La Cina procede a marce forzate da ormai
oltre ventanni verso il futuro radioso del pan-capitalismo,
con un tasso di crescita ineguagliato che ha portato a quadruplicare
il suo PNL sotto la bandiera delle «quattro modernizzazioni»:
agricoltura, industria, scienza e tecnica, difesa, ma è
sempre ferma rispetto alla «quinta modernizzazione:
la democrazia» (1).
Il presidente della Repubblica, Jiang Zemin, lha ricordato
senza esitazioni: «La Cina non adotterà mai
un sistema politico alloccidentale», e ha chiamato
i suoi compatrioti «a seguire nei prossimi centanni
la linea fondamentale del partito comunista cinese»
(2). Questultimo si considera infatti il solo garante
della stabilità sociale ed è considerato
sovversivo qualsiasi movimento di protesta e di agitazione
che, come tale, è severamente punito. In questa logica
paranoica, gli oppositori vengono assimilati a malati mentali,
perché bisogna essere pazzi per volersi opporre
allautorità. Secondo un rapporto pubblicato nel
luglio 2002 da Human Rights in China, sarebbe stata creata
negli anni 80 una rete di una ventina di ricoveri psichiatrici
specializzati, detta Ankang (Tranquillità e Salute),
collegata direttamente al ministero della Sicurezza pubblica,
e ispirata ai metodi messi a punto in passato dai medici sovietici
per assimilare gli oppositori a malati mentali, curati
a forza di farmaci e di elettroshock.
Si stima intorno ad almeno tremila il numero di casi politici
che negli ultimi due decenni avrebbe condotto allinternamento
e al trattamento psichiatrico forzati. E una volta entrati nella
spirale Ankang, vi si rimane praticamente per sempre. Citiamo
due casi tipici che, grazie allostinazione dei loro cari
e ai contatti di HRIC e Amnesty International, sono stati portati
a conoscenza dellopinione pubblica mondiale: Wan Wanxing
è internato dal giugno del 1992 per aver srotolato uno
striscione in piazza Tienanmen che commemorava la sanguinosa
repressione attuata tre anni prima, nella notte tra il 3 e il
4 giugno del 1989; Cao Maobing è in carcere dal dicembre
del 2000 per aver tentato di dar vita a un sindacato autonomo
nel Jiangsu.
Il campo degli oppositori, quindi, è quasi illimitato:
esso comprende tanto la base che manifesta il proprio scontento
contro la corruzione, quanto le minoranze etniche in lotta contro
la politica di assimilazione forzata, come i tibetani e gli
uiguri, i credenti che rifiutano di venir irreggimentati nelle
chiese «patriottiche», il movimento Falungong che
coniuga esercizio fisico e spirituale attinti dalla tradizione
del Giqong e che, come setta, sviluppa una pratica di aiuto
reciproco e di solidarietà che attrae un numero sempre
maggiore di adepti, i navigatori di Internet che visitano siti
stranieri critici nei confronti del regime, i sindacalisti autonomi
e i militanti politici che rifiutano legemonia del partito
comunista. Ci concentreremo qui su queste ultime tre categorie,
poiché la loro unità potenziale potrebbe far vacillare
seriamente il potere costituito.
Internet
La crescita del numero degli internauti cinesi è esponenziale.
In meno di dieci anni si è passati da zero a quarantacinque
milioni di persone ed entro la fine del 2004 si dovrebbero raggiungere
i sessanta milioni, lequivalente della popolazione francese.
In un grande discorso solenne sulle tecnologie dellinformazione
pronunciato in occasione di un seminario del PC a Pechino l11
giugno del 2001, pur riconoscendo che Internet «ha
notevolmente contribuito alla crescita economica»,
il presidente Jiang Zemin ha giudicato che esso abbia anche
permesso la diffusione di «informazioni nefaste, superstizione,
violenza, pornografia: tutto ciò minaccia la salute mentale
della popolazione e della gioventù» e che sia
bene di conseguenza «rafforzare la legislazione sullinformazione
e su Internet»: imposizione ai siti cinesi di diffondere
esclusivamente informazioni già pubblicate dalla stampa
ufficiale; web master e operatori di Internet café considerati
responsabili di qualsiasi infrazione commessa dagli utilizzatori;
messa in opera di software di sorveglianza e di nuovi filtri
sofisticati. Per questo lattuale regolamentazione prevede
che «utilizzare Internet per propagare voci infondate,
diffamare o trasmettere informazioni dannose, incitare al rovesciamento
del potere statale o del sistema socialista o alla divisione
del paese» costituisce ormai un crimine contro la
sicurezza dello stato e la stabilità sociale. Ma come
mettere un poliziotto dietro ogni computer?
