Ammettiamolo pure. Dal punto di vista
di coloro che l'avevano elaborata, l'ipotesi che l'alba dell'anno
1000 dopo la nascita di Cristo potesse segnare la fine di questo
povero mondo non mancava di una certa logica. Mille, in sostanza,
è una bella cifra tonda e una volta ammesso che l'Universo
sia il frutto dell'attività di un Creatore intenzionato,
un giorno o l'altro, a porvi clamorosamente fine, l'idea di
far coincidere questo atto estremo con una data in qualche modo
significativa, una data che chiunque, purché dotato di
un po' di sale in zucca, avrebbe potuto facilmente prevedere,
cogliendo l'occasione di prepararsi spiritualmente all'inevitabile
palingenesi, sembrava abbastanza ragionevole. Naturalmente bisognava
ammettere un certo numero di postulati, diciamo così,
minori: bisognava sorvolare sul fatto che mille fa cifra tonda
soltanto nel sistema decimale, che non è certo l'unico
sistema numerico possibile, ed era necessario supporre, a rischio
di peccare di superbia, che il Sommo Fattore si interessasse
esclusivamente al nostro pianeta e a quella non grandissima
parte di suoi residenti che dalla data di nascita (supposta)
di uno sfortunato profeta palestinese contavano gli anni della
propria era. Ma questi erano appunto dati su cui la cultura
europea dell'epoca non aveva dubbi. Si sarà certamente
discusso con accanimento di argomenti minori, quali l'opportunità
di contare gli anni a partu, come facciamo noi e allora
facevano i più, o ab incarnatione, come preferivano
alcuni, nel qual caso il patatrac sarebbe stato anticipato al
25 marzo, e senza dubbio il partito di quanti ponevano la fine
millennio al 31 dicembre 999 si sarà scontrato con la
scuola di pensiero di quelli che ritenevano più corretto
collocarla un anno dopo, perché un migliaio deve comprendere
mille unità e non novecentonovantanove, eccetera eccetera,
ma - nel complesso - del fatto che l'approssimarsi di quelle
date giustificasse una certa inquietudine non dovevano essere
in molti a dubitare. Se poi quell'inquietudine si fosse risolta
- com'è capitato - nel più classico dei falsi
allarmi, tanto meglio per tutti.
Oggi, naturalmente, le condizioni culturali sono abbastanza
diverse. Sappiamo tutto sulle aritmetiche non decimali (per
lo meno da quando ne scrisse, nel 1670, Giovanni Caramuel, vescovo
di Vigevano) e abbiamo dovuto ristrutturare la nostra teologia
per far fronte agli imperativi convergenti dell'ecumenismo e
delle moderne teorie cosmologiche. Persino il Papa, che è
il Papa, avrebbe qualche difficoltà a sostenere che il
suo Principale si attiene, nel contare i secoli e gli anni,
ai calcoli di Dionigi il Piccolo. Di un redde rationem
di origine divina, attualmente, non ha paura nessuno. Oltretutto,
abbiamo corso tante di quelle volte il rischio di distruggere
noi il nostro mondo, accumulando ordigni nucleari, praticando
buchi nella fascia dell'ozono, scatenando virus perniciosi e
scardinando ogni possibile equilibrio ambientale, che un eventuale
intervento in tal senso dell'Onnipotente non può che
sembrarci, parlando con tutto il rispetto, affatto superfluo.
Globale
sputtanamento
Eppure le preoccupazioni millenaristiche sembrano inesauribili.
Sarà un caso, ma l'avvicinarsi della mezzanotte dell'ultimo
giorno del 1999 suscita allarmi paragonabili a quelli sperimentati
dai nostri antenati dieci secoli fa. I cieli forse non si squarceranno,
il suono delle trombe angeliche non annuncerà, salvo
sviluppi imprevisti, l'ultimo giudizio, i morti se ne resteranno
tranquilli nelle loro tombe, ma non per questo eviteremo la
catastrofe che a quanto pare inerisce al triplice nove. A farci
pagare i nostri molti peccati provvederà inesorabile
il Baco del 2000 (Y2K Bug, per i più aggiornati):
l'insidioso algoritmo annidato nella programmazione dei meccanismi
cui è delegata l'amministrazione del nostro quotidiano
benessere. Eviteremo, con ogni probabilità, lo sputtanamento
globale della valle di Giosafat, ma corriamo il rischio di soccombere
di fronte al blocco di una moltitudine di computer incapaci
di rendersi conto, perché nessuno glielo ha spiegato,
che il doppio zero che il loro calendario a sei cifre farà
seguire al trentun dodici novantanove non significherà
millenovecento, ma, appunto, duemila.
Intendiamoci. Chi scrive non nasconde la propria abissale ignoranza
in tema di programmazione informatica (e fosse solo in quello).
