A metà ottobre i maggiori quotidiani
hanno riportato la notizia che la multinazionale americana Monsanto,
leader nel campo della produzione e commercializzazione di sementi
transgeniche avrebbe deciso di sospendere la commercializzazione
di Terminator in Europa. Suppongo che i più distratti
abbiano pensato a qualche nuova trovata dei produttori di film
tanto spettacolari quanto stupidi. Infatti, sebbene i commentatori
della stampa nostrana mostrino di ignorarlo, nessuno dei responsabili
della Monsanto avrebbe mai designato con un nome tanto poco
accattivante uno dei fiori all'occhiello dei loro laboratori.
Terminator è l'azzeccato nome che gli ambientalisti hanno
affibbiato a una tecnica di modificazione genetica utilizzata
per rendere improduttiva una semente, bloccandone così
il ciclo riproduttivo. Tale tecnica è stata brevettata
sia negli Stati Uniti (US 5723765) sia in Europa (EP 775212).
L'obiettivo di Monsanto (e delle altre multinazionali impegnate
sul terreno della trasformazione genetica di animali e vegetali),
al di là della sbandierata maggiore produttività
delle coltivazioni transgeniche, è obbligare i contadini
ad acquistare ogni volta le sementi, rendendoli del tutto dipendenti
da poche multinazionali che agiscono in condizioni di pressoché
totale monopolio.
L'utilizzo su scala planetaria di sementi geneticamente modificate
sterili, ossia del famigerato Terminator, avrà, come
è facile immaginare, conseguenze disastrose per i produttori
poveri del terzo mondo.
Infatti da un lato i contadini vengono espropriati di fatto
del controllo sul ciclo produttivo, poiché i brevetti
portano all'accentramento in poche mani, avide, avidissime,
della proprietà delle sementi utilizzate, dall'altro
devono sottostare ad un considerevole accrescimento delle spese,
perché obbligati ad acquistare ad ogni avvio del ciclo
produttivo le sementi rese sterili da Terminator.
I produttori di sementi geneticamente modificate sostengono
che tale tecnica consentirebbe di produrre piante inattaccabili
da erbicidi, virus, insetti e agenti patogeni in modo da rendere
più produttivi i raccolti nel mondo (anche se, ovviamente,
il maggior costo di tali sementi compensa quello dell'eventuale
trattamento diserbante, ma, ovviamente con minore necessità
di braccia...).
In realtà le sementi transgeniche distruggono l'ecospecificità
dei terreni e delle acque necessarie per irrigarli: è
dimostrato che la distanza tra campi seminati e coltivati tradizionalmente
e campi seminati e coltivati, per così dire, "artificialmente"
oggi fissata a 40 metri è assolutamente inadeguata a
salvaguardare le prime colture, che vengono colpire ugualmente
dalla sterilità. Le colture transgeniche sono pervasive
al punto di rendere sterili le normali colture ad esse limitrofe.
Non a caso viene negata la certificazione per le produzioni
biologiche se vicine a coltivazioni transgeniche.
Aumento
dei tumori
Oltre a alla riduzione della biodiversità e alla sterilità
delle sementi transgeniche va considerato che molte ricerche
hanno evidenziato il rischio di un aumento dei tumori e di una
riduzione delle difese immunologiche. Le indagini sinora effettuate,
per quanto parziali, lanciano segnali decisamente preoccupanti.
Ma la ricerca, lo sappiamo, costa e le ricerche che possono
mettere a repentaglio gli enormi profitti del settore agrochimico
non trovano finanziatori o vengono interrotte. E' il caso delle
patate transgeniche i cui effetti sull'alimentazione animale
sono stati studiati dal microbiologo Arpad Pusztai per conto
del governo scozzese: quando le sue ricerche hanno evidenziato
che i topi nutriti con tale patata subivano una depressione
del sistema immunitario ed alterazioni anche gravi degli organi
vitali - il fegato in particolare - il lavoro di Pusztai è
stato interrotto ed i risultati non sono mai stati pubblicati.
La decisione annunciata da Monsanto di sospendere la commercializzazione
in Europa di Terminator è spiegata dai responsabili del
marketing della multinazionale americana con la necessità
di far fronte all'ostilità montante in Europa nei confronti
degli alimenti geneticamente modificati. In realtà non
è difficile prevedere che questa decisione sia momentanea
e non rappresenti che una pausa in una partita feroce che ormai
da un paio d'anni si sta giocando a livello mondiale.