Nel frattempo, secondo le ultime stime di HRIC e di AI, trentatré
cyberdissidenti si trovano attualmente in carcere, condannati
a pene detentive dai tre agli undici anni per imputazioni che
vanno dal «download di documenti della setta Falungong»
alla «sovversione». Citiamo semplicemente
due casi legati al movimento democratico in Cina: il 13 dicembre
2001, Wang Jibo, membro del Partito Democratico Cinese
dello Shandong, è condannato a 4 anni di carcere per
aver reclamato via Internet una revisione del giudizio ufficialmente
attribuito al grande movimento popolare di aprile-giugno 1989,
sempre definito «controrivoluzionario» (3);
il 30 dicembre 2001, è la volta di Li Xinhua, fondatore
della sezione di Wuhan del PDC, di venir analogamente condannato
a 4 anni di prigione per «incitamento al rovesciamento
del potere», mentre in realtà diffondeva via
Internet articoli che attaccavano la corruzione e il sistema
politico alla sua base, facendosi fautore della necessità
di «un sistema di controllo reciproco fondato sulla
separazione dei poteri amministrativo, giudiziario e legislativo».
Attivisti politici
Il 5 ottobre 1998, il governo cinese ha firmato, senza però
mai ratificare, il Patto Internazionale sui Diritti Civili e
Politici che garantisce la libertà di espressione e di
riunione, e processi equi, proibendo la tortura e gli arresti
arbitrari, in conformità peraltro allarticolo 35
della Costituzione cinese, la quale stabilisce che «i
cittadini godono della libertà di parola, di stampa,
di riunione, di associazione, di corteo e di manifestazione».
Ma, ancora una volta, le affermazioni di principio sono ben
distanti dalla realtà!
A titolo esemplificativo, ci limiteremo al caso del Partito
Democratico Cinese che, se non è lunico, è
perlomeno quello che fa più parlare di sé. Uno
dei suoi fondatori, Xu Wenli (4), è stato liberato il
24 dicembre 2002 grazie alla pressione dellopinione pubblica
internazionale e subito espulso negli Stati Uniti per «ragioni
di salute», dopo essere stato condannato nel dicembre
1983 a 13 anni di reclusione per «attentato alla sicurezza
nazionale» in quanto cofondatore del PDC, che era
stato subito messo fuori legge. Si tratta pur sempre di un partito
di orientamento riformista e liberale, che peraltro riconosce
il ruolo preponderante svolto dal partito comunista nella gestione
degli affari del paese, ma è la sua dimensione nazionale
esso rivendica un migliaio di militanti in 23 delle 30
province cinesi a renderlo potenzialmente pericoloso
per un partito comunista la cui forza risiede proprio nellatomizzazione
delle diverse opposizioni. Oltre ai due casi sopra citati, altri
due militanti del PDC, Hu Mingjun e Wang Sem, arrestati nel
marzo del 2001 a conclusione di un processo a porte chiuse nel
corso del quale i capi di imputazione sono stati modificati
e aggravati, sono stati condannati nel maggio del 2002 a 11
e 10 anni di carcere per aver preso contatto, giudicato «sovversivo»,
con gli organizzatori di una manifestazione di operai siderurgici
a Dazhou (Sichuan), mentre nelle loro dichiarazioni i due si
erano limitati a rivendicare la libertà sindacale e il
miglioramento delle tutele sociali per chi aveva perso il lavoro.
Questo slittamento del terreno politico verso quello sociale
è proprio ciò che preoccupa il potere costituito
e ne spiega la reazione nei confronti di Wang Mingzhang. Questultimo
è una personalità della dissidenza, in esilio
negli Stati Uniti, dove anima la rivista «Primavera
di Cina». Egli è scomparso alla fine di giugno
del 2002 nei pressi del confine sino-vietnamita, dove si trovava
con altri due cinesi. Allertata, Amnesty International ha compiuto
delle indagini e scoperto che i tre erano arrivati in Vietnam
il 26 giugno, per incontrare in un luogo appartato alcuni militanti
sindacalisti cinesi. Dopo insistenti richieste di chiarimenti,
il 20 dicembre la polizia cinese ha ammesso che i tre erano
stati arrestati circa sei mesi prima, e da allora detenuti in
un luogo segreto per «terrorismo e spionaggio in favore
di Taiwan».
