pretesa di avere la competenza esclusiva su di
sé, che giustifica la propria esistenza col fatto che
i suoi costituenti sono bambini ignoranti che hanno bisogno
di un "padre" capace di gestire le loro faccende.
Vorrei aggiungere che la paideia richiede un'educazione
e una formazione rigorose, anzi la costruzione di un carattere
e di un integrità etica, se si deve giustificare la competenza
del cittadino (la sua capacità di sostituire lo Stato).
È così non solo eliminando lo Stato, ma anche
eliminando la gerarchia. Un'educazione e una formazione rigorose
implicano a loro volta non fatui tentativi di "espressione
dell'io", spesso di un io appena sbozzato e non ancora
formato, ma un processo di apprendimento sistematico, programmato
con cura, bene organizzato. L'umanità non può
produrre cittadini se l'educazione e la formazione che essa
assicura ai giovani avviene attraverso gruppi d'incontro che
si presumono "spontanei", in cui lo studente è
chiamato ad accettare qualsiasi cosa gli venga somministrata.
Proprio questa attenzione alla paideia rende la Repubblica
di Platone un'opera così grande nonostante i suoi tanti
difetti: in realtà, molti dei testi migliori dalla filosofia
greca racchiudono idee su come educare i giovani per farne dei
cittadini capaci non solo di riflettere in modo sistematico,
ma anche di usare le armi per difendersi e per difendere la
democrazia. La democrazia ateniese, vorrei aggiungere, fu raggiunta
quando la cavalleria aristocratica fu sostituita dagli opliti,
i soldati di fanteria, la guardia civile del quinto secolo avanti
Cristo, che assicurò la supremazia del popolo al posto
di quella della nobiltà.
La questione del potere
Così, il municipalismo libertario non esclude il potere,
un potere concreto, non semplicemente quella forma alla moda
di "potere di autocontrollo", che sovente altro non
è che uno stato di esaltazione emotiva più o meno
simile a quello che danno certe droghe. Si tratta di una ripresa
e un'estensione della tesi aristotelica secondo la quale gli
essere umani sono costituiti per vivere come "animali politici".
è una comunità strutturata, che possiede una sua
costituzione e una sua legislazione, fondate su basi razionali
e democratiche. è formazione degli individui, membri
a pieno titolo del municipio, foggiati eticamente e intellettualmente
attraverso un processo di costruzione del carattere che definiamo
paideia. Sono il municipio e la confederazione di municipi
che, grazie alle competenze, al potere armato, alle istituzioni
democratiche e al metodo che affronta problemi e questioni con
il dialogo, non solo è in grado di sostituire lo Stato,
ma anche di svolgere le funzioni socialmente necessarie di cui
lo Stato si è appropriato a spese del potere popolare,
con la scusa che i suoi appartenenti sarebbero ragazzini incapaci.
È questo il regno della politica, il suo universo reale,
che rischia di essere completamente cancellato da una società
che sempre più assomiglia a una Disneyland e che ci spinge
a dar vita a un movimento per riappropriarcene e svilupparlo.
Se si lascia che questo regno della politica sia soffocato all'interno
di istituzioni e di attività comunitarie, si perde del
tutto di vista la necessità di ripristinarlo, anzi si
svolge un ruolo bambinesco, se non reazionario, di disgregazione.
Lo Stato si giustifica non solo per l'indifferenza dei suoi
componenti rispetto alle faccende pubbliche, ma anche, e soprattutto,
per la loro incapacità di gestire queste faccende. Chiunque
si faccia complice di questa apologia ideologica dello statalismo,
negando l'esigenza di un regno della politica o confondendolo
superficialmente con la creazione di cooperative, di istituzioni,
di gruppi d'incontro, di feste di strada, di dimostrazioni,
di scontri tra i giovani e "l'autorità", nei
panni di patetici e normali lavoratori con addosso le uniformi
di polizia, si fa anche complice di quelle tesi ideologiche
secondo le quali la formazione di assemblee pubbliche dotate
di pieni poteri sarebbe una forma di statismo e la "libertà"
sarebbe raggiungibile semplicemente tirando un mattone a un
poliziotto o creando una "zona temporaneamente autonoma".
