Atahualpa Yupanqui
«Finché Atahualpa o qualche altro dio...»
Atahualpa, come indica il nome stesso, è un dio.
Non di quelli che stanno sui coglioni a noi atei, non di quelli
che stabiliscono regole e regolette, che stanno a fare i guardiani
della frutta, che raccontano incredibili barzellette sulla creazione
del mondo o ordinano a qualche povero disperato di schiantarsi
con un aereo su un palazzo per la gloria di un paio di magnati
del petrolio che si fanno i «dispetti».
Atahualpa è un dio nel senso che il suo lavoro fa sentire
luomo più uomo, la natura più simile allarte,
larte sorella di latte della vita. Atahualpa è
la terra che lo ha partorito, imbevuta di storia e memoria.
Atahualpa suona la chitarra come il vento passa tra le foglie
e canta come respira: con lentezza, con gusto, assaporando ogni
sillaba, ogni vibrazione... come un tramite perfetto fra la
musica della parola, e la poesia del suono; lontano dallautoconsapevolezza
malata dellartista occidentale che depone ogni suo prodotto
anche il più scatologico di fronte allo
specchio, per andare ad annusarselo e rimirarlo cinquecento
volte al giorno, il nostro argentino è grande come un
albero secolare e puro come un bambino:
«Que el que se larga a los gritos/no escucha su proprio
canto» «chi canta a voce alta/non sente il proprio
canto».
Questo distico semplicissimo e stupendo parte dalla constatazione
quasi banale che cantando «giusto» non si percepisce
dentro di sé il suono che si produce: si percepisce la
colonna daria che porta le vibrazioni dalle corde vocali
alla maschera, ma non il suono, che ritornerà
arricchito dallambiente circostante solo in un secondo
momento.
Questimmagine però diventa anche metafora e dichiarazione
poetica: lartista non deve tendere lorecchio nellonanistica
ricerca della propria «bravura», deve dimenticarsi
di sé ed essere medium, soffio vitale e creatore che
unisce luomo a luomo, luomo alla terra; consapevole
fino allattimo prima di aprire la bocca, poi solo voce
del tutto, senza più coscienza individuale. O, per dirla
in soldoni, non cantare per ascoltarti, canta per dire.
Attenzione però, questintroduzione non paia misticheggiante!
Atahualpa Yupanqui per la sua grande nettezza richiama una certa
spiritualità, ma la sua è una spiritualità
lontanissima dalle religioni rivelate: «Non ho rapporti
con dio/i miei rapporti sono con gli uomini/io prego il grano
che cresce/e mi innalzo leone nel monte» dice nella stupenda
nada mas (omaggio al Che Guevara); con «Preguntitas
sobre dios» poi, egli scriverà una delle più
belle professioni di ateismo mai cantate.
Molte sono anche le sue canzoni inequivocabilmente di «protesta»
(«Basta ya», «Trabajo quiero trabajo»,
ecc.), ma la sua rivolta è nutrita dalla cultura gaucha,
elaborata nellampia solitudine di centinaia di miglia
attraversate; una cultura riflessiva, quindi, orgogliosa e un
po fatalista (ma tuttaltro che rassegnata); la protesta
di queste canzoni finisce per attingere a pensieri filosofici
quanto a passaggi poetici «arando la terra Juan/si mise
a considerarla/perché la terra è sempre/di chi
non la sa fecondare/.../ma forse pensando e pensando/un giorno
saprò volare».
Atahualpa era nato a El Campo nel 1908 ed è morto nel
1992, figlio di un creolo e di unimmigrata di origine
basca, venne scoprendo negli anni delladolescenza il suono
della chitarra e la poesia.
Fu assorbito dallo studio di entrambi questi mondi: la chitarra
classica, da cui imparò a trarre sfumature infinite,
tutti i colori dellanima suonando Sor e Giuliani; la poesia
in cui simmerse sotto la guida del grande studioso della
cultura popolare, e poeta egli stesso, Ricardo Rojas, attraverso
cui scoprì il mondo della grande lirica spagnola del
900, prima fra tutti quella di Antonio Machado, di cui,
in guisa di manifesto programmatico, amava citare questi significativi
versi:
Prima che il popolo li canti
i canti non esistono ancora
e quando il popolo li canta
lautore non esiste più.
Fa che i tuoi canti
arrivino al popolo
perché smettano desser tuoi
perché siano dei più.
Perché se immergi il tuo cuore
nellanima popolare
ciò che perdi di fama
lo guadagni in eternità.
Ben presto quindi, anche in virtù di questi insegnamenti,
le due strade parallele dei suoi interessi si incontrarono nella
scoperta della musica popolare, dellincredibile patrimonio
folklorico, ricchissimo di forme musicali perfettamente chiuse,
che molto piacquero al chitarrista classico che, senza mai tradirle,
seppe fornirne una versione al contempo pura e straordinariamente
aderente alla sua esigenza di perfezione formale.
In questa stessa seconda metà degli anni 30 cominciano
i suoi numerosissimi viaggi a piedi, a dorso di mulo, sotto
la pioggia, dormendo per terra coperto da un poncho, per tutto
il suo immenso paese, imparando ogni forma delle danze andine:
la zamba, la baguala, la chacarera, la milonga soprattutto...,
comprendendo a perfezione linestricabile centralità
della musica nel lavoro, nella ritualità, nella vita
miserabile del popolo; Atahualpa in quegli anni impara a prendere
e a dare, ad essere prima uomo che artista: Se mi si fa
un segno amichevole, metto il piede a terra, ringrazio e gratto
la mia chitarra. Se non mi si dice niente, proseguo il mio cammino,
forse è questo il mio destino: andare, andare senza meta.