A quanto sostiene la polizia, sarebbero stati rapiti in Vietnam
da una banda che voleva ricattarli e scoperti dalle autorità
il 3 luglio, legati e imbavagliati, in un tempio nei pressi
del confine sul lato cinese! Una versione rocambolesca, mentre,
più semplicemente, è probabile che i tre siano
stati prelevati da un commando della polizia, la quale considera
Wang molto pericoloso, visti i suoi legami con il movimento
sociale. Processato a Shenzhen il 22 gennaio scorso, è
stato condannato il 10 febbraio allergastolo per «spionaggio»
e «comando di organizzazione terroristica»!
Il potere, infatti, è sempre più preoccupato dal
collegamento che si cerca di realizzare tra dissidenti in esilio,
quelli interni e i sindacalisti autonomi, e sono proprio questi
ultimi che teme maggiormente.
Sindacalisti autonomi
Oltre al Patto sui Diritti Civili e Politici, la Cina ha anche
firmato, e questa volta ratificato il 28 febbraio 2001 (5),
il Patto sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, ma con
alcune riserve riguardanti proprio uno dei cardini del patto
medesimo, ossia larticolo 8 che tutela la libertà
sindacale. Pechino si trincera dietro la propria Costituzione
e le sue leggi che prevedono solo unorganizzazione sindacale
unica, lACFTU, All China Federation of Trade Unions (Federazione
nazionale dei sindacati cinesi). Per questo, tutti i tentativi
di organizzarsi al di fuori di questa struttura unica vengono
severamente repressi, come nel caso di Zhang Shanguang, condannato
a 10 anni di carcere perché aveva sollecitato un nulla
osta per costituire unassociazione di «difesa
dei lavoratori colpiti da licenziamento», il quale
nella prigione N. 1 dellHunan è regolarmente sottoposto
a violenze.
Ma tra gli attuali movimenti, quello che molti osservatori considerano
una autentica svolta nella storia sociale della Cina comunista,
per lampiezza delle manifestazioni e del grado di organizzazione
dei lavoratori, è quello detto dei «Quattro
di Liaoyang».
Tra i mesi di marzo e di maggio dello scorso anno, a Liaoyang,
capitale del Liaoning, colpita da un tasso di disoccupazione
del 25%, si sono svolte diverse manifestazioni che hanno visto
la partecipazione di decine di migliaia di operai, pensionati
e disoccupati che protestavano contro la corruzione e la sottrazione
di fondi che avevano contribuito al fallimento delle loro aziende,
e questo sotto la guida di delegati scelti autonomamente: Yao
Fixin, Xiao Yankong, Pang Qingxiang e Wang Zhaoming.
Il governo, peraltro, ha implicitamente dato loro ragione, inviando
sul posto una delegazione della Commissione Centrale del PC,
la cui inchiesta ha portato grandi sconvolgimenti: oltre 200
arresti effettuati nel corso dellestate tra gli amministratori
cittadini, le forze di polizia, la magistratura, le aziende
di stato tra cui il direttore generale della fabbrica
metalmeccanica in liquidazione da cui era cominciato il conflitto
, compreso un deputato dellAssemblea locale ben
noto come il «padrino» mafioso (6) della città,
arresti che hanno tuttavia risparmiato il capo locale del Partito
Il potere resta fedele ai suoi metodi: quando scoppia una rivolta,
prima la schiaccia poi si interessa alle cause che lhanno
prodotta per operare un bel repulisti. E anche se avevano ragione,
coloro che hanno avuto laudacia di protestare devono pagarne
il prezzo. Se, nonostante tutto, si mantiene una certa prudenza
nei confronti della massa dei manifestanti, vengono isolati
gli «istigatori», e a trovarsi sotto tiro è
soprattutto Yao. Operaio metalmeccanico, licenziato nel 1992
in seguito alla chiusura dellazienda statale in cui lavorava
e da allora rimasto sempre senza lavoro, aveva aperto una piccola
drogheria; proprio nel suo retrobottega sono stati scritti i
primi proclami e organizzate le prime manifestazioni. Egli si
è dunque ritrovato a essere tra i principali portavoce