Non voglio certo ignorare i giganteschi problemi che comporta
questo insieme di concetti. è importantissimo il tipo
di movimento (anzi di "avanguardia", un termine abusato,
che la Nuova Sinistra ha guastato associandolo ai bolscevichi)
che va creato, che deve svolgere un ruolo educativo e, ebbene
sì, di leadership, indispensabile per generare le trasformazioni
richieste dal municipalismo libertario. Consentitemi, intanto,
di dissociarmi da I.S. Bleihkman, il massimo esponente dei comunisti
anarchici di Pietrogrado che, quando i marinai di Kronstadt,
insieme alla guarnigione di Pietrogrado e agli operai più
coscienti decisero di "uscire allo scoperto" con le
armi in pugno, nel luglio del 1917, per costituire un governo
sovietico, rispondeva all'appello a organizzarsi con la stupida
parola d'ordine: "Saranno le strade a organizzarvi!"
Le strade, manco a dirlo non organizzarono un bel niente e nessuno
e, mancando una vera leadership, l'insurrezione fallì
nel giro di pochi giorni.
Fasi distinte
Riesaminando una gran mole di materiali relativi alle rivoluzioni
del passato, il problema principale che ho incontrato è
stato appunto quello del tipo di organizzazione che potrebbe
fare la differenza, tra la sopravvivenza e la morte, in un sollevamento
rivoluzionario. Mi si è fatta sempre più chiara
in testa l'esigenza di creare un'organizzazione capace di operare
positivamente e di prendere iniziative (un'avanguardia), che
sia impegnata nella propria rigorosa paideia, che sappia
formare proprie istituzioni, basate su una costituzione razionale,
che s'impegni a cooptare cittadini istruiti e motivati, che
abbia una propria struttura e propri programmi. Questa organizzazione
potrebbe essere benissimo considerata una sorta di polis in
via di formazione, capace di tutelare i principi di fondo del
municipalismo libertario, evitando che siano assorbiti da qualcuno
(destino abituale delle buone idee oggigiorno), che sappia alimentarli,
farli crescere e applicarli in situazioni complesse e difficili.
Se non si hanno principi solidi e chiari, si è semplicemente
senza principi: si svolazza nell'etere delle vaghe opinioni,
senza autentiche idee, con concetti improvvisati e non con concezioni
profonde, si fanno castelli in aria e non teorie solide con
solide fondamenta. è vero che i principi si possono cambiare,
ma la tesi secondo la quale i principi devono restare nel vago
è lo specchio dell'attuale mentalità postmoderna,
priva di spina dorsale, che vede tutto relativo, che ritiene
che non ci sia nulla di fondamentale, che ritiene che idee prive
di forma, come amebe, meritino una seria attenzione, che pensa
che ogni struttura sia autoritaria se non totalitaria e che
i sentimenti siano più importanti di un pensiero profondo
e sistematico. Senza un'organizzazione chiaramente definibile,
si ricade nella tirannia del non strutturato, proprio come,
nel caso del compromesso con il consenso, si maschera il fatto
che una minoranza (sia essa di uno, di dieci o di venticinque
su cento) costituisce un nuovo sistema autoritario al cui interno
uno, dieci o venticinque stabiliscono una vera tirannia che
può negare la scelta dei novantanove, novanta o settantacinque
della maggioranza, con l'assurda affermazione che un quasi consenso
bloccherebbe la "tirannia" della maggioranza.