La rivolta contro le condizioni mestissime di vita che vede
lo spinge a iscriversi al partito comunista (con cui pure romperà
nel 52), inutile aggiungere che la militanza in lui sarà
dignitosissima e mai intaccherà il suo rigore artistico
e personale: egli resterà un testimone, mai ridotto a
semplice portabandiera... ciononostante tale militanza gli costerà
in patria il bando delle case discografiche e numerosi soggiorni
in prigione.
Anche per questo comincia a cercare lavoro in Europa, dove viene
immediatamente riconosciuto dalla strepitosa sensibilità
di Edith Piaf che, facendogli aprire i suoi recital, lo proietta
in una nuova notorietà (nel 49 si produrrà
per il pubblico europeo in più di 60 concerti); la sua
musica, pur affondando profondissime radici, risulta così
universale che diverrà quasi una superstar in Giappone,
dove si reca per la prima volta nel 64 per dare 45 recital.
Il piacere dellascolto di Atahualpa è effettivamente
qualcosa che viene dal profondo, ascoltare lui è un modo
di ascoltar se stessi, tanto egli interpreta il canto del silenzio,
tanto in lui prendono rilievo le pause quanto le parole. La
chitarra la suona da virtuoso, con un bellissimo tocco classico
e con un grande rigore da studioso della musica popolare, la
voce è invece la voce di un meraviglioso narratore, capace
di raccontare, come fosse una storia, anche il percorso del
pensiero, è egli al contempo un lirico e un filosofo,
un iconoclasta nemico delle imposizioni e un rispettoso servitore
delle tradizioni ancestrali; inoltre trovano perfetta unità
in lui la modestia del genio e il sobrio orgoglio delluomo
veramente umano. Il vento, i fiumi, la pietra sono fra le sue
immagini preferite, perché in tutta questa comprensione
del popolo Atahualpa non abbandona mai un senso di profondissima
solitudine di fronte allimmensità degli elementi
da cui è circondato.
Solo e orgoglioso appare anche nelle registrazione dei suoi
recital che ci sono pervenute, dove, nessuno più di lui
gioca un ruolo anti-divistico, dove la placidità della
sua proposta non si avvita mai in alcun parossismo interpretativo
in cerca di un applauso, di un apprezzamento ulteriore... sembra
che il suo modo, la sua umanità profonda, non cambierebbe
se si trovasse a suonare di fronte a una platea di alberi secolari.
Cè gente che dà sfogo ai sentimenti in maniera
catartica, che brucia di fiamma viva incendiando se stesso e
il pubblico, correndo sul filo della disperazione come un funambolo
pazzo; ci sono altri che prendono in mano la chitarra con la
semplice perfezione di una quotidianità riscattata dalleterno
naturale fluire della poesia della vita, di questi secondi Atahualpa
Yupanqui è stato uno splendido esempio.
Alessio Lega
amoreanarchia@tiscalinet.it
Atahualpa
Yupanqui
Domandine
a proposito di dio
Un
giorno chiesi: Nonno dove sta dio?
Il nonno diventò triste e non mi rispose.
Mio nonno morì nel campo senza preghiere né
confessioni
lo seppellirono gli indios al suono di flauto e tamburi.
Poi
chiesi a mio padre. Padre che ne sai di dio?
papà divenne serio e non mi rispose.
Mio padre morì in miniera senza dottori né
protezione
color di sangue miniera chiede loro del padrone.
Mio
fratello vive sui monti e non conosce i fiori
sudore, malaria e serpenti: la vita del boscaiolo.
E che nessuno gli chieda se ha mai visto dio
per casa sua non passa nessun signore così importante.
Io
canto per i sentieri e quando sto in prigione
sento la voce del popolo cantare meglio di me.
Cè una cosa sulla terra più importante
di dio:
che nessuno sputi sangue perché un altro viva
meglio.
Che dio vegli sui poveri? Forse sì o forse no
però di sicuro a mezzogiorno siede alla mensa
del padrone.
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I
fratelli
Ho
tanti fratelli che non li posso contare.
Nelle valli, in montagna e nella pampa e nel mare.
Ognuno con le sue fatiche, con i suoi sogni ognuno,
con la speranza davanti, coi ricordi dietro.
Ho tanti fratelli che non li posso contare.
Uomini
dalla mano calda per colpa dellamicizia.
Con pianti per piangere, con parole per pregare
con un orizzonte aperto che sta sempre un po più
in là
e la forza di cercarlo con ragione e volontà
che quando sembra vicino si allontana ancora.
Ho tanti fratelli che non li posso contare.
E
così continuiamo ad andare, frequentati dalla
solitudine
ci perdiamo per il mondo, ci continuiamo a incontrare
così ci riconosciamo, per lo sguardo lontano
per i versi che mordiamo, semenza di eternità.
Così continuiamo ad andare, frequentati dalla
solitudine
dentro di noi i nostri morti, perché niente può
essere abbandonato.
Ho tanti fratelli che non li posso contare
e una donna meravigliosa che si chiama libertà.
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