In compenso, ha avuto a che fare con i computer quanto basta
per rendersi conto che si tratta di manufatti altamente infidi,
per cui non ha la minima intenzione di escludere che il problema
esista e sia serio. Personalmente intende prendere tutte le
possibili precauzioni, evitando di farsi trovare dall'ora X
su un aereo in volo, o chiuso nella cabina di un ascensore,
o sotto la doccia o in analoghe situazioni di vulnerabilità.
Consiglia a tutti quanti se lo potranno permettere di trasferirsi
per il prossimo San Silvestro in una località dal clima
mite, o, per lo meno, di indossare la maglia pesante e di tenersi
a portata di caminetti e stufe a legna, caloriferi a bombola
o a serbatoio di cherosene, o altri meccanismi produttori di
calore non dipendenti da un'erogazione automaticizzata di energia
esterna. Ma non riesce, proprio non riesce, a non pensare che
il baco del duemila rappresenti una versione culturalmente e
tecnologicamente più aggiornata della cara e vecchia
fine del mondo. L'incapacità dei computer di leggere
e comprendere il significato del doppio zero viene interpretata
come l'incapacità stessa della nostra cultura di affrontare
il nuovo millennio.
Un
milione di bachi
D'altro canto, basta pensarci un po' su per accorgersi che
quello di affrontare un millennio non è un problema da
poco. Di un millennio (di qualsiasi periodo predeterminato di
tempo) possiamo essere sicuri solo quando finisce. Dire che
domani comincerà un nuovo millennio è soprattutto
un azzardo, nel senso che se possiamo dare abbastanza per scontato
che il pianeta compirà un altro migliaio di rotazioni
attorno al sole, nulla ci garantisce che ci sarà qualcuno
a contarle tutte o, se anche qualcuno ci sarà, che sarà
disposto a prendere come punto di avvio dei suoi conteggi lo
stesso che usiamo noi. Non vorrei suonare inutilmente irriverente,
ma nulla esclude che i nostri discendenti, se ne avremo, tra
qualche secolo riterranno più interessante, come punto
di partenza delle loro cronologie, qualche altra data. Dire
che è passato un millennio significa riconoscere che
per mille anni l'umanità, o parte di essa, ha tenuto
fermo un punto di riferimento cronologico comune, come a dire
che ha dato a un certo evento un valore epocale, e queste non
sono cose da poco. I valori, tutti i valori, contano soltanto
dal punto di vista di chi li stabilisce.
In effetti, poche civiltà possono vantarsi di aver "vissuto"
più di un millennio; pochissime sono arrivate ai due.
Il calendario ebraico dovrebbe essere giunto, se non m'inganno,
all'anno 5759, ma solo perché si giova di un complesso
calcolo retrospettivo, ed è comunque un caso unico. Nei
paesi islamici, al momento, non si è andati oltre il
millequattrocentoventesimo capodanno. I padri romani festeggiarono
con gran pompa il loro primo millennio (che l'imperatore Marco
Giulio Filippo celebrò con splendidi giochi in quello
che per noi è il 248 d.C.) ma tre o quattro secoli dopo
a numerare gli anni ab urbe condita non ci pensava più
nessuno. Visto che non potremo mai essere sicuri che i posteri
considereranno importanti gli eventi che consideriamo importanti
noi, cioè che conserveranno il quadro valori che ci siamo
dati (perché di questo si tratta) l'atteggiamento di
chi affronta una scadenza plurisecolare, o addirittura millenaria,
è quello di chi scommette sulla propria sopravvivenza,
personale o di gruppo. In queste circostanze, non che stappare
champagne, è il caso soprattutto di fare gli scongiuri.
Se ci sarà un futuro, sappiamo già che finirà
per darci torto. Se non ci sarà, il nostro aver ragione
coinciderà con la fine in assoluto. La scelta è
sgradevole, anche perché non dipende in alcun modo da
noi. Ce n'è quanto basta per giustificare non uno, ma
un milione di bachi.
I quali bachi, peraltro, non vengono certo dall'esterno, non
sono il frutto di circostanze incontrollabili e di necessità
sostanziali d fronte alle quali non si può che chinare
il capo. La paura della fine del mondo si estrapola organicamente
da tutto un insieme di credenze e di insegnamenti di cui i detentori
del potere si sono serviti per secoli al fine di tenere al loro
posto i soggetti. La prospettiva di un catastrofico blocco dei
sistemi computerizzati è la figlia di scelte compiute
a mente fredda da chi, a suo tempo, ha scelto la prospettiva
del guadagno immediato rispetto a quella dell'affidabilità
del prodotto. I veri bachi che tarpano le ali all'umanità
restano l'avidità di potere e quella di sfruttamento
economico. Ma questo, naturalmente, è tutto un altro
discorso.
Carlo Oliva
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