Ho proposto che si crei attraverso fasi distinte un movimento
del municipalismo libertario, un movimento che, credo, in ragione
delle idee avanzate, della sua preparazione e della sua esperienza
abbia tutti i diritti di ritenersi di avanguardia. Certo, qualsiasi
altra organizzazione può dichiararsi tale. Io non sostengo
certo che solo un'organizzazione municipalista libertaria abbia
il diritto di negare ad altre la facoltà di ritenersi
avanguardie; saranno i fatti e le masse a decidere. Non voglio
nemmeno negare ad altre organizzazioni che si dicono d'avanguardia
il diritto di farlo, né tento di limitare loro questa
possibilità. Ma è mia opinione che non si verificherà
mai un importante cambiamento della società senza un
movimento di avanguardia bene organizzato, che prenda molto
sul serio la propria struttura e che stabilisca regole precise
di adesione. (...)
L'ultima occasione
Oggi il mondo sta cambiando a una velocità davvero
stupefacente. Ho affermato più volte che, se il capitalismo
non distruggerà il pianeta, il mondo forse tra trent'anni,
ma sicuramente entro cinquanta, subirà una trasformazione
che va al di là di ogni nostra fantasia. Il mondo contadino
scomparirà del tutto, non solo: anche quella natura che
noi definiamo "selvaggia" non ci sarà più.
è probabile che l'automazione dell'industria raggiunga
livelli impensabili e che la superficie della terra subisca
enormi trasformazioni. Non so, e non saprò mai, se questi
cambiamenti provocheranno una crisi ecologica o se saranno affrontati,
sia pur in modo insufficiente, dalla scienza e dalla tecnica.
Sono tanti gli interrogativi su come sarà il mondo di
domani, e io non cercherò di ragionarci troppo sopra,
ora la mia vita sta volgendo al termine.
Di una cosa, comunque, io sono convinto: se un movimento municipalista
libertario non riuscirà a favorire la nascita di un sistema
a democrazia diretta e confederale, si dovranno rivedere drasticamente
tutti gli ideali libertari. Non raccontiamoci storie, vi chiedo,
nella speranza di riuscire a realizzare una società autenticamente
libertaria senza creare una sfera pubblica, partendo da una
politica elettorale che coinvolga la base e che si fondi sulla
costituzione di assemblee a democrazia diretta. è questa,
io credo, l'ultima occasione offerta al movimento libertario.
Se non siete d'accordo, benissimo, ma in tal caso vi chiedo
di usare un'etichetta diversa per le vostre idee: lasciate stare
il nome di "municipalismo libertario" e seguite la
vostra strada fiancheggiata da imprese comunitarie e cooperative,
se non da monasteri taoisti e da dimore mistiche. Vorrei pregare
i miei critici di non contaminare le idee che non apprezzano
e nello stesso tempo affermano di sostenere.
Grazie
Murray Bookchin
(traduzione dall'inglese
di Guido Lagomarsino)
Ecologia sociale a convegno
La
seconda di una serie di due conferenze sul tema "La
politica dell'ecologia sociale: il municipalismo libertario"
si è svolta a Plainfield, nel Vermont, dal 26 al
29 agosto e faceva seguito a una prima tenutasi l'anno
scorso a Lisbona.
Erano presenti circa trentacinque persone provenienti
dall'Australia, Canada, Giappone, Olanda, Norvegia, Spagna,
Svezia, Stati Uniti e Uruguay. Di numero erano meno che
a Lisbona, ma a Plainfield ci si è concentrati
di più sul lavoro organizzativo e i presenti erano
tutti più impegnati nei confronti del municipalismo
libertario.
Questa serie di due conferenze era stata inizialmente
concordata nel maggio del 1997, con un appello internazionale
che proponeva di assumere il municipalismo libertario
(la filosofia politica e il programma dell'ecologia sociale
elaborati da Murray Bookchin) come complesso di idee utili
a un "rinnovamento dell'anarchismo". Parallelamente
alle due conferenze, usciva, tradotto in diverse lingue,
un libro sull'argomento (Janet Biehl, The Politics of
Social Ecology: Libertarian Municipalism), che ha sollevato
un acceso dibattito su queste idee nella stampa anarchica
di tutto il mondo.
Così, il municipalismo libertario ha prodotto un
certo interesse negli ambienti anarchici internazionali.