Quest'anno a Cartagena, in Colombia, alla fine di febbraio si
è conclusa con un nulla di fatto la conferenza internazionale
che avrebbe dovuto stilare il "Protocollo sulla biosicurezza",
un accordo che doveva regolamentare la distribuzione dei prodotti
transgenici, ossia sementi, piante o anche animali manipolati
geneticamente e commercializzati da poche multinazionali del
settore, che hanno tutto l'interesse ad impedire controlli sulle
colture e sui prodotti (soprattutto mais, soia, tabacco ma,
tendenzialmente, una gamma infinita di varietà vegetali).
A Cartagena si sono ritrovati i rappresentanti degli stati firmatari
del trattato sulla biodiversità (oltre agli Stati Uniti,
presenti nonostante non avessero sottoscritto il trattato perché
"lesivo dei loro interessi nazionali") e sin dalle
prime battute si sono affrontati due opposti schieramenti. Da
un lato il gruppo di Miami (Stati Uniti, Canada, Australia,
Argentina, Uruguay e Brasile) e dall'altro l'Europa e l'Africa.
Il fallimento del tentativo di darsi regole comuni sul commercio
di alimenti geneticamente modificati si è infranto contro
la volontà dei maggiori produttori di piazzare la propria
merce senza né regole né controlli.
Europei ed africani si opponevano all'articolo 31 del Protocollo
che prevedeva di subordinare agli altri trattati internazionali
- in particolare il WTO - Trattato sul Libero Commercio Internazionale
- rendendolo in tal modo nei fatti del tutto inefficace.
Interessi
enormi
La questione cruciale sulla quale la Conferenza di Cartagena
si è definitivamente arenata è stata quella delle
valutazioni di rischio, che europei ed africani volevano venissero
effettuate in base a criteri precisi e prima dell'importazione.
Il gruppo di Miami si è seccamente opposto: regole comuni
avrebbero limitato il potere delle multinazionali, interessate
ad agire indisturbate specie nei paesi in via di sviluppo in
cui le possibilità di controllo in loco sono pressoché
inesistenti.
Gli interessi in gioco sono enormi e la battaglia viene condotta
senza esclusione di colpi. Alla decisione dell'Unione Europea
di vietare l'importazione del mais transgenico e di carne agli
ormoni gli Stati Uniti hanno risposto elevando sino al 100%
i dazi su alcuni prodotti pregiati europei. E' ad esempio il
caso del formaggio francese Roquefort, che ha visto la rivolta
dei produttori associati nella Confederazione Contadina, un
sindacato di agricoltori francesi, da sempre impegnati nella
difesa dell'ambiente e della biodiversità. L'ultimo scorcio
dell'estate ha visto il moltiplicarsi di iniziative di lotta
dei contadini francesi: l'episodio più eclatante è
avvenuto a Millau, dove una manifestazione contadina si è
conclusa con lo smontaggio collettivo di un cantiere per la
costruzione di un nuovo McDonald. Quest'episodio cui sono seguiti
gli arresti di quattro esponenti della Confederazione Contadina
ed una vasta mobilitazione ha avuto una vasta eco internazionale
ed ha contribuito a conferire visibilità ad una questione
che sino ad allora era stata sollevata solo da ristrette minoranze.
Oggi solo la crescita su scala internazionale delle iniziative
di lotta contro le multinazionali dell'agrochimica ed i governi
che le sostengono può impedire la distruzione dell'ambiente
ed una possibilità di sviluppo autonomo del terzo mondo.
Boicottare le varie Monsanto, Novartis, Dupont è un primo
passo. Il secondo, più importante, è la promozione
e la difesa delle biodiversità, la creazione di reti
autogestite e solidali di scambio tra nord e sud del mondo.
Questo non significa demonizzare la manipolazione genetica in
quanto tale, rifiutandola in blocco acriticamente come è
costume di tanto ecologismo integralista; significa però
avere ben chiaro che oggi la ricerca è orientata e pagata
da un ristretto gruppo di multinazionali, che brevettando neo-patate,
neo-grano, neo-mais si accingono a divenire arbitri dei destini
di miliardi di persone, cui sarà negata ogni possibilità
di autosviluppo e, spesso, della possibilità stessa di
sopravvivere.
Maria Matteo
“Oggi
la ricerca
è orientata e pagata
da un ristretto gruppo
di multinazionali”
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Vignette di Paolo Pedercini
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