del movimento e i suoi discorsi sulla solidarietà operaia
e il tradimento del PC hanno avuto un impatto sempre più
forte sui manifestanti. Anche in questo caso, la cosa non è
durata a lungo: il 17 marzo, una domenica, Yao è stato
sequestrato in mezzo alla strada da poliziotti in borghese e
dopo una nuova manifestazione il 20 marzo, in cui diecimila
persone ne richiedevano la liberazione, gli altri tre delegati,
Xiao, Pang e Wang sono stati arrestati e detenuti in un luogo
segreto proprio come Yao
Ciò nonostante, la mobilitazione locale non è
diminuita, con manifestazioni periodiche davanti al municipio,
e ad essa è venuta ad aggiungersi la solidarietà
internazionale. La Confederazione Internazionale dei Sindacati
Liberi (7), così come la Federazione Internazionale dei
Metalmeccanici, hanno sporto formale denuncia presso lOrganizzazione
Internazionale del Lavoro contro il governo cinese per «violazione
dei principi di libertà di associazione»; il
26 maggio una delegazione di quattro sindacalisti francesi si
è addirittura recata sul luogo, venendo immediatamente
obbligata a lasciare la città su una camionetta della
Sicurezza pubblica; una Giornata dazione internazionale
si è tenuta il 10 luglio del 2002.
Se i tre compagni di Yao sono stati finalmente rimessi in libertà
il 20 dicembre, per questultimo limputazione iniziale
di «raduni e manifestazioni illegali»
passibile di 5 anni di carcere si è trasformata
in «sovvertimento del potere dello stato»,
che prevede la pena capitale, poiché nel frattempo la
polizia ne aveva «scoperto» il nome negli
elenchi del Partito Democratico Cinese
Yao è stato
processato il 15 gennaio scorso e si teme una sentenza pesante.
Ma la macchina è stata messa in moto. In altre località
della Cina i lavoratori si organizzano autonomamente e se lunità
con i dissidenti riuscirà a realizzarsi nonostante la
repressione, ciò potrebbe in un breve tempo cambiare
le carte in tavola. Il seguito alla prossima puntata!
Jean-Jacques Gandini
(traduzione dal francese di Anna Spadolini)
Note:
1.
Secondo il manifesto premonitore di Wei Jingsheng affisso
a Pechino sul «muro della Democrazia» il 5
dicembre 1978 e che gli è valso una condanna a
15 anni di prigione: «
che cosè
la democrazia? La vera democrazia, è la restituzione
di tutti i poteri alla collettività dei lavoratori.»
(in «La Cina alla fine del secolo I: cambiare tutto
per non cambiare nulla» J.J. Gandini, ACL 1994).
2. Dichiarazione allAFP (Agenzia France Presse)
il 18 dicembre 1998.
3. Secondo Amnesty International almeno 200 persone, identificate
per nome, sono tuttora imprigionate per avervi partecipato.
4. Alletà di 59 anni avrà passato
18 anni in carcere: prima dei quattro anni di detenzione
tra il 1998 e il 2002, ne aveva scontati altri 14 tra
il 1979 e il 1993 per il ruolo ricoperto allepoca
della «Prima primavera di Pechino » come animatore
della rivista di riferimento «La Tribuna del
5 aprile».
5. Conseguenza dell'ammissione nell'OMC avvenuta all'inizio
dell'anno 2002.
6. In un rapporto al Comitato centrale del PC, finito
nel dimenticatoio, la giornalista e sociologa He Qinglian
scriveva nel 1996: «La Cina va verso un regime
che vede uniti il governo e la mafia. Lalleanza
tra la criminalità e le élite al potere
conduce al saccheggio delle ricchezze pubbliche, in primo
luogo del patrimonio di stato accumulato in quarantanni
grazie al sudore del popolo, e larma principale
che consente tale saccheggio è il potere politico.»
Da allora, He Qinglian ha preferito gettare la spugna,
scegliendo nel luglio 2002 lesilio negli Stati Uniti.
7. Il 3 gennaio scorso questa ha fatto appello a tutti
i suoi iscritti perché protestassero energicamente
nei confronti delle autorità cinesi e ha chiesto
allOIL di fare altrettanto. È possibile inviare
un e-mail al presidente Jiang Zemin: minister@legalinfo.gov.cn.
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