Tuttavia, mentre alcuni si sono sentiti attratti dalle
sue tesi, la maggioranza, a giudicare dalle discussioni
sui periodici libertari e su Internet, ha espresso una
certa perplessità sul fatto che il municipalismo
libertario possa servire a un "rinnovamento dell'anarchismo".
Non si accetta con facilità un coinvolgimento nella
politica (anche nel senso di autogestione politica della
comunità), per non parlare della disponibilità
a sfruttare le elezioni comunali come strumento tattico
per arrivare alle assemblee di cittadini. Anche chi guarda
con maggior favore a queste tesi spesso ha difficoltà
ad accettare una tattica del genere e tende a preferire
una forma di municipalismo che sia più conforme
a un'immagine maggiormente tradizionale dell'anarchia,
con la promozione di assemblee informali sull'onda delle
campagne elettorali locali, senza nessuna intenzione di
essere eletti.
La partecipazione alle elezioni municipali è stata
tra i principali punti di contrasto tra i partecipanti
alla conferenza di Plainfield. Chi aveva una formazione
anarchica più tradizionale ha manifestato forti
perplessità, mentre chi proveniva da ambienti municipalisti
o del socialismo libertario ha affermato la necessità
di sfruttare le elezioni comunali per formare assemblee
strutturalmente autorizzate e ha illustrato in dettaglio
come sia possibile farlo evitando i rischi dell'opportunismo
e del riformismo, rischi dei quali erano tutti ben consapevoli.
Si sono analizzati approfonditamente tutti i particolari
delle campagne elettorali del municipalismo libertario,
soppesandone i possibili pericoli, ma anche i vantaggi.
Altri relatori alla conferenza hanno discusso dell'importanza
dell'organizzazione e della teoria per la costruzione
di un movimento municipalista libertario, dei rapporti
dei gruppi del municipalismo libertario con i movimenti
sociali esistenti o con le organizzazioni attive nel sociale,
del concetto di doppio potere, delle caratteristiche odierne
della globalizzazione e del nazionalismo e della risposta
del municipalismo libertario a entrambi i fenomeni, dell'economia
del municipalismo libertario e del ruolo dei lavoratori
in una società del genere, delle tradizioni della
democrazia diretta in molte zone del mondo.
Molti dei presenti, commentando in chiusura l'andamento
dei lavori della conferenza, hanno espresso la propria
soddisfazione, giudicando positivamente le capacità
di sintesi delle relazioni e soprattutto la civiltà
e il rispetto reciproco con cui si sono affrontati temi
che avrebbero potuto creare qualche frattura (e che avrebbero
anche potuto rendere l'atmosfera carica di tensione).
Questi risultati sono stati raggiunti grazie al lavoro
accurato e condotto con estrema coscienziosità
per un anno intero dagli organizzatori.
Nella riunione conclusiva i partecipanti hanno esaminato
la possibilità di ripetere l'incontro in futuro.
Alcuni suggerivano di organizzare una conferenza di formazione
nel giro di uno o due anni. Altri ritenevano che la serie
di due conferenze proposta in origine dall'appello internazionale
fosse arrivata a una conclusione e che i fautori del municipalismo
libertario ora dovessero concentrarsi sull'organizzazione
locale, con un impegno di formazione sul posto, per costituire
gruppi basati sui principi del municipalismo libertario,
di modo che le prossime conferenze siano il risultato
organico dell'impegno organizzativo svolto.
Non sono uscite proposte concrete per una conferenza futura,
ma uno dei presenti si è offerto di preparare per
i partecipanti alla conferenza un elenco per le discussioni
via e-mail, in modo da proseguire il dibattito teorico
e pratico e valutare la possibilità di altri incontri.
Chi desidera prendervi parte può prendere contatto
con Chuck Fall a: chuckfall@earthlink.net.
Per informazioni sugli atti della conferenza, è
possibile scrivere a Jessica Buhler, 190 Lafina Place,
Marshfield VT 05685 USA.
Janet Biehl
(traduzione dall'inglese
di Guido Lagomarsino)
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